Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37562 del 26/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 37562 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCALIA OSVALDO N. IL 17/09/1965
avverso la sentenza n. 1909/2014 CORTE APPELLO di TORINO, del
14/07/2014


visti gli atti, la sentenza ,e il ricorso -e- L
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per a r,

o, per la parte civile, l’Avv
Uditoi(difenso4 Avv. ofti, do v D.„

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004.1 Q/eti< 4 ,-42._ 0"9,2\9 fy04--. '114 tv 9 ,A 't,12 - - l'a Aw, Data Udienza: 26/05/2015 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 14/07/2014 la Corte d'appello di Torino, per quanto ancora rileva, ha confermato l'affermazione di responsabilità di Osvaldo Scalia, in relazione al reato di bancarotta fraudolenta documentale contestatogli nella qualità di componente del consiglio di amministrazione della Scalia s.r.I., dichiarata fallita in data 11/06/2004. La Corte territoriale ha rilevato: a) che il libro degli inventari, vidimato il 31/07/2008, non era mai stato compilato e risultava, quindi, completamente in 2004; c) che lo Scalia, per spiegare la mancanza dei libri e dei registri appena indicati, aveva dapprima risposto che ciò era dipeso probabilmente dal fatto che in quell'anno la società non era operativa e, successivamente, aveva asserito di averli consegnati al curatore; d) che la prima giustificazione contrastava con l'obbligo di tenere le scritture contabili anche in caso di cessazione dell'attività e sino alla cancellazione dal registro delle imprese, mentre la seconda era smentita dalla relazione del curatore e dalle successive integrazioni; e) che, quanto al libro degli inventari, il curatore, per quanto emergeva dal verbale delle dichiarazioni rese dallo Scalia, oltre a domandare a quest'ultimo se esistevano altri libri o documenti diversi da quelli consegnati, ricevendone risposta negativa, aveva anche chiesto spiegazioni delle ragioni per cui il libro inventari non era stato compilato, ricevendo la risposta che egli non lo sapeva; f) che, sebbene successivamente, nel corso dell'esame dibattimentale, lo Scalia avesse dichiarato che il libro degli inventari era stato regolarmente compilato, come del resto confermato dalla deposizione dell'impiegata amministrativa Franca Cipriano, la circostanza risultava smentita dalle opposte risultanze della relazione integrativa redatta dal curatore in data 09/12/2004; g) che, del resto, nessuna delle produzioni difensive si riferiva al libro in questione; h) che la mancanza di annotazioni sul libro degli inventari non poteva essere surrogata dalla presentazione dei bilanci, aventi diverso contenuto e finalità, né dall'analisi dei supporti informatici mediante i quali la contabilità era tenuta, che lo stesso imputato mai aveva indicato al curatore, né, infine, dal libro dei cespiti, concernente i soli beni ammortizzabili e non tutti gli altri beni, tra i quali le rimanenze; i) che, del resto, la mancata compilazione del libro degli inventari era dimostrata dal fatto che il 04/11/2002, in occasione della risoluzione del contratto di affitto di azienda intercorso tra la Scalia s.n.c e la società fallita, nel redigere un "testimoniale di stato e di riconsegna dei beni aziendali affittati", per rilevare la consistenza di magazzino le parti avevano dovuto procedere "mediante inventario e stima dei singoli beni", mentre, per la valutazione dei beni strumentali, avevano fatto riferimento al libro dei cespiti, previo riscontro 1 bianco; b) che non era stato rinvenuto alcun libro, né registro relativo all'anno con le schede di mastro; I) che il curatore, neppure con il massimo impegno, era riuscito a ricostruire, sulla base delle scritture a sua disposizione, l'esatto valore delle consistenze di magazzino retrocesse, in occasione della menzionata risoluzione del contratto di affitto di azienda, dalla società fallita alla Scalia s.n.c. e dei modelli per la fabbricazione di gioielli contenuti nel cd. Lotto B, indispensabile per stabilire la congruità della complessiva pattuizione, né la stessa reale esistenza delle rimanenze esposte in bilancio al 31/12/2002, necessaria per quantificare l'attivo su cui la massa creditoria avrebbe potuto ricognizione dei beni retrocessi era dimostrata dal complesso contenzioso civile innescato dall'apprensione alla massa fallimentare dei beni rinvenuti nella sede della Scalia Gioielli s.r.I., contenzioso che avrebbe potuto essere evitato se il libro degli inventari fosse stato compilato; n) che la mancata compilazione del libro