Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37510 del 22/02/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 37510 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: VANNUCCI MARCO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
BUZI EMILJAN nato il 14/04/1984

avverso l’ordinanza del 05/06/2017 del GIP TRIBUNALE di FERMO
dato avviso a:le parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere MARCO VANNUCCI;

Data Udienza: 22/02/2018

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con ordinanza emessa il 5 giugno 2017 il Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Fermo, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettò la domanda di
Emiljan Buzi per l’applicazione della disciplina del reato continuato quanto alla
commissione: a) il 23 marzo 2007 in Porto San Giorgio, del delitto di cui all’art. 73
del d.P.R. n. 309 del 1990, accertato con sentenza, irrevocabile, emessa il 17
gennaio 2008 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Fermo; b) il 3

immigrazione, accertato con sentenza, irrevocabile, emessa dal Tribunale di Ascoli
Piceno il 5 luglio 2007;
che la motivazione di tale decisione è nel senso che: non vi è prova del allegato
stato di tossicodipendenza di tale persona all’epoca di commissione dei fatti,
risultando solo che egli era in cura per tale ragione nel 2013 alla luce del contenuto
di certificato rilasciato dal “S.E.R.T.”; la vicinanza temporale fra i reati costituisce
elemento neutro in funzione della sussistenza del medesimo progetto criminoso, dal
momento che Buzi, espulso dal territorio dello Stato in ragione dell’accertato illecito
trasporto di 500 grammi di eroina, fece rientro in Italia in violazione di ordine dato
dal Prefetto; ciò evidenzia solo che costui fu olò.)indifferente a tale ordine, non
certo che il secondo reato venne commesso in esecuzione di generico programma
criminoso elaborato al momento della violazione della disciplina legale relativa alle
sostanze stupefacenti;
che per la cassazione di tale ordinanza Buzi ha proposto ricorso (atto da lui
sottoscritto) con il quale si deduce che tale provvedimento avrebbe violato il
precetto di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen., dal momento che: i reati
vennero commessi, in luoghi fra loro non distanti, in tempi fra loro ravvicinati; il
reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 fu commesso mentre egli
soggiornava irregolarmente in Italia; l’accertamento dello stato di tossicodipendenza
del 2013 evidenzia che lo stesso “presenta radici profonde nel tempo e solitamente
involge tutta l’esistenza del soggetto fino alla presa in carico nei Servizi”;
che, in linea di principio, l’accertamento della sussistenza dei presupposti di
applicazione dell’art. 81, secondo comma, cod. pen., necessita nel processo di
esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita
verifica della sussistenza dei concreti indicatori di tali presupposti, quali
l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le
singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini
programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo
reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non
essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati
se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (in

luglio 2007 in Ascoli Piceno, del delitto di cui all’art. 14, comma 5-quater, del t.u.

questo senso cfr., per tutte, Cass. S.U., n. 28659 del 18 maggio 2017, Gargiulo, Rv.
270074);
che, in tale ordine di concetti, il ricorso è manifestamente infondato, essendo
immune da vizi la motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui afferma
l’irrilevanza della, relativa, vicinanza cronologica fra i due delitti in funzione
dell’accertamento dei presupposti di applicazione dell’art. 81, secondo comma, cod.
pen., dal momento che l’ordine di allontanamento del ricorrente dal territorio dello

2007, venne emesso in ragione della commissione, il 23 marzo 2007, del delitto di
cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e che ciò costituisce indice della
insussistenza, al momento della commissione del primo reato, di generico
programma contemplante anche la commissione del secondo reato;
che sotto altro, e concorrente, profilo, il ricorrente non smentisce l’affermazione,
contenuta nell’ordinanza impugnata, secondo cui dal contenuto del certificato
rilasciato nel 2013 non si evince quando sia iniziato tale stato; con conseguente non
sussistenza del dedotto vizio di travisamento della prova fondante l’affermazione
secondo cui non vi è prova che il ricorrente fosse tossicodipendente nell’anno 2007;
che l’ordinanza impugnata, che si conforma al principio interpretativo sopra
ribadito, è dunque immune da censure di sorta;
che il ricorso è dunque inammissibile in ragione della manifesta infondatezza del
motivo con esso dedotto (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.);
che dalla inammissibilità del ricorso derivano la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al
versamento di una somma di danaro alla Cassa delle ammende che stimasi equo
determinare nella misura di euro 2.000 (art. 616 cod. proc. pen.).

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di duemila euro alla Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma il 22 febbraio 2018.

Stato, la cui violazione determinò la commissione del reato accertato il 3 luglio

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