Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37577 del 21/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 37577 Anno 2018
Presidente: CASA FILIPPO
Relatore: CENTOFANTI FRANCESCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TUCCIO AGATINO nato il 19/09/1966 a GIARRE

avverso l’ordinanza del 21/07/2017 del TRIBUNALE di CATANIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CENTOFANTI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
MARIELLA DE MASELLIS, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;
udito l’avvocato VINCENZO IOFRIDA, in difesa dell’indagato, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 21/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Catania, investito di richiesta di riesame ex art. 309 cod.
proc. pen., con l’ordinanza in epigrafe confermava la misura della custodia
cautelare in carcere, applicata dal G.i.p. del medesimo Tribunale, in data 27
giugno 2017, nei confronti di Agatino Tuccio, in relazione al reato di omicidio,
aggravato dalla crudeltà, ai danni di Dario Chiappone.

Rapisarda (che sarà testimone oculare del delitto), con cui intratteneva un
rapporto sentimentale, sull’autovettura di lei (una Suzuki), parcheggiata in
Riposto, Via Gaetano Salvemini. Si erano avvicinati di corsa due uomini, vestiti di
scuro e dal volto travisato. Il primo di essi, dagli occhi chiari, di corporatura
robusta e armato di pistola, aveva minacciato la donna, gridando di volere «i
soldi». Chiappone a quel punto aveva preso il posto di lei, ma era stato
trascinato fuori dall’abitacolo dal secondo uomo, di corporatura normale, che
l’aveva scaraventato a terra ed iniziato a colpire con pugni e coltellate; il
complice era quindi andato a dare manforte, per poi tornare da Rapisarda,
puntarle nuovamente la pistola allo sterno chiedendo denaro e fuggire assieme
all’altro dopo aver preso la somma di 50 euro consegnata dalla donna.
Chiappone sarebbe di seguito deceduto a causa di numerose ferite da
scannamento al collo, con recisione della vena giugulare destra, nonché per
plurime ferite da punta e da taglio, che avevano leso importanti organi vitali; in
totale erano stati inferti 18 colpi.
Nelle immediate vicinanze della ruota posteriore sinistra era rinvenuto un
sacchetto di polietilene di colore bianco, sporco di sangue, al cui interno erano
due ulteriori sacchetti simili (uno dentro l’altro), l’ultimo contenente una grossa
pietra.
Ai margini della zona, all’arrivo dei soccorsi, chiamati da Rapisarda, era
presente Paolo Censabella, che era stato l’ultimo convivente della donna, da cui
si era separato mesi addietro dopo un rapporto di dodici anni. Censabella riferiva
di aver ricevuto a sua volta, da lei e poco prima, una richiesta di aiuto e di
essere accorso; circostanza subito riscontrata dai tabulati telefonici. I due erano
tuttora soci in affari. Della nuova relazione di lei, allacciata nel luglio 2016,
Censabella aveva saputo e vi era rimasto male, pur non dando luogo, secondo
quanto riferito dall’interessata, a reazioni violente.
La vittima, per parte sua, aveva problemi legati all’assunzione di droga, e
numerosi debiti contratti in ragione di ciò. Rapisarda lo aiutava economicamente.

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2. Questi, la sera del 31 ottobre 2016, si trovava in compagnia di Maria

3. Le prime indagini, avvalsesi di videoriprese di sistemi di sorveglianza
installate in aree prossime ai luogo del delitto, avevano appurato che i due killer
si erano qui recati a bordo di una Ford Fiesta, di colore scuro, con luce posteriore
sinistra spenta o non funzionante, prontamente identificata.
La Ford – che conteneva all’interno tracce ematiche appartenenti alla vittima
– era di proprietà di Salvatore Di Mauro, persona con svariati precedenti penali.
L’analisi dei tabulati telefonici dell’utenza cellulare in uso a quest’ultimo aveva
rivelato che, nella giornata del 31 ottobre, egli era stato ripetutamente in

