Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37378 del 20/06/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 37378 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CANNISTRARO CIRO N. IL 31/10/1968
avverso la sentenza n. 839/2011 TRIB.SEZ.DIST. di PONTEDERA, del
18/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ‘-` 7 ‘ f-l’ ”””’ C) • c
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che ha concluso per o–R…3-iv-.3.-x—.5..– ,.-.—-z-..–.; o

Data Udienza: 20/06/2013

Udito, per la parte civile l’Avv
Udit i difensor Avv.

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6\7

3560/2013

RITENUTO IN FATTO che

1. Con sentenza del 18 giugno 2012 il Tribunale di Pisa, sezione distaccata di Pontedera,
condannava Cannistraro Ciro alla pena complessiva di euro 6900 di ammenda per i reati di cui
agli articoli 80, comma 3 in relazione all’articolo 87, comma 3, lettera d), digs. 81/2008 (capo
A), 96, comma 1, lettera a), in relazione all’articolo 159, comma 2, lettera c), d.lgs. 81/2008
(capo B), 108, comma 1, in relazione all’articolo 159, comma 2, lettera b), d.lgs. 81/2008
(capo C), 119, comma 4, in relazione in relazione all’articolo 159, comma 2, lettera b), d.lgs.

81/2008 (capo E) e 118, comma 6, in relazione in relazione all’articolo 159, comma 2, lettera
a), d.lgs. 81/2008 (capo F).
2. Ha presentato ricorso il difensore, adducendo due motivi. Il primo motivo denuncia
mancanza di motivazione in duplice aspetto. In primo luogo, l’imputato aveva proposto
patteggiamento che il pm aveva negato; l’imputato aveva presentato quindi una nuova
proposta sulla quale il pm non aveva espresso parere; poiché il dissenso del pm deve essere
giustificato la sentenza sarebbe viziata. In secondo luogo, mancherebbe, senza motivazione, la
concessione delle attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena. Il secondo
motivo, ex articolo 606, primo comma, lettere b) ed e), c.p.p., adduce che il difensore per
l’imputato aveva concluso nel senso del patteggiamento con vincolo di continuazione tra i
reati; il giudice peraltro non avrebbe motivato sull’assenza di continuazione né sull’elemento
soggettivo.
In data 4 giugno 2013 il difensore ha depositato un nuovo motivo di vizio motivazionale: il
giudice avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile l’istanza di patteggiamento e non
motivato sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.

81/2008 (capo D), 130, comma 1, in relazione all’articolo 159, comma 2, lettera c), d.lgs.

3.1 Il primo motivo, come si è visto, in primo luogo censura la sentenza per mancata
motivazione in ordine alla mancanza di parere del PM sulla proposta di patteggiamento della
pena nuovamente presentata – dopo una precedente richiesta di applicazione della pena
nell’atto di opposizione a decreto penale di condanna ex articolo 461, comma 3, c.p.p., che
aveva ottenuto dal PM parere negativo – dalla difesa dell’imputato una seconda volta ancora in
pendenza dei termini di legge, disponendo il gip di procedersi pertanto con le forme del
giudizio immediato. La stessa richiesta era stata reiterata all’apertura del dibattimento ma non
considerata dal giudice che, secondo il ricorrente, all’esito del giudizio avrebbe dovuto valutare
se il dissenso del pubblico ministero fosse giustificato o meno e darne conto nella motivazione.

0\2

Risulta effettivamente dagli atti, e in particolare dalla motivazione del decreto di giudizio
immediato del gip depositato il 5 maggio 2011, che, dopo il parere negativo espresso dal PM in
ordine alla prima proposta di patteggiamento, il difensore proponeva nuova istanza
modificando la definizione della pena, sulla quale il PM non esprimeva alcun parere: pertanto il
gip emetteva il decreto di giudizio immediato, all’esito del quale, come emerge dal verbale
d’udienza, il difensore dell’imputato si riportava alla seconda richiesta di patteggiamento.
Poiché per il combinato disposto degli articoli 446 e 464 c.p.p. il dissenso del PM deve

1991) ha dichiarato l’illegittimità del primo comma dell’articolo 464 c.p.p. nella parte in cui non
prevede che in caso di dissenso il PM sia tenuto ad enunciarne le ragioni e nella parte in cui
non prevede che il giudice, quando a dibattimento concluso ritiene ingiustificato il suo
dissenso, possa applicare la riduzione della pena, per l’omessa valutazione sul dissenso del PM,
secondo il ricorrente, la sentenza dovrebbe quindi annullarsi.
Il ricorrente mescola anzitutto, nella sua argomentazione, fattispecie rituali diverse.
L’articolo 464, primo comma, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza
richiamata dal ricorrente in riferimento alla “riduzione di pena, prevista dall’articolo 442,
secondo comma”, c.p.p., vale a dire in riferimento al giudizio abbreviato. Diverso è
evidentemente l’istituto di cui agli articoli 444 ss. c.p.p., che significativamente il codice non
qualifica neppure “giudizio”, bensì soltanto “applicazione della pena su richiesta delle parti”.
L’applicazione della pena su richiesta delle parti è invero un negozio processuale che le parti
stipulano, apportando così una natura peculiare alla sentenza, il cui contenuto è in massima
parte eterodiretto dall’accordo che recepisce, ciò riflettendosi logicamente su una deminutio
dell’obbligo motivazionale (cfr. p. es . Cass. sez. IV, 16 luglio 2006 n. 34494), che si riduce al
sintetico rendiconto degli elementi verificati, con particolare riguardo alle ipotesi di non
punibilità ex articolo 129 c.p.p. (da ultimo Cass. sez. II, 17 novembre 2011-17 febbraio 2012
n. 6455). L’accordo concluso tra le parti ai fini dell’applicazione della pena su richiesta assorbe
quindi nella sua natura di negozio processuale tutto ciò che rientra, appunto, nel potere
dispositivo delle parti, non avendo il giudice potere di modificazione dell’accordo, per il rispetto
comunque garantito al principio dispositivo delle parti, onde in caso di accordo contra legem rimanendo, come è inscindibile dalla funzione giurisdizionale, il giudice investito del poteredovere di verificare la legalità dell’accordo – lo deve respingere in toto (Cass. sez. IV, 21
gennaio 2011 n. 9455).
A questa devoluzione alle parti del contenuto della sentenza costituisce eccezione, quale
manifestazione del principio di favor rei in senso lato (che qui investe l’entità della sanzione,
non sussistendo un vero “giudizio”, cioè un accertamento della responsabilità penale), la
fattispecie di cui all’articolo 448, comma 1, c.p.p., come sostituito dall’articolo 34 della legge
16 dicembre 1999 n. 479, che consente, in caso di dissenso ingiustificato del PM rispetto all a

