Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37425 del 28/03/2013


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Penale Sent. Sez. U Num. 37425 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: CORTESE ARTURO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Favellato Vincenzo, nato a Fornelli il 17/07/1958

avverso la sentenza del 15/12/2011 della Corte di appello di Campobasso

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Arturo Cortese;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Massimo Fedeli,
che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 28/03/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 29 aprile 2010 il Tribunale di Isernia, in esito a giudizio
abbreviato, assolveva Vincenzo Favellato, per non essere il fatto previsto dalla
legge come reato, dall’imputazione di cui all’art. 10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n.
74, per avere omesso, in qualità di legale rappresentante della Cedis S.r.l., di
versare entro il termine annuale del 31 ottobre 2005, previsto per la
presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta (mod. 770/2005

agli emolumenti erogati nell’anno d’imposta 2004, per un ammontare
complessivo pari a C 113.428,98.
Rilevava in particolare il Tribunale che la contestata norma incriminatrice era
stata introdotta dall’art. 1, comma 414, legge n. 311 del 2004 (c.d. Finanziaria
2005), entrata in vigore il 10 gennaio 2005, ed era quindi applicabile, ex artt. 27
Cost. e 2 cod. pen., solo a condotte successive a tale data, non potendosi
penalizzare chi, come l’imputato, all’atto del comportamento omissivo,
verificatosi alle cadenze mensili previste per i versamenti delle ritenute operate
nel 2004, era convinto di violare solo una norma tributaria sanzionata a livello
amministrativo.
Su appello del Pubblico Ministero, con sentenza del 15 dicembre 2011 la
Corte di appello di Campobasso, in riforma della sentenza di primo grado,
dichiarava il Favellato colpevole del reato ascrittogli e, con le attenuanti
generiche e le diminuenti di cui all’art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000 e all’art. 442 cod.
proc. pen., lo condannava alla pena, interamente condonata, di C 3.040,00 di
multa, in sostituzione della pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione.

2. Avverso la sentenza di condanna l’imputato, a mezzo del suo difensore,
ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, deducendo, col primo motivo,
inosservanza o erronea applicazione della legge penale (art. 606, lett. b, cod.
proc. pen.), atteso che il fatto non era previsto dalla legge come reato al
momento della asserita commissione. Con la legge n. 311 del 2004 (c.d.
Finanziaria per il 2005), il legislatore avrebbe infatti reintrodotto la sanzione
penale, già prevista dalla legge n. 516 del 1982, e poi abrogata dal d.lgs. n. 74
del 2000, per l’omesso versamento delle ritenute certificate, così sanzionando la
condotta omissiva con norme entrate in vigore solo il 10 gennaio 2005.
Vero è che il riferimento, contenuto nel nuovo art.

10-bis, al termine

previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta,
come momento di consumazione del reato, indurrebbe a ritenere punite anche le
condotte omissive tenute dai contribuenti nel periodo di imposta 2004, per le

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ordinario), le ritenute, risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti, relative

quali il termine anzidetto viene a scadere il 30 settembre (ovvero 31 ottobre)
2005. Sennonché, il necessario coordinamento della nuova figura criminosa con
il complesso delle norme tributarie relative alle ritenute certificate (artt. 26 SS.
d.P.R. n. 600 del 1973) e il principio di irretroattività della legge penale
impongono, secondo il ricorrente, di limitare l’applicazione della reintrodotta
fattispecie penale alle sole omissioni relative a obblighi tributari insorti dopo il 1°
gennaio 2005, ponendosi un’eventuale diversa opinione in contrasto con l’art.
25, comma secondo, della Costituzione.

applicazione della legge penale (art. 606, lett.

b, cod. proc. pen.), per la

mancanza dell’elemento psicologico richiesto dal legislatore per l’integrazione del
reato. Il versamento delle ritenute entro il termine, previsto dalla normativa
tributaria, del giorno sedici del mese successivo a quello di pagamento dei
corrispettivi ai collaboratori, sarebbe stato infatti omesso dall’imputato nella
convinzione – basata sulla normativa all’epoca vigente e sull’impossibilità di
potersi prefigurare una nuova rilevanza penale dell’inadempimento
dell’obbligazione tributaria – di esporsi solo a un illecito amministrativo.
L’assenza dell’elemento psichico deriverebbe anche dalla mancata prova del
dolo specifico, previsto espressamente dall’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 ma
costituente implicito requisito — derivante dall’esigenza costituzionalmente
imposta di un’equiparazione di trattamento — di tutte le fattispecie incriminatrici
presenti nello stesso corpus normativo.
L’incertezza conoscitiva e

interpretativa suscitata dall’art.

10-bis non

potrebbe, infine, non rilevare sotto il profilo della c.d. ignoranza inevitabile della
norma penale, quale riconosciuta dalla Corte costituzionale con la sentenza n.
364 del 1988.
Con un terzo e ultimo motivo il ricorrente ha dedotto inosservanza o erronea
applicazione della legge penale (art. 606, lett. b, cod. proc. pen.), sul rilievo che
l’intervenuta sanatoria dell’esposizione debitoria nei confronti dell’Erario e il
pesante ritardo dei pagamenti a lui dovuti dalla P.A. dimostrerebbero che il
mancato tempestivo adempimento dell’obbligazione tributaria era imputabile solo
ad una oggettiva e incolpevole difficoltà finanziaria dell’impresa.

3. La Terza Sezione penale, assegnataria della causa, con ordinanza n.
49087 del 20 novembre 2012, l’ha rimessa alle Sezioni Unite, ravvisando un
persistente contrasto giurisprudenziale sulla questione di diritto posta con il
primo motivo di ricorso.
La Sezione rimettente ha ripercorso il complesso iter normativo in materia di
sanzioni per l’omesso versamento delle ritenute, evidenziando che l’iniziale

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Con un secondo motivo il ricorrente ha denunciato inosservanza o erronea

repressione penale (prevista nell’art. 2 d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito
dalla legge 7 agosto 1982, n. 516) del mancato rispetto del termine (previsto
dall’art. 8 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602) del quindicesimo giorno del mese
successivo a quello in cui erano state operate, fu sostituita (con l’art. 3 d.l. 16
marzo 1991, n. 83, convertito dalla legge 15 maggio 1991, n. 154) — con una
successione normativa interpretata a suo tempo da Sez. 3, n. 14160 del
03/11/1999, Di Grisostomo, Rv. 214917, nel senso della inestensibilità della
nuova disciplina alle già verificatesi omissioni mensili — dal sanzionamento

certificazione rilasciata ai sostituiti) per il mancato rispetto, oltre una certa soglia
economica (diversa nelle due ipotesi), del termine previsto per la presentazione
della dichiarazione annuale relativa all’anno precedente. Si passò quindi, con il
d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, alla esclusione di ogni fattispecie di reato,
residuando, per il mancato rispetto del termine del quindicesimo (poi divenuto
sedicesimo) giorno del mese successivo a quello della effettuazione delle
ritenute, la sola sanzione amministrativa di cui all’art. 13 d.lgs. 18 dicembre
1997, n. 471. Vi fu infine il ripristino, con l’art. 10-bis d.lgs 10 marzo 2000, n.
74, inserito dall’art. 1, comma 414, legge 30 dicembre 2004, n. 311, ed entrato
in vigore in data

10 gennaio 2005, della sanzione penale per il mancato

versamento, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione
annuale di sostituto d’imposta relativa all’anno precedente, per un ammontare
superiore a Euro cinquantamila per ciascun periodo d’imposta, delle ritenute
risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti.
3.1. Sul rapporto di tale ultima previsione con le omissioni dei versamenti
mensili già verificatesi prima della sua entrata in vigore, l’ordinanza di
rimessione richiama un primo orientamento, che ha considerato applicabile l’art.
10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, anche all’omesso versamento delle ritenute
fiscali operate dal sostituto di imposta nell’anno 2004. Tale indirizzo è stato
inaugurato da Sez. 3, n. 25875 del 26/05/2010, Olivieri, Rv. 248151, nella quale
si sottolinea che non è ravvisabile alcuna sovrapposizione fra l’art. 10-bis e l’art.
13 d.lgs. n. 471 del 1997. Mentre infatti la sanzione amministrativa prevista da
questa norma riguarda il mancato rispetto del termine del giorno sedici del mese
successivo a quello di effettuazione delle ritenute, fissato per il versamento delle
stesse all’Erario, la reintrodotta sanzione penale ha ad oggetto il mancato
versamento, oltre un certo ammontare, delle ritenute complessivamente operate
nell’anno di imposta, entro il termine (30 settembre, per il Mod. 770
semplificato, ovvero 31 ottobre, per il Mod. 770 ordinario) stabilito per la
presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta relativa all’anno
precedente. E’ solo in ragione del protrarsi della inadempienza, oltre la soglia

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contravvenzionale ovvero delittuoso (in caso di ritenute risultanti dalla

stabilita, della permanente obbligazione tributaria fino al maturare di tale
scadenza, che si verifica l’evento dannoso per l’Erario e la consumazione della
prevista fattispecie penale, non ostando al riguardo il già verificatosi mancato
rispetto del termine stabilito per i versamenti mensili, rilevante esclusivamente
sul piano della normativa amministrativa fiscale.
Sulla stessa linea – ricorda la Sezione rimettente – si colloca Sez. 3, n. 7588
del 12/01/2012, Screti, la quale, dal rilievo che l’art.