degli inventari non era imputabile ad una condotta meramente negligente, emergendo, al contrario, la precisa volontà di ostacolare il ceto creditorio nella ricostruzione del patrimonio; o) che, infatti, la mancata compilazione del libro degli inventari aveva impedito qualunque verifica della congruità dei valori attribuiti in sede di riconsegna dell'azienda alla Scalia s.n.c.: ed invero, mentre nel testimoniale datato 04/11/2002, esse erano valutate in euro 180.527,70, nel contratto di affitto di azienda concluso lo stesso giorno tra la s.n.c. e la Scalia Engineering s.r.I., il magazzino appena ottenuto, in conseguenza della risoluzione del contratto con la Scalia s.r.I., era stata valutato quasi il doppio (euro 351.952,36); p) che, del pari, l'impossibilità di ricavare elementi di valutazione dal libro inventari aveva precluso al curatore di comprendere quali beni fossero compresi nel Lotto B indicato nel menzionato "testimoniale", che risultava sul punto assolutamente generico, al punto da non indicarne neppure il valore, e non consentiva di appurare se i prototipi rimasti nella disponibilità della società fallita fossero solo quelli consegnati dallo Scalia al curatore e valutati dal perito in euro 4.346,45; q) che, infine, la mancanza di scritturazioni nel libro inventari aveva impedito di verificare se la posta relativa alle rimanenze di magazzino al 31/12/2002 fosse autentica o fittizia. 2. Nell'interesse dell'imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 597, commi 1 e 3, cod. proc. pen. e dell'art. 6 CEDU e, in particolare, violazione dei limiti della devoluzione del giudizio di appello e del principio di correlazione tra accusa e sentenza, sotto il profilo dell'addebito di un fatto sostanzialmente diverso da quello contestato e accertato in primo grado, con pregiudizio per il concreto esercizio dei poteri difensivi. 2 soddisfarsi; m) che, del resto, l'impossibilità di procedere ad una compiuta Si rileva, in particolare: a) che il Tribunale aveva ritenuto integrata la contestazione di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione, che aveva addebitato al solo ricorrente, in quanto era stato lui a consegnare al curatore le scritture contabili, mentre aveva escluso la responsabilità dell'altro amministratore che aveva dismesso la carica sin dal maggio del 2002; b) a fronte dell'impugnazione dello Scalia, la Corte di appello aveva in parte accolto il gravame, riconoscendo la messa a disposizione del curatore di tutte le scritture contabili, ma aveva addebitato all'imputato la mancata tenuta della contabilità intervenuta nel giugno di quell'anno, e la mancata compilazione del libro degli inventari, risultando intonso quello vidimato il 31/07/1998; c) che, pertanto, senza che la difesa e lo Scalia avessero ricevuto alcuna contestazione al riguardo o l'invito ad esaminare la questione, la Corte territoriale aveva, in violazione dell'art. 597, comma 3, cod. proc. pen., addebitato al ricorrente un fatto sostanzialmente diverso, come confermato dalla diversità dell'elemento soggettivo richiesto (dolo generico, anziché dolo specifico) e della condotta illecita (che, infatti, in primo grado non era stata attribuita all'altro imputato, proprio perché non era stato lui a consegnare le scritture contabili, laddove la mancata tenuta delle stesse gli sarebbe stata imputabile); d) che era ravvisabile anche la violazione dell'art. 597, comma 1, cod. proc. pen., dal momento che, anche a voler ritenere contestata, nel capo di imputazione, la mancata tenuta del libro degli inventari (ma non anche delle scritture contabili relative al 2004, per le quali era configurata la sola sottrazione), comunque il Tribunale ne aveva accertato la tenuta, coerentemente assolvendo l'altro amministratore e senza che tale decisione venisse impugnata dal P.M.; e) che tali violazioni avevano inciso sul diritto di difesa, precludendo ogni interlocuzione sul punto; f) che, peraltro, la violazione del diritto di difesa era ancora più intensa con riferimento al libro degli inventari, dal momento che l'addebito della mancata tenuta metteva fuori gioco il presupposto fattuale della decisione del Tribunale - ossia la mancata consegna non del libro intonso vidimato il 31/07/1998, che pacificamente era stato consegnato al curatore, ma del libro inventari effettivamente tenuto e la cui esistenza era stata confermata dalla teste Cipriano - e, in definitiva, tutte le richieste difensive, anche attraverso lo svolgimento di perizia di ufficio o della ricognizione, finalizzate a dimostrare l'avvenuta consegna al curatore anche del libro degli inventari effettivamente tenuto; g) che, anche a voler ammettere che la condanna del Tribunale fosse scaturita da un addebito di mancata tenuta, comunque l'assoluzione dell'altro amministratore rendeva evidente che la contestazione doveva intendersi circoscritta al periodo successivo alla dismissione della carica da parte di quest'ultimo, in tal modo configurando, a 3 per l'anno 2004, peraltro trascurando che la dichiarazione di fallimento era fronte dell'interruzione dell'attività della società, al più una bancarotta semplice e ciò senza considerare che comunque l'inventario dell'esercizio finale era stato formato e puntualmente redatto. 