Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37482 del 22/02/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 37482 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: VANNUCCI MARCO

ORDINANZA
sul ricorso pri:)posto da:
MORELLI FRANCO nato il 28/08/1981 a AVEZZANO

avverso la sentenza del 08/02/2017 del GIP TRIBUNALE di AVEZZANO
dato avviso aie parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere MARCO VANNUCCI;

Data Udienza: 22/02/2018

RILEVATO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con la sentenza in epigrafe indicata il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Avezzano ha applicato a Franco Morelli la pena, da lui pattuita con il
pubblico ministero (art. 444 cod. proc. pen.), di sei mesi di reclusione per la
commissione, in esecuzione di medesimo disegno criminoso, in Avezzano, dal 21
novembre 2014 fino al 5 marzo 2015, di plurimi delitti di cui all’art. 75, commi 1 e
2, del d.lgs. n. 159 del 2011; e ciò, previa concessione di circostanze attenuanti

che per la cassazione di tale sentenza Morelli ha proposto ricorso (atto
sottoscritto dal proprio difensore), deducendo assoluta carenza di motivazione,
essendosi limitato il giudice a verificare la correttezza della qualificazione giuridica
effettuata dalle parti in sede di patteggiamento, senza fornire ulteriori elementi di
valutazione in ordine ai riscontri eseguiti per escludere la sussistenza delle cause di
non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen.;
che secondo il meccanismo processuale dell’applicazione della pena su richiesta
delle parti l’imputato e il pubblico ministero si accordano sulla qualificazione
giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di circostanze, sulla
comparazione fra le stesse e sull’entità della pena;
che, a fronte del patto fra le parti sul punto, il giudice ha il dovere di
controllare l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la congruità della pena
richiesta e di applicarla dopo avere accertato che non emerga in modo evidente la
sussistenza di una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen.;
che, pertanto, una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena, ai
sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., l’imputato non può rimettere in discussione profili
oggettivi o soggettivi della fattispecie, perché gli stessi risultano coperti
dall’accordo;
che nel caso di specie, la sentenza impugnata ha espressamente affermato
che, allo stato degli atti, non sussistevano i presupposti per un proscioglimento nel
merito ovvero cause di estinzione dei delitti contestati;
che, a fronte di tale accertamento, la deduzione del ricorrente è priva di
specificità, essendosi egli limitato a segnalare il dedotto vizio, senza indicare quali
fossero gli elementi acquisiti al processo da cui dedurre la sussistenza nel caso
concreto di una delle causa di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen.;
che la motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in
sede di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc. pen.,
risulta pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni,
secondo la costante giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. S.U., n. 3 del 25
novembre 1998, Messina, Rv. 212438);

generiche ritenute equivalenti alle aggravanti contestate;

che il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile, con la conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo
ipotesi di esonero, al versamento di una somma di danaro alla Cassa delle
ammende, che stimasi equo determinare nella misura di euro 2.000 (art. 616 cod.
proc. pen.).

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di duemila euro alla Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2018.

P.Q.M.

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