Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37589 del 29/05/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 37589 Anno 2018
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Maiorana Giuseppe, nato il 08/08/1955 a Roma
avverso la sentenza 16/01/2017 della Corte d’appello di Roma

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandra Bassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paolo
Canevelli, che ha concluso chiedendo che la sentenza sia annullata con rinvio
relativamente al trattamento sanzionatorio, previa qualificazione del reato
contestato in quello di tentata concussione e rigetto del ricorso nel resto;
udito il difensore delle parti civili Cristina Colagrossi e della TOMCOL s.r.I., avv.
Gianluca Accardi, che si è riportato alla memoria depositata;
udito il difensore, avv. Mauro Capone, anche in qualità di sostituto processuale
dell’avv. Fabio Cioccarelli, il quale ha concluso insistendo per l’accoglimento del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Roma ha
confermato l’appellata sentenza del 3 novembre 2015, con la quale il Tribunale

Data Udienza: 29/05/2018

di Roma ha condannato Giuseppe Maiorana alla pena di legge per il reato di cui
all’art. 317 cod. pen. In particolare, al ricorrente è contestato di avere, quale
pubblico ufficiale – in quanto funzionario di Polizia di Roma Capitale -, dopo un
controllo amministrativo presso il “Bar One” e la contestazione verbale di due
violazioni (occupazione abusiva con tavolini e sedie di suolo pubblico privo di
recinzione e mancanza di autorizzazione comunale per l’occupazione di un’area
recintata) per le quali asseriva di dover elevare una contravvenzione di 3.000
euro, abusando della sua qualità e dei suoi poteri, prospettato alla titolare
(“capisci me ne dai 1500

euro a me a fronte di 3000 euro per un anno stai tranquilla, poi l’anno prossimo
vediamo”) e, quindi, costretto la medesima a promettere il versamento della
somma di 1.310 euro, poi consegnata nell’equivalente in facsimile di banconote
sotto il diretto monitoraggio dei Carabinieri.

2. Giuseppe Maiorana ricorre avverso il provvedimento e ne chiede
l’annullamento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att.
cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione di legge penale e
vizio di motivazione in relazione agli artt. 317 e 319-quater cod. pen., per avere
la Corte d’appello erroneamente qualificato il fatto quale concussione anziché
come induzione indebita. A sostegno dell’assunto, la difesa evidenzia che,
contrariamente a quanto ritenuto dal Collegio del gravame, la violazione
amministrativa prospettata dal Maiorana alla Colagrossi – comportante il
pagamento della somma di 3.000 euro – non può ritenersi “inesistente”. Il
funzionario Fantozzi, sentito come teste, ha invero richiamato la risoluzione del
Ministero dello sviluppo economico n. 145811 dell’agosto 2014 secondo la quale
l’occupazione del marciapiede con tavoli e sedie non può qualificarsi quale
ampliamento sanzionabile ai sensi dell’art. 11, comma IX, L.R. 29 novembre
2006, n. 21, ma ha omesso di riferire che, prima di tale risoluzione, trovava
applicazione la circolare n. 210917 del 9 dicembre 2009 della Regione Lazio, in
forza della quale l’occupazione costituisce “ampliamento”, circostanza
confermata anche dal teste La Posta. Di tale circolare aveva appunto fatto
applicazione Maiorana nel caso di specie.
2.2. Con il secondo motivo, la difesa eccepisce la violazione di legge penale
ed il vizio di motivazione in relazione agli artt. 317 e 319-quater cod. pen., per
avere la Corte errato nel qualificare il fatto come concussione anziché come
induzione indebita. A sostegno del rilievo, la difesa pone in luce che, stando
anche alla stessa versione dei fatti della persona offesa, non risulta provata
alcuna condotta intimidatoria dell’imputato tale da annientare la libertà di
2

