Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37566 del 21/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 37566 Anno 2018
Presidente: CASA FILIPPO
Relatore: FIORDALISI DOMENICO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MOLLICA GIOVANNI nato a MELITO DI PORTO SALVO il 26/11/1987

avverso l’ordinanza del 05/07/2017 del TRIBUNALE di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere DOMENICO FIORDALISI;
lette/sentite le conclusioni del PG

Data Udienza: 21/03/2018

Il Procuratore generale, Paolo Canevelli, chiede il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Mollica Giovanni ricorre avverso l’ordinanza del 5/07/2017 con la quale il

Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto
l’istanza di riconoscimento della continuazione in fase esecutiva tra reati giudicati
con sentenze diverse, in particolare tra

appello di Reggio Calabria del 27.2.2008);
– la rapina aggravata commessa a Guardavalle il 12.6.2006 (di cui alla sentenza
del Tribunale di Catanzaro in data 28.1.2011);
– la ricettazione e la detenzione di arma clandestina ad Africo il 4.10.2006 (di cui
alla sentenza del G.u.p. del Tribunale di Reggio Calabria, 29.6.2007).

2.

Il Procuratore generale argomenta la propria richiesta di rigetto del

ricorso, per il fatto che, con evidenza, vi è differente ideazione e
programmazione delle due rapine, perché la prima era stata eseguita dal solo
Mollica in modo estemporaneo e l’altra con un complice presso un ufficio postale.

3.

Col primo motivo, denuncia inosservanza o erronea applicazione della

legge penale, nonché vizio della motivazione, in quanto il giudice dell’esecuzione
ha violato i principi giuridici della disciplina del reato continuato.
Il Tribunale ha argomentato sul fatto che la reiterazione delle condotte è
espressione di per sé di un programma di vita improntata al crimine e che dal
crimine intende trarre sostentamento; il riferimento alla continuità cronologica
degli addebiti e l’identità dei titoli di reato costituiscono indici sintomatici non di
attuazione di un progetto unitario, ma di abitualità criminosa e di scelte di vita
ispirate alla sistematica e contingente consumazione di illeciti.
Per il giudice dell’esecuzione, le rilevate differenti modalità di commissione dei
reati, unitamente al differente contesto territoriale in cui gli episodi sono stati
realizzati, non consentono di ritenere che la decisione sia stata presa fin dal
primo momento.
Tale motivazione, secondo il ricorrente, porrebbe l’istituto della continuazione
fuori della realtà concreta, data la variabilità delle situazioni di fatto e la loro
prevedibilità, pertanto, si pone in modo approssimativo; ciò che conta, invece, è
che si abbia una programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di
condotte in vista di un unico fine.

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– la rapina commessa a Bianco il 14.3.2006 (di cui alla sentenza della Corte di

Perciò, al di là delle specifiche diversità, assumono rilevanza gli indici
sintomatici, tra i quali assumono particolare valenza la tipologia dei reati e la
distanza cronologica tra gli stessi, i beni giuridici tutelati, l’omogeneità delle
violazioni e l’analogia del modus operandi.
In particolare, a pagina 6 del ricorso, il ricorrente lamenta che il Tribunale non
ha tenuto in debita considerazione la circostanza che il Mollica ha commesso i
fatti di cui al delitto giudicato con sentenza del 12 giugno 2006, quando era agli
arresti domiciliari, perché era stato già arrestato (e poi sarà condannato) per i

modalità dei reati commessi siano riconducibili all’utilizzo di minacce: una volta
con un coltello e un’altra volta con una pistola.

4.