10-bis configurerebbe un

reato omissivo istantaneo, consumantesi nel momento di scadenza del termine

effettuazione delle ritenute, trae la logica conseguenza che, per le ritenute
riferite al 2004, il cui mancato versamento alle previste scadenze mensili non ha
alcuna rilevanza penale, la condotta si sarebbe verificata interamente sotto la
disciplina della nuova legge, non potendo, quindi, essere invocato il principio di
irretroattività della norma penale (operante, come tale, per i soli fatti già esauriti
al momento della sua entrata in vigore).
La sentenza Screti si fa anche carico della diversa soluzione cui a suo tempo
era pervenuta la citata sentenza Di Grisostomo in relazione alla sostituzione
dell’art. 2 d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito dalla legge 7 agosto 1982, n.
516, operata dall’art. 3 d.l. 16 marzo 1991, n. 83, convertito dalla legge 15
maggio 1991, n. 154, evidenziando che in tale circostanza si versava in una
ipotesi di successione di leggi penali, laddove l’art. 10-bis è intervenuto in una
materia sanzionata solo su un piano amministrativo.
3.2. In senso contrario all’orientamento illustrato, l’ordinanza di rimessione
richiama Sez. 3, n. 18757 del 08/02/2012, Germani, Rv. 252619 (seguita poi
anche da Sez. 3, n. 15025 del 09/10/2012, dep. 2013, Innocenti), la quale,
richiamandosi espressamente al criterio già elaborato dalla sentenza Di
Grisostomo, individua nel rapporto fra l’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471,
e l’art.

10-bis d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, una successione di norme

sanzionatorie, regolante in sostanza, con spostamento del termine di
adempimento e inasprimento repressivo, la stessa condotta omissiva, con la
conseguenza che il momento di consumazione dell’illecito, non importa se
amministrativo o penale, non può essere che unico e identificarsi nella scadenza
del termine utile per realizzare la condotta doverosa, quale stabilito dalla legge
vigente al momento in cui i singoli versamenti dovevano essere effettuati. Per le
ritenute operate nel 2004, il termine (secondo la legge vigente) scadeva il giorno
15 (rectius: 16) del mese successivo, onde per tutte le omissioni relative alle
ritenute del 2004 (ad eccezione delle ritenute del mese di dicembre) gli illeciti si
sarebbero già perfezionati al momento dell’entrata in vigore dell’art. 10-bis (1°

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per la presentazione della dichiarazione nell’anno successivo a quello di

gennaio 2005), applicabile soltanto agli omessi versamenti delle ritenute operate
dal dicembre 2004 in avanti.
L’eventuale lettura della nuova norma penale come statuizione prorogante
con effetto retroattivo termini già scaduti, con correlativa restituzione di effetti a
illeciti già consumati e perfezionati, si porrebbe in palese contrasto con il
principio di irretroattività delle norme penali e con il divieto del bis in idem.
In ragione del descritto contrasto, la Sez. 3 ha rimesso il ricorso del

4. Il Primo Presidente, con decreto del 21 dicembre 2012, ha assegnato il
ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la sua trattazione l’odierna udienza del 28
marzo 2013.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Le Sezioni Unite sono chiamate a pronunciarsi sulla seguente questione:
«se l’art. 10-bis d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, inserito dall’art. 1, comma 414,
legge 30 dicembre 2004, n. 311, ed entrato in vigore in data 10 gennaio 2005 —
il quale punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa,
entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di
sostituto d’imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti,
per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo di
imposta —, si applichi anche alla omissione, entro la scadenza del 31 ottobre
2005 (prevista quale termine per la presentazione della dichiarazione mod.
770/2005 ordinario), dei versamenti delle ritenute relative all’anno 2004, che
dovevano essere, sotto comminatoria di sanzione amministrativa, e non sono
stati, effettuati nel corso del 2004 alle singole scadenze mensili previste; ovvero
se, in alternativa, debba ritenersi che l’illecito consumatosi alla data delle singole
scadenze mensili del 2004, punibile solo con la sanzione amministrativa vigente
all’epoca della sua consumazione, precluda l’applicazione, in relazione ai fatti che
ne costituiscono oggetto, della nuova norma penale».

2. Per la corretta soluzione della questione e per la stessa comprensione del
contrasto giurisprudenziale manifestatosi al riguardo, è indispensabile ricostruire
l’evoluzione subita dalla normativa in materia di sanzionamento dell’omesso
versamento delle ritenute fiscali, a partire dall’originaria previsione di cui all’art.
2 d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito dalla legge 7 agosto 1982, n. 516.
Prima ancora, può essere però utile tracciare, anche se per sommi capi, le
caratteristiche del meccanismo di riscossione dell’imposta mediante sostituzione.

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Favellato alle Sezioni Unite.

2.1. La sostituzione è uno strumento impositivo con il quale
l’Amministrazione finanziaria, in luogo della riscossione dell’imposta direttamente
dal percettore del reddito, incassa il tributo da un altro soggetto, che è quello
che eroga gli emolumenti, il quale assume la qualifica di “sostituto” d’imposta ed
è tenuto al pagamento del tributo in luogo dell’altro (normale soggetto passivo,
c.d. “sostituito”), previo l’obbligatorio prelievo di una percentuale (c.d. “ritenuta
alla fonte”), da versare all’Erario (generalmente entro i primi sedici giorni del
mese successivo a quello di effettuazione delle ritenute: v. art. 8 d.P.R. n. 600

la sua ragion d’essere nell’esigenza pratica di colpire la ricchezza da tassare nel
momento della produzione, prima ancora che giunga nella disponibilità del
destinatario.
Il campo di applicazione della riscossione mediante sostituzione è definito
dalla legislazione tributaria (v. Titolo III del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600).
In via schematica ed esemplificativa può affermarsi che sono tenuti ad effettuare
la ritenuta alla fonte, al momento dell’erogazione, gli enti pubblici, gli istituti di
credito, i soggetti esercenti attività di impresa, ovvero artistica e professionale,
che corrispondono redditi di lavoro dipendente o assimilati, redditi di lavoro
autonomo, redditi di capitale, provvigioni inerenti a rapporti di commissione,
agenzia, mediazione, rappresentanza di commercio e procacciamento d’affari o
redditi diversi.
L’operatività del meccanismo di sostituzione d’imposta comporta
l’adempimento di alcuni obblighi strumentali a carico del sostituto, il quale deve:
1) rilasciare al sostituito (entro il 28 febbraio – 15 marzo all’epoca dei fatti dell’anno successivo: v. art. 4, commi 6-ter e 6-quater, d.P.R. 22 luglio 1998, n.
322; art 37, comma 10, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4
agosto 2006, n. 248) una certificazione attestante l’ammontare complessivo
delle somme corrisposte e delle ritenute operate in modo da permettere al
soggetto passivo di documentare e di dimostrare il prelievo subito; 2) presentare
annualmente (entro il termine del 31 luglio – 30 settembre o 31 ottobre, a
seconda dell’utilizzo del Mod. 770 semplificato o del Mod. 770 ordinario, in
riferimento all’epoca dei fatti – dell’anno successivo: v. art. 4, comma 3-bis,
d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322; art. 5, comma 1, lett. b, d.P.R. 16 aprile 2003 n.
126, e art. 4, comma 1, lett.

c, d.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435) una

dichiarazione unica di sostituto d’imposta dalla quale risultino tutte le somme
pagate e le ritenute operate nell’anno precedente.
A loro volta i contribuenti sono obbligati a conservare le certificazioni così
rilasciate e ad esibirle a richiesta degli uffici competenti per i dovuti controlli (v.
art. 3, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600).

