Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37409 del 27/06/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 37409 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
ARGENTO Giovanni Maria n. Cattolica Eraclea (AG) il 7 giugno 1965
avverso la sentenza emessa il 22 giugno 2011 dalla Corte di appello di Milano

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott.Luigi Riello, che ha chiesto
l’annullamento con rinvio;
sentito il difensore della parte civile Vittoria Assicurazioni s.p.a., avv. Francesco Locurcio del foro
di Milano, che si è riportato alle conclusioni scritte;
osserva:

Data Udienza: 27/06/2013

Con sentenza in data 22 giugno 2011 la Corte di appello di Milano ha riformato nei
confronti di Argento Giovanni Maria e dei coimputati la sentenza emessa il 25 settembre 2009 dal
Tribunale di Milano -con la quale l’Argento era stato condannato alla pena di anni tre, mesi sei di
reclusione ed euro 1.500,00 di multa in ordine ad una serie di reati di truffa aggravata ex art.61 nn.7
e 11 c.p. ai danni di Vittoria Assicurazioni s.p.a. (così qualificati i fatti originariamente contestati ai
sensi degli artt.646 c.p. e/o 642 c.p.) e falso (artt.477, 482 c.p.) commessi negli anni 2002-2003loro ascritti perché estinti per intervenuta prescrizione e confermando le statuizioni civili della
sentenza di primo grado nei confronti dell’Argento, ivi compresa la condanna al pagamento della
provvisionale di 100.000,00 euro in favore della parte civile Vittoria Assicurazioni s.p.a..
Secondo la tesi accusatoria ritenuta fondata dai giudici di merito, l’Argento, nella qualità di
liquidatore sinistri della suddetta compagnia assicuratrice, aveva riaperto numerose pratiche relative
a sinistri stradali liquidando a persone estranee ai sinistri, sulla base di certificazioni mediche
contraffatte, ulteriori somme (rispetto a quelle già liquidate dall’assicurazione ai soggetti
effettivamente danneggiati) a titolo di risarcimento danni per lesioni personali mai in realtà subite.
La sentenza di condanna in primo grado era fondata essenzialmente sulle dichiarazioni testimoniali
rese dal dirigente dell’ufficio liquidazioni Chiaranda Cipriano e di altri soggetti, sulla
documentazione acquisita e sugli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria.
Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione. Con il ricorso si deduce:
1) la mancanza della motivazione e l’inosservanza degli artt.125 e 546 c.p.p. nonché la
“contraddittorietà della motivazione con le prove acquisite e le risultanze di causa”; il giudice di

appello si sarebbe limitato, prima di dichiarare insussistenti le condizioni per il proscioglimento del
ricorrente ai sensi dell’art.129 c.p.p., a richiamare genericamente la motivazione della sentenza di
primo grado, senza tener conto delle censure difensive formulate con l’atto di appello e ritenendo
erroneamente che si trattasse della riproposizione da parte della difesa di censure già motivatamente
disattese in primo grado; sarebbero state tuttavia trascurate nella motivazione della sentenza
impugnata le censure difensive, mai formulate in precedenza, sulla riqualificazione giuridica dei
fatti come truffa aggravata e sulle incongruenze tra le risultanze processuali e la valutazione che ne
era stata fatta dal giudice di primo grado; nessun accertamento e, quindi, nessuna prova vi era sulla
percezione da parte dell’imputato di denaro dai beneficiari degli indennizzi; erroneamente era stato
attribuito all’imputato un consolidato modus operandi, essendo gli elementi evidenziati dal giudice
di merito al più sintomatici della negligenza dell’Argento; l’incompletezza dei dati anagrafici nelle

dichiarando l’improcedibilità dell’azione penale nei confronti degli appellanti in ordine a tutti i reati

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pratiche assicurative caratterizzava infatti anche liquidazioni “regolari”; nella maggior parte dei
casi non vi era contestualità tra liquidazioni “regolari” e liquidazioni in favore dei soggetti non
legittimati, queste ultime in alcuni casi successive al giugno 2003 e quindi all’allontanamento
dell’Argento dagli uffici della Vittoria Assicurazioni; la mancanza di una formale richiesta di
risarcimento non era una costante e, peraltro, anche solo la sottoscrizione del CM costituiva
richiesta di risarcimento idonea a radicare la procedura di liquidazione del danno; la liquidazione
rilievi circa la documentazione medica contenuta nei fascicoli non sarebbero stati tali da dimostrare
la consapevole partecipazione dell’imputato alla falsificazione e, quindi, alle truffe; non si era
ritenuta l’inattendibilità del medico dott. Buzzetti, il quale aveva disconosciuto di essere l’autore dei
certificati medici sulla base dei quali era stata effettuata la liquidazione di alcuni sinistri, nonostante
il sanitario in questione fosse stato condannato, come documentato dalla difesa, per truffa ai danni
di altra compagnia assicuratrice e per calunnia; quanto al reato di falso nel ricorso si fa rilevare che
con l’appello si era posto in evidenza che tutta documentazione medica inserita nei fascicoli era
costituita da mere fotocopie non aventi l’apparenza di documenti originali;
2)

l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art.482 c.p., a fronte di

documentazione solo in copia rinvenuta nei fascicoli assicurativi.

