Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37353 del 14/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 37353 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sui ricorsi proposti da:

DURO GIOVANNI, n. 5/06/1940 a Palermo

PROCOPIO CARMINE, n. 1/11/1979 a Rho
PROCOPIO SALVATORE, n. 14/05/1985 a Catanzaro

avverso la sentenza della Corte d’Appello di MILANO in data 8/10/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. F. Baldi, che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’impugnata
sentenza;
udite, per i ricorrenti, le conclusioni dell’Avv. A. De Marinis (per il Procopio C.) e
dell’Avv. R. Vanacore (per il Duro), che hanno chiesto accogliersi i ricorsi;

Data Udienza: 14/05/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 8/10/2014, depositata in data 15/10/2014, la
Corte d’Appello di MILANO confermava la sentenza emessa in data 28/10/2013
dal GUP del tribunale di MILANO che aveva condannato: a) il DURO GIOVANNI,
per i reati a lui ascritti ai capi 4a) e 5) della rubrica (artt. 81 cpv., c.p. e 73,

non modico di sostanza stupefacente del tipo cocaina, successivamente ceduto a
terzi non identificati, contestato come commesso in data 17/09/2008; acquisto
reiterato, da terzi separatamente giudicati, di quantitativi non modici di
stupefacente dello stesso tipo, successivamente ceduti a terzi non identificati,
contestato come commesso dal 26/09 al 22/10/2008); b) il PROCOPIO CARMINE
ed il PROCOPIO SALVATORE, per i reati loro ascritti ai capi 9) e 10) della rubrica
(artt. 81 cpv, 110 c.p., 73, d.p.R. n. 309/1990: detenzione in concorso tra loro
di un quantitativo non modico di sostanza stupefacente del tipo cocaina, ceduto
a terzi non identificati, contestato come commesso dal 17/01 al 17/03/2007;
importazione, in concorso tra loro e con Lorè Marco e Sanna Andrea Antonio, di
20100 pastiglie di sostanza stupefacente di tipo ecstasy pari ad un peso netto di
kg. 6,100 con una percentuale di principio attivo medio M.D.M.A. del 17,29%,
fatto aggravato dall’essere stato commesso in tre persone e contestato come
commesso dal 18 al 2/03/2007, data del sequestro); ì medesimi, pertanto, erano
stati condannati, uniti dal vincolo della continuazione i reati rispettivamente
ascritti, esclusa la recidiva contestata ai ricorrenti PROCOPIO, e tenuto conto
della diminuente del rito abbreviato richiesto, alla pena, rispettivamente, di anni
5 e mesi 4 di reclusione ed C 24.000,00 di multa il DURO GIOVANNI, ed alla
pena di anni 6 di reclusione ed C 22.000,00 di multa entrambi i ricorrenti
PROCOPIO, oltre alle pene accessorie di legge.

2. Ha proposto personalmente ricorso DURO GIOVANNI, impugnando la sentenza
predetta con cui deduce quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., per errata applicazione della legge penale, in relazione all’art. 73,
d.P.R. n. 309 del 1990, e correlato vizio di motivazione.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per aver la Corte d’appello
fondato il giudizio di responsabilità del ricorrente sulla base di una lettura

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d.P.R. n. 309/1990: acquisto da terzi separatamente giudicati di un quantitativo

arbitraria delle conversazioni ambientali captate, poste a fondamento esclusivo
della sentenza di condanna, omettendo di individuare ulteriori elementi di
riscontro, nonostante la non univocità dei dialoghi, per l’uso di una terminologia
non direttamente attinente allo spaccio di stupefacenti; a fronte della grave
contestazione mossa, difetterebbero del tutto gli elementi richiesti per fondare
un giudizio di responsabilità penale (assenza di perquisizioni/sequestri di