Col secondo motivo, denuncia inosservanza o erronea applicazione della

legge penale, in quanto non spiega le ragioni per le quali non ha ritenuto
condivisibili le argomentazioni svolte dalla difesa, con precisi richiami agli atti di
investigazione dei processi psichici aventi il carattere di decisività, per i quali si
postula continuazione e dai quali era possibile inferire gli indici rivelatori della
identità del disegno criminoso.
Mancherebbe, quindi, una motivazione specifica sulle richieste difensive.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Si premette in diritto che, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., il giudice
dell’esecuzione può applicare in executivis l’istituto della continuazione nel caso
di più sentenze o decreti penali irrevocabili, pronunciati in procedimenti distinti
contro la stessa persona, e rideterminare le pene inflitte per i reati
separatamente giudicati sulla base dei criteri dettati dalla stessa norma.
1.1. Secondo principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità, per la
configurabilità della continuazione è necessaria un’unica complessa deliberazione
preventiva, alla quale segua, per ogni singola azione, una deliberazione specifica,
mentre deve escludersi che un programma solo generico di attività
delinquenziale o un mero sistema di vita siano idonei a far riconoscere la
continuazione tra diversi reati, perpetrati a distanza di tempo, qualora non venga
a risultare, in qualche modo, che essi, tutti o in parte, siano ricompresi,
effettivamente, in un piano criminoso già deciso, almeno a grandi linee, all’inizio
(tra le altre, Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, Lombardo, Rv. 242098; Sez. 5, n.
49476 del 25/09/2009, Notaro, Rv. 245833; Sez. 1, n. 35639 del 02/07/2013,
Piras, Rv. 256307), rilevando la generica deliberazione di reiterare
comportamenti penalmente illeciti soltanto, in quanto espressiva di un’attitudine

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fatti di cui all’altra rapina; mentre assume valore indiziante il fatto che le

soggettiva a violare la legge, a fini del tutto diversi – e negativi per il reo – come
la recidiva e l’abitualità criminosa (tra le altre, Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012,
Abbassi, Rv. 252950).
1.2. La prova di detta congiunta previsione – ritenuta meritevole di trattamento
sanzionatorio più benevolo per la minore capacità a delinquere di chi si
determina a commettere gli illeciti in forza di un singolo impulso, invece che di
spinte criminose indipendenti e reiterate – deve essere di regola ricavata, poiché
attiene alla «inesplorabile interiorità psichica» del soggetto, da indici esteriori

condotte poste in essere (tra le altre, Sez. 4, n. 16066 del 17/12/2008, dep.
2009, Di Maria, Rv. 243632).
In tale prospettiva si è chiarito che indici esteriori apprezzabili della
preordinazione di fondo che cementa le singole violazioni vanno individuati in
elementi costituiti dalla distanza cronologica tra i fatti, dalle modalità delle
condotte, dalla tipologia dei reati, dal bene tutelato, dalla omogeneità delle
violazioni, dalla causale, dalle condizioni di tempo e di luogo (Sez. 1, n. 44862
del 05/11/2008, citata), senza che ciascuno di essi, singolarmente considerato,
costituisca indizio necessario di una programmazione e deliberazione unitaria,
mentre, aggiunto a un altro, incrementa la possibilità dell’accertamento
dell’esistenza di un medesimo disegno criminoso, in proporzione logica
corrispondente all’aumento di circostanze indiziarie favorevoli (Sez. 1, n. 12905
del 17/03/2010, Bonasera, Rv. 246838). In tal modo, di per sé l’omogeneità
delle violazioni e la contiguità temporale di alcune di esse, seppure indicative di
una scelta delinquenziale, non consentono, da sole, di ritenere che i reati siano
frutto di determinazioni volitive risalenti a un’unica deliberazione di fondo (tra le
altre, Sez. 3, n. 21496 del 02/05/2006, Moretti, Rv. 235523; Sez. 3, n. 3111 del
20/11/2013, dep. 2014, P., Rv. 259094), con la conseguenza che l’identità del
disegno criminoso deve essere negata qualora la successione degli episodi sia
tale da escludere, nonostante la contiguità spazio-temporale e il nesso funzionale
tra le diverse fattispecie incriminatrici, la preventiva programmazione dei reati,
ed emerga, invece, l’occasionalità di quelli compiuti successivamente rispetto a
quello cronologicamente anteriore (tra le altre, Sez. 6, n. 44214 del 24/10/2012,
Natali, Rv. 254793).
1.3. L’applicazione della disciplina del reato continuato in sede esecutiva impone,
pertanto, una riconsiderazione dei fatti giudicati, volta alla specifica verifica della
prospettata unitarietà progettuale degli illeciti, che è indispensabile requisito per
il riconoscimento del rapporto descritto nell’art. 81 cod. pen.
A tal fine, la cognizione del giudice dell’esecuzione dei dati sostanziali di
possibile collegamento tra i vari reati va eseguita in base al contenuto decisorio