precedenti l’ora del crimine. Nessuna chiamata vi era invece stata tra le 20:32 e
le 21:02, orario in cui i due cellulari agganciavano «celle» telefoniche compatibili
con il luogo del crimine e con la successiva via di fuga. I contatti telefonici erano
diminuiti drasticamente dopo il 31 ottobre.
Le impronte digitali dell’odierno indagato erano rinvenute su due dei tre
sacchetti di polietilene. Il sangue su quello esterno era della vittima.
Erano anche verificati, tramite i tabulati, i contatti telefonici tra Tuccio e
Censabella. L’analisi del relativo traffico, nel periodo compreso tra il 28 gennaio
2016 ed il 26 ottobre 2016, evidenziava 32 contatti, 30 dei quali nel più ristretto
arco temporale tra il 30 agosto ed il 26 ottobre. All’interno del terminale
telefonico di Censabella era salvata (nella cartella «Sent» di WhatsApp) una
fotografia raffigurante la vittima; il salvataggio era avvenuto il 13 settembre
2016, alle 16,11, e quel giorno vi erano stati quattro contatti telefonici tra
Censabella e Tuccio, due dei quali di pochi minuti anteriori al salvataggio
medesimo.

4. Il Tribunale ravvisava, negli elementi esposti, il richiesto quadro di gravità
indiziaria a carico dell’indagato, anche alla luce dei mutamenti di versione
difensiva

circa

la

sua

pregressa

conoscenza

con

Censabella

e

dell’inverosimiglianza degli elementi di discolpa dall’indagato fornitf, in specie
quanto alle ragioni del rinvenimento del suo sangue sui sacchetti contenenti la
pietra (Tuccio aveva dichiarato di aver gettato nel luogo materiale di risulta,
proveniente da lavori edili svolti precedentemente).
Quadro non scalfito dall’asserita non coincidenza delle caratteristiche fisiche
dell’indagato, che non aveva gli occhi chiari e non era claudicante, con quelle
degli aggressori, da Rapisarda descritte e risultanti dalle videoriprese; potendo la
donna essersi sbagliata sul colore degli occhi di colui che era armato di pistola,
oppure potendo entrambi i segni di riconoscimento essere ricondotti a Di Mauro
(certamente claudicante) e Tuccio essere identificato con il secondo aggressore.

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contatto con l’odierno indagato Agatino Tuccio, anche in orari immediatamente

5.

In relazione alle esigenze cautelari, il Tribunale richiamava, con

particolare riferimento all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., la duplice
presunzione, relativa, di sussistenza del pericolo di reiterazione e di adeguatezza
della sola custodia in carcere, ed indicava precise ragioni (stretta attualità dei
fatti, mancanza di segni di resipiscenza e personalità oltremodo negativa
dell’indagato) a sostegno del mancato superamento della presunzione
medesima.