denaro significativi tra ricorrente e venditori né prova di movimentazione o
disponibilità di denaro da parte del ricorrente compatibile con le somme di cui si
parla nelle conversazioni intercettate; mancata individuazione di movimenti di
cessione a terzi della sostanza o di eventuali acquirenti o di intercettazioni
telefoniche tra il ricorrente ed eventuali acquirenti, nonostante l’utenza telefonica
del ricorrete fosse stata sotto intercettazione sino al febbraio 2009; mancata
individuazione dell’esatto quantitativo di stupefacente presuntivamente
acquistato dal ricorrente in alcuno dei tre giorni in cui si sarebbe sviluppata la
condotta criminosa, limitandosi la sentenza ad accennare ad un acquisto di gr.
50, senza nulla precisare sul punto; infine, mancato accertamento del tipo di
sostanza oggetto della trattativa, circostanza rilevante proprio a seguito della
reintroduzione di un diverso trattamento sanzionatorio tra droghe leggere e
droghe pesanti); si sostiene, ancora, l’estrema genericità della contestazione,
priva dei necessari elementi probatori richiesti dall’art. 73, d.P.R. n. 309 del
1990, difettando nell’imputazione qualsiasi riferimento sia al quantitativo di
stupefacente concretamente acquistato dal ricorrente che ai tempi ed alle
modalità con cui si sarebbe perfezionata la successiva attività di cessione a terzi;
sul punto, peraltro, si sostiene che la sentenza sarebbe illogica, avendo i giudici
respinto l’eccezione di genericità del capo di imputazione argomentando
semplicisticamente con l’affermare che detta imputazione indicherebbe tutti gli
elementi che si erano potuti accertare ne corso dell’indagine, motivazione
palesemente viziata in quanto legittimerebbe la formulazione di qualsivoglia tipo
di imputazione pur se non ancorata a dati fattuali concreti che possano essere
oggetto di esame obiettivo da parte della difesa; i giudici di appello, nel
confermare la sentenza di primo grado, si sarebbero limitati poi ad ipotizzare
l’esistenza di un rapporto continuativo tra il ricorrente e MANNO, avente ad
oggetto periodiche cessioni di stupefacente, deduzione smentita dai dati
documentali, laddove l’attività illecita si sarebbe sviluppata in tre soli giorni
(17/09, 26/09 e 22/10/2008) e nessun contatto con eventuali acquirenti
risulterebbe essere stato intercettato sull’utenza del ricorrente.

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stupefacente a carico del ricorrente; mancata ricostruzione di movimenti di

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc.
pen., per vizio di motivazione con riferimento all’interpretazione del contenuto
celle conversazioni, con conseguente violazione del criterio di giudizio dettato
dall’art. 533 cod. proc. pen.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per aver la Corte d’appello
fondato il giudizio di responsabilità del ricorrente sull’arbitraria interpretazione

univocità del loro significato, avrebbero richiesto una valutazione più attenta da
parte della Corte d’appello, tenuto conto della attività lavorativa lecita attinente
la vendita di capi di abbigliamento, sciarpe ed orologi svolta dal ricorrente sin
dal 2007 (si osserva, sul punto, richiamando alcune intercettazioni, come nelle
stesse si faccia riferimento proprio a tali oggetti); i giudici avrebbero quindi
mancato di motivare in ordine all’inattendibilità della ricostruzione difensiva
alternativa, senza fornire a supporto della tesi accusatoria ulteriori elementi di
riscontro; sul punto, si sostiene, appaiono contestabili le osservazioni già svolte
dal primo giudice circa il fatto che il riferimento a tali beni rappresentasse
unicamente la terminologia utilizzata per indicare lo stupefacente e che la
relazione della Questura non potesse ritenersi dimostrativa di alcunchè in
ragione del riferimento a diversi beni in commercio, in quanto meramente
esemplificativa della variegata merce venduta dal ricorrente, tra cui anche
calzature ed abbigliamento intimo; ciò sarebbe confermato anche dal fatto che,
conclusa la vendita nell’ottobre 2008, nessun’altra notizia si sia più avuta del
ricorrente, atteso che l’esito dell’attività di intercettazione disposta sulla sua
utenza dall’ottobre 2008 al febbraio 2009 aveva dato esito negativo,
confermando l’infondatezza della prospettazione accusatoria, non essendo stato
contattato il ricorrente da eventuali acquirenti; né, si aggiunge, utili elementi di
riscontro possono essere considerati, da un lato, le videoriprese effettuate al bar
The Prince,

in quanto assolutamente neutre non documentando attività di

cessione di stupefacente (non essendo indicativo il fatto che il ricorrente sia stato
osservato uscire dal bar con un sacchetto in mano o con la mano nella tasca
della giacca) né, dall’altro, il servizio di osservazione del 17/10 e del
22/10/2008, essendo il frutto di una mera congettura l’affermazione che tali
videoriprese cristallizzassero il momento della cessione dello stupefacente,
avendo assunto il ricorrente atteggiamenti del tutto normali; la Corte, infine, non
avrebbe mai spiegato le ragioni della mancata effettuazione di controlli e
sequestri di stupefacente a carico del ricorrente, laddove si consideri la rilevante
quantità ipotizzata; diversamente, l’illogicità della motivazione troverebbe
conferma anche nella distanza temporale tra i fatti contestati (ottobre 2008) e
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del contenuto delle conversazioni intercettate le quali, invece, attesa la non