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del 1973), della somma oggetto di erogazione (costituente reddito). L’istituto ha

2.2. L’art. 2 d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito dalla legge 7 agosto
1982, n. 516, nel suo testo originario, così recitava:
«1. E’ punito con l’arresto fino a tre anni o con la ammenda fino a lire sei
milioni:
1) chiunque, essendovi obbligato, omette di presentare la dichiarazione
annuale di sostituto di imposta se l’ammontare delle somme pagate e non
dichiarate è superiore a lire venticinque milioni;
2) chiunque nella dichiarazione annuale presentata in qualità di sostituto di

l’ammontare delle ritenute non operate sulle somme pagate è superiore
globalmente a dieci milioni di lire e, con riferimento al singolo percipiente, al
cinque per cento delle ritenute operate. Nei casi in cui nella dichiarazione non
dovevano essere indicati i percipienti, la pena si applica se l’ammontare delle
ritenute non operate è superiore all’uno per mille dello ammontare delle ritenute
dichiarate;
3) chiunque nella dichiarazione annuale presentata in qualità di sostituto di
imposta indica gli ammontari di cui all’ articolo 7 del decreto del presidente della
repubblica 29 settembre 1973, n. 600 , in misura inferiore di oltre un milione di
lire a quella risultante dalle annotazioni nelle scritture contabili».
«2. Chiunque non versa all’erario le ritenute effettivamente operate, a titolo
di acconto o di imposta, sulle somme pagate è punito con la reclusione da due
mesi a tre anni e con la multa da un quarto alla metà della somma non versata».
Lo stesso articolo venne così sostituito dall’art. 3 d.l. 16 marzo 1991, n. 83,
convertito dalla 15 maggio 1991, n. 154:
«1. Chiunque, essendovi obbligato, omette di presentare la dichiarazione
annuale di sostituto d’imposta, se l’ammontare delle somme pagate e non
dichiarate è superiore a lire cinquanta milioni per periodo d’imposta, è punito con
l’arresto fino a due anni o con l’ammenda fino a lire cinque milioni. Ai fini del
presente comma non si considera omessa la dichiarazione presentata entro
novanta giorni dalla scadenza del termine prescritto o presentata ad un ufficio
incompetente o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al
modello prescritto».
«2. é punito con l’arresto fino a tre anni o con l’ammenda fino a lire sei
milioni chiunque, in qualità di sostituto d’imposta, al di fuori del caso di cui al
comma 3, non versa entro il termine previsto per la presentazione della
dichiarazione annuale ritenute alle quali è obbligato per legge relativamente a
somme pagate, per un ammontare complessivo per ciascun periodo d’imposta
superiore a lire cinquanta milioni. Non si tiene conto delle ritenute non versate

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imposta indica le ritenute operate in misura inferiore a quella dovuta, se

che, in relazione al singolo percipiente, risultano inferiori al 5 per cento delle
ritenute ad esso relative».
«3. Chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della
dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla
certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare complessivo superiore a
lire venticinque milioni per ciascun periodo d’imposta, è punito con la reclusione
da tre mesi a tre anni e con la multa da lire tre milioni a lire cinque milioni; se il
predetto ammontare complessivo è superiore a dieci milioni di lire ma non a

dell’arresto fino a tre anni o dell’ammenda fino a lire sei milioni».
«4.

Se coesistono i reati di mancata presentazione della dichiarazione

annuale di sostituto d’imposta e di mancato versamento delle ritenute di cui,
rispettivamente, ai commi 1 e 2, si applicano le sole pene previste al comma 2».
Successivamente, con il comma 1 dell’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n.
471, venne disposto quanto segue:
«1. Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i
versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a
saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi
l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è
soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non
versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo
rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore
imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti effettuati con un
ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al primo periodo, oltre a
quanto previsto dal comma 1 dell’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, è
ulteriormente ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno
di ritardo. Identica sanzione si applica nei casi di liquidazione della maggior
imposta ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e ai sensi dell’art. 54-bis del d.P.R. 26
ottobre 1972, n. 633».
Il d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, abrogò poi espressamente (con l’art. 25, lett.
d)) il titolo I del d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito dalla legge 7 agosto 1982,
n. 516, che conteneva la repressione dei reati in materia di imposte sui redditi e
sul valore aggiunto, ivi compresi tutti i reati a carico del sostituto di imposta, e,
nell’ambito della nuova disciplina in materia di reati tributari che introduceva,
non previde fattispecie di reato in continuità normativa rispetto a quella di cui al
citato art. 2 della legge n. 516.
Sennonché, in un successivo ripensamento delle proprie scelte politicocriminali, il legislatore, con l’art. 1, comma 414, legge 30 dicembre 2004, n. 311

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venticinque milioni di lire per ciascun periodo d’imposta si applica la pena

(Legge finanziaria per l’anno 2005), inserì nell’impianto normativo del d.lgs. 10
marzo 2000, n. 74 (contenente la disciplina dei reati in materia di imposte
dirette ed IVA), l’art.

10-bis dal titolo «Omesso versamento di ritenute

certificate», che così recitava:
«1. È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa
entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di
sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti,
per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo di

2.3. Come risulta chiaramente dall’excursus normativo esposto, in origine
era sanzionato penalmente, dal comma secondo dell’art. 2 d.l. 10 luglio 1982, n.
429, convertito dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, l’omesso versamento, alle
scadenze (mensili) previste, delle ritenute operate, indipendentemente da altre
condizioni.
Tale norma venne completamente sostituita dall’art. 3 d.l. 16 marzo 1991,
n. 83, convertito dalla 15 maggio 1991, n. 154, che, in luogo degli omessi
versamenti mensili, sanzionò penalmente il mancato versamento delle ritenute
entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale,
condizionando e graduando la sanzione al raggiungimento di certe soglie di
omissione e alla sussistenza o meno della certificazione delle ritenute stesse.
Nella vigenza di tali fattispecie penali, con il comma 1 dell’art. 13 d.lgs. 18
dicembre 1997, n. 471, si reintrodusse una sanzione amministrativa per
l’omissione dei versamenti dovuti «alle prescritte scadenze».
Con l’entrata in vigore del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, venne abolita ogni
sanzione penale per l’omesso versamento delle ritenute, come pacificamente
riconosciuto dalla giurisprudenza dell’epoca (Sez. 3, n. 3714 del 21/11/2000,
Piacente, Rv. 218183; Sez. 3, n. 39178 del 05/10/2001, Romagnoli, Rv.
220360), mentre restò in vigore la citata previsione del comma 1 dell’art. 13
d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.
Con l’introduzione dell’art. 10-bis nel d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, operata
dall’art. 1, comma 414, legge 30 dicembre 2004, n. 311, venne ripristinata una
sanzione penale in relazione al mancato versamento delle ritenute entro il
termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale, purché fosse
raggiunta una certa soglia di omissione (C 50.000) e si trattasse di ritenute
risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti.

3. Si può ora dar conto del contrasto manifestatosi nella giurisprudenza di
legittimità in ordine all’applicabilità o meno della nuova fattispecie incriminatrice

10

imposta».

del citato art. 10-bis alle ritenute fiscali operate dal sostituto di imposta nell’anno
2004.
3.1. Un primo orientamento, inaugurato

da Sez. 3, n. 25875 del

26/05/2010, Olivieri, Rv. 248151 (e seguito poi da Sez. 3, n. 7588 del
12/01/2012, Screti; Sez. 3, Sentenza n. 27719 del 04/04/2012, Bregoli; Sez. 3,
n. 27720 del 04/04/2012, Fumo; Sez. 3, n. 47606 del 04/04/2012, Verini; Sez.
3, n. 178 del 05/07/2012, dep. 2013, Spriano), ha dato risposta positiva al detto
quesito, affermando il principio di diritto secondo il quale «il reato di omesso

retribuzioni dei lavoratori dipendenti si consuma alla scadenza del termine per la
presentazione della dichiarazione annuale, in quanto è solo con il maturare di
tale termine che si verifica l’evento dannoso per l’erario, previsto dalla fattispecie
penale, ed è punibile a titolo di dolo generico, richiedendo la mera
consapevolezza della condotta omissiva».
La citata decisione, premessa l’autonomia temporale e concettuale della
nuova fattispecie criminosa introdotta dall’art.