2.2. Con il secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali in relazione alla mancata tenuta della contabilità per l'anno 2004 e alla mancata compilazione del libro degli inventari vidimato il 31/07/1998. Con riferimento alla prima, si critica il fatto che la Corte territoriale, pur avendo riconosciuto che sin dal 2002 la società fallita non era più operativa, non abbia termini di bancarotta semplice. Quanto alla mancata compilazione del libro degli inventari, si osserva: a) che l'inventario e la stima dei beni effettuati in occasione della risoluzione del contratto di affitto d'azienda erano necessari, giacché il libro inventari, dal quale la Corte territoriale si attendeva che le parti traessero stime e valori, riportava la situazione al 31/12/2001, giacché gli inventari si fanno alla fine di ogni esercizio; b) che, del resto, nel novembre del 2002, le parti di apprestavano a redigere l'inventar- io finale a conclusione dell'affitto d'azienda; c) che la mancata riproduzione di tale inventario nel libro apposito o la mancata ristampa informatica, al di là dei dubbi sulla rilevanza della forma dei libri prescritti, comunque avrebbe, al più, configurato un'ipotesi dì bancarotta semplice; d) che del pari illogico era ritenere sussistente il reato contestato pur in presenza degli inventari prescritti dall'art. 2561 cod. civ.; e) che, essendo iniziata l'attività della società fallita con l'assunzione dell'affitto d'azienda del 16/12/1998, era evidente che, alla data della vidimazione del libro, in data 31/07/1998 non esisteva ancora un magazzino da inventariare; f) che il contenuto del libro degli inventari è pubblicato con il bilancio nel registro delle imprese e che, pertanto, l'asserita mancata tenuta del libro degli inventari, prima ancora che logicamente incredibile, posto che i dati relativi vanno riportati nella nota integrativa e che la contabilità aziendale era tenuta in via informatica, non può essere qualificata come bancarotta fraudolenta documentale; g) che, infatti, le note integrative (e anche la nota relativa al bilancio dell'esercizio 2001) riportavano analiticamente le consistenze di magazzino, come nel libro inventari. 2.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali in relazione alla rilevanza causale della mancata tenuta della contabilità per l'anno 2004 e della mancata compilazione del libro inventari. Osserva il ricorrente: a) che la Corte territoriale ha limitato la sua analisi, rispetto all'efficienza causale delle condotte rispetto all'impossibilità di ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, facendo riferimento esclusivamente al libro degli inventari; b) che, in ogni caso, la sentenza 4 coerentemente qualificato la mancata tenuta delle scritture relative al 2004 in impugnata muove dalla premessa che la società fallita nel 2002 aveva cessato l'attività senza rimanenze, traendone la conseguenza dell'assoluzione del ricorrente dal reato di distrazione delle stesse; c) che, ferma la sussistenza dell'inventario del finale esercizio del 2002 e degli inventari precedenti, per quanto detto nel secondo motivo di ricorso, e impregiudicato il fatto che la mancata indicazione nel testimoniale del valore dei modelli era integrata dalla posta contabile di euro 502.591,50, dal momento che i modelli erano l'unica rimanenza, comunque si osserva che l'inventario permette di individuare i beni, dall'attribuzione ai circa 1.500 piccoli modelli del valore di circa 300 euro per costi di realizzazione, oltre al valore intrinseco della materia prima (argento, principalmente); e) che del tutto ininfluente era la perizia Cantamessa, mai contestata all'imputato e mai seguita dall'audizione del suo autore; f) che irrilevante era il minor valore del lotto di modelli restituito alla locatrice come pure l'eventuale differenza tra il dato contabile e il valore di realizzo fallimentare; g) che la presunta lieve diversità tra l'appostamento dell'esercizio 2002 e quello dell'esercizio 2003 era smentita dallo stesso capo d'imputazione e dal consulente del P.M. a pag. 18 della relazione; h) che le astratte classificazioni di materie prime, prodotti finiti e modelli di fabbricazione dei gioielli sono del tutto incongruenti a fini di analisi; i) che í modelli restituiti alla fallita riguardavano sue creazioni; I) che, infine, del tutto illogicamente la sentenza impugnata aveva preteso di trarre argomenti dal contenzioso innescato dall'apprensione alla massa fallimentare di beni rinvenuti in quella che arbitrariamente la Corte territoriale individua come la sede della società fallita. 