Il ricorso è inammissibile.
La Corte rileva, quanto al primo motivo, che -come le Sezioni unite di questa Corte hanno
affermato con la sentenza n.35490 del 28 maggio 2009, ric. Tettamanti- in presenza di una causa di
estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art.
129 comma secondo, c.p.p. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del

forfettaria del danno corrispondeva ad una prassi del tutto legittima; inoltre, secondo il ricorrente, i

fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli
atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al
riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu ocu/i, che a quello
di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di
approfondimento.
La previsione di cui all’art. 578 c.p.p. —in base alla quale il giudice di appello o quello di
legittimità, che dichiarino l’estinzione per amnistia o prescrizione del reato per cui sia intervenuta in
primo grado condanna, sono tenuti a decidere sull’impugnazione agli effetti delle disposizioni dei
capi della sentenza che concernono gli interessi civili- comporta peraltro che i motivi di

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impugnazione dell’imputato
dell’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi dare conferma
alla condanna (anche solo generica) al risarcimento del danno in ragione della mancanza di prova
dell’innocenza dell’imputato, secondo quanto previsto dall’art. 129, comma secondo, c.p.p. (Cass.
sez.V 7 dicembre 2012 n.5764, Sarti).
Nella motivazione della sentenza impugnata -con la quale nei confronti dell’Argento sono
state confermate le statuizioni civili della sentenza di condanna in primo grado, pur essendo stata
appello (riportati a ff.27, 28, 29 della motivazione) nella parte strettamente funzionale
all’affermazione di responsabilità, essendo ultroneo l’esame dei motivi relativi al trattamento
sanzionatorio, e li ha motivatamente disattesi.
Infatti a ff.35, 36 della motivazione la Corte territoriale ha osservato “che gli argomenti
proposti dalla difesa di Argento non sono fondati, atteso che a suo carico gli atti offrono plurimi,
convergenti, univoci ed inequivocabili elementi di responsabilità in ordine ai reati contestati, che si
possono sinteticamente indicare nelle note dallo stesso redatte rinvenute nelle pratiche assicurative
in cui si dà atto che i soggetti risultati beneficiari degli assegni si erano presentati a lui reclamando
il risarcimento di fantomatici danni asseritamente subiti in sinistri cui erano estranei, nei
comprovati rapporti di conoscenza con Governali e con gli altri soggetti (Calabrese e lazzolini)
attraverso i quali venivano reperite le persone disponibili a figurare quali danneggiati e
provvedere all’incasso degli assegni (previo riconoscimento di una piccola percentuale a titolo di
compenso), nelle deposizioni del teste Chiaranda, degli operanti, dei soggetti coinvolti realmente
nei sinistri stradali e nelle dichiarazioni dei coimputati: elementi che hanno consentito di
ricostruire compiutamente il suo modus operandi (secondo uno schema costante, come
correttamente chiarito dal primo giudice) e gli espedienti dal medesimo utilizzati per trarre in
inganno la compagnia assicurativa circa la legittimità dei pagamenti effettuati a favore dei terzi
estranei; a fronte di questo complesso ed ampio materiale probatorio, l’imputato non è stato in
grado di fornire giustificazioni plausibili, rifugiandosi dietro il pretesto della confusione che
regnava nel suo ufficio e dello stress lavorativo, e neppure le dichiarazioni dei testi tradotti a sua
difesa hanno fornito riscontro positivo alle giustificazioni fornite dall’imputato (in proposito non
può che rinviarsi alle analitiche e condivisibili valutazioni svolte nella motivazione della prima
sentenza). Egli, pertanto, deve ritenersi pacificamente responsabile dei danni provocati alla
compagnia assicurativa dalle illecite condotte descritte nel capo d’imputazione, atteso l’evidente
nesso causale tra le sue condotte e il danno conseguito a Vittoria Assicurazioni s.p.a. dall’indebito
incasso degli assegni”.

dichiarata la prescrizione dei reati a lui ascritti- il giudice di appello ha analizzato i motivi di