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significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle

delle sentenze di condanna, conseguite alle azioni o omissioni che si assumono
essere in continuazione e, attraverso il loro raffronto, alla luce delle ragioni
enunciate dall’istante, gravato in tema di esecuzione – quando invoca
l’applicazione della disciplina del reato continuato – non da un onere probatorio,
ma dall’onere di allegare, e cioè di prospettare e indicare elementi specifici e
concreti a sostegno dell’istanza (tra le altre, Sez. 7, n. 5305 dei 16/12/2008,
dep. 2009, D’Amato, Rv. 242476; Sez. 1, n. 2298 del 25/11/2009, dep. 2010,
Marianera, Rv. 245970; Sez. 1, n. 21326 del 06/05/2010, Faneli, Rv. 247356),

dell’art. 666, comma 5, cod. proc. pen., che disciplina in genere l’attività
probatoria in sede esecutiva, e ai sensi dell’art. 186 disp. att. cod. proc. pen.,
che riguarda specificamente l’applicazione della disciplina del reato continuato, ai
relativi accertamenti (tra le altre, Sez. 1, n. 4469 del 11/11/2009, Nazar, Rv.
245512; Sez. 1, n. 34987 del 22/09/2010, Di Sabatino, Rv. 248276).
1.4. La valutazione, poi, circa la sussistenza della unicità del disegno criminoso
costituisce questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito,
che è sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretta da adeguata
motivazione (tra le altre, Sez. 4, n. 25094 del 13/06/2007, Coluccia, Rv.
237014; Sez. 6, n. 49969 del 21/09/2012, Pappalardo, Rv. 254006).

2. Ritiene il Collegio che, come ha correttamente argomentato il Procuratore
generale, la valutazione di fatto compiuta dal giudice dell’esecuzione del
provvedimento impugnato sulla base degli elementi acquisiti, essendo
adeguatamente motivata e in assenza di significativi elementi rivelatori di una
unitaria deliberazione criminosa, non risulta censurabile davanti al giudice di
legittimità.

3. Nel caso di specie, il provvedimento impugnato ha valorizzato in senso
negativo le diverse caratteristiche dei reati, la rapina, la ricettazione e la
violazione delle leggi sulle armi; le diverse modalità di compimento delle azioni
delittuose e, per quanto concerne le due rapine aggravate, la differente
ideazione e programmazione dei due episodi; pertanto, esiste una motivazione
logica ed adeguata che ha permesso al giudice di escludere quei significativi
elementi che la consolidata giurisprudenza di legittimità ritiene necessaria per
poter disporre l’unificazione richiesta.
Il secondo motivo di ricorso è con tutta evidenza generico, perché lamenta la
mancata considerazione da parte del giudicante di prove contrarie indicate in
precedenza dalla difesa nelle memorie difensive, senza indicare nello specifico

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incombendo, invece, all’autorità giudiziaria il compito di procedere, ai sensi

quali esse siano, ma riepilogando da pagina 15 a pagina 27 del ricorso soltanto i
principi giuridici più volte affermati dalla giurisprudenza.

4. Ne segue il rigetto del ricorso, perché infondato e la condanna del ricorrente
alle spese del procedimento.

P.Q.M.

Così deciso il 21/03/2018.

Il Consigliere estensore

&miti
Domenico Fiordalisi

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Prima Sezione Penale

Depositata in Cancelleria oggi
Roma,

n

2 AGO. 2018

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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