10-bis d.lgs. n. 74 del 2000

(introdotto dall’art. 1, comma 414, legge 30 dicembre 2004, n. 311, entrata in
vigore il 10 gennaio 2005), rispetto alla precedente disciplina di cui all’art. 2 d.l.
10 luglio 1982, n. 429 (convertito dalla legge 7 agosto 1982, n. 516),
definitivamente abrogata dal d.lgs. n. 74 del 2000, ha rilevato che, nei reati
omissivi, la fattispecie criminosa si realizza con il mancato compimento
dell’azione richiesta dalla norma entro la scadenza del termine all’uopo previsto.
Alla stregua di tanto, la fattispecie penale prevista dall’art. 10-bis d.lgs. n. 74 del
2000 non può essere confusa con quella, assoggettata a sola sanzione
amministrativa, dell’inadempimento all’obbligo di versamento, alle previste
scadenze mensili, delle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori
dipendenti, come disciplinata dalla normativa tributaria. La (nuova) fattispecie
penale prende infatti in considerazione, ai fini del raggiungimento di una
determinata soglia di punibilità, le ritenute complessivamente operate nell’anno
di imposta, e prevede quale termine per l’adempimento quello stabilito per la
presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta (30 settembre
— ovvero 31 ottobre — dell’anno successivo). E’, quindi, solo con l’inutile
maturare di tale scadenza che si verifica l’evento dannoso per l’Erario ritenuto
penalmente rilevante (punto confermato anche da Sez. 3, n. 27738 del
21/02/2012, Cardamone), restando indifferenti a tal fine (come sottolineato
anche da Sez. 3, n. 178 del 05/07/2012, dep. 2013, Spriano) le singole
omissioni mensili in sé considerate, che la normativa tributaria assoggetta a
sanzione amministrativa.

11

versamento, da parte del sostituto d’imposta, delle ritenute operate sulle

Nella ricostruzione in esame, è la inadempienza alli obbligazione tributaria,
rimasta in piedi dopo la inutile scadenza dei termini mensili per il versamento
delle ritenute fiscali, che, ove superi una determinata soglia riferita all’anno di
imposta, viene ad essere configurata come reato in relazione all’ulteriore
scadenza (annuale) fissata per il pagamento. Sul punto si è giunti ad affermare
che «lo spostamento del termine ultimo per la dichiarazione obbligatoria a data
posteriore all’entrata in vigore della legge sostituisce integralmente i termini
periodici anteriormente vigenti e mette il cittadino in condizione di adempiere

Bregoli), così prevedendosi, «a fronte della possibilità di regolarizzazione in
assenza di oneri aggiuntivi e di sanzioni in relazione alle omissioni già
verificatesi, una nuova e futura scadenza il cui mancato rispetto integra una
nuova fattispecie di reato» (Sez. 3, n. 27720 del 04/04/2012, Fumo).
Della conclusione cui perviene l’indirizzo in discorso è stato anche escluso
qualsiasi contrasto con il principio di irretroattività della norma penale. Sez. 3, n.
7588 del 12/01/2012, Screti (che ha ripreso e approfondito le argomentazioni di
Sez. 3, n. 25875 del 26/05/2010, Olivieri, Rv. 248151), ha sul punto osservato
che tale principio non può venire in rilievo a fronte di una condotta che, pur
riguardando ritenute operate nel 2004, si è perfezionata per intero sotto la
disciplina della nuova legge. Infatti, fino alla scadenza del termine (fissato al 30
settembre – ovvero 31 ottobre) per la presentazione della dichiarazione relativa
all’anno precedente, il comportamento omissivo del contribuente non è
penalmente rilevante, e la condotta criminosa si realizza e consuma solo
nell’istante in cui, alla detta scadenza, si registri un’omissione del versamento
che (indipendentemente dalle modalità del suo formarsi) superi la soglia minima
prevista. Anche considerando la condotta come protraentesi nel tempo, è
comunque il momento della consumazione del reato che determina la legge
applicabile, e deve dunque essere applicata quella vigente in tale momento,
anche se diversa e più grave di quella vigente al momento in cui la condotta è
iniziata. Il divieto di retroattività della norma penale opera, invero, solo per i fatti
già esauriti al momento dell’entrata in vigore della nuova fattispecie penale, e
non per quelli che sono ancora in atto, come nel caso delle ritenute operate
nell’anno 2004, il cui termine annuale di versamento scadeva sotto la vigenza
della nuova legge.
Il Legislatore del 2004 – prosegue la sentenza in esame -, con
l’introduzione dell’art. 10-bis, non ha modificato una fattispecie incriminatrice già
in vigore (come accaduto invece in precedenza con riferimento alle modifiche
apportate dalla legge n. 154 del 1991 all’art. 2, comma 3, legge n. 516 del
1982) ma ha introdotto una nuova figura criminosa (sul modello di quella

12

anche in riferimento ai termini già scaduti» (Sez. 3, n. 27719 del 04/04/2012,

precedente, già abrogata), per la repressione dell’omesso versamento delle
ritenute, costituente, all’epoca, un mero illecito amministrativo.
Per quanto concerne poi l’elemento psicologico, si osserva, infine, come la
nuova norma richieda il dolo generico e non quello specifico, e come, al
momento della sua entrata in vigore, il prevenuto, ben consapevole della sua
inadempienza, potesse ancora tenere il comportamento doveroso richiesto.
Di recente anche Sez. 3, n. 47606 del 04/04/2012, Veri, Rv. 253946, nel
rilevare che «protraendosi la condotta omissiva nel tempo, deve trovare

deve ancora esaurire in relazione alla condotta tipica», ha ribadito che «il reato
di omesso versamento, da parte del sostituto d’imposta, delle ritenute operate
sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti si consuma alla scadenza del termine
per la presentazione della dichiarazione annuale anche per i versamenti omessi,
antecedentemente all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 414, della legge n. 311
del 2004, introduttiva dell’art. 10 bis d.lgs. n. 74 del 2000, nel periodo di
imposta 2004 e per i quali le scadenze periodiche mensili siano già maturate,
senza con ciò venirsi a violare il principio di irretroattività della norma penale».
3.2. Di contro all’indirizzo esposto si colloca quello che considera l’art. 10-bis
d.lgs. n. 74 del 2000 inapplicabile all’omesso versamento delle ritenute
certificate operate dal sostituto di imposta nell’esercizio 2004, che rimarrebbe,
quindi, soggetto alla sola sanzione amministrativa.
La decisione che ha in particolare sostenuto tale tesi (Sez. 3, n. 18757 del
08/02/2012, Germani, Rv. 252619, seguita poi da Sez. 3, n. 15025 del
09/10/2012, dep. 2013, Innocenti, dopo l’emissione della presente decisione) si
è richiamata a un importante precedente, costituito da Sez. 3, n. 14160 del
03/11/1999, Di Grisostomo, Rv. 214917, che, affrontando il problema del
rapporto fra l’originario testo dell’art. 2 d.l. 10 luglio 1982, n. 429 (convertito
dalla legge 7 agosto 1982, n. 516), e quello introdotto con l’art. 3 d.l. 16 marzo
1991 n. 83, convertito dalla legge 15 maggio 1991, n. 154, aveva affermato che
«lo spostamento del termine per il versamento all’Erario delle ritenute fiscali
operate a titolo di acconto (normalmente il giorno 15 del mese successivo a
quello in cui è stata effettuata la ritenuta), introdotto con l’art. 3 del d.l. 16
marzo 1991, n. 83 (scadenza del termine per la presentazione della
dichiarazione annuale del sostituto d’imposta), non può incidere sul reato di cui
all’art. 2 della legge 7 agosto 1982, n. 516, allorché questo era già perfetto
all’atto dell’entrata in vigore del d.l. stesso, e ciò in quanto la norma di nuova
introduzione non poteva che essere rivolta al futuro, e cioè alle omissioni di
versamento consumate successivamente all’entrata in vigore della nuova
disposizione».