dell’esercizio pubblico Cristina Colagrossi di aiutarla

autodeterminazione o da comportare uno stato di soggezione della vittima, la
quale ha chiarito di avere finto di accettare la proposta, avendo già deciso di
denunciare l’accaduto alla Polizia.
2.3. Con il terzo motivo, Maiorana rileva la violazione di legge penale ed il
vizio di motivazione in relazione all’art. 323-bis cod. pen., per avere la Corte
denegato l’applicazione della circostanza attenuante in oggetto nonostante
l’esiguità del vantaggio patrimoniale conseguendo dall’imputato (1.310 euro).
2.4. Con il quarto ed ultimo motivo, l’impugnate deduce la violazione di

per avere la Corte erroneamente confermato l’entità del risarcimento del danno
nei confronti della parte civile (nella misura di 10.000 euro) sebbene ella abbia
riportato soltanto un danno di natura morale, in relazione ad una condotta di
breve durata e non implicante alcuna violenza fisica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.

2. Ritiene il Collegio che il fatto così come (congruamente) ricostruito dai
Giudici della cognizione sia stato erroneamente qualificato come concussione e
debba, piuttosto, essere sussunto sotto la fattispecie dell’induzione indebita
tentata.
2.1. Mette conto rammentare come, secondo l’insegnamento ormai
consolidato di questo Supremo Collegio, il delitto di concussione, di cui all’art.
317 cod. pen., nel testo modificato dalla legge 6 novembre 2012, n. 190, sia
caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico
agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un
danno

contra ius

da cui deriva una grave limitazione della libertà di

determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé,
viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la
dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione
indebita, previsto dall’art. 319-quater cod. pen. introdotto dalla medesima legge
n. 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno,
pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di
autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini
decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non
dovuta, perché motivato dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale,
che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico (Sez. U, n. 12228 del

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legge penale ed il vizio di motivazione in relazione all’art. 538 cod. proc. pen.,

24/10/2013 – dep. 14/03/2014, Maldera, Rv. 258470; Sez. 6, n. 8963 del
12/02/2015, Maiorana, Rv. 262503).
Si è ancora affermato che la minaccia di un danno ingiusto del pubblico
ufficiale finalizzata a farsi dare o promettere denaro o altra utilità, posta in
essere con abuso della qualità o dei poteri, integra il delitto di concussione e non
quello di induzione indebita pur quando la persona offesa, cedendo alle pretese
dell’agente, consegue anche un vantaggio indebito, sempre che quest’ultimo
resti marginale rispetto al danno ingiusto minacciato (Sez. 6, n. 6056 del

2.2. Il discrimen fra le due fattispecie incriminatrici poggia dunque su due
distinti aspetti: per un verso, sulla diversa intensità della pressione
condizionante dispiegata dall’agente; per altro verso, sull’esistenza o meno di un
vantaggio illegittimo della vittima. Si deve pertanto ritenere che la minaccia di
un danno ingiusto del pubblico ufficiale finalizzata a farsi dare o promettere
denaro o altra utilità, posta in essere con abuso della qualità o dei poteri, integri
il delitto di concussione e non quello di induzione indebita allorquando, per un
verso, l’intimidazione sia connotata da un’intensità tale da incidere
pesantemente sulla libertà di autodeterminazione del destinatario e da
trasmodare dunque in una vera e propria costrizione; per altro verso, non sia
ravvisabile un vantaggio indebito in capo alla persona offesa o comunque esso
resti marginale rispetto al danno ingiusto minacciato.