di due motivi.
6.1. Con il primo di essi deduce – ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.
proc. pen, – la violazione, tra l’altro, degli artt. 110 e 575 cod. pen., e 273 cod.
proc. pen., nonché la carenza, illogicità manifesta e contraddittorietà della
motivazione, sul punto dei gravi indizi.
Tuccio non assomiglierebbe a nessuno dei due aggressori. Rapisarda, unica
testimone oculare, aveva chiaramente indicato che l’uomo armato di pistola
aveva occhi e carnagione chiara e non aveva palesato, nel minacciarla, alcuna
inflessione dialettale. Tuccio ha invece tutti i tratti somatici del siciliano,
compresi gli occhi scuri ed un’inflessione dialettale marcata. Tuccio neppure
avrebbe potuto essere l’accoltellatore, perché, non avendo neppure Di Mauro gli
occhi chiari (circostanza indebitamente revocata in dubbio dal Tribunale), il
malvivente claudicante ripreso dalle videocamere, Di Mauro appunto, non poteva
che identificarsi con tale secondo aggressore.
Le «celle» telefoniche agganciate dai cellulari di Tuccio e Di Mauro, nella
chiamata delle 21,02 del 31 ottobre 2016, sarebbero state diverse (quella di
Tuccio sarebbe peraltro quella di casa), né si comprenderebbe quale potesse
essere (se entrambi avessero consumato il delitto) la ragione della telefonata.
Tuccio non avrebbe avuto nessun rapporto intenso di frequen1:azione con
Censabella, peraltro allo stato non coinvolto nell’omicidio, da cui solo avrebbe
acquistato bevande, e soltanto per questo avrebbe tardato a dichiarare di
conoscerlo; mentre nessuna fotografia della vittima era stata trovata nel
cellulare dell’indagato.
La conoscenza tra Tuccio e Di Mauro sarebbe stata parimenti superficiale, ed
anche in ordine ai relativi rapporti l’indagato non sarebbe mai caduto in
contraddizione alcuna.
Quanto alle impronte digitali sui sacchetti, queste ultime sarebbero
numerose e le indagini non si sarebbero curate di tutte quelle non appartenenti a
Tuccio (ma magari al vero assassino).

4

6. Ricorre per cassazione l’indagato, tramite il difensore di fiducia, sulla base

Macroscopica poi sarebbe la carenza di motivazione in ordine al movente,
elemento assai significativo in un caso di omicidio. Quello adombrato porterebbe
a Censabella, ma questi non è stato attinto da alcun provvedimento, e sarebbero
pertanto incomprensibili anche i numerosi riferimenti ai rapporti tra lui e
l’indagato contenuti nell’ordinanza impugnata.
6.2. Con il secondo motivo deduce – ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e),
cod. proc. pen. – la violazione, tra l’altro, degli artt. 274 e 275 cod. proc. pen.,
nonché l’illogicità manifesta e la contraddittorietà della motivazione, sul punto

Non essendo stato chiarito il movente, neppure sarebbe in concreto
valutabile il rischio di reiterazione.
Quest’ultimo a torto sarebbe stato fondato sulla personalità dell’indagato,
erroneamente apprezzata. Egli si si sarebbe messo a disposizione degli
inquirenti, avrebbe tutto il diritto di proclamarsi innocente e battersi in tal senso,
né sarebbe postulabile la pur necessaria «attualità» dell’esigenza cautelare;
requisito ormai distinto ed aggiuntivo rispetto a quello della concretezza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Infondato deve giudicarsi il primo motivo di ricorso, a fronte di un quadro
di gravità indiziaria, ineccepibilmente apprezzato dal Tribunale nella sua solidità,
con argomentazioni esaurienti ed immuni da vizi logici.
Ciò dicasi a partire dalle impronte digitali, appartenenti all’indagato, trovate
sui sacchetti, sporchi anche del sangue della vittima, che erano sulla scena del
crimine; dato di per sé ad alta valenza dimostrativa, come tale correttamente
apprezzato nell’ordinanza impugnata, alla cui confutazione il ricorrente dedica
rilievi (la compresenza di impronte ulteriori, su cui non si sarebbe investigato)
francamente inconferenti.
Importante elemento rafforzativo, giustamente valorizzato in sede di
riesame, è costituito dai ripetuti contatti intercorsi il giorno dell’omicidio tra
Tuccio e Di Mauro, soggetto quest’ultimo certamente coinvolto nel crimine
essendo stato rinvenuto sangue della vittima sulla sua vettura, senza che di tali
contatti sia stata anche solo offerta una qualche plausibile spiegazione; tanto più
alla luce del fatto, in ricorso affermato, che i due non si frequentassero, solo
avendo preso talora qualche caffè insieme e avendo Tuccio fatto all’altro qualche
piccola regalia. Le rispettive utenze telefoniche significativamente tacciono,
invece, nel tempo corrispondente a quello dell’azione omicidiaria. Dopo la quale
appare evidente che i correi si siano separati, e le «celle» telefoniche dovessero
perciò essere diverse, mentre il preciso indizio – evidenziato dal Tribunale e non

