Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37400 del 16/05/2013
Penale Sent. Sez. 2 Num. 37400 Anno 2013
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: CERVADORO MIRELLA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ARBA PEPPINO N. IL 21/05/1949
avverso la sentenza n. 721/2010 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
04/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MIRELLA CERVADORO
e ha concluso per
Data Udienza: 16/05/2013
Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del dr.ssa
Elisabetta Cesqui, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato
inammissibile.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 4.6.2012, la Corte d’Appello di Trieste confermava la
sentenza di condanna alla pena di mesi uno di reclusione, sostituita con
quella della multa di euro 1140,00 comminata dal Tribunale di Tolmezzo a
Arba Peppino, per il reato di invasione arbitraria di terreni di proprietà del
Demanio.
Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo la violazione dell’art.606
lett.b) e) c.p.p., per errata interpretazione della legge penale e travisamento
del fatto afferente, evidenziando che l’ingresso nel fondo non era stato
clandestino in quanto autorizzato da tale De Cecco, che da circa dieci anni
possedeva in maniera pacifica ed ininterrotta il fondo, che l’assenso
all’ingresso sul fondo esclude l’elemento dell’arbitrarietà e la permanenza
protrattasi sul fondo oltre i termini accordati non costituisce reato. Al giudice
di merito era stato rappresentato nei motivi di appello che l’Arba aveva
ottenuto dal De Cecco l’autorizzazione all’utilizzo del fondo, e la Corte,
contrariamente alle risultanze processuali, ha ritenuto che l’ingresso sul
fondo è avvenuto senza richiesta e senza consenso, confondendo così la
permanenza sul fondo con l’accesso. La Corte d’appello con un apparato
argomentativo all’apparenza coerente nelle sue parti esplicative ma
sostanzialmente fondato su atti omissivi di fatti pacificamente esistente è
incorsa nel travisamento del fatto, come vizio afferente alla mancanza di
motivazione.
Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.
1
Motivi della decisione
Nel ricorso vengono riproposte in maniera del tutto generica le stesse
ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame; i motivi
pertanto vanno considerati non specifici, non solo per la loro
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice
censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente, ai sensi
dell’art.591, co.1 lett.c) c.p.p., nell’inammissibilità (Cass.Sez.IV n.5191/2000
Rv.216473).
Le motivazioni svolte dal giudice d’appello, che vanno integrate con
quelle della sentenza di primo grado, non risultano viziate da illogicità
manifeste e sono infine esaustive, avendo la Corte risposto a tutte le
doglianze sollevate con l’atto d’appello, evidenziando – tra l’altro – che
l’imputato, nel corso delle sue dichiarazioni spontanee, neppure ha affermato
di essere stato autorizzato da De Cecco il quale, per parte sua, ha poi
dichiarato che l’altro era arrivato sul fondo con capreepecore dicendo che
sarebbe rimasto per due giorni “e dopo due giorni lui è rimasto padrone”.
Rileva, quindi, correttamente la Corte che l’eventuale autorizzazione data dal
De Cecco non avrebbe comunque scriminato la condotta dell’imputato;
infatti, il De Cecco non avrebbe potuto autorizzare alcunché r ed era anzi
talmente consapevole della natura del fondo, da avere a suo tempo finanche
presentato domanda al demanio delle acque per l’utilizzo dell’area per
l’allevamento di animali, autorizzazione che non gli era stata concessa. Né è
possibile alcuna questione circa un’erronea percezione da parte
dell’imputato della natura demaniale del luogo, “trattandosi addirittura
dell’alveo di un fiume”, e pertanto non era necessario alcun cartello che
segnalasse il carattere pubblico del fondo, essendo pacifica l’altruità, rispetto
all’imputato, del fondo in questione (v.pag.2 della sentenza impugnata).
2
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa (v.Corte Cost. sent.n.186/ 2000), nella
determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così
erato, il 16.5.2013.
in ragione dei motivi dedotti.