Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37564 del 07/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 37564 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: DI GIURO GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TAGLIAVIA PIETRO nato a PALERMO il 18/03/1978

avverso l’ordinanza del 09/08/2017 del TRIB. LIBERTA’ di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere GAETANO DI GIURO;
tette/sentite le conclusioni del PG ALFREDO POMPEO VIOLA
E’ presente per la pratica forense la Dott.ssa BELARDI TANTA Tessere Ordine Avvocati
di ROMA N. P69973.

Il P.G. conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore
L’avvocato TURRISI ANTONIO del foro di PALERMO in difesa di TAGLIAVIA PIETRO
conclude riportandosi ai motivi di ricorso.
L’avvocato CIANFERONI LUCA del foro di ROMA in difesa di TAGLIAVIA PIETRO
conclude insistendo nell’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 07/03/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del riesame di
Palermo ha confermato l’ordinanza del 17/07/2017 del G.i.p. del
Tribunale di Palermo, che applicava a Pietro Tagliavia la misura cautelare
della custodia in carcere, in quanto gravemente indiziato del delitto di cui
all’ art. 416 bis cod. pen., per avere diretto il mandamento e la famiglia

di vertice, le diverse attività illecite degli altri affiliati e capi famiglia.
L’ordinanza di riesame evidenzia che gli elementi a carico di Tagliavia
risultano emersi all’esito di una complessa attività di indagine, costituente
a sua volta la prosecuzione di altre indagini che hanno portato
all’emissione di diverse ordinanze di custodia cautelare nei confronti di
esponenti della compagine mafiosa del mandamento di Brancaccio. Dette
indagini si erano concentrate proprio sull’odierno indagato, figlio di
Francesco Tagliavia (condannato all’ergastolo per la strage di via
D’Amelio), in relazione alla sua annessione alla famiglia mafiosa di Corso
dei Mille, per la quale era stato, altresì, condannato con sentenza
irrevocabile nel 2009.
La stessa ordinanza evidenzia come in modo del tutto condivisibile il
primo Giudice abbia ritenuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza
a carico dell’indagato fondandoli : a) sulle dichiarazioni del collaboratore
di giustizia Salvatore Sollima, il quale aveva indicato Tagliavia come
referente mafioso della zona che andava verso il centro della città (“dallo
Sperone in poi…”) e come soggetto intervenuto a dirimere un conflitto di
competenza territoriale tra la famiglia mafiosa di Villabate, cui
apparteneva Sollima, e quella di Corso dei Mille, in relazione ai profitti di
un’estorsione ai danni di un imprenditore, la cui azienda si trovava al
confine tra i due territori di competenza dei due mandamenti; b) sulle
dichiarazioni di Francesco Paolo Valdese in merito al coinvolgimento di
Tagliavia nel traffico di stupefacenti; c) sul contenuto di diverse
conversazioni intercettate. Quanto a quest’ultimo profilo si evidenzia
come rilevanti siano state ritenute la conversazione del 22.7.15,
intercettata all’interno dei locali della Nemo Fish di Montalto Salvatore,
nel corso della quale Salvatore Raccuglia, cugino di Tagliavia, definiva
testualmente il cugino “Capo mandamento della cosca di Brancaccio,
tutta la Cosca di Corso dei Mille” e quella del 15.9.15, nella quale
Giovanni Lucchese conversava con Luigi Di Liberto, il quale gli
rappresentava di aver chiesto a Pietro Tagliavia l’autorizzazione ad
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mafiosa di Cosa Nostra di Corso dei Mille, coordinando, nella sua qualità

avviare una sua attività di rivendita del pesce. Si osserva, inoltre, come
dalla captazione sia emerso : – che Tagliavia poteva contare sulla
collaborazione di diversi soggetti (Lucchese, Montalto, Raccuglia…) con
cui aveva una serie di cointeressenze nell’organizzazione di diverse
attività economiche, tra cui la raccolta dei proventi del lotto clandestino,
che dimostravano la centralità e l’autorevolezza del ruolo dell’indagato; inoltre, che Tagliavia prestava attenzione a provvedere alle necessità dei