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delle esigenze cautelari.

smentito – consiste nel fatto che entrambe siano compatibili con la via di fuga
seguita dalla Ford Fiesta, che è la vettura usata dagli assassini.
Quanto alle caratteristiche fisiche degli aggressori, le obiezioni difensive si
incentrano unicamente su un elemento di dubbia affidabilità (il colore degli occhi
di uno di essi, che ha pur sempre agito al buio, che sarebbe stato colto
dall’aggredita nella concitazione del momento) e ad esse il Tribunale ha
ineccepibilmente risposto, nell’ambito di quella valutazione ragionata e
complessiva del compendio indiziario cui fa costante riferimento la

266941; Sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014, dep. 2015, Segura, Rv. 262280; Sez.
1, n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258321).
Rispetto poi al movente, è inesatto affermare che da esso l’ordinanza
prescinda. Piuttosto – poiché il Tribunale ritiene non esservi allo stato elementi
concludenti a carico della persona cui quel movente ricondurrebbe (il possibile
mandante, nei cui confronti il pubblico ministero si accingerebbe del resto, come
dalla difesa dichiarato all’odierna udienza, a chiedere l’archiviazione) l’elemento non viene «speso» in diretta chiave accusatoria; ma la circostanza è
nella specie ininfluente, come tutte le volte in cui appaia solido ed
autosufficiente, diversamente da quanto si predica in ricorso, il compends4-0
indiziario a carico dell’indagato (Sez. 5, n. 22995 del 03/03/2017, M., Rv.
270138; Sez. 1, n. 31449 del 14/02/2012, Spaccarotella, Rv. 254143; Sez. 1, n.
6514 del 27/04/1998, Chiarello, Rv. 210710).

2. Manifestamente infondato appare il secondo motivo.
Esso trascura di considerare che, in relazione al contestato reato di omicidio
volontario, vige – a seguito dell’estensione del catalogo delle fattispecie di cui
all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., operata con il d.l. n. 11 del 2009, conv.
dalla I. n. 38 del 2009, e per le misure cautelari posteriormente applicate (Sez.
U, n. 27919 del 31/03/2011, Ambrogio, Rv. 250195), come quella in scrutinio la presunzione, relativa, di sussistenza delle esigenze cautelari; e, in tal caso, il
giudice non ha l’onere di dimostrare in positivo la ricorrenza della pericolosità
dell’indagato, essendo detta presunzione anche idonea a comprendere i caratteri
di attualità e concretezza di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen. (Sez. 3, n.
33051 dei 08/03/2016, Barra, Rv. 268664) ed essendo sufficiente che il giudice
medesimo dia atto, assieme ai gravi indizi di colpevolezza, dell’inidoneità a
superarla degli elementi eventualmente evidenziati dalla difesa, o comunque
risultanti dagli atti.
Ciò posto, l’ordinanza impugnata individua in modo esaustivo, e finanche
sovrabbondante, a fronte dell’«attenuato» standard motivazionale legale, testè

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giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, Graziadei, Rv.

delineato e sul quale il ricorso non è affatto «calibrato», gli indici (oggettivi e
soggettivi) che qualificano l’esigenza cautelare special-preventiva del caso
concreto, non superati da conducenti elementi di prova contraria, certo non
identificabili nella protesta d’innocenza, pur in sé lecita, da parte dell’indagato.

3. Alla conclusiva reiezione del ricorso segue la condanna la condanna del
ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese
processuali.
1-ter, disp.

att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Manda la cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. c.p.p.
Così deciso il 21/03/2018

Il Consigliere estensore
Francesco Cenrfanti

cc;

c=1
c=TI

CD

C-41
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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Prima Sezione Penale

Depositata in Cancelleria oggi
AGO, 2018
Roma, lì

Il Presidente

La cancelleria curerà l’adempimento di cui all’art. 94, comma

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