l’esecuzione delle misure cautelari (intervenute cinque anni dopo), ditalchè la
motivazione appare del tutto viziata nell’aver fondato sull’arbitrario significato
attribuito alle conversazioni intercettate il giudizio di responsabilità.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., per erronea applicazione di legge e vizio di motivazione con
ex art. 73,

comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per aver la Corte d’appello
escluso, con motivazione mancante ed illogica, la configurabilità dell’ipotesi
lieve; non sarebbe stata fornita alcuna prova della quantità non modica di
stupefacente che sarebbe stata acquistata dal ricorrente, essendosi la Corte
d’appello limitata ad affermare che il contesto in cui si inserisce la vicenda
esclude che i quantitativi di droga ceduti potessero essere modici e che quanto
oggetto di cessione potesse riguardare droghe leggere; detta affermazione
sarebbe immotivata, poiché avrebbe richiesto una particolare riflessione
sull’esistenza di elementi di segno opposto, considerata la mancata
individuazione di un quantitativo specifico cui potesse essere ancorato il giudizio
sulla modica e/o rilevante quantità di stupefacente, qualificandosi come del tuto
arbitrario il riferimento ai 50 gr. di stupefacente di cui si parla a pag. 10
dell’impugnata sentenza, che non sarebbe stato riscontrato da alcun elemento,
nemmeno indiziario; infine, si osserva, i giudici non avrebbero tenuto conto che
l’ipotesi dell’art. 73, comma quinto, T.U. Stup. può essere riconosciuta anche in
presenza di quantitativi rilevanti di stupefacente.

2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., per errata applicazione di legge e vizio di motivazione con riferimento
al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62bis
cod. pen.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per aver la Corte d’appello
negato il riconoscimento delle predette attenuanti fondando il relativo diniego sia
sulla “non incensuratezza” del ricorrente che sulla considerazione delle buone
condizioni di salute del medesimo, che nemmeno all’epoca dovevano essere
seriamente compromesse se questi era effettivamente in grado di gestire traffici
di droga; tale affermazione sarebbe viziata sia perché la mancata incensuratezza
non è di per sé ostativa al riconoscimento delle predette attenuanti (che,
peraltro, si osserva, sono state riconosciute ad altri imputati parimenti gravati di
precedenti penali ben più gravi), mentre, quanto allo stato di salute,
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riferimento al mancato riconoscimento del fatto di minore gravità

l’affermazione della Corte territoriale sarebbe smentita dalla documentazione
medica in atti che dimostra come il ricorrente fosse reduce da un tumore molto
invasivo tanto da essere stato ammesso al regime di arresti donniciliari (il
ricorrente, peraltro, allega al ricorso copia tessera invalidità civile e carta
d’identità attestante tale status).

procuratore speciale cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui
deduce due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

3.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., per inosservanza e/o erronea applicazione della norma processuale di
cui all’art. 533 cod. proc. pen. con riferimento al principio dell’oltre ogni
ragionevole dubbio, e correlati vizi di mancanza, contraddittorietà e/o manifesta
illogicità della motivazione in relazione alla fattispecie di cui all’art. 73, d.P.R. n.
309 del 1990.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto i giudici di appello
non avrebbero esaustivamente argomentato sia sulla sussistenza e qualificazione
del fatto di reato (in particolare quanto al capo 9), nemmeno qualificato come
ipotesi di minore gravità ex art. 73, comma quinto, T.U. Stup.), sia sulla
commissione dello stesso (con rifermento al capo 10); muovendo dalla
illustrazione di un passaggio argomentativo esposto in sentenza (pag. 21), il
ricorrente censura la sentenza per aver attribuito valenza probatoria univoca
all’unica fonte probatoria costituita dalle intercettazioni telefoniche, senza
tuttavia tener conto di una serie di prospettazioni difensive (mancanza di
telefonate riguardanti il ricorrente e il Maiolo; esistenza di un rapporto amicale
quanto alle conversazioni con tale Sara e Daniela, di cui al capo 9; esistenza di
un evidente deserto probatorio costellato unicamente da fragilissimi elementi
indiziari privi dì riscontro oggettivo analitico della sostanza); la motivazione
sarebbe illogica, sia perché contrastante con il principio di legalità ex art. 1 cod.
pen., ma anche perché violerebbe il principio di offensività in materia di
stupefacenti, atteso che in difetto di sequestri di sostanza stupefacente, quanto
al capo 9 della rubrica, occorrerebbe la prova della effettiva disponibilità della
sostanza e l’accertamento della stessa; sarebbe stato quindi violato sia il
disposto dell’art. 192 cod. proc. pen. sulla valutazione indiziaria che il disposto
dell’art. 533 cod. proc. pen. relativo al principio dell’oltre ogni ragionevole
dubbio, facendo prevalere un’erronea deduzione della condotta ascritta sulla
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3. Ha proposto ricorso PROCOPIO CARMINE a mezzo del difensore fiduciario –

