Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37412 del 22/09/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 37412 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
MIRIADI GIOVANNI nato il 10/08/1982 a VIMERCATE

avverso l’ordinanza del 25/11/2016 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 22/09/2017

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con ordinanza del 25 novembre 2016 la Corte di appello di Milano, in
funzione di giudice dell’esecuzione, ha revocato l’indulto concesso, ai sensi della
legge n. 241 del 2006, a Miriadi Giovanni, con propria ordinanza del 14 maggio
2007, limitatamente alla pena di anni due, mesi dieci e giorni venticinque di
reclusione sulla maggior pena irrogatagli con sentenza del 14 marzo 2005 dello
stesso Ufficio, irrevocabile il 14 marzo 2016.

del suo difensore avv. Giambattista Colombo, l’interessato Miriadi, che, premesso
un excursus sul procedimento in corso, ne ha chiesto l’annullamento sulla base
di unico motivo, con il quale ha denunciato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett.

b), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale in
riferimento al momento finale del delitto ex artt. 56-629, primo e secondo
comma, cod. pen., in relazione all’art. 1, terzo comma, legge n. 241 del 2006,
rappresentando che la Corte di appello, individuando nel mese di maggio 2010 la
data di commissione del reato di tentata estorsione, non ha considerato che il
delitto tentato si perfeziona nel momento in cui “l’autore desiste o l’evento non si
compie” e non con il compimento dei soli atti idonei propedeutici alla
realizzazione dell’evento.
3. In esito al preliminare esame presidenziale il ricorso è stato rimesso a
questa sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.
4.

La manifesta infondatezza della censura consegue al rilievo,

correttamente rimarcato nell’ordinanza impugnata, che il delitto di tentata
estorsione aggravata, indicato quale causa di revoca del condono, non ha
integrato una fattispecie di reato continuato, ma, in linea con la sentenza
rescindente di questa Corte del 19 maggio 2015 (in tal senso anche Sez. 2, n.
7555 del 22/01/2014, De Cicco, Rv. 258543) e con quella rescissoria della Corte
di appello del rinvio del 30 ottobre 2015, ha integrato una “azione unica con
modalità esecutiva composta da una molteplicità di segmenti”, che, per l’effetto,
trattandosi di reato unico, commesso nel maggio 2010, “la relativa condanna non
può essere frazionata”.
5. Né introduce ragioni di riflessione la tesi difensiva, alla cui stregua il

tempus commissi delicti della fattispecie autonoma del delitto tentato coincide
con il momento in cui si verificano i due elementi richiesti dall’art. 56 cod. pen.,
rappresentati dalla esistenza di atti idonei diretti in modo non equivocabile alla
realizzazione dell’evento e dalla mancata realizzazione dello stesso per cause non
dipendenti dalla volontà dell’agente.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo

Questa Corte Suprema ha, infatti, reiteratamente chiarito che ai fini della
punibilità del tentativo, rileva l’idoneità causale degli atti compiuti per il
conseguimento dell’obiettivo delittuoso nonché la univocità della loro
destinazione, da apprezzarsi con valutazione ex ante in rapporto alle circostanze
di fatto ed alle modalità della condotta, al di là del tradizionale e generico
discrimen tra atti preparatori e atti esecutivi (Cass. Sez. 5, sent. n. 7341 del
21/01/2015, Sciuto, Rv. 262768), e ha, ancora, puntualizzato che per la
configurabilità del tentativo rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma

ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in
ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa
probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso,
salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo
(Cass. Sez. 2, sent. n. 46776 del 20/11/2012, D’Angelo Rv. 254106).
6. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché -valutato il contenuto del ricorso e in
mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa
d’inammissibilità- al versamento della somma, ritenuta congrua, di duemila euro
in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di duemila euro alla cassa delle
ammende.
Così deciso il 22/09/2017

anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente

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