Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37353 del 24/04/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 37353 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARACCIOLO MAURIZIO N. IL 06/07/1957
avverso la sentenza n. 1336/2012 CORTE APPELLO di LECCE, del
05/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.q.:2,..,-A —,
che ha concluso per f r
V‘: Q3._(-^ C
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 24/04/2013

’ 6274/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5 dicembre 2012 la Corte d’appello di Lecce, decidendo in ordine
all’appello di Caracciolo Maurizio contro sentenza del Tribunale di Lecce, sezione distaccata di
Nardò, del 9 gennaio 2012 – che lo aveva condannato alla pena di un anno e quattro mesi di
reclusione per il reato di cui all’articolo 5 d.lgs. 74/2000 per aver omesso di presentare, al fine

negli anni 2003, 2004 e 2005 con conseguente evasione dell’imposta rispettivamente di euro
215.936, euro 131.572 ed euro 114.422 -, riformava la sentenza di primo grado limitatamente
alla concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario
giudiziale.
2. Ha presentato ricorso il difensore, fondandolo su due motivi: il primo motivo denuncia
violazione di legge e vizio motivazionale riguardo alla mancata quantificazione delle imposte
evase, con omessa o erronea valutazione delle risultanze del processo; il secondo denuncia
vizio motivazionale sulla quantificazione della pena, essendo illegittima la giustificazione
tramite il “significativo” ammontare delle somme evase.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso non merita accoglimento.
3.1 n primo motivo è formalmente rubricato come violazione di legge e vizio motivazionale;
in realtà il suo contenuto è puramente fattuale, analizzando il ricorrente le risultanze
probatorie (in particolare, le movimentazioni dei conti correnti bancari intestati all’imputato)
per sfociare in una ricostruzione alternativa a quella formulata dai giudici di merito,
perseguendo evidentemente un inammissibile terzo grado di merito. D’altronde, si rileva ad
abundantiam, la motivazione offerta dalla sentenza impugnata (pagine 3-8) è congrua e

logicamente lineare, e si nutre di un’analitica considerazione non solo delle deposizioni
testimoniali, ma anche di quello che definisce “pregnante coacervo documentale”, includente
anche le movimentazioni correntizie, e affrontando pure specificamente il preteso ruolo
dell’imputato di factotum nei confronti di Mellone Tullio, colui che, secondo la prospettazione
difensiva, sarebbe stato il reale proprietario delle somme che fluivano sul conto del Caracciolo
(in particolare, pagina 7).
Nel corpo del motivo viene poi invocato anche l’articolo 606, primo comma, lettera d), c.p.p.
(pagina 5 del ricorso) di cui sarebbero stati integrati i presupposti nel non avere i giudici di

di evadere la relativa imposta, la prescritta dichiarazione ai fini Irpef relativa ai redditi percepiti

merito ammesso perizia. Anche sotto questo aspetto il motivo è peraltro inammissibile, dal
– momento che la negata disposizione di perizia non può integrare la fattispecie della mancata
assunzione di prova decisiva. Invero, anche di recente – sulla scorta di un consolidato
orientamento – è stato ribadito che “la perizia non rientra nella categoria della “prova decisiva”
ed il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606, comma primo,
lett. d), c.p.p., in quanto costituisce il risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da
adeguata motivazione, è insindacabile in cassazione.” (Cass. sez. VI, 3 ottobre 2010 n. 43526;

generali comuni al processo penale e al processo civile, una valutazione e non una prova, vale
a dire un prodromo della cognizione di fatto del giudicante, il quale peraltro, in forza del
principio del libero convincimento ed entro i confini in cui questo si manifesta, che sono
appunto quelli motivazionali, non vi è vincolato, in quanto peritus peritorum. Nel caso di
specie, d’altronde, la corte territoriale ha adeguatamente motivato in ordine al rigetto della
richiesta di perizia, condiviso con il giudice di primo grado (motivazione, pagina 6 s. e pagina
8), anche sotto il profilo della rinnovazione di dibattimento.
3.2 n secondo motivo censura dal punto di vista motivazionale la quantificazione della pena
irrogata nell’impugnata sentenza, adducendo che “è illegittima nella parte in cui è stata
giustificata la quantificazione…facendo riferimento al “significativo” ammontare delle somme
oggetto di evasione” poiché il primo giudice non le avrebbe calcolate. L’argomento dell’omesso
calcolo è puramente fattuale, e parimenti evidentemente infondato essendo stata accertata la
responsabilità in relazione a un capo di imputazione – più sopra richiamato – del tutto specifico
al riguardo degli importi evasi; la corte ha pertanto redatto una motivazione adeguata laddove
conferma la quantificazione del primo giudice come proporzionata al disvalore del fatto
“eloquentemente rappresentato dal significativo ammontare di somme oggetto di evasione”: le
quali, si rammenta, sono di euro 215.936 per il 2003, euro 131.572 per il 2004 ed euro
114.422 per il 2005, vale a dire complessivamente ammontano a circa mezzo milione di euro.
In conclusione, da quanto esposto emerge la inammissibilità del ricorso (il che impedisce, non

conforme Cass. sez. VI, 9 novembre 2012 n. 43526). La perizia è infatti, secondo i principi

consentendo il formarsi di un valido rapporto processuale di impugnazione, di valutare la
presenza di eventuali cause di non punibilità ex articolo 129 c.p.p., e dunque anche di
estinzione per prescrizione: S.U., 22 novembre 2000 n. 32), cui consegue la condanna del
ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000,
n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza
“versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il
ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

9

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Il Consi

re estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma il 24 aprile 2013

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