base di presunzioni ipotetiche ed aprioristiche, con conseguente travisamento
della prova e manifesta illogicità della motivazione, avendo operato un cattivo
governo del complessivo compendio probatorio; si sostiene, ancora, in ricorso,
riportando un ulteriore passaggio argomentativo dell’impugnata sentenza (pag.
22 della sentenza) che la Corte territoriale avrebbe errato nel qualificare il
rapporto con le interlocutrici Sara e Daniela come avente ad oggetto condotte

rapporti amicali, sicchè le modalità ed

i toni confidenziali avrebbero dovuto

essere letti diversamente, laddove, invece, la Corte territoriale ha operato un
fugace rimando per relationem a sillogismi deduttivi che rendono illogico l’intero
impianto motivazionale, avendo i giudici interpretato in modo unidirezionale ed
ipervalutativo il contenuto di conversazioni intercettate oggettivamente neutre;
del resto, si osserva, la scelta del giudizio abbreviato non avrebbe dovuto
comportare un inversione dell’onere probatorio, ditalchè le telefonate ritenute
indizianti, se lette con la lente del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio,
conducevano alla carenza di prova della colpevolezza, in assenza di elementi di
certezza del dato ponderale e quantitativo dello stupefacente; confermerebbero
tale lettura errata e illogica alcuni elementi evocati dal ricorrente (v. pag. 5 del
ricorso, in cui si censura quanto affermato a pag. 24 dell’impugnata sentenza,
quanto alla mancata valutazione della lettura alternativa dell’espressione “essere
a piedi”, intesa dalla Corte come indisponibilità di stupefacente, laddove avrebbe
dovuto essere intesa nel senso reale di essere rimasto a piedi per il
malfunzionamento dell’autovettura, come dimostrato da una telefonata del
25/03/2007 in cui il ricorrente parlava di problemi avuti dalla propria BMW);
ancora, l’errore valutativo in cui la Corte sarebbe incorsa riguarderebbe sia la
concorsualità nella condotta di spaccio che la tipologia di sostanza, ossia che non
si trattasse di droga leggera, atteso che, quanto a tale ultimo profilo, ciò avrebbe
comportato un’inammissibile inversione dell’onere probatorio; infine, il vizio
inficerebbe l’impugnata sentenza anche nella valutazione delle intercettazioni
telefoniche, poiché, trattandosi di “droga parlata”, vi sarebbe stata una lettura
ipervalutativa di episodi che invece avrebbero dovuto essere letti diversamente.

3.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., per inosservanza e/o erronea applicazione delle norme di cui agli artt.
62 bis e 133 cod. pen., con riferimento al mancato riconoscimento delle
attenuanti generiche e quanto al trattamento sanzionatorio e dosinnetrico,
correlati vizi motivazionali.

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illecite di cessione di stupefacenti, laddove, diversamente, si sarebbe trattato di

In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto i giudici di appello
avrebbero finito per attestarsi su un’aprioristica conferma di quanto affermato
dal primo giudice, negando ingresso al diritto di difesa e al principio di attualità e
concretezza nella prognosi per il riconoscimento delle attenuanti generiche, in
particolare laddove hanno negato le attenuanti generiche censurando il
comportamento processuale poco collaborativo; sul punto, si osserva, la

motivazione del diniego, difettando in ogni caos la sentenza dell’indicazione di
precise ragioni e criteri utilizzati per negare le attenuanti generiche, soprattutto
alla luce della più recente giurisprudenza di cui il ricorrente richiama alcune
decisioni; infine, viene censurata la motivazione sul punto del diniego della
richiesta di mitigare la pena inflitta laddove ritiene di non attribuire rilevanza alla
risalenza nel tempo dei fatti; sostiene, sul punto, il ricorrente che proprio detta
lontananza nel tempo dei fatti sarebbe rilevante ai fini dell’aspetto volitivo e
cosciente del dolo e della tendenza al crimine.

