Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37463 del 22/02/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 37463 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: VANNUCCI MARCO

ORDINANZA
sul ricorso pr)posto da:
ROSETTANI NATTE0 nato il 23/01/1980 a SAN BENEDETTO DEL TRONTO

avverso la sentenza del 09/03/2017 del TRIBUNALE di FERMO
dato avviso a.le parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere MARCO VANNUCCI;

Data Udienza: 22/02/2018

RILEVATO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con sentenza emessa il 9 marzo 2017 il Tribunale di Fermo ha applicato a
Matteo Rosettani la pena, da lui pattuita con il pubblico ministero (art. 444 cod.
proc. pen.), di quindici giorni di reclusione per la commissione in Porto S. Elpidio, il
4 luglio 2015, del delitto all’art. 75, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011, «da
intendersi quale aumento a titolo di continuazione della maggior pena di cui alla
sentenza n. 1035 del 205 del Gip di Fermo»; con conseguente determinazione della

quindici giorni di reclusione;
per la cassazione di tale sentenza Rosettani ha proposto ricorso (atto
sottoscritto dal proprio difensore), deducendo assoluta carenza di motivazione,
essendosi limitato il giudice a verificare la correttezza della qualificazione giuridica
effettuata dalle parti in sede di patteggiamento, senza fornire ulteriori elementi di
valutazione in ordine ai riscontri eseguiti per escludere la sussistenza delle cause di
non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen.;
che secondo il meccanismo processuale dell’applicazione della pena su richiesta
delle parti l’imputato e il pubblico ministero si accordano sulla qualificazione
giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di circostanze, sulla
comparazione fra le stesse e sull’entità della pena;
che, a fronte del patto fra le parti sul punto, il giudice ha il dovere di
controllare l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la congruità della pena
richiesta e di applicarla dopo avere accertato che non emerga in modo evidente la
sussistenza di una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen.;
che, pertanto, una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena, ai
sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., l’imputato non può rimettere in discussione profili
oggettivi o soggettivi della fattispecie, perché gli stessi risultano coperti
dall’accordo;
che nel caso di specie, la sentenza impugnata ha espressamente affermato
che, allo stato degli atti, non sussistevano i presupposti per un proscioglimento nel
merito (indicando da quali atti l’asserzione è desunta) ovvero cause di estinzione del
delitto contestato;
che, a fronte di tale accertamento, la deduzione del ricorrente è priva di
specificità, essendosi egli limitato a segnalare il dedotto vizio, senza indicare quali
fossero gli elementi acquisiti al processo da cui dedurre la sussistenza nel caso
concreto di una delle causa di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen.;
che la motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in
sede di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc. pen.,
risulta pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni,

pena complessiva, risultante dall’aumento pattuito, in misura pari a sei mesi e

secondo la costante giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. S.U., n. 3 del 25
novembre 1998, Messina, Rv. 212438);
che il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile, con la conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo
ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, che
stimasi equo determinare nella misura di euro 2.000 (art. 616 cod. proc. pen.).

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di duemila euro alla Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2018.

P.Q.M.

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