Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37453 del 22/02/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 37453 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
EMEKA FRANKLIN nato il 05/06/1983 a BENIN CITY( NIGERIA)

avverso l’ordinanza del 08/02/2017 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso a le parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;

Data Udienza: 22/02/2018

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza in data 8.2.2017, la Corte di appello di Venezia, in funzione
di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza presentata da Emeka Franklin, con
la quale si richiedeva il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671
cod. proc. pen., con riferimento ai reati giudicati con varie sentenze di condanna.
Il difensore del condannato ha proposto ricorso per cassazione,
deducendo erronea disapplicazione dell’art. 81, comma secondo, cod. pen. e

criminoso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è generico, nonché manifestamente infondato.
Il controllo affidato al giudice di legittimità può avere come oggetto la
verifica circa la violazione di disposizioni di legge e l’analisi della motivazione,
che può essere affetta da patologie rilevanti qualora sia del tutto priva dei
requisiti minimi di coerenza completezza e logicità (al punto da risultare
meramente apparente perché assolutamente inidonea a rendere comprensibile
l’iter logico seguito dal giudice) o qualora esponga linee argomentative talmente
prive di coordinazione e carenti dei passaggi razionali essenziali da fare rimanere
oscure le basi giustificative della decisione.
Il ricorrente denunzia formalmente sia violazione di legge, sia generiche
carenze motivazionali, ma chiede in realtà la rilettura del quadro probatorio e il
riesame nel merito della vicenda processuale. Tale riesame è precluso in sede di
indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, ove solo può
essere appurato se la struttura razionale della ordinanza impugnata abbia una
sua chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel
rispetto delle regole della logica, alle risultanze del compendio probatorio
acquisito, come nel caso concreto ora in valutazione.
Nell’ordinanza impugnata si evidenzia l’assenza di elementi concreti idonei
a dimostrare che il condannato, mentre commetteva i primi reati avesse già
pianificato quelli successivi. Al contrario, vi sono dati di segno opposto, quali: il
lasso di tempo intercorso fra le diverse condotte (i reati sono stati commessi nel
2009 e nel 2012); il iocus commissi delicti (alcuni reati sono stati comessi in
Padova, altri in Castelfranco Veneto).
Il giudice dell’esecuzione, peraltro, ha rilevato che il richiedente venendo
meno al dovere di allegazione si è limitato ad asserire la sussistenza della
contiguità temporale e del medesimo disegno del ricorso.
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difetto di motivazione in ordine agli indici sintomatici del medesimo disegno

In definitiva, deve riscontrarsi la presenza di motivazione adeguata,
logica, rispettosa del parametro normativo di riferimento, tale da resistere alle
censure formulate col ricorso, ove si consideri che il giudice dell’esecuzione,
nell’escludere la configurabilità della continuazione, ha valorizzato con plausibili
argomentazioni elementi oggettivi e non ha affatto ignorato le deduzioni
dell’istante anche riguardanti i profili accomunanti gli episodi. In tal modo, il
giudice di merito ha offerto puntuale applicazione in punto di diritto all’ormai
consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale anche l’identità del

costituiscono aspetti da soli insufficienti ad offrire dimostrazione dell’esistenza di
quell’unico iniziale programma in vista di uno scopo determinato,
ricomprendente le singole violazioni, che è l’indefettibile presupposto per il
riconoscimento della continuazione.
Alla declaratoria di inammissibilità segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e
al versamento della somma di euro 2.000,00 alla Cassa delle ammende, non
essendo dato escludere – alla stregua del principio di diritto affermato dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000 – la sussistenza dell’ipotesi della
colpa nella proposizione dell’impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000,00 alla Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, 22 febbraio 2018.

bene giuridico violato ed il lasso temporale intercorso fra le varie condotte

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