4. Ha proposto ricorso PROCOPIO SALVATORE a mezzo del difensore fiduciario
cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui deduce un unico,
articolato, motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

4.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., per inosservanza e/o erronea applicazione della norma di cui all’art.
533 cod. proc. pen., 5 legge n. 46 del 2006 e 73, d.P.R. n. 309 del 1990, e
correlati vizi di mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della
motivazione, sia in riferimento al vaglio probatorio operato dai giudici di merito
sia in relazione all’infondata ed arbitraria lettura delle conversazioni intercettate
che i giudici di appello avrebbero adottato, in difetto dell’identificazione degli
acquirenti della sostanze, della mancata individuazione delle fonti della stessa,
della mancata ricostruzione di movimenti di denaro significativi e del mancato
superamento dell’eccezione difensiva circa la riferibilità delle conversazioni ad
altra attività.
In intesi, la censura investa l’impugnata sentenza in quanto i giudici di appello
avrebbero erroneamente valutato gli atti di indagine; muovendo dall’imputazione
sub 9), si contesta la genericità del capo di imputazione, la sua indeterminatezza
nell’oggetto, nella qualità e soprattutto della quantità della sostanza, e
nell’identificazione dei presunti acquirenti (si sostiene che non vi sarebbe
certezza sulla qualità dello stupefacente, ben potendosi trattare di droghe
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mancata resipiscenza e/o collaborazione non potrebbero essere addotti quale

leggere, con conseguente rivalutazione e rideterminazione anche della pena, a
seguito della sentenza della Corte cost. n. 32/2014 e della necessaria
rivalutazione ai sensi del comma quinto dell’art. 73 T.U. Stup.); la sentenza
sarebbe poi viziata in quanto fonderebbe la responsabilità del ricorrente su prove
che non raggiungono nemmeno il rango di prova indiziaria, contestandosi a tal
proposito il vaglio probatorio operato in relazione all’imputazione sub 10), in cui i

tratta da diverse conversazioni telefoniche da cui non sarebbero desumibili e da
cui non sarebbe possibile trarre elementi sufficientemente probanti tali da
sostenere il giudizio di condanna; sul punto, sostiene il ricorrente come nessun
contributo sarebbe stato da lui fornito all’autore materiale del reato (il Lorè) né
alcun elemento emergerebbe per affermare il coinvolgimento del ricorrente in
affari pregressi in concorso con quest’ultimo; la Corte si sarebbe rifugiata in una
motivazione di mero stile, denunciandosi inoltre la carenza di riscontri esterni
sulle conversazioni intercettate, come invece richiesto dalla giurisprudenza di
questa Corte; in definitiva, quindi, non sarebbe stato osservato il principio
dell’oltre ogni ragionevole dubbio, avendo la Corte territoriale fatto proprie
interpretazioni diverse ed alternative rispetto a quelle dei primi giudici, restando
diversi profili di dubbio su una serie di fattori (assenza di attività di osservazione;
mancata individuazione di soggetti acquirenti; assenza di sequestri;
conversazioni intercettate oggettivamente incerte; assenza di riscontri esterni).

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Tutti i ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.

6. Seguendo la sistematica imposta dalla struttura dell’impugnazione in sede di
legittimità può essere, anzitutto, esaminato il ricorso DURO con cui vengono
svolte censure afferenti i capi 4a e 5 dell’impugnata sentenza.

6.1. Con il primo motivo, come già ampiamente illustrato in precedenza, il
ricorrente deduce violazione di legge e vizio motivazionale sostenendo in
estrema sintesi: a) lettura arbitraria delle intercettazioni; b) equivocità dei
dialoghi e della terminologia utilizzata; c) carenze probatorie, stante l’assenza di
servizi di osservazione, sequestri, etc., nonché anche in ordine alla
individuazione della qualità dello stupefacente; d) contestazione generica quanto
alla continuità dei rapporti con il Manno, in assenza di conversazioni intercettate
con quest’ultimo; e) genericità dei capi di imputazione.
9

fatti sarebbero stati ascritti al ricorrente in ragione di un’ingiustificata congettura