3. Di tali coordinate non ha fatto buon governo la Corte distrettuale
allorchè ha escluso la possibilità di inquadrare il fatto come contestato e
ricostruito all’esito dell’istruttoria dibattimentale nell’ipotesi di cui al combinato
disposto degli artt. 56 e 319-quater cod. pen.
3.1. Sotto un primo aspetto, ritiene il Collegio che – come correttamente
rilevato dalla difesa -, nella specie, non possa affermarsi che la minaccia rivolta
dal Maiorana alla Colagrossi avesse ad oggetto l’elevazione di una sanzione
amministrativa in radice insussistente.
3.2. Al riguardo, deve essere notato come la questione circa la ravvisabilità
o meno di un “ampliamento” sanzionabile ai sensi della L.R. 29 novembre 2006,
n. 21, in caso di occupazione del suolo pubblico (marciapiede) da parte degli
esercenti di bar e ristoranti (con i c.d.

dehor) è stata in passato controversa

anche fra gli addetti ai lavori, tanto da richiedere un espresso e formale
chiarimento da parte del Governo. Ed invero, con la risoluzione n. 145811 del 14
agosto 2014, il Ministero dello Sviluppo Economico (nella persona del Direttore
Generale), chiamato dal Comando dei Vigili Urbani di un Municipio a dare
risposta al quesito concernente l’inquadramento giuridico dellwoccupazione di
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23/09/2014 – dep. 10/02/2015, Staffieri, Rv. 262332).

suolo privato con tavoli e sedie per ampliamento attività”, abbia chiarito come
detta occupazione non comporti “ampliamento della superficie di vendita”
sanzionabile ai sensi dell’art. 11, comma 9, L.R. 29 novembre 2006, n. 21.
Vista la prossimità della risoluzione chiarificatrice del Ministero (del 14
agosto 2014) rispetto alla commissione del fatto (in data 20 ottobre 2014) e la
tecnicità e problematicità della questione, non è logicamente implausibile che
Maiorana – nel momento in cui faceva firmare alla Colagrossi il c.d. talloncino di
verifica della Segnalazione Certificata di Inizio di Attività (SCIA), le mostrava

dovuto pagare una contravvenzione di oltre 3.000 euro, appunto compatibile con
la disciplina sanzionatoria della citata L.R. n. 21/2006 (avanzando subito dopo la
richiesta del versamento di una somma di 1.500 euro per omettere dette
contestazioni) – ignorasse detta indicazione ministeriale e, dunque, prospettasse
una conseguenza sanzionatoria stimata realmente applicabile.
3.3. Ad ogni modo, non può sottacersi come l’occupazione del marciapiedi
da parte della Colagrossi integrasse comunque una violazione – sia pure meno
grave – al codice della strada, implicante il pagamento di una sanzione
pecuniaria (sia pure per una somma di gran lunga inferiore a quella 3000 euro).
3.4. Tirando le fila delle considerazioni sopra svolte, ritiene la Corte che stando proprio alla ricostruzione storico fattuale compiuta dai Giudici della
cognizione – la richiesta di denaro formulata dal pubblico ufficiale fosse
certamente ingiusta (là dove egli chiedeva l’esborso della somma non dovuta di
1.500 euro per non porre in essere un atto d’ufficio, id est per non elevare la
contravvenzione) e nondimeno fosse tale – qualora accolta – da realizzare un
indebito vantaggio alla persona offesa, esercente un’attività di somministrazione
di bevande al pubblico con dehor, esposta quotidianamente a controlli e possibili
sanzioni per l’occupazione del suolo pubblico.
3.5. Sotto diverso aspetto, occorre considerare (sempre avendo riguardo
alla ricostruzione compiuta dai decidenti di merito alla luce della versione dei
fatti della persona offesa) come la minaccia profferita dal Maiorana nel
prospettare un male contra ius, seppure idonea ad esercitare una pressione
morale sulla vittima, non fosse comunque connotata da una carica intimidatoria
così intensa da annientare totalmente la libertà di autodeterminazione della
vittima e da non lasciarle alcun significativo margine di scelta, ma si sia
mantenuta entro i confini della convinzione, della persuasione, sia pure abusiva.