2.4. Con il quarto motivo si lamentano vizi motivazionali, in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico del reato, rilevando che erroneamente la Corte territoriale, peraltro discostandosi dal capo di imputazione, aveva ritenuto sufficiente il dolo generico, trascurando invece di considerare i profili fattuali esaminati nei precedenti motivi di ricorso ed evidentemente indicativi dell'assenza del dolo specifico. 3. È stata depositata memoria nell'interesse dello Scalia. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è infondato. Innanzi tutto, per quanto ancora rileva, con il capo di imputazione sub 2 si contestava agli imputati di avere distrutto o sottratto "i libri e delle scritture contabili dell'impresa predetta (in particolare il libro degli inventari, mai redatto sin dalla sua costituzione, ... e ogni scrittura obbligatoria per l'esercizio 2004), allo scopo di procurarsi un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori (nella fattispecie, con tale condotta si rendeva impossibile ricostruire il 5 ma non attesta la veridicità dei valori attribuiti; d) che l'indicata posta scaturiva movimento degli affari dell'impresa, e verificare se fossero state distratte attività, con particolare riferimento ai rapporti con le altre società che sono possedute o amministrate dal medesimo novero soggettivo, ovvero Scalia s.n.c., Scalia Engineering s.r.l. e De Carolis s.r.I.)". In definitiva, anche a tacere del non equivoco riferimento alla mancata redazione del libro degli inventari, che consente di apprezzare il significato sostanziale della complessiva contestazione anche in relazione alle restanti scritture contabili, va ribadito che, ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta distruzione o di omessa tenuta dall'inizio della documentazione contabile, sono tra loro equivalenti, con la conseguenza che non è necessario accertare quale di queste ipotesi si sia in concreto verificata se è comunque certa la sussistenza di una di esse ed è inoltre acquisita la prova in capo all'imprenditore dello scopo di recare pregiudizio ai creditori e di rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari (Sez. 5, n. 47923 del 23/09/2014, De Santis, Rv. 261040). Ne discende, inoltre, che, nel caso di omessa tenuta delle scritture contabili quale nella specie ritenuta sussistente - non è affatto sufficiente il dolo generico richiesto per l'ipotesi di irregolare tenuta, ma è necessario l'accertamento del dolo specifico, peraltro puntualmente rilevato dalla sentenza impugnata, con la conseguenza che neppure sotto questo aspetto si apprezza una modificazione del fatto storico contestato idoneo ad arrecare un pregiudizio alle ragioni dell'imputato. Coerentemente a tale impostazione, già il Tribunale non aveva affatto ritenuto sussistente esclusivamente l'ipotesi della sottrazione, limitandosi a rilevare che sia che le scritture esistessero e fossero state soppresse, sia che non fossero mai state tenute, sarebbe pacificamente stato integrato l'elemento materiale del reato contestato. Inoltre, sempre il Tribunale ha assolto Massimiliano Scalia, non essendo state acquisite prove del suo coinvolgimento nella gestione della società, e Licastro Giovanni, perché questi, pur avendo ricoperto la carica di amministratore delegato, di fatto era stato estromesso dalla gestione della società quantomeno dall'inizio del 2002. Sul piano difensivo, del resto, nell'atto di appello l'odierno ricorrente aveva sia evidenziato che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, le scritture contabili erano state tutte regolarmente tenute sia escluso che vi fosse stato occultamento. 