Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37449 del 22/02/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 37449 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: VANNUCCI MARCO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
DI GIACOMO GIOVANNI nato il 18/07/1954 a PALERMO

avverso l’ordinanza del 15/06/2017 del GIUD. SORVEGLIANZA di VITERBO
dato avviso ade parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere MARCO VANNUCCI;

Data Udienza: 22/02/2018

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con decreto emesso, de plano, il 15 giugno 2017 il Magistrato di sorveglianza
di Viterbo ha dichiarato inammissibile il reclamo di Giovanni Di Giacomo per la
revoca del provvedimento, nei confronti di tale persona emesso il 19 maggio 2017,
di irrogazione della sanzione disciplinare dell’esclusione per tre giorni dalle attività
ricreative e sportive, in quanto: le contestazioni mosse dal detenuto al
provvedimento attenevano al merito dei fatti sulla base dei quali l’atto era stato

al precedente art. 39, comma 1, nn. 4) e 5), consente al magistrato di sorveglianza
il sindacato sul merito del provvedimento disciplinare quando questo si sostanzi
nell’isolamento durante la permanenza all’aria aperta ovvero nell’esclusione dalle
attività in comune;
che per la riforma di tale decreto Di Giacomo ha proposto reclamo (atto da lui
stesso sottoscritto il 23 giugno 2017) al Tribunale di sorveglianza di Roma
deducendo l’insussistenza dei fatti che avevano determinato l’irrogazione della
sanzione disciplinare;
che il fascicolo d’ufficio contenente l’impugnazione risulta essere stato rimesso a
questa Corte con lettera di trasmissione del cancelliere dell’ufficio di sorveglianza di
Viterbo il 26 giugno 2017 e fra gli atti trasmessi non risulta provvedimento
dispositivo della trasmissione emesso dal Magistrato di sorveglianza;
che, nonostante tale anomalia, questa Corte ha obbligo di pronunciarsi sul
reclamo sopra indicato previa conversione dello stesso in ricorso per cassazione, dal
momento che: al procedimento giurisdizionale relativo all’irrogazione di sanzioni alle
persone detenute si applicano, per quanto qui interessa, le regole processuali
contenute nell’art. 666 cod. proc. pen. (artt. 69, comma 6,

35-bis, comma 1, ord.

pen.); contro il decreto emesso de plano dal magistrato di sorveglianza (art. 666,
comma 2, cod. proc. pen.) non è ammesso reclamo al tribunale di sorveglianza ma
solo ricorso per cassazione (art. 666, comma 2, ultima proposizione, cod. proc.
pen.);
che nel caso di impugnazione proposta a giudice incompetente: il giudice adito prescindendo da qualunque analisi valutativa in ordine alla indicazione di parte, se
frutto cioè di errore-ostativo o di scelta deliberata – deve limitarsi semplicemente, in
applicazione della regola dettata dall’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., a prendere
atto della volontà di impugnare (elemento minimo questo che dà esistenza giuridica
all’atto proposto e lascia impregiudicata la sua validità) ed a trasmettere gli atti al
giudice competente; tale fenomeno è dommaticamente inquadrabile nella categoria
dell’esatta qualificazione giuridica dell’atto; il potere di procedere a tale
qualificazione e di accertare l’esistenza dei requisiti di validità dell’atto è riservato in
via esclusiva al giudice competente a conoscere, secondo la previsione del sistema

emesso; l’art. 69, comma 6, lett. a), ord. pen., mediante il rinvio formale recettizio

delineato dal codice, sia dell’ammissibilità che della fondatezza dell’impugnazione;
la trasmissione degli atti al giudice competente non richiede necessariamente un
provvedimento giurisdizionale, ma può avvenire anche con un atto di natura
meramente amministrativa (in questo senso, cfr. Cass. S.U., n. 45371 del 31
ottobre 2001, Bonaventura, Rv. 22022);
che, in applicazione della regola in questione, il reclamo da Di Giacomo
presentato al Tribunale di sorveglianza di Roma per la riforma del sopra indicato

ricorso per cassazione;
che il ricorso è manifestamente inammissibile, contenendo lo stesso doglianze di
merito relative alla dedotta ingiustizia della sanzione disciplinare;
che, alla luce del contenuto precettivo dell’art. 69, comma 6, lett. a), ord. pen.
l’ambito del controllo demandato al magistrato di sorveglianza in sede di decisione
sul reclamo proposto dal detenuto per la revoca dell’atto di irrogazione di una
sanzione disciplinare diversa da quelle specificamente indicate dal precedente art.
39, comma 1, nn. 4) e 5) (id est: isolamento durante la permanenza all’aria aperta;
esclusione dalle attività in comune), è circoscritto alla verifica dell’osservanza delle
norme riguardanti l’esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza
dell’organo che ha irrogato la sanzione, la contestazione degli addebiti e la facoltà di
discolpa; restando dunque estranea a tale ambito ogni questione attinente al merito
della sanzione (in questo senso, cfr. Cass. Sez. 1, n. 4776 del 25 gennaio 2011,
Zanetti, Rv. 249561; Cass. Sez. 1, n. 46051 del 4 novembre 2004, Gangi, Rv.
230206);
che nessun potere di sindacato sul merito del provvedimento dispositivo della
sopra indicata sanzione è dunque dato nel caso concreto al magistrato di
sorveglianza;
che la richiesta di riesame del merito del provvedimento disciplinare era dunque
manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge; con conseguente
sussistenza del presupposto richiesto dall’art. 665, comma 2, cod. proc. pen. per
l’emissione di provvedimento senza previa instaurazione del contraddittorio fra
detenuto e Amministrazione penitenziaria e fissazione di udienza camerale di
discussione secondo le indicazioni recate dai commi 3 e 4 dello stesso art. 666;
che il ricorso è, in definitiva, inammissibile e da tale statuizione deriva la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione
pecuniaria che si stima equo determinare in euro duemila, da versare alla Cassa
delle ammende (art. 616 cod. proc. pen.).
P.Q.M.

2

decreto, emesso de plano dal Magistrato di sorveglianza di Viterbo è da convertire in

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di duemila euro alla Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma il 22 febbraio 2018.

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