svolgendo in tal modo uno dei compiti prioritari del caponnafia; – che, in
particolare dai colloqui registrati in carcere tra Giovanni Di Giacomo ed il
fratello Giuseppe, assassinato nel 2014, entrambi intranei al sodalizio
mafioso, emerge il riferimento a Tagliavia quale esponente apicale del
ramo operante nella zona di Corso dei Mille e più in generale quale
rappresentante del mandamento di Brancaccio nei rapporti esterni con gli
altri mandamenti (soprattutto dalla conversazione in cui Giovanni chiede
al fratello Giuseppe se gli esponenti mafiosi della Guadagna nonché quelli
rappresentati da Pietro Tagliavia fossero d’accordo sul fatto che Giuseppe
dovesse subentrare a D’Ambrogio in caso di arresto di quest’ultimo).
Sottolinea, inoltre, l’ordinanza impugnata come la particolare
autorevolezza di Tagliavia sia desumile : a) dalle conversazioni tra
Claudio D’Amore e la moglie Tiziana Li Causi, cugina dell’indagato, che
non esitavano a definire il congiunto come “la testa dell’acqua”,
espressione solitamente utilizzata per indicare il personaggio di vertice
del mandamento mafioso; b) dalla deferenza mostratagli nelle
conversazioni intercettate dal suo datore di lavoro titolare dell’esercizio
commerciale La Rosa Sport, presso il quale risultava impiegato. Rileva,
infine, nel valutare l’assunto del primo Giudice : – come abbia avuto un
peso non indifferente nelle indagini la vicenda relativa al negozio di
prodotti ittici surgelati denominato “Fish Gel”, inaugurato a fine 2013 e
riconducibile alla disponibilità dell’indagato e di Bruno Mazzara, presso il
quale erano stati documentati, attraverso intercettazioni ambientali e
servizi di osservazione, incontri tra Tagliavia ed alcuni dei coindagati a lui
più vicini (D’Amore, Lo Porto e Leto); – come in seguito ad un tentativo di
furto presso detto esercizio in data 23.7.14, Tagliavia, evidentemente
preoccupato che dietro vi fosse un tentativo della polizia di introdurre
microspie all’interno del locale, abbia fatto intervenire un tecnico
compiacente che, attraverso apposita strumentazione, rinveniva una
microspia; – come da questo episodio, sintomatico dei timori dell’indagato

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detenuti, tra le quali la loro difesa tecnica, e ai bisogni delle loro famiglie,

per i controlli di polizia, siano state dedotte l’attualità e la permanenza
del ruolo associativo dello stesso e dei suoi legami con soggetti del
mandamento mafioso di Brancaccio e sia derivata la necessità della
riapertura delle indagini a suo carico (come da richiesta del P.m. e
decreto del G.i.p.).
L’ordinanza di riesame, a fronte dei rilievi difensivi sul punto,
sottolinea, per quanto in questa sede di interesse, come l’apprezzamento

discrezionale del P.m. e sia sottratto nell’an e nel quando al sindacato del
giudice.
Evidenzia, inoltre, come non sia rilevante nel caso specifico la
questione di legittimità costituzionale prospettata dalla difesa con
riferimento alle intercettazioni dei colloqui in carcere tra i fratelli Di
Giacomo (la difesa, invero, sottolineava come questi ultimi fossero
consapevoli di essere intercettati, per essere Giovanni detenuto in regime
di alta sicurezza, e, quindi, le dichiarazioni rese dai medesimi nel corso
dell’intercettazione fossero equiparabili alle dichiarazioni rese alla P.g.,
necessitando di riscontri ex art. 192, comma 3 cod. proc. pen.; rilevava,
quindi, che la disciplina legislativa sulle intercettazioni era illegittima
costituzionalmente laddove non prevedeva per le intercettazioni
eteroaccusatorie di tal tipo la necessità di riscontri ai sensi del suddetto
disposto normativo).
Nel

merito

l’ordinanza

di

riesame

ritiene

condivisibili

le

argomentazioni del primo Giudice sulla gravità degli indizi di colpevolezza
a carico di Tagliavia, già condannato con sentenza irrevocabile per
associazione di tipo mafioso commessa fino al febbraio 2005. Evidenzia :
– come sia attendibile il collaboratore di giustizia Sollima, essendosi
autoaccusato di molteplici reati per i quali non risultava neppure indagato
all’inizio della sua collaborazione, nel 2015, e risultando già riscontrate
parte delle dichiarazioni dallo stesso rese; – come, appartenendo detto
collaboratore al mandamento di Villabate, in stretto legame con quello di
Corso dei Mille, abbia potuto rendere dichiarazioni preziose anche
sull’odierno indagato, indicato come referente del mandamento in ultimo
menzionato, e sulla risoluzione della questione sorta tra detto
mandamento e quello limitrofo di Villabate cui apparteneva, di cui sopra
si è detto; – come il suo racconto sia costante e preciso. Evidenzia,
sempre detta ordinanza, come su Tagliavia sia stato rilevante anche il
contributo del collaboratore Valdese, la cui credibilità è stata