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La Corte territoriale ha legittimamente richiamato la motivazione del giudice di primo
grado, sintetizzata nella parte introduttiva della sentenza in questa sede impugnata per quanto
riguarda la posizione dell’Argento (ff.7-27) anche in relazione ai singoli capi d’imputazione in
ordine ai quali era stata affermata con la sentenza appellata la sua responsabilità. Il Tribunale aveva
vagliato le risultanze dibattimentali, con specifici riferimenti alle dichiarazioni testimoniali dei
rappresentanti della compagnia assicuratrice Chiaranda e Garena, degli operanti Satta e Basta e, per
beneficiari degli indebiti indennizzi (coimputati), alla documentazione prodotta dal pubblico
ministero e dalla parte civile e alle giustificazioni, motivatamente ritenute inattendibili,
dell’Argento.
La motivazione della sentenza impugnata non prescinde dalle doglianze difensive contenute
nell’atto di appello, ma le ritiene infondate attraverso l’ampio e legittimo richiamo per relationem
all’approfondita disamina dei numerosi e convergenti elementi di responsabilità a carico
dell’Argento. Le emergenze processuali evidenziate nella parte della motivazione sopra riportata
(note dell’imputato contenute nelle pratiche per le quali era stata effettuata una liquidazione
“irregolare”; rapporti con Governali, Calabrese e Iuzzolini; dichiarazioni testimoniali di Chiaranda,

degli operanti, delle persone effettivamente coinvolte nei sinistri per i quali era stato liquidato il
risarcimento a persone del tutto estranee; dichiarazioni dei coimputati, beneficiari delle liquidazioni
“irregolari) costituiscono un’idonea e autonoma risposta fornita dalla Corte territoriale ai rilievi
contenuti nell’atto di appello riguardanti in gran parte questioni di fatto o di diritto già
espressamente ed adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice o, comunque,
critiche inconsistenti o prive di decisività a fronte di un quadro probatorio sufficientemente
delineato sulla base di univoci elementi probatori, sia documentali che dichiarativi. Le doglianze del
ricorrente tendono quindi, in gran parte, a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla
ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva
competenza del giudice di merito /e cui conclusioni circa la responsabilità del ricorrente risultano
adeguatamente giustificate attraverso una puntuale valutazione delle prove, basata su una
ricostruzione dei fatti esente da incongruenze logiche e da contraddizioni.
Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Nella sentenza di primo grado, legittimamente richiamata per relationem nella sentenza
impugnata, si afferma che “dall’istruttoria dibattimentale è anche emerso che tutte le certifìcazioni
mediche… erano create ad arte o falsificando certificazioni mediche realmente esistenti, o tramite
fotocopia di certificati medici redatti con l’uso del timbro di ignari medici realmente esistenti…o

i singoli episodi, alle dichiarazioni dei soggetti effettivamente coinvolti nei sinistri (testi) e dei

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ancora creando certificazioni mediche a firma di medici inesistenti…”. Premesso quindi che non
tutti i falsi contestati risultano commessi tramite fotocopie di certificati medici, la Corte rileva che,
per consolidata giurisprudenza citata anche dal ricorrente, il delitto di falsità materiale può avere per
oggetto anche una fotocopia allorché essa sia presentata, non come tale, ma con l’apparenza di un
documento originale, atto a trarre in inganno i terzi di buona fede (Cass. sez.V 11 luglio 2005
n.35165, Di Croce; sez.V 1° dicembre 2006 n.11150, Ripa; sez.V 12 maggio 2010 n.24012, Pezone;
fotocopiato, quanto meno nella parte riguardante le generalità delle persone apparentemente
coinvolte nel sinistro e successivamente beneficiarie delle liquidazioni “irregolari”, non poteva che
essere diretta, considerata la presentazione della certificazione medica a corredo di una richiesta di
risarcimento, a fornire l’apparenza di un documento originale. In tal senso le doglianze formulate
con l’atto di appello erano, oltre che generiche, infondate in diritto e, in tema di ricorso per
cassazione, non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un
motivo di appello riguardante una violazione di legge, ribadita in seno al ricorso medesimo, che
risulti manifestamente infondata (Cass. sez.VI 27 novembre 2012 n.47983, D’Alessandro; sez.IV 17
aprile 2009 n.24973, Ignone).
Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in
ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000,00 nonché alla rifusione in
favore della parte civile Vittoria Assicurazioni s.p.a. delle spese dalla stessa sostenute in questo
grado di giudizio liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende nonché alla rifusione in favore della parte
civile Vittoria Assicurazioni s.p.a. delle spese dalla stessa sostenute in questo grado di giudizio
liquidate in complessivi euro 3.000,00 oltre I.V.A. e C.P.A..

sez.V 14 aprile 2010 n.22694, Giorgetti). Nel caso di specie l’alterazione del documento

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