sempre essere giustificato, e poiché la Corte Costituzionale (sentenza n. 81 del 15 febbraio

proposta dell’imputato, la sua sostituzione da parte del giudicante per addivenire alla
formazione del negozio giuridico. In tal caso, si ravviva l’obbligo motivazionale del giudice,
tenuto ad una specifica motivazione che illustri perché ha ritenuto ingiustificato il dissenso del
PM (Cass. sez. III, 15 febbraio 2011 n. 12002) in quanto il giudice non può sostituire
immotivatamente il pubblico ministero nell’esercizio del potere dispositivo di quest’ultimo. Al
contrario, laddove il giudice non assume una siffatta funzione surrogatoria, non vi è in capo al
giudice alcun obbligo motivazionale attinente alle modalità di esercizio di un potere proprio di
un diverso soggetto processuale, id est proprio del pubblico ministero (v. ancora Cass. sez. III,

negativo, le condizioni di parità con l’imputato della parte pubblica (l’espropriazione di tali
condizioni si porrebbe infatti in contrasto con la struttura negoziale che caratterizza l’istituto
dell’applicazione della pena:cfr. in tal senso, a proposito di una fattispecie anch’essa attinente
all’articolo 448, comma 1, l’ordinanza n. 100 del 28 marzo 2003 della Corte Costituzionale). La
surroga ex lege del giudice al PM deve quindi considerarsi come una eccezione alla regola
generale di parità tra le parti, cioè all’equilibrio tra i loro contrapposti diritti, eccezione che, in
quanto tale, non si presta ad una interpretazione diversa da quella consentita stricto sensu, in
tale struttura di parità e conseguente autonomia negoziale non competendo al giudice un ruolo
di supervisore sulle scelte discrezionali della parte pubblica al di là della ipotesi specifica
dell’articolo 448, comma 1, cioè della manifestazione di un dissenso che non sia sorretto da
un’adeguata motivazione, ovvero sia “ingiustificato”. D’altronde, solo la manifestazione delle
ragioni di un dissenso consente l’adempimento del corrispondente obbligo motivazionale del
giudice sulla loro inidoneità a giustificare il dissenso stesso. In conclusione, non è gravato il
giudice di un obbligo di motivazione attinente all’assenza di manifestazione di un parere da
parte del pubblico ministero sulla proposta di patteggiamento presentata dall’imputato, pur se
in mancanza di tale parere, e dunque con modalità riconducibile ai c.d. facta condudentia, non
si è raggiunto alcun accordo negoziale.
3.2 II secondo profilo del primo motivo del ricorso lamenta la mancata concessione delle
attenuanti generiche e della pena sospesa ancora in termini di difetto di motivazione. Tale

15 febbraio 2011 n. 12002), dovendosi comunque tutelare, anche nel caso di esercizio in senso

doglianza però è manifestamente infondata, poiché, a parte il rinvio all’istanza di
patteggiamento – che, come si è visto, non ha comportato la stipulazione del negozio
processuale -, il difensore del ricorrente aveva concluso chiedendo semplicemente il “minimo
della pena”, e non quindi l’applicazione dell’articolo 62 bis c.p. nè la sospensione condizionale
della pena.
3.3 E secondo motivo è simile alla doglianza appena esaminata: poiché la difesa aveva
proposto, nella sua istanza ex articolo 444 c.p.p., richiamata nelle conclusioni, il
riconoscimento del vincolo della continuazione, il giudice avrebbe nella motivazione dovuto
accertare la natura dolosa delle contravvenzioni e conseguentemente applicare il vincolo di
continuazione. Per quanto si è appena rilevato, l’istanza di patteggiamento presentata nelle

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conclusioni, non essendosi raggiunto l’accordo tra le parti, non incide sul contenuto della
sentenza; nei capi d’imputazione non era stata contestata la continuazione e si trattava,
comunque, di contravvenzioni, per cui non occorreva accertare l’elemento soggettivo in termini
di dolo.
3.4 II motivo nuovo, infine, ripropone in sostanza lo stesso contenuto della prima parte del
primo motivo, sostenendo che il giudice “ha erroneamente ritenuto inammissibile l’istanza di
patteggiamento e ha omesso qualunque motivazione sul punto”. Premesso che il giudice, come

stessa doglianza, in realtà non ha dichiarato inammissibile l’istanza di patteggiamento bensì
implicitamente dato atto del fatto che non si era raggiunto un accordo ex articolo 444 c.p.p.
tra le parti, si rimanda quindi a quanto osservato più sopra a proposito della concreta
fattispecie di mancata stipulazione del negozio processuale.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 20 giugno 2013

Il Consigliere estensore

Il Pr ‘dente

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emerge dal dispositivo e come, quanto alla parte motivativa della sentenza, si evince dalla

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