6.2. La Corte d’appello svolge il percorso argomentativo in ordine alla posizione
del Duro alle pagg. 10 e segg. dell’impugnata sentenza; importanti, chiare e
significative, oltre che immuni da vizi logici, sono le argomentazioni fattuali poste
a fondamento del giudizio di condanna (conversazione ambientale intercettata
all’interno del bar di Pioltello; riferimento allo “spaccio”; rapporto continuativo
che veniva ad instaurarsi tra il ricorrente, il Manno ed il Carollo, unitamente al

partita di abbigliamento, avendo già il Duro deciso di porre termine alla predetta
attività commerciale; spiegazione del riferimento agli “orologi”; riferimento a
quantitativi e il controvalore in denaro escludono per i giudici territoriali che si
facesse riferimento nelle conversazioni sia a quantitativi modici che a droghe di
qualità “leggera”, come chiaramente esplicitato alle pagg. 13/14 dell’impugnata
sentenza).
Quanto, poi, alla seconda fornitura del 26/09, vengono individuati in sentenza gli
elementi probatori, chiarendosi le ragioni per le quali l’uso del linguaggio criptico
(sciarpe) fosse riferibile al denaro che il Duro doveva consegnare alla coppia
Portaro/Manno per il pagamento della cocaina; i giudici di appello, poi,
chiariscono la ragione dell’interesse di questi ultimi a ricevere le “sciarpe”;
spiegano ancora perché il Duro tergiversava nella consegna di dette “sciarpe”, in
quanto si trattava proprio del denaro di cui era debitore verso costoro;
attraverso la ricostruzione logica e cronologica delle conversazioni (in particolare,
quelle del 15/10 e del 18/10) i giudici giungono poi alla identificazione della c. .d
terza consegna (quella del 22/10), non a caso precisando come la telefonata
fosse stata fatta da una cabina (ciò che denota particolare attenzione e l’uso di
particolari accorgimenti per evitare l’identificazione), chiarendo la Corte
territoriale come la prova non fosse solo costituita dal fatto di essere stato visto
il ricorrente uscire dal bar con un pacchetto, ma anche e soprattutto dalle
considerazioni logiche derivanti dagli accordi pregressi.

6.3.

A fronte di tale puntuale apparato argomentativo, coerente con la

ricostruzione fattuale e scevro da vizi logici, le censure del ricorrente appaiono
del tutto generiche, in quanto meramente ripropositive delle medesime doglianze
proposte in sede di appello ed adeguatamente confutate dai giudici di secondo
grado, donde il motivo è inammissibile per aspecificità (v., nel senso che
l’impugnazione è inammissibile per genericità dei motivi se manca ogni
indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione
impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può
ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di
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Portaro; incompatibilità delle espressioni utilizzate con la presunta vendita di una

aspecificità: Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007 – dep. 10/09/2007, Scicchitano,
Rv. 236945; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv.
253849).
Le censure del ricorrente, peraltro, si risolvono in un tentativo di rilettura delle
risultanze probatorie, manifestando in altri termini un dissenso rispetto alla
ricostruzione fattuale logicamente operata dai giudici territoriali e rispetto alla

Corte territoriale, operazione com’è noto del tutto inibita in questa sede di
legittimità. Sul punto non va infatti dimenticato, da un lato, che l’indagine di
legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto,
dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per
espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di
verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è
avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle
acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello
di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402
del 30/04/1997 – dep. 02/07/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944; Sez. U, n. 24
del 24/11/1999 – dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214794, quanto ai limiti di
deducibilità del vizio di illogicità della motivazione; Sez. U, n. 47289 del
24/09/2003 – dep. 10/12/2003, Petrella, Rv. 226074). A ciò, poi, si aggiunga
che gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio
valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l’esame
delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici,
sono sottratti al Sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla
censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli
assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di
ricorso, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., non rientrano quelle relative alla
valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali,
la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l’indagine sull’attendibilità dei
testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità e
logicità della motivazione (Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989 – dep. 11/01/1990,
Bianchesi, Rv. 182961).
Controllo, nella specie, agevolmente superato dalla sentenza impugnata.

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valutazione del complesso degli elementi, indiziari e probatori, operata dalla

7. Non miglior sorte merita il secondo motivo di ricorso, con cui il Duro si duole
di un vizio motivazionale con riferimento all’interpretazione del contenuto delle
intercettazioni, oltre che della violazione del principio dell’ogni oltre ragionevole
dubbio.

7.1. La Corte territoriale, come già anticipato a proposito del primo motivo,

conversazioni intercettate un significato congruente con riferimento alla criticità
del linguaggio impiegato.