4. Ritiene allora il Collegio che il fatto debba essere qualificato come
tentativo di induzione indebita, non potendosi ritenere perfezionato l’evento

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velocemente un verbale e le diceva che per le infrazioni commesse avrebbe

tipico della fattispecie di cui all’art. 319-quater cod. pen. in alcuna delle forme
alternative della “promessa” e della “dazione”.
4.1. Non è revocabile in dubbio che il delitto si consumi già con la mera
“promessa” di denaro o altra utilità e, tuttavia, ai fini del perfezionamento, deve
ovviamente trattarsi una promessa “valida” ed effettiva.
Validità che non può ritenersi provata in termini di certezza nella specie, là
dove – proprio avendo riguardo alle specifiche connotazioni della vicenda sub

iudice, come delineate nelle sentenze di merito – la Colagrossi, dopo avere

ufficiale, si determinava a denunciare l’imputato ai Carabinieri e, quindi,
simulava di accettare la proposta, concordando con il ricorrente la consegna
delle banconote, poi avvenuta mediante la dazione dei facsimile sotto il diretto
monitoraggio degli inquirenti. In altri termini, nel momento in cui accettava la
proposta del Maiorana, la donna fingeva soltanto di impegnarsi a consegnare il
denaro richiesto rivolgendosi subito dopo agli inquirenti. Dissimulazione che
appunto impedisce di conferire validità alla promessa e impone di ritenere
arrestatasi la condotta sulla soglia del tentativo.
4.2. Tanto premesso, occorre fare applicazione del principio di diritto già
affermato da questo Giudice della nomofilachia, secondo il quale il delitto di
induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all’art. 319-quater cod. pen.
non integra un reato bilaterale, in quanto le condotte del soggetto pubblico che
induce e del privato indotto si perfezionano autonomamente ed in tempi diversi,
sicchè il reato si configura in forma tentata nel caso in cui l’evento non si
verifichi per la resistenza opposta dal privato alle illecite pressioni del pubblico
agente. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione in
termini di tentativo di un’ipotesi in cui il soggetto passivo aveva denunciato la
richiesta di denaro formulata dal pubblico ufficiale, consentendo anche la
registrazione del colloquio nel corso del quale la richiesta veniva reiterata) (Sez.
6, n. 35271 del 22/06/2016, Mercadante e altro, Rv. 267986; Sez. 6, n. 6846
del 12/01/2016 – dep. 22/02/2016, Farina e altro, Rv. 265901; Sez. 6 n. 32246
del 11/04/2014, Sorge, Rv. 262075). Ed invero, il tentativo di induzione indebita
prevista dagli artt. 56 e 319-quater c.p., non implica la necessità dell’ulteriore
requisito costituito dal perseguimento di un indebito vantaggio da parte dei
privati, là dove detto requisito, giustifica – in coerenza con i principi fondamentali
del diritto penale e con i valori costituzionali in tema di colpevolezza, pretesa
punitiva dello Stato, proporzione e ragionevolezza – la punibilità dell’indotto che
abbia dato o promesso l’utilità al pubblico ufficiale, secondo quanto sottolineato,
nella pronuncia poc’anzi richiamata, dalle Sezioni unite Maldera, secondo cui
esso assurge al rango di “criterio di essenza” della fattispecie induttiva.
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ricevuto diverse visite del Maiorana e subito l’abuso induttivo del pubblico

Nondimeno, detto elemento è necessario solo nell’ipotesi della consumazione del
reato di cui all’art. 319-quater c.p., e non anche in quella del tentativo atteso
che, qualora il privato — come nel caso sub iudice — non dia o non prometta
denaro o altra utilità al pubblico ufficiale, resistendo alle illecite richieste di
quest’ultimo, viene meno la ratio posta a base del requisito del perseguimento di
un indebito vantaggio da parte del privato (v. nella motivazione della sentenza
Sorge cit.).
4.3. Ne discende che, nel caso in cui il privato resista alla condotta abusiva

in essere una delle due condotte tipiche (promessa o dazione), è integrato il
tentativo di induzione indebita, a prescindere dal perseguimento/conseguimento
di un ingiusto vantaggio da parte dell’indotto.

