Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3737 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 3737 Anno 2016
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
1. Zecca Simone Pasquale, nato a Taranto il 22/03/1988
avverso l’ordinanza del 06/02/2015 del Tribunale di Taranto
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Mario Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Taranto, quale giudice dell’esecuzione, pronunciando a
seguito di annullamento con rinvio della precedente decisione di rigetto disposto
con sentenza di questa Corte, con provvedimento del 06/02/2015 1 ha respinto la
richiesta di restituzione nel termine per impugnare avanzata da Zecca Simone
Pasquale in relazione alla sentenza di quel Tribunale n. 793/013, con la quale
l’odierno istante era stato condannato alla pena di anni quattro e mesi sei di
reclusione, in quanto riconosciuto responsabile del reato di rapina.
2. Con il suo ricorso la difesa di Zecca Simone Pasquale, deduce
violazione di legge, per avere partecipato alla deliberazione impugnata un
giudice componente del precedente Collegio, che aveva così violato l’obbligo di
astensione previsto dall’art. 34 i comma 1 i cod. proc. pen.
3. Con secondo motivo la difesa eccepisce violazione di legge, con
riferimento alla mancata motivazione del provvedimento di rigetto, segnalando
che il Tribunale adito non aveva esposto le ragioni sulla base delle quali aveva
ritenuto di parificare la conoscenza del procedimento da parte dello Zecca
desunta dalla sua partecipazione ad una udienza, alla conoscenza della sentenza,

Data Udienza: 25/11/2015

che invece gli era stata preclusa per effetto del suo stato di detenzione all’atto
della pronuncia.
4. Con memoria depositata il 19/11/2015 la difesa del ricorrente ha
reiterato le istanze formulate nel ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

nell’ipotesi di intervento nella decisione di un giudice che aveva concorso alla
deliberazione dell’ordinanza in precedenza annullata. Deve ricordarsi che
l’art.623 cod. proc. pen. prevede che, nell’ipotesi di annullamento dell’ordinanza,
non si disponga il rinvio a diverso giudice, ma al medesimo ufficio, previsione
armonica con la rilevanza attribuita all’incompatibilità dall’art. 34 cod. proc. pen.
che deriva dall’intervento di una decisione che definisce un grado del
procedimento, che comporti una valutazione di merito, non ravvisabile nel caso
in esame.
L’eccezione a tale principio conseguente alla pronuncia della sentenza
della Corte Costituzionale n. 183 del 2013, che ha accertato l’incompatibilità del
giudice dell’esecuzione chiamato a valutare la sussistenza del vincolo della
continuazione ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. a seguito di annullamento del
precedente provvedimento, costituisce diretta conseguenza della natura di
merito della valutazione richiesta al giudicante in quel procedimento, che impone
l’equiparazione del trattamento con la diversa ipotesi del giudice che svolga tale
valutazione nel corso del giudizio di merito.
La fattispecie non è evocabile in questa sede, sia in quanto, in rito, al
giudicante in sede di rinvio non è stato rimesso un giudizio analogo, sia per di
più, nel caso specifico, poiché l’annullamento è frutto della verificata carente
valutazione del punto della domanda riguardante la restituzione nel termine,
sicché il vizio rilevato nel provvedimento oggetto di annullamento si identifica
proprio nell’omessa determinazione, circostanza di fatto che esclude il formarsi di
una determinazione pregiudiziale, che costituisce il motivo della previsione della
cause di incompatibilità.
3. La contestazione contenuta in ricorso è poi manifestamente infondata
anche nel merito, in quanto il difensore si limita a lamentare, a fondamento della
richiesta, la mancata notifica dell’estratto contumaciale in favore del suo
assistito, senza rilevare che a seguito della comparizione dell’interessato
all’udienza è stata revocata la dichiarazione di contumacia, presupposto
dell’adempimento oggi rivendicato.

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Cassazione sezione VI, rg. 17058/2015

2. Quanto al primo motivo, in rito, nessuna incompatibilità si verifica

La presenza dell’imputato nel corso del giudizio impone di considerarlo a
conoscenza del provvedimento, posto che per la verifica di tale evento non è
necessaria la notifica del’estratto della decisione, prevista solo in favore del
contumace, circostanza quest’ultima già chiarita nella pronuncia di questa Corte
che ha condotto all’annullamento del precedente provvedimento del giudice
dell’esecuzione.

impugnare nella situazione descritta, avrebbe dovuto essere fondata su una
specifica allegazione di impossibilità sopravvenuta, per caso fortuito o forza
maggiore o indicazione di elementi di fatto che avessero impedito allo Zecca
l’effettiva conoscenza del provvedimento, che non può identificarsi solo nello
stato di detenzione poiché questo non preclude i collegamenti dell’interessato
con il suo difensore.
Invero nella specie, come già sottolineato nell’ordinanza impugnata, non
solo manca tale deduzione, ma uno specifico e caratterizzante elemento di fatto,
costituito dalla costante assistenza del medesimo difensore di fiducia di tutte le
fasi del procedimento, esclude, secondo l’ordinario svolgersi dei rapporti di
fiducia tra assistito e patrocinatore, che tale evenienza possa essersi verificata
(cfr. in situazione analoga Sez. 6, n. 5169 del 16/01/2014 – dep. 03/02/2014,
Najimi, Rv. 258775).
Per contro, la circostanza che il difensore di fiducia abbia proposto
appello, e che neppure in questa sede sia stata allegata una situazione
rapportabile al caso fortuito o alla forza maggiore che dimostri il venir meno
della comunicazione con il suo assistito, evidenzia, secondo la fisiologia dei
rapporti professionali, che la presenza di un difensore di fiducia ha comportato la
conoscenza concreta dello Zecca del provvedimento e delle sue sorti e che la
mancata presenza al processo, successiva alla comparizione che produsse la
revoca della dichiarazione di contumacia, sia riconducibile esclusivamente al suo
disinteresse, circostanza che esclude la possibilità di accedere alla restituzione
nel termine sollecitata.
La mancanza dei presupposti fondanti il diritto alla restituzione nel
termine per impugnare impone l’accertamento di inammissibilità del ricorso.
4. Per l’effetto il ricorrente è tenuto al pagamento delle spese del grado e
della somma indicata in dispositivo e ritenuta equa, in favore della Cassa delle
ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.

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Cassazione sezione VI, rg. 17058/2015

L’astratta proponibilità dell’istanza di restituzione nel termine per

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso il 25/11/2015

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