Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37349 del 18/04/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 37349 Anno 2013
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
FONTANAROSA Walter, nato a Napoli il 14/8/1975
avverso la sentenza dell’ 8/6/2012 della Corte di appello di Roma che, in parziale
riforma della sentenza dell’ 8/3/2010 del Tribunale di Roma, ha dichiarato non
doversi procedere in ordine al capo B) e in ordine al capo A), limitatamente al
periodo d’imposta 2003, per intervenuta prescrizione e ha rideterminato la pena
nella misura di un anno e due mesi di reclusione, confermando nel resto la prima
sentenza;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;

Data Udienza: 18/04/2013

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale,
Gabriele Mazzotta, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Susanna Carraro, che ha concluso chiedendo
accogliersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Sig. Fontanarosa è stato condannato dal Tribunale di Roma con
sentenza dell’ 8/3/2010 perché ritenuto colpevole dei reati previsti dall’art.2 del
d.lgs. 10 marzo 2000, n.74 (capo A) e dell’art.8 della medesima legge (capo B)
per avere, in concorso per il solo capo B con Concetta Bando, quale legale

/i

rappresentante della “KARMA NET S.r.l.” e quale amministratore di fatto della
“BC Computer di Balido Concetta S.a.s.”, negli anni 2003 e 2004 fatto ricorso a
fatture per operazioni inesistenti emesse dalla seconda società in favore della
prima, a sua volta utilizzatrice di tali fatture e di altre ancora al fine di evasione
delle imposte dirette e dell’I.v.a. Il Tribunale, mandata assolta la Sig.ra Balido
“perché il fatto non costituisce reato”, previa concessione delle circostanze
attenuanti generiche/ ha inflitto al sig. Fontanarosa la pena di un anno e otto
mesi di reclusione.

riforma di quella del Tribunale di Roma, ha confermato la sussistenza degli
illeciti, ma ha dichiarato non doversi procedere in ordine al capo B) e in ordine
al capo A), limitatamente al periodo d’imposta 2003, per intervenuta prescrizione
e ha rideterminato la pena nella misura di un anno e due mesi di reclusione,
confermando nel resto la prima sentenza.
3. Avverso tale decisione il sig. Fontanarosa propone ricorso personalmente,
in sintesi lamentando:
a.

Errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di
motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. per avere la Corte di
appello omesso di dare risposta alle specifiche censure mosse coi motivi
d’impugnazione e fatto rinvio alla motivazione di primo grado, in particolare
omettendo di illustrare le ragioni di rigetto delle questioni concernenti
l’effettività delle operazioni commerciali sottostanti le fatture contestate. La
Corte di appello ha, da un lato, riconosciuto che la sig.ra Balido aveva
esperienza lavorativa nel settore e che la “Karma Net” ha registrato anche
fatture di terza società, ma di questo non tiene conto quando conclude per la
non operatività della società asseritamente interposta e delle fatturazioni
relative. Se a ciò si aggiunge l’omessa valutazione delle testimonianze in atti
(pag.3 ricorso) e il mero rinvio “per relationem” alla prima sentenza, emerge
con chiarezza il vizio in cui è incorsa la sentenza di appello; in particolare: a)
difetta la prova che la “BC Computer” sia una società non operativa; b) vi è
prova di regolari pagamenti della “Karma Net” alla “BC Computer” e di
ordinativi di merce per via telematica; c) la Corte di appello non riesce a
contrastare la “lettura alternativa” dei fatti fornita dagli imputati;

b.

Errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di
motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. con riferimento alla
mancato applicazione dell’art.9 del d.lgs. 10 marzo 2000, n.74 che vieta la
doppia incriminazione per gli stessi fatti e con riferimento al mancato
riconoscimento dell’assenza dell’elemento soggettivo del reato ex art.43 cod.
pen.;

2

2. Con sentenza dell’ 8/6/2012 la Corte di appello di Roma, in parziale

c.

Errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. per avere i
giudici di appello omesso di dichiarare la prescrizione dei reati;

d.

Errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di
motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. con riguardo al
trattamento sanzionatorio, sicuramente eccessivo, e alla mancata
concessione dei benefici di legge;

e.

Errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di
motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. con riferimento agli

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva la Corte che la motivazione della Corte di appello, dopo avere
affermato che i motivi di impugnazione si limitano a riproporre le tesi difensive
senza confrontarsi con la motivazione specifica offerta dal Tribunale, si articola
riproducendo i passaggi essenziali della sentenza di primo grado relativi alle
risultanze probatorie e alla ricostruzione dei fatti (pagg.2-18) e procedendo
successivamente all’esame dei motivi d’impugnazione. Si tratta di articolazione
motivazionale che potrebbe incorrere nell’ipotesi prevista dall’art.606, lett.e)
cod. proc. pen. qualora si risolvesse nel rinvio alla prima parte del percorso
argomentativo e in una sostanziale carenza di argomenti dedicati alle censure
dell’appellante. Così non è nel caso concreto.
2.