13

applicazione non già la legge che abbia esaurito i suoi effetti, ma quella che li

A sostegno di questa conclusione, era stato valorizzato il principio per il
quale «il tempo di consumazione, quale che sia la disposizione che si debba o si
intenda applicare, non può essere che unico e, nel caso in esame, doveva essere
individuato, trattandosi di reati omissivi, nel momento della scadenza del
termine utile per realizzare la condotta doverosa, che coincideva con il momento
della scadenza del termine stabilito dalla legge vigente al tempo in cui i
versamenti andavano effettuati (il giorno 15 del mese successivo a quello in cui
è stata effettuata la ritenuta)».

convertito, con modificazioni, dalla legge 15 maggio 1991, n. 154, l’omissione
del versamento delle ritenute alla fonte era divenuta penalmente rilevante solo
quando il loro ammontare superava una certa soglia e il momento consumativo
coincideva con la scadenza del termine per la presentazione (nel corso del
successivo periodo d’imposta) della dichiarazione annuale del sostituto di
imposta. Nel caso esaminato l’omissione dei singoli versamenti entro il termine
(mensile) di cui all’art. 8 d.P.R. n. 602 del 1973 si era già verificata, e il termine
per la dichiarazione annuale, rilevante per la nuova normativa, andava a scadere
sotto il vigore di quest’ultima.
Alla stregua di tanto, il sopravvenuto spostamento del termine per il
versamento non poteva incidere sul reato già consumatosi, e la norma di nuova
introduzione non poteva che ricevere applicazione per le sole omissioni di
versamento verificatesi dopo la sua entrata in vigore.
Nel richiamare tale precedente, la sentenza Germani ha affermato che
«l’omesso versamento delle ritenute alla fonte (da effettuare entro il giorno
quindici del mese successivo) operate nel periodo di imposta 2004 non integra il
reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (introdotto dall’art. 1
comma 414, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, entrato in vigore il 10
gennaio 2005, che ha prorogato il termine per il versamento fino al 30 settembre
2005) ma costituisce l’illecito amministrativo previsto dall’art. 13 del d.lgs. 18
dicembre 1997, n. 471».
La decisione ha confutato il contrario orientamento — fondato sul
presupposto che la condotta prevista dal delitto in questione differirebbe da
quella regolata dalle precedenti disposizioni sanzionatorie amministrative (art. 13
d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471), in ragione di un differente oggetto delle
omissioni (il versamento del totale delle ritenute invece che della quantità
mensile delle medesime) e di un diverso termine per adempiere all’obbligo di
pagamento —, ritenendo decisivi i principi già enunciati dalla sentenza Di
Grisostomo, in quanto maggiormente conformi ai principi costituzionali di
irretroattività delle fattispecie penali incriminatrici e di colpevolezza, e

14

Per effetto delle modifiche apportate dall’art. 3 d.l. 16 marzo 1991, n. 83,

considerando irrilevante la circostanza, valorizzata dall’opposto orientamento,
che nel caso in questione si verserebbe in ipotesi di introduzione di un nuovo
reato a fronte di un precedente illecito amministrativo, mentre, nel caso
(affrontato dalla sentenza Di Grisostomo) della modifica dell’art. 2, comma 3,
della legge n. 516 del 1982 da parte della legge n. 154 del 1991, si versava in
una ipotesi di vera e propria successione di norme penali: in entrambi i casi,
infatti, si sarebbe comunque in presenza di una successione di norme
sanzionatrici di un determinato comportamento. Non vi sarebbe dunque ragione

cui il momento di consumazione dell’illecito, penale o amministrativo che sia,
non può essere che unico e, trattandosi di condotta omissiva, va individuato nel
momento della scadenza del termine utile per realizzare la condotta doverosa, da
identificarsi in quello stabilito dalla legge vigente al momento in cui i singoli
versamenti dovevano essere effettuati. Anche nel caso in esame, si sottolinea,
non possono coerentemente che essere presi in considerazione i termini fissati
dalla legge in vigore al momento delle singole scadenze, con la conseguente
rilevazione del già intervenuto perfezionamento degli illeciti anteriori al
momento dell’entrata in vigore della nuova norma penale. Né, aggiunge la
sentenza, a diverse conclusioni può condurre il fatto che la nuova norma preveda
un reato di natura omissiva istantanea, che si consuma nel momento in cui
scade il termine per la presentazione della dichiarazione annuale, posto che la
stessa natura omissiva istantanea va riconosciuta al precedente illecito
amministrativo, consumatosi al momento di scadenza del termine mensile per il
versamento.
La questione consiste in sostanza, per la pronuncia in esame, nello stabilire
in quale momento si sia perfezionato e consumato l’illecito rappresentato dalle
omissioni di pagamento, che, per la sua unicità, va individuato nel momento di
scadenza del termine stabilito dalla legge vigente al momento in cui i versamenti
dovevano essere effettuati. Per le ritenute operate nel 2004, questo termine,
secondo la legge vigente, scadeva il giorno 15 (rectius 16, in forza dell’art. 18
d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241) del mese successivo, sicché, per tutte le omissioni
relative alle ritenute del 2004 (ad eccezione di quelle del mese di dicembre), gli
illeciti si erano già perfezionati al momento dell’entrata in vigore della nuova
norma penale. La quale, pertanto, potrebbe trovare applicazione soltanto per gli
omessi versamenti delle ritenute operate dal dicembre 2004 in poi. Ove, in
effetti, si dovesse ritenere che la nuova norma penale, attraverso l’artificio della
previsione di un termine di versamento più lungo, avesse prorogato, con effetto
retroattivo, termini già scaduti, così rendendo nuovamente perseguibili illeciti già

15

per non applicare il principio affermato dalla sentenza Di Grisostomo, secondo

consumati e perfezionati, si darebbe luogo a una interpretazione contrastante
con il principio di irretroattività delle norme penali e con il divieto del bis in idem.
E ciò tanto più in considerazione della sostanziale identità, negata
dall’indirizzo di segno opposto, tra la condotta prevista e punita in via
amministrativa dall’art. 13 d.lgs. n. 671 del 1997 e quella, penalmente rilevante,
sanzionata dall’art.

10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Entrambe, infatti,

riguarderebbero l’omesso versamento delle medesime somme,
indipendentemente dalle differenze dell’ammontare e dei termini di riferimento,

versamento del tutto e la somma degli omessi versamenti delle porzioni del
tutto, e non potendo la diversità dei termini di adempimento influire sulla
fisionomia di una fattispecie illecita e sul suo disvalore.
Il comportamento illecito tenuto dal soggetto sarebbe, quindi, il medesimo,
avendo ad oggetto, tanto le sanzioni amministrative quanto la sanzione penale,
la stessa condotta omissiva (il mancato versamento all’Erario) rivolta sul
medesimo oggetto materiale (le ritenute). La nuova norma penale, senza
introdurre un nuovo obbligo di fare, si sarebbe limitata a posticipare il termine
per il versamento delle ritenute certificate al momento della presentazione della
dichiarazione annuale del sostituto d’imposta, rinvigorendo così la sanzione per
una condotta già in precedenza punita in via amministrativa. Fino al gennaio
2005, i termini di versamento cui era sottoposto il sostituto d’imposta
coincidevano con il giorno 15 (rectius 16) del mese successivo a quello in cui
erano state operate le ritenute, e la loro violazione era soggetta alla sanzione
amministrativa. Ciò significava che le ritenute del 2004 (tranne quelle operate in
dicembre) dovevano essere versate dal sostituto nello stesso anno 2004, e
quindi prima dell’entrata in vigore della nuova norma penale. Pertanto, lo
spostamento del termine per procedere al versamento e l’introduzione della
sanzione penale per la relativa omissione, effettuati dall’art. 1, comma 414,
legge n. 311 del 2004, non potrebbero incidere sulle violazioni in questione, già
perfezionatesi all’atto dell’entrata in vigore della nuova legge, e insuscettibili di
ricadere sotto la relativa disciplina, necessariamente rivolta al futuro. Se si
seguisse una interpretazione di segno contrario, l’effetto sarebbe quello di
applicare una seconda sanzione (questa volta di tipo penale) a una violazione già
perfettamente consumata e potenzialmente (se l’illecito fosse stato accertato nel
corso del 2004) già punita con sanzione amministrativa.
Anche a voler ritenere l’astratta non coincidenza fra la (nuova) fattispecie
penale, avente ad oggetto l’omissione unitariamente considerata, e la
(precedente) fattispecie di illecito amministrativo, avente ad oggetto le omissioni
mensili parcellizzate del tutto, si verterebbe comunque, stante la sostanziale

16

non potendosi ravvisare una sostanziale differenza di condotta fra l’omesso

sovrapponibilità delle condotte addebitabili all’agente, in una ipotesi di
successione fra illecito amministrativo ed illecito penale, da risolvere secondo gli
ordinari parametri di cui all’art. 2 cod. pen.
Sul punto la sentenza richiama il principio secondo il quale «allorché un
fatto, già sanzionato amministrativamente, non abbia perduto il carattere di
illiceità, ma lo abbia visto aggravarsi, assurgendo al rango di illecito penale,
mentre non può tenersi conto del più grave regime sanzionatorio (penale)
introdotto successivamente alla sua realizzazione, va applicata a tale violazione

