Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37412 del 27/06/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 37412 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

Data Udienza: 27/06/2013

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
PRISCO Giuseppe n. Napoli il 28 marzo 1933
avverso la sentenza emessa il 3 dicembre 2012 dalla Corte di appello di Napoli

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Luigi Riello, che ha chiesto il
rigetto del ricorso;
osserva:

JA-

Con sentenza in data 3 dicembre 2012 la Corte di appello di Napoli ha confermato la
sentenza emessa il 24 febbraio 2012 dal Tribunale di Napoli con la quale Prisco Giuseppe era stato
dichiarato colpevole dei reati di concorso in rapina aggravata e ricettazione, reati accertati in
Ercolano tra il 4 e il 5 aprile 2011, ed era stato condannato, ritenuta la continuazione, alla pena di
anni cinque di reclusione ed euro 2.000,00 di multa.
Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, personalmente, ricorso per cassazione
valutazione della prova; in particolare il ricorrente si duole della sottovalutazione del mancato
riconoscimento in aula dell’imputato da parte dei testi, dei quali erano state invece valorizzate le
individuazioni fotografiche e di persona eseguite nel corso delle indagini preliminari senza
contraddittorio solo perché più vicine temporalmente al fatto; con riferimento al mancato
riconoscimento in dibattimento non era stata verificata, del resto, la sussistenza di una delle ipotesi
di condizionamento previste dall’art.500 co. c.p.p.; la motivazione sarebbe infine contraddittoria
laddove attribuisce al mancato riconoscimento in dibattimento il valore sintomatico dell’assoluta
sincerità delle persone offese.

Il ricorso è inammissibile in quanto tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti
attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla
esclusiva competenza del giudice di merito.
Nel caso in esame il giudice di merito ha ineccepibilmente osservato che la prova della
responsabilità dell’imputato si desumeva dalle individuazioni effettuate nel corso delle indagini
preliminari dalle persone offese Formisano (individuazione fotografica del 23 aprile 2011, in
termini di certezza, e individuazione personale del 5 maggio 2011) e Pucillo (individuazione
personale del 5 maggio 2011, con riconoscimento dell’imputato “senza ombra di dubbio”),
individuazioni confermate in dibattimento dai due testi che tuttavia avevano dichiarato di non essere
in grado di riconoscere l’imputato presente in udienza. A questo riguardo la Corte osserva che è
principio giurisprudenziale consolidato che in materia di valutazione della prova il giudice può
trarre il proprio convincimento da ogni elemento purché acquisito non in violazione di uno specifico
divieto e che in tal senso anche l’individuazione fotografica cui abbia proceduto la polizia
giudiziaria può essere legittimamente assunta come prova, la cui certezza non dipende dal
riconoscimento in sé, ma dalla attendibilità della deposizione di chi, avendo esaminato la fotografia
dell’imputato, si dice certo della sua identificazione (Cass. sez.V 10 febbraio 2009 n.22612, Paluca;
sez.II 11 giugno 2008 n.25762, Dori; sez.IV 4 febbraio 2004 n.16902, Pantaleo; sez.IV 8 ottobre

deducendo la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione in ordine ai criteri di

2003 n.46024, Di Stefano; sez.VI 18 aprile 2003 n.25721, Motta). Infatti l’individuazione di un
soggetto – sia personale che fotografica – è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva
e rappresenta, una specie del più generale concetto di dichiarazione; pertanto la sua forza probatoria
non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione
confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale (Cass. sez.VI 5 dicembre 2007
n.6582, Major; sez.II 28 ottobre 2003 n.47871, Tortora).

teste Fonnisano che aveva “visto l’imputato in viso, a distanza estremamente ravvicinata, per un
periodo apprezzabile di tempo, identificandolo con certezza dopo nemmeno un mese dai fatti, sia in
foto che di persona, e all’esito di una corretta descrizione delle sue fattezze fisiche, cogliendo
anche un particolare della dentatura del predetto”. Inoltre si evidenzia che l’identificazione

dell’imputato da parte della Fonnisano trovava riscontro nell’individuazione personale eseguita dal
Pucillo (confermata in dibattimento), teste anch’egli ritenuto attendibile perché l’individuazione
“senza ombra di dubbio” era seguita alla visione diretta del viso del Prisco, dopo nemmeno un mese

dai fatti, e alla descrizione del medesimo anche in ordine al particolare dei denti “macchiati o
spezzati”. La responsabilità del ricorrente è peraltro fondata nella sentenza impugnata anche su un

ulteriore elemento, costituito dal rinvenimento delle sue impronte digitali (pollice della mano destra
e pollice della mano sinistra) sullo specchietto anteriore sinistro dell’autovettura Fiat Uno utilizzata
per commettere la rapina e oggetto del contestato reato di ricettazione. La versione difensiva tesa a
giustificare la presenza delle impronte sul veicolo (il Prisco aveva dichiarato di aver rubato
l’autovettura in Ponticelli nei pressi della sua abitazione verso le ore 22 del 4 aprile 2011,
forzandone lo sportello dal lato del guidatore e il blocco di accensione, di aver fatto un giro per
circa dieci minuti prima di abbandonare il mezzo nello stesso posto in cui l’aveva prelevato e
recarsi a Napoli in autobus a casa di suo zio ove era rimasto a dormire) è stata ritenuta dalla Corte
territoriale, con argomentazioni logiche e non contestate dal ricorrente, priva di credibilità (il furto

Nella motivazione della sentenza impugnata si dà ampiamente conto dell’attendibilità della

sarebbe stato commesso solo per fare un giro e il veicolo sarebbe stato abbandonato dove era stato
prelevato, con il concreto e inutile rischio di essere visto e identificato), contraddittoria (l’imputato
aveva dichiarato in un primo momento di essere rimasto a casa dello zio fino alle due di notte, poi
di essersi fermato a dormire) e contrastante con le emergenze processuali (lo sportello forzato
risultava essere quello dal lato passeggero e non quello dal lato del guidatore).
Le conclusioni circa la responsabilità del ricorrente risultano quindi adeguatamente
giustificate dal giudice di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito
una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per

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rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità
diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a
verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e
plausibile. Il sindacato demandato alla Corte di Cassazione è infatti limitato – per espressa volontà
del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della
decisione impugnata. Esula pertanto dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura”
riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione
di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U.
30-4- 1997 n. 6402, Dessimone).
Le ulteriori doglianze difensive sono del tutto inconferenti in quanto la Corte ha ritenuto di
non avere elementi per ritenere che le persone offese, le quali avevano confermato in dibattimento
gli esiti delle precedenti individuazioni pur dichiarando di non essere in grado di riconoscere
l’imputato presente in udienza, fossero state intimidite in vista del loro esame dibattimentale,
attribuendo con argomentazione logicamente coerente al tempo trascorso dai fatti i dubbi
manifestati in dibattimento.
Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in
ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Roma 27 giugno 2013
il cons. est.

degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva,

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