Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3750 del 03/10/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 3750 Anno 2014
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI ROCCO SILVANA N. IL 29/08/1972
avverso la sentenza n. 2676/2011 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 01/06/204.2..
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. /Ufo-7–7–;,..t„

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Data Udienza: 03/10/2013

1. Con sentenza del giorno 8 giugno 2012 la Corte di appello di
L’Aquila, in parziale riforma, quanto alla pena, di quella di prime
cure pronunciata il 24 giugno 2009 dal Tribunale di Teramo a
carico di Di Rocco Silvana, imputata del reato di cui all’art. 495 c.p.
perché, compilando e sottoscrivendo un modello utilizzato per
ottenere che la propria figlia minore rimanesse in carcere, ne aveva
dichiarato una non veritiera data di nascita, rideterminava la pena,
con la concessione delle attenuanti generiche, in mesi otto di
reclusione.
A sostegno della decisione la corte territoriale richiamava la
dichiarazione sottoscritta il 6 agosto 2008 dall’imputata, la quale,
per ottenere, come detto, il risultato di tenere con sé in carcere la
figlia di quattro anni, attestava che la stessa era nata il 20.8.2006
anzicchè il 20.8.2004 ed escludeva che detta falsa indicazione
anagrafica fosse frutto di un mero errore, attesa la finalità
perseguita dalla prevenuta significativa di un preciso disegno
eppertanto del concorso della sua volontà dolosa.
2. Ricorre per cassazione avverso detta sentenza l’imputata, assistita
dal difensore di fiducia il quale, nel suo interesse ne denuncia
l’illegittimità per violazione di legge e difetto di motivazione.
Deduce in particolare la difesa ricorrente: nulla ha argomentato la
corte di merito in ordine all’elemento psicologico del reato,
all’errore di fatto opposto ed allo stato di necessità reclamato;
l’imputata è nomade con marito e figlio in carcere, di guisa che
aveva la necessità di tenere con sé la figlia di pochi anni in assenza
di qualcuno che ne prendesse cura; l’imputata ha firmato quella
dichiarazione indicando solo per errore una data diversa da quella
reale; la corte ha altresì ignorato la nuova disciplina di cui alla L.
62/2011 a tutela delle detenute madri, disciplina che ha elevato da
tre a sei anni l’età per la custodia in carcere presso una “casa
famiglia protetta”.
3. Il ricorso è infondato.
Ed invero la corte di merito, nonostante il diverso opinamento
difensivo, ha espressamente trattato il tema dell’elemento
psicologico del reato e quello dell’errore in fatto in cui l’imputata
assume di essere incorsa, adeguatamente motivando sia in ordine al
primo che al secondo punto.

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Ritenuto in fatto e considerato in diritto

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4. Alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso deve essere
rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P. Q. M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
In Roma, addì 3 ottobre 2013

Quanto all’elemento psicologico del reato ha infatti evidenziato il
giudice territoriale che l’imputata ha attestato il falso circa la data di
nascita della figlia allo scopo preciso di consentirne il trattenimento
con sè in stato di detenzione, finalità resa palese dagli accadimenti
ed idonea ad evidenziare la volontà dolosa con la quale la prevenuta
consumò la sua condotta. Di qui altresì la evidente infondatezza
della tesi dell’errore materiale commesso dalla prevenuta.
Palese è, pertanto, la natura di merito delle argomentazioni
difensive, giacchè volte le medesime, a fronte di una sintetica ma
esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente
valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e
valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento della vicenda del
tutto alternativo a quello logicamente accreditato con la sentenza
impugnata.
Inammissibile è inoltre l’impugnazione in esame là dove evoca lo
stato di necessità quale esimente della condotta materna ed il difetto
assoluto di motivazione sul punto, sia perché argomento non portato
all’attenzione ed alla valutazione del giudice di appello, sia perché
comunque implicitamente esclusa la ricorrenza dell’istituto di cui
all’art. 54 c.p. dalla motivazione di rigetto impugnata.
Residua la rivendicazione difensiva degli effetti normativi della
novella di cui alla L. 21 aprile 2011, n. 62, recante “modifiche al
codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e
altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli
minori”, legge entrata in vigore circa tre anni dopo i fatti di causa e
comunque eccentrica rispetto ad essi. La novella citata infatti è
intervenuta sulla disciplina delle misure cautelari a carico di
genitori di figli minori di anni sei, modificando il comma 40
dell’art. 274 il co. 1 dell’art. 284 ed introducendo l’art. 284-bis
c.p.p., irrilevanti ai fini della decisione in esame, né ha comunque
dimostrato la difesa istante in quale misura detta disciplina possa
retroattivamente interagire sui fatti di causa e sulla delibazione
decisoria impugnata.

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