217014). Tale principio, si specifica, non potrebbe essere derogato, in quanto
nella specie non si tratta di fatti e azioni diverse ma dello stesso comportamento,
inteso quale condotta omissiva dell’agente.
Andrebbe, inoltre, adeguatamente considerato che, pur trattandosi di reato
omissivo proprio, istantaneo e di mera condotta (omissione), la fattispecie
contemplerebbe anche una componente attiva, rappresentata dalla certificazione
delle ritenute e dal suo rilascio ai sostituiti; e queste due porzioni della condotta
si sarebbero realizzate, con riferimento alle ritenute dell’anno 2004, in un
momento antecedente all’entrata in vigore della nuova norma penale, ossia in un
momento in cui l’agente non poteva ancora essere a conoscenza del rischio che
avrebbe corso certificando le ritenute e poi non versandole all’Erario.
A questo proposito non sarebbe rilevante la considerazione che
l’effettuazione delle ritenute ed il rilascio della loro certificazione non rientrano
nella fattispecie penale ma ne costituiscono un presupposto. Sulla base dei
principi affermati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988, in
uno Stato di diritto il cittadino deve infatti sempre poter sapere, prima di agire,
se dal suo comportamento possa derivare una sua responsabilità penale e quali
siano le eventuali sanzioni, perché solo a queste condizioni egli può compiere
libere scelte di azione (o di omissione), assumendosi la responsabilità del suo
comportamento. Poiché, secondo la giurisprudenza costituzionale, il principio di
consapevolezza, ricavabile dall’art. 27 Cost., richiede che il cittadino sia
effettivamente libero di agire con la cognizione delle conseguenze della propria
condotta, non ci si potrebbe limitare a prendere in considerazione il momento
della pura omissione, quando l’obbligo di agire non sia assoluto o dipendente da
fattori estranei alla volontà dell’agente, ma derivante piuttosto da una precisa
condotta, volontariamente posta in essere da quest’ultimo.

4. Per quanto concerne la dottrina, se, da un lato, si è osservato che non
sussistono dubbi sulla inapplicabilità della fattispecie incriminatrice per le

17

la sanzione amministrativa» (Sez. 3, n. 6490 del 19/4/2000, Paoletti, Rv.

ritenute operate fino all’anno 2003, è controversa la questione avente ad oggetto
le ritenute effettuate nel periodo di imposta 2004.
Un primo indirizzo ritiene che la fattispecie incriminatrice di omesso
versamento delle ritenute certificate è immediatamente applicabile e, quindi, è
riferibile anche agli omessi versamenti avvenuti prima dell’entrata in vigore della
legge finanziaria per il 2005, e cioè durante il 2004. Si è in proposito rilevato che
tale posizione, quantunque ad una prima lettura possa apparire incompatibile
con il rispetto del principio di irretroattività della norma penale, in realtà risulta

fondamentali dell’impianto penale-tributario sui quali è stata disegnata la riforma
del 2000. Infatti il momento consumativo del reato sarebbe individuabile nel
termine per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta
(fino alla cui scadenza l’inadempienza può, agli effetti penali, essere sanata),
mentre l’inadempimento dei singoli obblighi mensili di versamento rileverebbe
soltanto sul piano sanzionatorio amministrativo. Tali conclusioni sarebbero
perfettamente in linea con la filosofia sottesa al d.lgs. n. 74 del 2000, poiché con
l’art. 10-bis non viene colpito il mancato pagamento dell’imposta nei termini
previsti dalla normativa tributaria ma esclusivamente la condotta omissiva che, a
giudizio del legislatore, comporta, per entità e durata, un danno di rilevante
gravità per l’Erario.
Un secondo indirizzo ritiene invece inapplicabile la nuova norma penale
all’omesso versamento delle ritenute operate nel periodo di imposta 2004. In
tale anno i sostituti di imposta che non avevano provveduto al versamento delle
ritenute alle scadenze mensili avevano già consumato la condotta omissiva
comportante l’illecito amministrativo, senza poter immaginare che una norma
successiva (del 30 dicembre 2004 ed in vigore dal 2005) avrebbe previsto un
ulteriore termine per il pagamento delle ritenute stesse, stabilendo, in caso di
mancato rispetto di tale ulteriore termine, l’applicazione di una sanzione penale.
In ossequio al principio costituzionalmente garantito dell’irretroattività della
legge penale, la norma di nuova introduzione non potrebbe che essere rivolta al
futuro e, cioè, alle omissioni di versamento consumate (anche in via
amministrativa) successivamente alla sua entrata in vigore.

5. La corretta soluzione della questione sottoposta al Collegio richiede
un’approfondita analisi del rapporto fra l’illecito amministrativo di cui al comma 1
dell’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, e l’illecito penale di cui all’ art. 10bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (introdotto con l’art. 1, comma 414, legge 30
dicembre 2004, n. 311).

18

conforme non solo ai principi dell’ordinamento giuridico, ma anche ai pilastri

5.1. L’indirizzo che nega l’applicabilità della norma penale all’omesso
versamento delle ritenute relative al 2004 inquadra in effetti il rapporto fra le
norme in questione in termini di successione di norme sanzionatorie e si richiama
specificamente alle argomentazioni e conclusioni espresse dalla sentenza Di
Grisostomo in ordine al rapporto fra l’originario testo dell’art. 2 d.l. 10 luglio
1982, n. 429 (convertito dalla legge 7 agosto 1982, n. 516), e quello introdotto
con l’art. 3 d.l. 16 marzo 1991 n. 83, convertito dalla legge 15 maggio 1991, n.
154.

Grisostomo riguardava sicuramente una ipotesi di successione di norme
sanzionatorie e, in particolare, una ipotesi di successione di norme penali. In
quel caso, infatti, un determinato fenomeno della realtà, costituito
dall’inadempienza ad obblighi di natura fiscale, già preso in considerazione, a fini
di repressione penale, per il solo fatto del mancato rispetto dei termini (mensili)
fissati dalla normativa tributaria, veniva fatto oggetto, sempre a fini di
repressione penale, di una diversa disciplina, formalmente sostitutiva della
precedente, che definiva in modo nuovo e autonomo i presupposti della condotta
punibile (dando rilievo in particolare alla inutile scadenza del termine fissato per
la dichiarazione annuale, da presentare nell’anno successivo a quello di
riferimento) e le relative sanzioni. Era chiaro, quindi, sotto un profilo anche
formale, che le due discipline non potevano coesistere, e si poneva di
conseguenza il problema di come trattare le fattispecie astrattamente
assoggettabili ad entrambe. La soluzione trovata, ispirata ai principi di
irretroattività e non duplicabilità della sanzione penale e fortemente influenzata va ricordato – dal principio di ultra attività delle norme penali finanziarie di cui
all’art. 20 legge 7 gennaio 1929, n. 29 (poi abrogato dall’art. 24, comma 1,
d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507) e dalla presenza, nel d.l. 16 marzo 1991 n. 83,
convertito dalla legge 15 maggio 1991, n. 154, di disposizioni transitorie, fu nel
senso che i fatti consumati e sanzionati nel regime anteriore alla novellazione
restassero assoggettati solo a questo e non potessero in alcun modo costituire
oggetto della nuova incriminazione (anche se più favorevole).
Con l’introduzione dell’art. 10-bis nel d.lgs. 74 del 2000 non si è, invece,
formalmente determinata la sostituzione di un regime sanzionatorio ad un altro,
ma si è aggiunta, alla generale previsione delle fattispecie di illecito
amministrativo di cui al comma 1 dell’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471
(rimasto in vigore), comprendenti l’omesso versamento, alle previste scadenze
mensili, delle ritenute alla fonte, la previsione di una specifica fattispecie penale,
ruotante sì nell’ambito dello stesso fenomeno omissivo ma ancorata a
presupposti fattuali e temporali nuovi e diversi.