6 documentale, le condotte di mancata consegna ovvero di sottrazione, di Tali deduzioni dimostrano che l'alternativa conclusione raggiunta dal giudice di primo grado era stata considerata dalla difesa che aveva contestato analiticamente entrambe le prospettazioni. Né dall'assoluzione del Licastro può trarsi elemento di conferma dell'esattezza delle critiche del ricorrente, giacché tale decisione, secondo quanto rilevato dalla stessa Corte territoriale, fondata o non che sia, non muove affatto dal presupposto implicito della effettiva tenuta delle scritture contabili, quantomeno sino alla sua estromissione, ma riposa esclusivamente su tale estromissione, conclusione un fondamento (l'accertamento della tenuta delle scritture contabili), che non solo non è stata esplicitata, ma è anzi contraddetta dalle affermazioni che hanno giustificato la condanna dell'odierno ricorrente. 2. La prima articolazione del secondo motivo è infondata. È esatto che Sez. 5, n. 4727 del 15/03/2000, Albini, Rv. 215985, citata dalla Corte territoriale, quanto al sussistere dell'obbligo dì tenere le scritture contabili sino a quando la cessazione della attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese, si riferiva, al pari di Sez. 5, n. 15516 del 11/02/2011, Di Marnbro, Rv. 250086 ad un caso di bancarotta semplice documentale, ma ciò per la elementare considerazione che l'omessa tenuta delle scritture contabili è contemplata, nella sua oggettività, sia dall'art. 217, comma secondo, I. fall., sia implicitamente ma non equivocamente dall'art. 216, comma primo, n. 2, I. fall. Il criterio differenziale è rappresentato dall'elemento soggettivo che, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale, secondo quanto osservato supra sub 1, si coglie nel dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. Va aggiunto, peraltro, in relazione a quanto dedotto nella memoria depositata nell'interesse dello Scalia, che l'asserita impossibilità di procedere alla cancellazione della società, in ragione dei dissidi tra i soci, è questione assolutamente estranea rispetto alla persistenza dell'obbligo di tenere le scritture contabili. Quanto alla seconda articolazione, è certamente esatto che l'art. 2651, ult. comma, richiamato dal successivo art. 2652 cod. civ., disciplina la regolazione delle differenze tra le consistenze di inventario all'inizio e alla fine dell'affitto d'azienda, ma tale puntualizzazione non riesce a superare sia il dato che anche la consistenza iniziale (ovviamente con riguardo all'inizio dell'operatività aziendale) e le variazioni successive sino alla riconsegna dell'azienda sono rimaste non documentate nel libro degli inventari sia il fatto, di per sé decisivo, che anche il testimoniale del 04/11/2002, mentre inventariava il magazzino (peraltro negli 7 talché non è meritevole di condivisione la tesi che pretende di assegnare a tale incerti termini valutativi sottolineati dalla Corte territoriale, giacché ad esso era attribuito un valore di euro 180.527,70, mentre nel contratto di affitto di azienda stipulato contestualmente tra la Scalia Gioielli s.n.c. e Scalia Engineering s.r.I., era attribuito il valore di euro 351.952,36), lasciava del tutto indeterminati i prototipi riconsegnati e indicati nel Lotto B. Al riguardo, occorre osservare che l'inventario deve contenere, ai sensi dell'art. 2217 cod. civ., oltre che la valutazione, anche l'indicazione specifica delle singole attività, laddove il bilancio e i documenti di accompagnamento indicano Né peraltro il ricorso contrasta specificamente l'affermazione della Corte territoriale secondo la quale lo stesso Scalia non aveva fatto alcun riferimento ad eventuali libri consultabili in via informatica, né aveva, del resto, provveduto a stamparli e a consegnarli. 3. Il terzo motivo è, nel suo complesso, infondato. L'assoluzione dello Scalia dalla fattispecie distrattiva riferita alle rimanenze al 31/12/2002, appostate per euro 502.951,50 è infatti scaturita dalla considerazione che lo stesso giudice di primo grado aveva ritenuto tale posta "sovrastimata in modo enorme", con la conseguenza che la Corte territoriale ne ha tratto le logiche conclusioni, quanto all'idoneità di tale risultanza contabile a dimostrare la spoliazione dei beni corrispondenti. In definitiva, la sentenza impugnata ha fatto applicazione del principio per cui, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l'accertamento della previa disponibilità da parte dell'imputato dei beni non rinvenuti in seno all'impresa non può fondarsi sulla presunzione di attendibilità dei libri e delle scritture contabili dell'impresa prevista dall'art. 2710 cod. civ., dovendo invece le risultanze desumibili da questi atti essere valutate - soprattutto quando la loro corrispondenza al vero sia negata dall'imprenditore - nella loro intrinseca attendibilità, anche alla luce della documentazione reperita e delle prove concretamente esperibili, al fine di accertare la loro