Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37506 del 22/02/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 37506 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: VANNUCCI MARCO

ORDI NANZA
sul ricorso proposto da:
BOSCO GIAM3ATTISTA nato il 03/01/1952 a VITTORIA

avverso la sentenza del 17/01/2017 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso a le parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere MARCO VANNUCCI;

Data Udienza: 22/02/2018

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con sentenza emessa il 17 gennaio 2017 la Corte di appello di Catania ha
confermato la sentenza, resa il 10 dicembre 2015 dal Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Ragusa a definizione di processo svoltosi nelle forme del
giudizio abbreviato, con la quale Giambattista Bosco venne condannato alla pena di
un anno e dieci mesi di reclusione ed euro 1.400 di multa per avere, in Vittoria, il 5
maggio 2014, con più atti esecutivi del medesimo disegno criminoso, dapprima

recante il marchio “Franchi”, il cui numero di matricola risultava essere stato abraso
(artt. 81, secondo comma, 648 cod. pen., 2 e 7 della legge n. 895 del 1967 e 23
della legge n. 110 del 1975);
che, per quanto qui interessa, la sentenza ha escluso che nel caso di specie
potesse trovare applicazione la circostanza attenuante del fatto di lieve entità,
prevista dall’art. 5 della legge n. 895 del 1967, dal momento che la clandestinità
dell’arma (nel caso concreto derivante dalla abrasione del proprio numero di
matricola) costituisce una sua peculiare “qualità”, tale da attribuirle una particolare
pericolosità per l’ordine pubblico, incompatibile con l’affermazione della lieve entità
del fatto;
che per la cassazione di tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso (atto
sottoscritto dal relativo difensore) con cui deduce erronea applicazione dell’art. 5
della legge n. 865 del 1967, in relazione all’art. 23 della successiva legge n. 110 del
1975, dal momento che: la clandestinità non costituirebbe una specifica “qualità”
dell’arma, tale da determinare l’inapplicabilità della circostanza attenuante in
discorso; l’asserita autonomia delle discipline legali rispettivamente relative alla
detenzione illegale di arma comune da sparo ed alla detenzione illegale di arma
clandestina non escluderebbe poi l’applicazione del citato art. 5 della legge n. 895
del 1967 allorché, come nel caso di specie,, il reato di cui agli artt. 2 e7 della legge
n. 895 del 1967 e quello di cui all’art. 23 della legge n. 110 del 1975, «sono
contestati in continuazione e la violazione più grave si ravvisa nella detenzione
illegittima dell’arma»; invero, Cass. S.U., n. 2142 del 22 gennaio 1984, Califano,
Rv. 163243, seppure ha affermato l’incompatibilità, in linea di principio della
circostanza attenuante in discorso con i delitti relativi alle armi clandestine, ha però
precisato che nel caso di concorso formale ovvero di continuazione fra uno dei delitti
previsti dall’art. 23 della legge n. 110 e uno di quelli contemplati dalla legge n. 865,
non sussiste ostacolo alcuno all’applicazione della diminuente, posto che la
violazione più grave è da individuare – sul piano del trattamento sanzionatorio – nel
porto illegale o nella detenzione illegittima; e ciò perché da un lato la clandestinità è
ipotesi criminosa autonoma e dall’altro essa non può, ai fini in discorso essere

illegalmente ricevuto da terzi e, dappoi, illegalmente detenuto un fucile calibro 12,

considerata come qualità dell’arma, essendo l’anzidetta qualità legata ad altri
coefficienti e, in particolare, alle caratteristiche tecniche, alla rapidità o precisione di
tiro, alle modalità di impiego e alla potenzialità offensiva; facendo applicazione di
tale regola interpretativa al caso di specie da un lato il fucile con matricola abrasa
era da caccia e di calibro 12 (quindi di scarsa attitudine offensiva) e dall’altro era
stata riconosciuta la continuazione fra i reati rispettivamente previsti dagli artt. 2 e
7 della legge n. 895 del 1967 e dall’art. 23 della legge n. 110 del 1975;

legittimità è affatto consolidata nell’affermare la regola di interpretazione secondo
cui la circostanza attenuante in discussione non trova applicazione quanto ai delitti
relativi alle armi clandestine (come il fucile da caccia con numero di matricola
abraso di cui si discute) in quanto: tali reati sono compiutamente disciplinati dalla
legge n. 110 del 1975, nella quale non v’è alcun espresso richiamo quanto
all’applicabilità della diminuente anche ai reati dalla stessa legge previsti; la
clandestinità è una “qualità” dell’arma tale da attribuirle una particolare pericolosità
per l’ordine pubblico, attesa l’impossibilità di risalire alla sua provenienza, alle sue
modalità di acquisizione, ai suoi trasferimenti (in questo senso cfr., fra le molte,
Cass. Sez. 1, n. 43719 del 10 novembre 2011, Pellegrino, Rv. 251459; Cass. Sez. 1,
n. 14624 del 6 marzo 2008, Vespa, Rv. 239905; Cass. Sez. 1, n. 10430 del 7
febbraio 2002, Tenca, Rv. 220971; Cass. Sez. 1, n. 1487 del 24 ottobre 1998, dep.
1999, Colaviti, Rv. 212337);
che Cass. S.U., n. 2142 del 22 gennaio 1984, Califano, citata dal ricorrente per
sostenere l’opposta tesi, confermò invero espressamente l’inapplicabilità della citata
diminuente ai reati concernenti le armi clandestine, limitandosi a precisare che, nel
caso di unificazione per continuazione del reato di cui all’art. 23 legge n. 110 del
1975 con alcuno di quelli previsti dalla legge n. 895 del 1967, la circostanza
attenuante in discorso era, ricorrendone i presupposti, applicabile in quanto il reatobase si identificava con quello, più grave, previsto dalla legge n. 895 del 1967,
sicché a nulla rilevava la presenza di un reato previsto dalla legge n. 110 del 1975,
per il quale la diminuente non era concedibile, che nell’unico reato continuato
assumeva la veste di reato-satellite;
che nel caso di specie tale, peculiare, regola interpretativa non entra in giuoco,
risultando dalla sentenza impugnata che quella di primo grado ritenne più grave il
delitto di ricettazione in funzione dell’applicazione della disciplina legale del delitto
continuato nel caso concreto e, dunque considerò reato c.d. “satellite” quello di
detenzione illegale di arma comune da sparo, con conseguente irrilevanza della
circostanza attenuante;
che il motivo è dunque manifestamente infondato, con conseguente declaratoria
di inammissibilità del ricorso (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.);

che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la giurisprudenza di

che da tale declaratoria derivano la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma
di danaro alla Cassa delle ammende che stimasi equo determinare nella misura di
euro 2.000 (art. 616 cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di duemila euro alla Cassa delle

Così deciso in Roma il 22 febbraio 2018.

ammende.

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