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della tempestività dell’iscrizione rientri nell’esclusiva valutazione

positivamente valutata in una sentenza a carico di componenti della
famiglia Brancaccio, il quale, con riguardo ad una fornitura di 70 chili di
fumo effettuata a marzo 2012 da Antonino Marino a Bruno Natale,
riferiva che, per quanto dettogli da quest’ultimo, la stessa proveniva da
Pietro Tagliavia, in quel momento reggente del mandamento mafioso di
Brancaccio. Con riguardo alle conversazioni richiamate dal G.i.p.,
l’ordinanza sottolinea, infine, come siano tutte di estremo rilievo e non sia

2. Avverso la summenzionata ordinanza Taglíavia Pietro propone
ricorso per cassazione, tramite i propri difensori, con due distinti atti.
2.1. Con l’atto sottoscritto dal difensore Avv. Antonio Turrisi vengono
dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt.
273, 192, comma 3 cod. proc. pen. e 416 bis cod. pen..
Ci si duole che l’ordinanza non spieghi per quale motivo siano stati
valorizzati elementi che avevano condotto alla richiesta di archiviazione
nei confronti di Tagliavia per il delitto associativo, accolta con decreto del
10/04/14. Si evidenzia come gli elementi di novità siano costituiti dalle
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, peraltro de relato. E come con
riguardo alle dichiarazioni di Sollima siano state rilevate, con memoria
difensiva del 9.8.17, una serie di incongruenze — sul fatto che Tagliavia
abbia discusso con Pitarresi Giuseppe, presunto reggente del
mandamento mafioso di Bagheria dell’estorsione in danno del
commerciante Lazzarone il cui esercizio commerciale era ubicato al
confine con Villabate, in una zona che lo stesso Sollima riferiva
comandata da Totuccio Mangano; sul fatto che il collaboratore, pur
riferendo dell’affiliazione di D’Amore, non lo abbia riconosciuto
fotograficamente e non abbia riconosciuto fotograficamente neppure
Tagliavia; sul fatto che Tagliavia abbia avuto un incontro chiarificatore col
Pitarresi con riguardo alla questione del commerciante Clemente di
Villabate al quale sarebbe stata bruciata per rappresaglia l’auto, in
relazione al quale il collaboratore in un interrogatorio riferisce essere
avvenuto l’incontro prima dell’evento incendiario e in un altro essere
avvenuto dopo detto evento – su cui il Tribunale del riesame o non
argomentava o argomentava in modo del tutto illogico.
La difesa evidenzia, altresì, come le dichiarazioni di Valdese su
Tagliavia non abbiano alcun rilievo indiziario, limitandosi il suddetto a
dedurre dalla fornitura dello stupefacente che a comandare Tonino Marino
fosse Tagliavia e quindi a riferire un’opinione personale priva di riscontri.

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condivisibile la diversa lettura offerta ad esse dalla difesa.

Rileva, inoltre, come l’ordinanza di riesame sulla captazione
ambientale del 22.7.15 tra Raccuglia e La Ciura sia illogica laddove
individua un riferimento a Tagliavia nel riferimento a persona condannata
a quindici anni di reclusione per essere stata accusata di essere al
comando della cosca di Brancaccio. E come sia stata male interpretata
anche la conversazione ambientale del 15.9.15 tra Tagliavia ed il
cognato, Giovanni Lucchese, in cui il primo raccontava al secondo che un

poter vendere il pesce per strada, ed il Tribunale vi avrebbe desunto una
richiesta di autorizzazione alla vendita a Tagliavia in ragione del controllo
mafioso da lui esercitato sul territorio; nonché le conversazioni dell’
1.8.15 e del 13.1.15 , in cui il riferimento doveva intendersi a questioni di
spartizioni ereditarie tra parenti e non a consegne di denaro per affari
illeciti. La difesa evidenzia, inoltre, come la stessa abbia offerto una
diversa lettura delle conversazioni tra i fratelli Di Giacomo, del tutto
trascurata dal Tribunale del riesame.
2.2. Con l’atto a firma dell’ Avv. Luca Cianferoni vengono sviluppati
diversi motivi.
Con il primo motivo di impugnazione viene dedotta violazione degli
artt. 191, 407, comma 2 lett. a), 266 e 271 cod. proc. pen.. Ci si duole
della violazione del divieto di iscrizione a catena. Si rileva come nel caso
in esame la Procura di Palermo abbia dato vita ad un modo di indagine
“diluito nel tempo” e come sia errato affermare che un P.m. che violi la
lealtà processuale (come nel caso di specie col sotterfugio della
archiviazione e nuova apertura), a sua volta espressa dalla norma di cui
all’art. 335 cod. proc. pen., sia passibile di sanzioni diverse da quella
endoprocessuale.
Col secondo motivo viene denunciata violazione delle norme di cui
all’art. 416 bis cod. pen. e 273, comma 2 cod. proc. pen..
Si rileva che se alla data del 10/04/14 era stata disposta
l’archiviazione nei confronti di Tagliavia, il materiale indiziario era da
ritenersi a quella data esiguo. Si evidenzia come il fatto che nei quattro
anni di monitoraggio l’indagato non abbia avuto contatti con soggetti
appartenenti a mandamenti diversi da quello di Brancaccio non consenta
di ritenerlo capo mandamento per le sole generiche asserzioni di Sollima,
di cui non si approfondiva la credibilità e di cui, con memoria difensiva
depositata in sede di riesame, si rilevavano le incongruenze (esclusione di
Mangano dalla questione Lazzarone; iniziativa autonoma di Lucchese di