corrispondenza al reale andamento degli affari e delle dinamiche aziendali. (Sez. 5, n. 52219 del 30/10/2014, Ragosa, Rv. 262197). Ma soprattutto la Corte territoriale ha escluso che il valore sopra ricordato corrispondesse, secondo le deduzioni difensive, con i prototipi di cui è menzione nel cd. lotto B, alla stregua delle seguenti considerazioni logiche: a) i modelli per la fabbricazione di gioielli non costituiscono né materie prime, né prodotti finiti, né merci, né scorte, come invece i beni indicati in bilancio; b) í modelli per la fabbricazione di gioielli appartengono ad un'unica specie, laddove i beni indicati in bilancio sono suddivisi, con valori diversi, in materie prime e prodotti finiti; c) nell'atto datato 04/11/2002 il lotto A, retrocesso alla s.n.c. era stato valutato in 8 essenzialmente valori e classi di beni. euro 95.000, mentre il lotto B non era stato valutato; d) che se il valore del lotto B fosse stato realmente corrispondente ad euro 502.591,50, ossia cinque volte superiore a quello del lotto A e comunque superiore a tutti gli altri beni indicati nel testimoniale, sarebbe stata irrazionale la sua attribuzione alla s.r.I., debitrice inadempiente della s.n.c. (e, infatti, risultava debitrice per oltre euro 180.000). Rispetto a tale apparato argomentativo, il ricorrente si limita a riproporre assertivamente le proprie tesi difensive e l'apodittica valutazione dei prototipi, senza confutare in modo concludente i ricordati rilievi della Corte. materie prime e prodotti finiti non spiega la ragione di tale criterio appostativo e della distinzione operata (o, in altre parole, quali motivi abbiano indotto a differenziare in tale classificazione beni che, secondo l'assunto difensivo, sarebbero identici); b) che l'esistenza del debito della s.r.l. non è elisa dall'esistenza di pretese creditorie di quest'ultima, una volta che si riconosca, come lo stesso ricorrente fa, che esistevano appunto dei controcrediti opposti dalla s.n.c., in relazione al pagamento dei canoni di affitto e all'escussione di fideiussioni bancarie; c) che, in tale contesto, che i modelli fossero estranei all'affitto di azienda, in quanto creazioni della s.r.I., è circostanza del tutto irrilevante rispetto alla singolarità della mancata estinzione del debito residuo. Già tali considerazioni dimostrano l'infondatezza della critica per cui la Corte d'appello avrebbe limitato l'indagine sull'efficienza causale della condotta con esclusivo riguardo al libro degli inventari. Ad ogni modo, al di là delle indicazioni valutative contestate dal ricorrente, resta la considerazione che, per le ragioni sopra indicate, la posta relativa alle rimanenze al 31/12/2002 del tutto plausibilmente è stata ritenuta dalla Corte non coincidente con i prototipi del Lotto B. In tale prospettiva, non è dato cogliere alcuna manifesta illogicità nella conclusione ulteriore, secondo cui, alla stregua di siffatti inattendibili e parziali dati, il curatore non era riuscito a ricostruire l'esatto valore (e, va aggiunto, a monte, la stessa consistenza) dei beni (giacenze di magazzino e prototipi) sui quali la massa creditoria avrebbe potuto soddisfarsi. 4. Il quarto motivo è infondato, dal momento che la Corte territoriale non ha affatto ritenuto sufficiente la sussistenza del dolo generico, ma ha espressamente affermato che le condotte sopra ricordate sono "state tenute allo scopo di rendere impossibile o quantomeno più difficoltoso per i terzi e segnatamente per i creditori della s.r.l. la verifica della reale consistenza del complesso dei beni restituiti alla s.n.c. ed il controllo sulla congruità delle operazioni di sistemazione delle partite di debito/credito delle due società facenti capo al medesimo gruppo". 9 Si osserva, al riguardo: a) che la censura di astrattezza delle classificazione di Deve, per completezza, aggiungersi che tale conclusione, alla luce delle superiori considerazioni, non esibisce alcuna manifesta illogicità, in ragione della complessiva operazione posta in essere, che, secondo il ragionevole avviso dei giudici di merito, era proprio destinata a lasciar fallire il veicolo creato, senza successo, per verificare le possibilità di collaborazione economica tra gli Scalia e i Licastro (la Scalia s.r.I., appunto), e a conservare alla nuova struttura creata dagli Scalia tutte le attività possibili in vista della prosecuzione dell'attività. 5. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 26/05/2015 Il Componente estensore Il Presidente del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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