19

Ora, è evidente che la questione esaminata e risolta dalla sentenza Di

In questo caso, quindi, non si pone un problema di successione di norme
sanzionatorie, bensì una questione di eventuale concorso apparente di norme
(penale ed amministrativa), ed è una questione che, evidentemente, non
riguarda solo l’anno 2004 ma anche gli anni successivi (e che, in effetti, si
poneva in termini del tutto analoghi in relazione alla coesistenza, nel periodo di
comune vigenza, fra la norma di cui all’art. 2 d.l. 10 luglio 1982, n. 429,
convertito dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, come sostituito dall’art. 3 d.l. 16
marzo 1991, n. 83, convertito dalla legge 15 maggio 1991, n. 154, e quella di

Detto concorso è regolato dal principio di specialità, quale previsto in
generale nell’art. 9, comma 1, legge 24 novembre 1981, n. 689 (cfr. Sez. 6, n.
11395 del 01/10/1993, Bellone, Rv. 196065) — secondo il quale «Quando uno
stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che
prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che
prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale» —, e che
trova specifica espressione, nella materia in esame, nell’art. 19, comma 1, d.lgs.
74 del 2000, secondo il quale «Quando uno stesso fatto è punito da una delle
disposizioni del titolo II [precisamente dedicato ai “delitti”] e da una disposizione
che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale».
Per stabilire se nel caso in esame si è in presenza di un concorso apparente
o effettivo di norme, si tratta, dunque, di verificare se le norme sanzionatorie in
questione riguardino o meno lo “stesso fatto”.
La risposta a tale quesito è negativa. Entrambi gli illeciti in esame, invero,
sono illeciti omissivi propri, integrati dal mero mancato compimento di un’azione
dovuta.
Com’è noto, gli elementi costitutivi dell’illecito omissivo (di mera condotta)
sono: a) i presupposti, cioè la situazione tipica da cui sorge l’obbligo di agire; b)
la condotta omissiva

(non facere quod debetur); e)

il termine, esplicito o

implicito, alla cui scadenza l’inadempimento dell’obbligo assume rilevanza e si
consuma l’illecito.
Nell’illecito amministrativo di cui al comma 1 dell’art. 13 d.lgs. 18 dicembre
1997, n. 471, il presupposto è costituito dalla erogazione di somme comportanti
l’obbligo di effettuazione della ritenuta alla fonte (artt. 23 ss. d.P.R. n. 600 del
1973) e di versamento della stessa all’Erario con le modalità stabilite (art. 3
d.P.R. n. 602 del 1973), la condotta omissiva si concretizza nel mancato
versamento della ritenuta mensile e il termine per l’adempimento è fissato al
giorno quindici (poi passato al sedici) del mese successivo a quello di
effettuazione della ritenuta (art. 8 d.P.R. n. 602 del 1973).

20

cui al comma 1 dell’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471).

Nell’illecito penale di cui all’art.

10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il

presupposto è costituito sia dalla erogazione di somme comportanti l’obbligo di
effettuazione delle ritenute alla fonte (artt. 23 ss. d.P.R. n. 600 del 1973) e di
versamento delle stesse all’Erario con le modalità stabilite (art. 3 d.P.R. n. 602
del 1973), sia dal rilascio al soggetto sostituito di una certificazione attestante
l’ammontare complessivo delle somme corrisposte e delle ritenute operate
nell’anno precedente (v. art. 4, commi 6-ter e 6-quater, d.P.R. 22 luglio 1998, n.
322); la condotta omissiva si concretizza nel mancato versamento, per un

operate nell’anno di imposta e risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti;
il termine per l’adempimento è individuato in quello previsto (in riferimento
all’epoca dei fatti, 30 settembre ovvero 31 ottobre, a seconda dell’utilizzo del
Modello 770 semplificato o – come avvenuto nel caso di specie – del Modello 770
ordinario: art. 4 d.P.R. n. 332 del 1998) per la presentazione della dichiarazione
annuale di sostituto di imposta relativa all’anno precedente.
Come si vede, pur nella comunanza di una parte dei presupposti (erogazione
di somme comportanti l’obbligo di effettuazione delle ritenute alla fonte e di
versamento delle stesse all’Erario con le modalità stabilite) e della condotta
(omissione di uno o più dei versamenti mensili dovuti), gli elementi costitutivi dei
due illeciti divergono in alcune componenti essenziali, rappresentate in
particolare: dal requisito della “certificazione” delle ritenute, richiesto per il solo
illecito penale; dalla soglia minima dell’omissione, richiesta per il solo illecito
penale; dal termine di riferimento per l’assunzione di rilevanza dell’omissione,
fissato, per l’illecito amministrativo, al giorno quindici (poi passato al sedici) del
mese successivo a quello di effettuazione delle ritenute, e coincidente, per
l’illecito penale, con quello previsto per la presentazione (entro le date del 30
settembre ovvero del 31 ottobre) della dichiarazione annuale di sostituto di
imposta relativa al precedente periodo d’imposta.
Le illustrate divergenze inducono a ricostruire il rapporto fra i due illeciti in
termini, non di specialità, ma piuttosto di “progressione”: la fattispecie penale secondo l’indirizzo di politica criminale adottato in generale dal d.lgs. 74 del
2000 (su cui v. in particolare Corte cost., sent. n. 49 del 2002) – costituisce in
sostanza una violazione molto più grave di quella amministrativa e, pur
contenendo necessariamente quest’ultima (senza almeno una violazione del
termine mensile non si possono evidentemente determinare i presupposti del
reato), la arricchisce di elementi essenziali (certificazione, soglia, termine
allungato) che non sono complessivamente riconducibili al paradigma della
specialità (che, ove operante, comporterebbe ovviamente l’applicazione del solo
illecito penale), in quanto recano decisivi segmenti comportamentali (in

21

ammontare superiore a Euro cinquantamila, delle ritenute complessivamente

riferimento al rilascio della certificazione – che erroneamente la sentenza
Germani colloca nell’anno di effettuazione delle ritenute – e al protrarsi della
condotta omissiva), che si collocano temporalmente in un momento successivo al
compimento dell’illecito amministrativo (v., per un analogo precedente di
esclusione della specialità – in tema di rapporto tra la fattispecie penale prevista
dall’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, relativa all’omesso versamento, in
misura superiore a Euro cinquantamila, per ciascun periodo di imposta, di
somme dovute, derivante dall’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti o

185, art. 27, comma 18, convertito dalla legge n. 2 del 2009, dell’utilizzo in
compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute – Sez.
3, n. 42462 del 11/11/2010, Ragosta, Rv. 248753).
Da quanto sopra discende che la presenza della previsione dell’illecito
amministrativo di cui al comma 1 dell’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, e
la consumazione in concreto di esso, non sono di ostacolo all’applicazione, in
riferimento allo stesso periodo d’imposta e nella ricorrenza di tutti gli specifici
presupposti, della statuizione relativa all’illecito penale di cui all’art. 10-bis d.lgs.
10 marzo 2000, n. 74. La circostanza che in tal modo un fatto integrante uno o
più illeciti minori (omissione di uno o più versamenti di ritenute nel termine
mensile per un ammontare complessivamente superiore a Euro cinquantamila)
assurga, in punto di fatto, a presupposto dell’illecito maggiore, richiedente a sua
volta ulteriori requisiti e caratterizzato da un diverso tempo di realizzazione, non
appare motivo sufficiente per escludere la concorrente applicazione di entrambi
gli illeciti.
La conclusione così assunta in ordine al rapporto sussistente, in via
generale, fra le disposizioni in discorso non si pone in contrasto né con l’art. 4
del Protocollo n. 7 della CEDU, né con l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, che sanciscono il principio del ne bis in idem in materia
penale. Anzitutto, invero, nella specie, come si è visto, non si può parlare di
identità del fatto; in ogni caso, poi, il principio suddetto si riferisce solo ai
procedimenti penali e non può, quindi, riguardare l’ipotesi dell’applicazione
congiunta di sanzione penale e sanzione amministrativa tributaria (in tal senso,
espressamente, Corte di giustizia U.E., 26/02/2013, Aklagaren c. Hans Akerberg
Fransson).
5.2. Quanto finora esposto non risolve tutti i problemi posti dalla questione
sottoposta al Collegio, riguardante in particolare l’applicabilità della nuova norma
penale, entrata in vigore il 10 gennaio 2005, anche a omissioni verificatesi, in
riferimento alla scadenza del termine mensile, nel corso del 2004. Tale

22

inesistenti, e la sanzione amministrativa prevista dal d.l. 29 novembre 2008, n.

applicabilità, infatti, sarebbe contraria, secondo l’orientamento che la esclude,
anche al principio di irretroattività della norma penale.
La tesi non è condivisibile.
Se è vero, infatti, che, al momento della scadenza del “termine fiscale” per il
versamento delle ritenute relative all’anno 2004, il reato in discussione non era
ancora stato introdotto – essendo l’entrata in vigore dell’art.