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soggetto gli aveva chiesto la consegna di una lettiera in suo possesso per

intermediazione in un’estorsione ai danni di un esercizio di Villabate
senza mettere al corrente Tagliavia), ovvero per un narrato di Valdese
generico e fondato su sue personali convinzioni, o ancora per il contenuto
non certo di un’ intercettazione tra Raccuglia e La Ciura, o delle altre
intercettazioni, tra cui alcune per questioni familiari.
Col terzo motivo di ricorso viene proposta questione di legittimità
costituzionale del combinato disposto degli artt. 266-199-273/2 cod.

eteroaccusatorie nelle quali sia ragionevole ritenere che i parlanti abbiano
consapevolezza di essere ascoltati sia necessario il riscontro ex art. 192,
comma 3 cod. proc. pen., per violazione delle norme di cui agli artt. 6
Cedu, 117,24 e 111 Cost..
Si sottolinea come il Tribunale del riesame, nel rilevare come i Di
Giacomo cercassero di usare un linguaggio criptico, avvalori ancora di pù
la loro consapevolezza di essere intercettati. Si evidenzia, poi, come i
riferimenti al ricorrente siano chiari e per nulla criptici.
La difesa per tali motivi chiede l’annullamento dell’ordinanza
impugnata, con ogni consequenziale provvedimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
In parte infondate e in parte inammissibili sono le doglianze di cui
all’atto a firma dell’Avv. Turrisi.
Infondate laddove si parla di valorizzazione di elementi che avevano
condotto alla richiesta di archiviazione e al conseguente decreto di
archiviazione. E ciò a fronte di un’ordinanza, quale quella impugnata, che,
conformemente al provvedimento del G.i.p., evidenzia che rispetto agli
elementi presi in considerazione dal decreto di archiviazione sono
intervenute, oltre alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Sollima
(e a quelle di minor rilievo di Valdese), intercettazioni telefoniche e
ambientali di notevole peso indiziario, a cominciare da quella relativa alla
“bonifica” del 1 agosto 2014 presso i locali della Fish Gel, a fondamento
della stessa richiesta di riapertura delle indagini. Elementi investigativi,
che, valutati congiuntamente a quelli già raccolti, hanno consentito di
individuare un solido compendio indiziario a carico di Tagliavia, e, in tale
ottica, di valorizzare quelli già esistenti.
Inammissibili sono le altre doglianze di cui al medesimo atto.

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proc. pen. nella parte in cui non è previsto che per le intercettazioni

Nei limiti connaturati al procedimento incidentale de libertate, che
non richiede la prova oltre ogni dubbio della responsabilità dell’indagato
ma postula un giudizio prognostico di elevata probabilità di colpevolezza,
giudizio peraltro di tipo “statico”, in quanto basato sui soli elementi già
acquisiti dal pubblico ministero ed essenzialmente funzionale agli scopi
della misura, il giudizio espresso nell’ordinanza impugnata, in ordine alla
complessiva idoneità del compendio indiziario a raggiungere la soglia