5. E’ invece immune dai denunciati vizi il passaggio argomentativo della
sentenza col quale il Collegio distrettuale ha escluso l’applicabilità della
circostanza attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen.
5.1. Il Giudice a quo ha invero esaustivamente e convincentemente spiegato
(a pagina 12 della sentenza) come il vantaggio patrimoniale preteso
dall’imputato (pari a 1.310 euro) non possa ritenersi di minima entità. La
decisione sul punto si pone, dunque, perfettamente in linea con il dettato
normativo della norma su indicata e con la costante giurisprudenza di questa
Corte, secondo cui detto elemento circostanziale può ravvisarsi allorchè il reato,
valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine
considerare non soltanto l’entità del danno economico o del lucro conseguito, ma
ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e
dell’evento da questi determinato (v. da ultimo Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014,
Di Marzio e altri, Rv. 259501).

6.

Infine, non è coltivabile nella sede di legittimità l’ultima deduzione

concernente la commisurazione del risarcimento del danno morale nei confronti
della parte civile (in misura di 10.000 euro).
6.1. In via preliminare, mette conto di precisare come dalla disposta
riqualificazione giuridica del fatto da concussione a tentativo di induzione
indebita non discenda la trasformazione del privato da vittima a concorrente nel
reato, sia pure nella particolare forma di cui all’art. 319-quater, comma secondo,
cod. pen.
Ed invero, acclarata la natura non necessariamente bilaterale del reato di
induzione indebita, qualora il mancato perfezionamento dell’incriminazione
consegua proprio dalla resistenza opposta dal destinatario dell’abuso induttivo
7

del pubblico ufficiale e si rivolga alle forze dell’ordine prima di porre validamente

del pubblico ufficiale, al privato può certamente essere riconosciuta la veste di
“vittima” in senso proprio della condotta indebita del soggetto qualificato, con
conseguente diritto al risarcimento del danno, ovviamente allorchè ne ricorrano
le condizioni.
6.2. Ciò posto, deve essere ribadita la costante lezione ermeneutica di
questa Corte, secondo cui la liquidazione del danno non patrimoniale, sfuggendo
ad una precisa valutazione analitica, resta affidata ad apprezzamenti
discrezionali ed equitativi del giudice di merito, che sono incensurabili col ricorso

ragioni del processo logico adottato (Sez. 5, n. 6018 del 23/01/1997, Montanelli,
Rv. 208086; Sez. 4, n. 18099 del 01/04/2015, Lucchelli e altro, Rv. 263450).
6.3. Non è pertanto scrutinabile in questa Sede il discorso giustificativo
svolto a sostegno della determinazione del risarcimento del danno, là dove la
Corte distrettuale ha soppesato il pregiudizio morale sofferto dalla Colagrossi ed
ha commisurato l’entità del ristoro sia pure in via equitativa (v. pagina 18 della
sentenza).

7. Conclusivamente, sussunta la fattispecie concreta in quella dell’induzione
indebita tentata, si deve rinviare ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma
per nuova determinazione della pena.
7.1. In tale sede, la Corte dovrà provvedere anche alla liquidazione delle
spese di rappresentanza e difesa della costituita parte civile.

P.Q.M.

Riqualificato il fatto ai sensi degli artt. 56 e 319-quater cod. pen., annulla la
sentenza impugnata e rinvia per la rideterminazione della pena ad altra sezione
della Corte d’Appello di Roma, cui demanda anche la regolamentazione delle
spese di rappresentanza e difesa della costituita parte civile.

Così deciso il 29 maggio 2018

Il consigliere estensore
Alessandra Bassi

Il Presidente
Giacomq Paoloni

di legittimità quando contengano l’indicazione di congrue, anche se sommarie,

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