10-bis d.lgs 10

marzo 2000, n. 74, posteriore a detta scadenza -, è altrettanto vero, però, che
la condotta penalmente rilevante non è l’omesso versamento delle ritenute nel

ritenute certificate nel maggiore termine stabilito per la presentazione della
dichiarazione annuale relativa al periodo di imposta dell’anno precedente.
Pertanto, il soggetto che aveva omesso il versamento delle ritenute per il
2004 nel termine previsto dalla normativa tributaria avrebbe avuto ancora, fino
al 30 settembre o 31 ottobre 2005 (nel caso di specie: 31 ottobre, come
acclarato in sede di merito), la possibilità di assumere le proprie determinazioni
in ordine all’effettuazione di un versamento che, in relazione alle ritenute da lui
stesso certificate dopo l’entrata in vigore della norma penale, mantenesse
l’omissione non oltre la soglia dei cinquantamila euro. La risoluzione di non
provvedere a tanto, che dà luogo alla commissione del reato, si colloca, dunque,
in un’epoca ampiamente successiva alla introduzione della nuova fattispecie
incriminatrice, alla quale non può, pertanto, attribuirsi un effetto retroattivo.
Consegue da tanto la manifesta infondatezza della questione (prospettata
nel ricorso) di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis in riferimento all’art. 25,
comma secondo, della Costituzione.
Un argomento a conforto di tale conclusione sembra potersi implicitamente
trarre dalla ordinanza n. 25 del 2012, con cui la Corte costituzionale (reiterando
in sostanza quanto già affermato con ordinanza n. 224 del 2011) ha dichiarato
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in
riferimento all’art. 3 della Costituzione, della similare norma di cui all’art. 10-ter
del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, limitatamente alle omissioni
relative all’anno 2005, rilevando che la circostanza che il debitore di IVA per
l’anno 2005 venga a disporre, al fine di eseguire il versamento – o, meglio, per
decidere se effettuarlo o meno con la consapevolezza che la sua omissione avrà
conseguenze penali (essendo il pagamento doveroso, in base alla normativa
tributaria, già prima e indipendentemente dall’introduzione della nuova
incriminazione) -, di un termine minore di quello accordato ai contribuenti per gli
anni successivi, non può ritenersi, di per sé, lesiva del parametro costituzionale
evocato, in quanto il termine di oltre cinque mesi e mezzo riconosciuto al
soggetto in questione non può ritenersi intrinsecamente incongruo, ossia

23

termine previsto dalla normativa tributaria, ma il mancato versamento delle

talmente breve da pregiudicare o da rappresentare, di per sé, un serio ostacolo
all’adempimento.
L’orientamento qui confutato richiama a proprio favore anche il principio di
colpevolezza di cui all’art. 27 della Costituzione, in forza del quale, com’è noto,
tutte le volte in cui entra in gioco il dovere d’osservare le leggi penali, la sua
violazione, implicita nella commissione del fatto di reato, non può certamente
divenire rilevante, e dar luogo alla pena, in caso di impossibilità di conoscenza
del precetto (e, pertanto, dell’illiceità del fatto) non ascrivibile alla volontà

Quanto detto in ordine allo spazio di condotta virtuosa consentito al
soggetto dall’entrata in vigore dell’art. 10-bis fino alla scadenza del termine di
presentazione della dichiarazione annuale relativa al periodo d’imposta dell’anno
2004 porta senz’altro a escludere che dal principio di colpevolezza possa
discendere un rilievo ostativo assoluto all’applicabilità della nuova norma penale
alle omissioni di versamento relative a ritenute del detto anno.
Piuttosto, in relazione alle singole fattispecie concrete, possono venire in
rilievo elementi tali da condurre, anche per questioni collegate al divario
temporale fra il momento di effettuazione delle ritenute e l’introduzione della
norma penale, all’esclusione dell’elemento soggettivo del reato. Ciò in particolare
potrebbe verificarsi nel caso in cui l’omissione del versamento nella misura
prevista al momento della scadenza del termine annuale rinviene la sua ragione
esclusiva e non più ovviabile in un comportamento colpevole interamente posto
in essere “prima” dell’introduzione della norma penale, quando le conoscibili e
prevedibili conseguenze di esso consistevano solo in una sanzione
amministrativa.
La relativa problematica sarà, quindi, affrontata in sede di esame della
sussistenza, nella fattispecie concreta, dell’elemento soggettivo del reato.
5.3. Dalle considerazioni che precedono possono dunque enuclearsi i
seguenti principi di diritto:
— «Fra l’art. 10-bis d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, inserito dall’art. 1, comma
414, legge 30 dicembre 2004, n. 311, ed entrato in vigore in data 1° gennaio
2005 (il quale punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non
versa, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale
di sostituto d’imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti,
per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo di
imposta), e il comma 1 dell’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (che
assoggetta alla sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo
non versato chiunque non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze
mensili, i versamenti delle ritenute alla fonte), intercorre un rapporto non di

24

dell’interessato (Corte cost., sent. n. 364 del 1988).

specialità ma di progressione illecita, che comporta l’applicabilità congiunta delle
due sanzioni»;
— «L’art. 10-bis d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, inserito dall’art. 1, comma 414,
legge 30 dicembre 2004, n. 311, ed entrato in vigore in data 10 gennaio 2005, il
quale punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro
il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto
d’imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un
ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo di imposta, è

all’anno 2004, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività
della norma penale».

6. Venendo ora al tema dell’elemento soggettivo, si osserva che il reato in
esame è punibile a titolo di dolo generico. Mentre, invero, molte delle condotte
penalmente sanzionate dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, richiedono che il
comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte,
questa specifica direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal
testo dell’art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000. Per la commissione del reato, basta,
dunque, la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel
periodo considerato. Tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia dei
cinquantamila euro, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a
definirne il disvalore.
La prova del dolo è insita in genere nella duplice circostanza del rilascio della
certificazione al sostituito e della presentazione della dichiarazione annuale del
sostituto (Mod. 770), che riporta le trattenute effettuate, la loro data ed
ammontare, nonché i versamenti relativi.
Il debito verso il fisco relativo al versamento delle ritenute è collegato con
quello della erogazione degli emolumenti ai collaboratori. Ogni qualvolta il
sostituto d’imposta effettua tali erogazioni, insorge, quindi, a suo carico l’obbligo
di accantonare le somme dovute all’Erario, organizzando le risorse disponibili in
modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria.
L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo
termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di
organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere
la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza
del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta
(protrattasi, in sede di prima applicazione della norma, nel 2005) di non far
debitamente fronte alla esigenza predetta (per l’esclusione del rilievo scriminante

25

applicabile anche alle omissioni dei versamenti delle ritenute alla fonte relative

di impreviste difficoltà economiche in sé considerate v., in riferimento alla norma
in esame, Sez. 3, n. 10120 del 01/12/2010, dep. 2011, Provenzale).
Ciò chiarito, si osserva che nel ricorso del Favellato, oltre a invocarsi
infondatamente (alla stregua di quanto sopra illustrato) l’esigenza del dolo
specifico e la sua mancata dimostrazione, nonché l’esclusione dell’elemento
soggettivo in forza della mera sopravvenienza della norma penale rispetto al
verificarsi della violazione dei termini mensili di cui all’art. 8 d.P.R. 602 del 1973,
si allegano altresì, da un lato, l’impossibilità di adempiere in conseguenza del

l’illeggibilità del nuovo precetto penale, inserito ex abrupto in una legge c.d.
omnibus,

con conseguente applicabilità della regola della c.d. ignoranza

inevitabile, scaturita dall’intervento della Corte costituzionale (sent. 364 del
1988) sull’art. 5 cod. pen..
Per quanto concerne la prima delle due ultime allegazioni, rilevasi che la
stessa è generica e in fatto e non reca, in particolare, indicazioni specifiche né
concrete atte a ravvisare una reale impossibilità incolpevole all’adempimento
ovvero a ricondurre la causa esclusiva dell’inadempimento a condotte tenute
prima del 2005.
Relativamente alla invocata regola della c.d. ignoranza inevitabile, è noto
che essa può applicarsi al cittadino comune, sfornito di specifiche competenze,
allorché egli abbia assolto il dovere di conoscenza con l’ordinaria diligenza
attraverso la corretta utilizzazione dei mezzi di informazione, di indagine e di
ricerca dei quali disponga (Sez. 1, n. 25912 del 18/12/2003, dep. 2004,
Garzanti, Rv. 228235), mentre non può validamente essere invocata da chi
svolge una attività rispetto alla quale ha il dovere di informarsi con diligenza
sulla normativa esistente (Sez. 5, n. 22205 del 26/02/2008, Ciccone, Rv.
240440) — ed è certamente questo il caso, ricorrente nella specie, del legale
rappresentante di una società di capitali, tenuto alla puntuale conoscenza e
osservanza (anche attraverso la scelta e l’ausilio di collaboratori competenti)
delle normative correlate allo svolgimento della attività imprenditoriale —, né in
caso di mero dubbio interpretativo, che comporta comunque l’obbligo di evitare
la condotta a rischio di sanzione (Sez. 6, n. 6991 del 25/01/2011, Sirignano, Rv.
249451; Sez. 3, n. 28397 del 16/04/2004, Giordano, Rv. 229060).

7. Il ricorso del Favellato deve, pertanto, essere rigettato.

26

mancato incasso di crediti vantati nei confronti della P.A. e, dall’altro,

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 28/03/2013.

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