7.2. Le censure, ancora una volta, ripropongono profili di doglianza già svolti in
sede di primo motivo; in particolare, sull’inattendibilità della versione difensiva,
la Corte territoriale analizza la lettura operata dalla difesa del ricorrente,
ritenendola incompatibile con quella emergente dagli atti, così rendendo priva di
pregio la censura di violazione del principio di cui all’art. 533 cod. proc. pen.,
atteso che il principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, non può essere
utilizzato, nel giudizio di legittimità, per valorizzare e rendere decisiva la duplicità
di ricostruzioni alternative del medesimo fatto emerse in sede di merito su
segnalazione della difesa, se tale duplicità sia stata oggetto di puntuale e
motivata disamina da parte del giudice di appello: Sez. 1, n. 53512 del
11/07/2014 – dep. 23/12/2014, Gurgone, Rv. 261600).
Sulla interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate e sul fatto
che avessero ad oggetto stupefacente del tipo cocaina, si è già chiarito in sede di
primo motivo come la Corte d’appello fornisca una spiegazione logica (v. pagg.
13/14 dell’impugnata sentenza), che è dunque insindacabile in questa sede
proprio perché immune dai denunciati vizi di illogicità. Non va dimenticato,
infatti, che in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni,
l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando
sia criptico o cifrato, è questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice
di merito e si sottrae al giudizio di legittimità se la valutazione risulta logica in
rapporto alle massime di esperienza utilizzate (Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013
– dep. 20/11/2013, P.G., Corso e altri, Rv. 258164; Sez. 5, n. 3643 del
14/07/1997 – dep. 19/09/1997, Ingrosso P, Rv. 209620).
Anche tale secondo motivo si appalesa, pertanto, privo di pregio.

8. Quanto al terzo motivo, con cui invece il Duro censura l’impugnata sentenza
per la mancata qualificazione giuridica dei fatti ai sensi dell’art 73, comma
quinto, T.U. Stup., la Corte d’appello sviluppa le necessarie argomentazioni alle
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ricostruisce del tutto logicamente il compendio probatorio, attribuendo alle

pagg. 13/14 dell’impugnata sentenza, in particolare quando Oi riferisce al
termine “chilo” ed al risparmio di C 500,00.

8.1. Orbene, osserva il Collegio, se è ben vero che l’ipotesi del comma quinto
dell’art. 73 non può essere negata solo per l’esistenza di quantitativi rilevanti
(Sez. 6, n. 27809 del 05/03/2013 – dep. 25/06/2013, Gallo, Rv. 255856), è

fatto di lieve entità non può trovare applicazione, pur in assenza di altri elementi
impeditivi, se il quantitativo di sostanza supera un ragionevole limite, tale da
configurare pericolo di accumulo della sostanza (Sez. 6, n. 39931 del
16/10/2008 – dep. 24/10/2008, Zagnoli, Rv. 242247). E, nel caso di specie, nelle
conversazioni intercettate si parlava di “chilo”, dunque è del tutto ragionevole e
logico il giudizio di mancata riqualificazione nell’ipotesi del comma quinto operato
dalla Corte d’appello.

9. Deve, infine, essere esaminato il quarto ed ultimo motivo di ricorso, con cui il
Duro svolge censura di violazione di legge e vizio motivazionale in relazione al
mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, attesa la erronea
“svalutazione” da parte dei giudici di merito della “non incensuratezza”.

9.1. Sul punto, la Corte d’appello motiva diffusamente indicando le ragioni del
mancato riconoscimento, valorizzando in chiave negatoria i precedenti penali del
ricorrente, anche specifici, nonché sminuendo la rilevanza in tale ottica della
questione afferente lo stato di salute del ricorrente medesimo (v. pagg. 15/16
dell’impugnata sentenza).

9.2. Ritiene il Collegio infondato il motivo, atteso che già il semplice riferimento
ai precedenti penali ed allo stile di vita del ricorrente medesimo è di per sé
sufficiente, sotto il profilo giuridico e della correttezza motivazionale, a
giustificare il diniego delle invocate attenuanti. Sul punto, è sufficiente
richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui ai fini
dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis
cod.pen., il giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art.133 cod.pen., ma non
è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a
quale di esso ha inteso fare riferimento. Ne consegue che il riferimento, da parte
del giudice di appello, ai precedenti penali dell’imputato, indice concreto della
sua personalità – in mancanza di specifiche censure o richieste della parte
interessata, in sede di impugnazione, in ordine all’esame di altre circostanze di
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altrettanto vero però che in tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti, il

fatto inerenti ai suddetti parametri – adempie all’obbligo di motivare sul punto
(Sez. 1, n. 707 del 13/11/1997 – dep. 21/02/1998, Ingardia, Rv. 209443).

10. Può, quindi, passarsi all’esame dei motivi di ricorso PROCOPIO CARMINE e
PROCOPIO SALVATORE, essendo omogenei i profili di doglianza dedotti (in
particolare quelli posti con il primo motivo di ambedue i ricorsi, atteso che il
Carmine propone un secondo motivo, a lui esclusivo che sarà trattato
autonomamente) .