rilevabili in questa sede, laddove le doglianze avanzate dal ricorrente
configurano una diversa valutazione dei fatti sulla scorta di una non
consentita rilettura delle acquisite risultanze istruttorie.
Orbene, nel caso di specie, a fronte di argomentazioni senza dubbio
non manifestamente illogiche e coerenti con le emergenze investigative,
come quelle riportate in punto di fatto, si invita ad una rivalutazione, non
consentita in questa sede, degli elementi fattuali. Laddove si pone
l’accento su incongruenze non decisive, alla luce di quanto esposto in
punto di fatto, del narrato di Sollima e sul minore rilievo indiziario delle
dichiarazioni di Valdese, e laddove viene chiesta una lettura alternativa
delle conversazioni intercettate nei termini sopra riportati, a fronte di una
motivazione che offre una spiegazione non manifestamente illogica del
loro contenuto, rapportandolo ad una valutazione congiunta — e non
parcellizzata come invece proposta dalla difesa – degli elementi indiziari.
Infondato è il primo motivo dell’impugnazione redatta dall’Avv.
Cianferoni. Diversamente da quanto lamentato dalla difesa, nel caso di
specie non risulta violato il divieto di iscrizione a catena ( si veda Sez. 6,
n. 29151 del 09/05/2017 – dep. 12/06/2017, Cusani, Rv. 270573,
secondo cui, qualora il pubblico ministero, dopo l’iniziale iscrizione del
registro delle notizie di reato, provveda ad una successiva iscrizione
relativa al medesimo fatto, sia pur diversamente circostanziato, sono
inutilizzabili le prove acquisite oltre il termine di durata delle indagini
preliminari decorrente dalla data della prima iscrizione). E ciò, come
evidenziato dall’ordinanza impugnata, alla luce della documentazione
prodotta dal P.m. in udienza (decreto di archiviazione del G.i.p. del
Tribunale di Palermo in data 10 aprile 2014, richiesta di riapertura delle
indagini ex art. 414 cod. proc. pen. del 27 agosto 2014 e relativo decreto
di riapertura delle indagini del suddetto G.i.p. del 27 agosto 2014)
relativa ad una nuova iscrizione nel registro degli indagati di pochi mesi
successiva ad una prima archiviazione, giustificata da un elemento di

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sufficiente a giustificare la misura cautelare, appare immune da vizi

indubbia rilevanza indiziaria (che faceva emergere la “esigenza di nuove
investigazioni”), e, quindi, alla decorrenza di un nuovo termine di
conclusione delle indagini nei confronti del ricorrente. A fronte di dette
argomentazioni, che evidenziano come nel caso di specie non ricorrano
atti di indagine eseguiti intempestivamente, del tutto infondatamente ci si
duole di un’inesistente slealtà processuale del P.m. e di un nnonitoraggio
“diluito nel tempo” in violazione del “principio di legalità delle indagini,

ha operato in conformità al paradigma normativo dell’art. 414 cod. proc.
pen.. ( si consideri, inoltre, che “è inoppugnabile, per il principio di
tassatività dei mezzi di impugnazione, il provvedimento con cui il giudice
per le indagini preliminari autorizza la richiesta del pubblico ministero di
riaprire le indagini a seguito della disposta archiviazione”, Sez.5, n.1491
del 12/01/2012, Rv.252323 ).
Inammissibile è il secondo motivo di impugnazione proposto dal
suddetto avvocato. Ancora una volta, invero, viene richiesta una non
consentita rivalutazione di elementi fattuali, a fronte di un

iter

motivazionale scevro da vizi logici e giuridici circa il ruolo svolto da
Tagliavia nel contesto associativo mafioso di appartenenza, come quello
in punto di fatto riportato, in cui le dichiarazioni di Sollima e gli elementi
acquisiti successivamente alla riapertura delle indagini vengono
relazionati agli esiti investigativi pregressi.
Infondato è, infine, il terzo motivo di impugnazione del ricorso
redatto dall’Avv. Cianferoni, insistendo su una questione di legittimità
costituzionale, che è stata ritenuta irrilevante nel caso specifico con
argomentazioni scevre da vizi logici e giuridici.
Invero, il Tribunale

a quo,

pur rilevando, sulla scia di alcune

pronunce di legittimità analiticamente esaminate, che le dichiarazioni
accusatorie in danno di una terza persona, indicata come concorrente
nello stesso reato, rese dal soggetto che sia cosciente di essere
intercettato, presentano un’omogeneità ontologica e strutturale rispetto
alle chiamate in reità o in correità e quindi che ai fini della loro
utilizzazione processuale si impone un rigoroso vaglio della credibilità
soggettiva del dichiarante e della attendibilità intrinseca ed estrinseca
delle dichiarazioni attraverso i criteri di valutazione ex art. 192, commi 3
e 4 del codice di rito, osserva che nel caso in esame il linguaggio criptico
utilizzato dai due interlocutori anche per fare riferimento all’odierno
indagato e la gestualità che accompagnava le brevi frasi dagli stessi

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consacrato nella norma di cui all’art. 407 cod. proc. pen.”, quando il P.m.

Trasmessa copia ex art. 23
n. i ter L. 8-8-95 n. 332
Roma, Il AGO, 201C

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