Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37459 del 22/02/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 37459 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: VANNUCCI MARCO

ORDI NANZA
sul ricorso proposto da:
D’ANNA ANTONINO nato il 09/02/1954 a LEONFORTE

avverso l’ordinanza del 17/05/2017 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso aie parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere MARCO VANNUCCI;

Data Udienza: 22/02/2018

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con ordinanza emessa il 17 maggio 2017 la Corte di appello di Torino, in
funzione di giudice dell’esecuzione, rigettò la domanda di Antonino D’Anna per
l’applicazione della disciplina del reato continuato quanto alla commissione: a) negli
anni 1998 e 1999, di delitti di associazione per delinquere finalizzata alla
commissione di frodi fiscali e di concorso nel reato di emissione di fatture per
operazioni inesistenti, accertati dalla Corte di appello di Bologna con sentenza,

e il 2 dicembre 2003, di due delitti di bancarotta fraudolenta per distrazione di
danaro dal patrimonio della CCD s.p.a., dichiarata fallita il 14 febbraio 2005, di cui
lo stesso D’Anna fu amministratore di fatto nel sopra indicato arco temporale,
accertati dalla Corte di appello di Torino con sentenza, irrevocabile, emessa il 27
febbraio 2014;
che la motivazione di tale decisione, fondata sui rispettivi contenuti delle citate
sentenze, è nel senso che: è da escludere che nel momento in cui il condannato
ebbe a commettere il primo dei delitti accertati con la prima sentenza (quello di
associazione per delinquere, di cui esso ricorrente fu ideatore ed organizzatore,
anche quale amministratore della società spagnola Cervantes Trading s.r.l.) egli
avesse pianificato, anche solo in linea di massima, la commissione, più di quattro
anni dopo, dei delitti di bancarotta fraudolenta per distrazione da lui consumati, in
concorso con La Rosa, Castellano e Perrone, quale amministratore di fatti della CCD
s.p.a.; tali distrazioni in alcun modo si riferirono a fatti di evasione fiscale; inoltre, i
reati accertati con le due sentenze, fra loro non omogenei, vennero dal ricorrente
commessi in diversi contesti ambientali (società diverse, ruolo concorsuale diverso
svolto dal ricorrente, diversità dei correi);
che per la cassazione di tale ordinanza D’Anna ha proposto ricorso (atto
sottoscritto dal relativo difensore, avvocato Alberto Mittone) con il quale si deduce
che tale provvedimento avrebbe violato il precetto di cui all’art. 81, secondo comma,
cod. pen., dal momento che i reati accertati con le due sentenze sopra menzionate
avevano natura identica e furono commessi con analoghe modalità esecutive; in
particolare, tanto la società Olidata s.p.a. che la fallita CCD s.p.a. “venivano
utilizzate “a carosello” nel settore del commercio informatico” e “ponevano in essere
sistematicamente acquisti da società di comodo che non versavano VIVA, ottenendo
così prodotti informatici a prezzi concorrenziali e crediti d’imposta fittizi”;
che, in linea di principio, l’accertamento della sussistenza dei presupposti di
applicazione dell’art. 81, secondo comma, cod. pen., necessita nel processo di
esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita
verifica della sussistenza dei concreti indicatori di tali presupposti, quali
l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le

irrevocabile, del 7 giugno 2006; b) nel periodo compreso fra il mese di agosto 2003

singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini
programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo
reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non
essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati
se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (in
questo senso cfr., per tutte, Cass. S.U., n. 28659 del 18 maggio 2017, Gargiulo, Rv.
270074);

che in esso si rinvengono sono affatto eccentriche (con conseguente aspecificità del
motivo) rispetto all’accertamento compiuto dal giudice dell’esecuzione che, alla luce
dei rispettivi contenuti delle citate sentenze di merito, ha affermato che i due fatti
distrattivi di danaro dal patrimonio della CCD s.p.a. (corresponsione da parte di tale
società di complessivi euro 72.385 in favore di altre due società in assenza di
rapporti sottostanti; appropriazione da parte di D’Anna di euro 35.000 pagati a CCD
s.p.a. da tale Zaninato a titolo di parziale restituzione di debito) nulla hanno a che
vedere con i delitti di associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale e di
partecipazione ad emissione di fatture per operazioni inesistenti accertati con la
sentenza resa dalla Corte di appello di Bologna il 7 giugno 2006;
che l’ordinanza impugnata, che si conforma al principio interpretativo sopra
ribadito, è dunque immune da censure di sorta;
che dalla inammissibilità del ricorso derivano la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al
versamento di una somma di danaro alla Cassa delle ammende che stimasi equo
determinare nella misura di euro 2.000 (art. 616 cod. proc. pen.).

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di duemila euro alla Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma il 22 febbraio 2018.

che, in tale ordine di concetti, il ricorso è inammissibile, in quanto le deduzioni

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