Deve, infatti, rilevarsi sul punto che la Corte di appello non si è limitata a

sottolineare come gli argomenti dell’appellante (sintetizzati compiutamente a
pag.18) siano la riproposizione delle tesi esposte davanti al primo giudice, e da
questi smentite, ma aggiunge che a proprio parere tali argomenti non
raggiungono “neppure la soglia della probabilità concreta”. Tale conclusione è
stata nelle pagine successive motivata mediante l’esame delle tesi difensive
concernenti: a) i pagamenti della “Karma Net” alla società apparente venditrice;
b) le 16 fatture che, su un totale di circa 370, sono state emesse nei confronti di
società terze; c) le dichiarazioni testimoniali invocate a supporto della
impostazione difensiva (e contrariamente all’assunto difensivo esaminate in
modo specifico dal Tribunale alle pagg.6-7 della motivazione); d) l’elemento
soggettivo del reato (il Tribunale ha riconosciuto la non utilizzabilità delle
presunzioni tributarie, pag.8, e l’esigenza di utilizzare i criteri in tema di prova e
di indizi fissati dal codice processuale).
3. Quanto appena esposto consente alla Corte di affermare che la Corte di
appello non ha omesso di esaminare le censure mosse coi motivi di
impugnazione e ha, seppure sinteticamente, illustrato le ragioni che conducono a

3

artt.62-bis e 81 cod. pen.

ritenere sussistente la fittizietà delle fatturazioni e la infedeltà delle dichiarazioni,
così confermando la ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice e
respingendo la diversa ricostruzione dei fatti offerta dalla Difesa.
4.

Rileva, ancora, la Corte che il ricorrente erra allorché ritiene che la

proposizione da parte della difesa di una “tesi alternativa” possibile costituisca
elemento che impone di ritenere sussistente un “ragionevole dubbio” in grado di
neutralizzare l’accusa. La Corte di appello ha correttamente affermato il principio
secondo cui l’ipotesi alternativa della difesa deve raggiungere un livello di

pubblica accusa, e ciò avviene quando i fondamenti valutativi del materiale
probatorio e gli elementi ricostruttivi dei fatti non consentono di ritenere
accertati i presupposti del reato.
5. Sovvengono sul punto in relazione al contenuto del ricorso avanti questo
giudice i principi interpretativi in tema di limiti del giudizio di legittimità e di
definizione dei concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, nonché in tema di travisamento del fatto che sono contenuti nelle
sentenze delle Sez.Un., n.2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996,
Fachini, rv 203767, e n.47289 del 2003, Petrella, rv 226074. In tale prospettiva
di ordine generale deve essere seguita la costante affermazione
giurisprudenziale del principio secondo cui è “preclusa al giudice di legittimità la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma
adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti” (fra
tutte: Sez.6, sentenza n.22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv
234148).
In altri termini, una volta escluso che la Corte di appello abbia omesso di
dare risposta alle censure dell’appellante, le motivazioni della prima e della
seconda sentenza si saldano in un complesso motivazionale che la Corte di
legittimità può censurare solo in presenza di vizi radicali del percorso
argomentativo che ne comportino la contraddittorietà insanabile o la manifesta
illogicità. Vizi che nel caso in esame non sussistono.
6. Resta da esaminare la questione proposta con riferimento all’art.9 del
d.lgs. 10 marzo 2000, n.74 e al c.d. divieto di duplicazione dell’imputazione. La
Corte ha già avuto modi di affrontare il tema, distinguendo il divieto di concorso
dell’utilizzatore nel reato commesso da diverso soggetto emittente dalla ipotesi
che l’utilizzatore abbia parte attiva nella condotta di emissione quale titolare o
contitolare (di diritto o di fatto) della ditta o della società emittente; in qiita
seconda ipotesi, afferma la giurisprudenza, l’imputato risponderà dei singoli e
diversi reati cui ha dato corso, eventualmente unificabili tra loro all’interno
dell’unico disegno criminoso (Sez.3, n.47863 del 6/10/2011, rv 251963). Proprio
4

probabilità in grado di neutralizzare sul piano logico quanto sostenuto dalla

in questo direzione va il caso che ci occupa, essendo stato contestato al sig.
Fontanarosa il reato di emissione delle fatture per operazioni inesistenti quale
amministratore di fatto e dominus della ditta “BC”. Anche questo motivo di
ricorso va, conclusivamente, qualificato come inammissibile.
7. Venendo così alle censure mosse con gli ultimi due motivi al trattamento
sanzionatorio, si è in presenza di impugnazione palesemente infondata. La Corte
di appello, dichiarata l’estinzione per prescrizione dei restanti reati, ha
determinato la pena per il solo capo A e per il solo anno 2004, fissando una pena

l’entità delle operazioni” e operando una diminuzione della pena “nella massima
estensione per le già concesse attenuanti generiche”. A fronte di queste scelte
dei giudici di appello le censure del ricorrente sono palesemente lontane dalla
realtà e meritevoli di pronuncia di inammissibilità.
8.

Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere

dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi
dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13
giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, nonché al versamento della somma di Euro 1.000,00
alla Cassa delle ammende.
Così deciso il 1

/2013

base “lievemente superiore al minimo edittale per l’intensità del dolo e per

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