10.1. Quanto al primo motivo, con cui si svolgono censure di violazione di legge
e vizio di motivazione in relazione all’art. 533 cod. proc. pen. con riferimento al
disposto dell’art. 73, T.U. Stup., va qui in sintesi ricordato che le doglianze
concernono: a) l’ipervalutazione delle risultanze delle intercettazioni telefoniche;
b) la mancata valutazione degli elementi alternativi di lettura operati dalla
difesa; c) l’erronea interpretazione del colloquio Sara/Daniela in quanto dal
contenuto amichevole; d) la lettura illogica della frase “sono a piedi” profferita
dal ricorrente; e) l’errore nell’aver qualificato la condotta del ricorrente come
concorso nel reato; f) l’esclusione della qualità di droga “leggera” di quella
oggetto della conversazione; g) l’erronea valutazione del materiale captato; h)
l’assenza di qualsiasi contributo offerto dal Lorè in ordine alla ricostruzione dei
fatti di cui al capo 10).

10.2. La Corte d’appello tratta della posizione dei ricorrenti alle pagg. 16 e segg.
dell’impugnata sentenza; i giudici territoriali analizzano in maniera puntuale gli
elementi di prova posti a fondamento del giudizio di responsabilità, sia quanto
alla posizione del Carmine che del Salvatore Procopio, distinguendo gli elementi
probatori rilevanti sia con riferimento al capo 9) che con riferimento al capo 10).

10.3. Ritiene il Collegio che le censure dei ricorrenti si appalesano aspecifiche
perché, al pari di quella già svolte dal Duro, ripropongono le medesime doglianze
già sollevate davanti alla Corte d’appello; valgono, pertanto, le medesime
argomentazioni già svolte da questo Collegio in relazione al primo motivo di
ricorso Duro, qui da intendersi integralmente richiamate.
Quanto, poi, ai fatti oggetto di contestazione, l’analisi degli elementi probatori
riferiti al capo 9) destituisce di fondamento la tesi difensiva e le censure mosse
sia dal Carmine che dal Salvatore Procopio (in particolare: descrizione della
condotta Maiolo; proposta di acquisto “consistente” di stupefacente; riferimento
al linguaggio criptico quanto all’appartamento da ristrutturare; logica
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interpretazione delle conversazioni riferite a cessioni quanto a Sara/Daniela;
logica confutazione della tesi dell’esistenza del rapporto amichevole con le due
donne, su cui v. amplius pag. 22 dell’impugnata sentenza; logica analisi delle
conversazioni “indizianti” e della spiegazione del coinvolgimento dei due cugini,
Carmine e Salvatore Procopio, nella vicenda; logica spiegazione della
qualità/quantità dello stupefacente trattato, su cui v.

amplius

quanto

argomentato a pag. 23 dell’impugnata sentenza).
Analogamente, l’analisi del compendio probatorio operata dalla Corte territoriale
in ordine alla sussistenza dei fatti contestati al capo 10) della rubrica viene
condotta dando conto delle ragioni per le quali le deduzioni difensive erano del
tutto infondate, chiarendo le ragioni della compartecipazione di ambedue i
cugini; del resto, lo sviluppo cronologico delle conversazioni intercettate nel
mese di marzo da conto dell’esistenza di una compartecipazione di entrambi
ricorrenti Procopio all’episodio di importazione dall’Olanda dello stupefacente, per
il quale viene arrestato il 25/3 il Lorè (v. pagg. 24/25 dell’impugnata sentenza).

10.4. Quanto, poi, al secondo motivo di ricorso Procopio Carmine, che svolge
censure di violazione di legge e vizio motivazionale in ordine al mancato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento
sanzionatorio, a fronte dell’atteggiamento processuale collaborativo del
medesimo, è sufficiente in questa sede osservare – al fine di escluderne la
fondatezza – come la Corte d’appello valorizzi i precedenti penali nonché la
professionalità della condotta posta in essere dal ricorrente, svilendo sia il
riferimento alla risalenza nel tempo che all’atteggiamento processuale.

10.5. Trattasi di argomentazioni corrette in diritto e logicamente ineccepibili, per
le quali valgono le medesime considerazioni già svolte a proposito del quarto
motivo di ricorso Duro, da intendersi qui integralmente richiamate.

11. Entrambi i ricorsi devono essere, conclusivamente, rigettati. Segue, a norma
dell’articolo 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 14/05/2015

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