Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37342 del 15/06/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 37342 Anno 2018
Presidente: IASILLO ADRIANO
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI PALERMO
nel procedimento a carico di:
BUSCEMI GIOVANNI nato a PALERMO il 03/01/1955

avverso l’ordinanza del 18/12/2017 della CORTE ASSISE APPELLO di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE SANIALUCIk;
lette/geAtite le conclusioni del PG
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Data Udienza: 15/06/2018

Ritenuto in fatto
La Corte di appello di Palermo, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha accolto la
richiesta di Giovanni Buscemi e ha così rettificato il provvedimento di unificazione delle pene
concorrenti con il quale era stata determinata la pena da eseguire in quella dell’ergastolo; ha
per l’effetto individuato la pena unica da eseguire, in dipendenza delle sentenze di condanna
emesse dalla locale Corte di assise il 25 luglio 1997 e il 16 novembre 2001, in quella di anni
trenta di reclusione, con decorrenza dal 3 dicembre 1994.
Le due sentenze hanno irrogato la pena di anni trenta di reclusione ciascuna: la sentenza

fatto di partecipazione associativa e altri riguardanti armi; la sentenza del 16 novembre 2001 ha
inizialmente applicato la pena dell’ergastolo, poi sostituita in quella massima temporanea di anni
trenta per effetto della sentenza n. 210 del 2013 della Corte costituzionale.
Tra i reati oggetto di entrambe le condanne è stata riconosciuta la continuazione con
ordinanza del 26 novembre 2010, sicché ora occorre aver riguardo non alle pene irrogate dalle
rispettive sentenze di condanna ma a quella stabilita per il reato ritenuto più grave e alle pene
determinate per gli altri reati quali aumenti di continuazione. Siccome però il giudice che ha
applicato la continuazione non ha specificato l’entità degli aumenti e della pena base, a tanto ha
provveduto la Corte di appello con il provvedimento ora impugnato.
Ritenuto più grave il fatto di omicidio di cui alla condanna del 16 novembre 2001, la Corte
di appello ha fissato gli aumenti di continuazione per i reati di cui alla sentenza del 25 luglio
1997 e ha ritenuto equo stabilire, alla luce dei principi ispiratori della continuazione, un aumento
pari ad anni sedici di reclusione per il reato di omicidio per il quale fu applicata la pena di anni
ventotto di reclusione, e per gli altri reati satellite l’aumento di sette anni, sì come già già stabilito
dalla Corte di assise. Del resto, versandosi in sede esecutiva, non si può rideterminare la pena
modificandone la specie.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il procuratore generale presso la Corte di appello
di Palermo, che ha articolato due motivi.
Con il primo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge. L’affermazione secondo cui,
in sede di esecuzione, nella individuazione della pena per il reato continuato occorre attenersi al
principio del favor rei con rideterminazione della pena senza poterne modificare la specie, si
risolve in una illegittima imposizione di un limite nella libera valutazione del giudice. Essa si pone
in contrasto con il dettato normativo, nella misura in cui l’articolo 81, comma 3, c.p.,
implicitamente richiamato dall’articolo 671 c.p.p., fa riferimento a tutti gli articoli precedenti e,
quindi, anche all’articolo 73, comma 2, c.p. L’unico limite che le legge pone è quello di non
determinare una pena superiore a quelle cumulativamente inflitte dai giudici della cognizione.
Nel caso di specie il giudice dell’esecuzione non avrebbe potuto determinare in continuazione
una pena superiore a sessant’anni di reclusione, ben potendo invece quantificare la pena in
aumento fino a trent’anni di reclusione, con le conseguenti determinazioni ex articolo 73 c.p.

1

emessa il 25 luglio 1997 ha pronunciato condanna per più reati, specificamente un omicidio, un

Con il secondo motivo ha dedotto difetto di motivazione. Il giudice dell’esecuzione,
sull’erroneo presupposto di non poter fissare una pena in aumento pari o superiore a ventiquattro
anni di reclusione, ha omesso di dar conto delle ragioni per le quali la pena per un omicidio, con
sequestro di persona e soppressione di cadavere, e per la partecipazione all’associazione Cosa
nostra, andava determinata in ventitrè anni di reclusione, in misura non a caso di poco al di sotto
della soglia che avrebbe comportato l’applicazione dell’ergastolo.
Il Procuratore generale presso questa Corte, intervenuto con requisitoria scritta, ha
chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

sollecitato la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso non merita accoglimento per le ragioni di seguito esposte.
L’argomento contrario alla tesi prospettata in ricorso, speso già nel provvedimento
impugnato, è che si è provveduto, nell’esercizio di poteri discrezionali, alla quantificazione degli
aumenti di continuazione, giungendo ad un risultato che impedisce già in astratto l’applicazione
dell’articolo 73, comma secondo, c.p., e ciò ancor prima delle affermazioni di principio circa i
rapporti tra continuazione e regole del cumulo materiale.
Si rileva ora la correttezza della premessa, secondo cui occorre aver riguardo non già alle
pene determinate per i singoli reati prima del riconoscimento della continuazione, ma alla
quantificazione degli aumenti per effetto del riconoscimento della stessa, e ciò perché la regola
contenuta nell’articolo 73, comma secondo, c.p. ha riferimento alle “pene che si dovrebbero
infliggere per i singoli reati”, ossia alle pene da applicare e non a quelle che, pur determinate
per ciascun reato, siano ancora soggette a modifiche proprio per effetto dei criteri di cumulo. Né
può dirsi che la quantificazione operata sia arbitraria e quindi illegittima, dal momento che la
Corte di appello ha mantenuto, quali aumenti, le pene irrogate per i reati ancillari e ha invece
ridotto di poco meno della metà la pena applicata per il delitto di omicidio, con un’operazione
tutt’altro che irragionevole in sede di riconoscimento della continuazione.
Ma v’è un’altra ragione che induce a rigettare il ricorso.
La regola dell’articolo 73, comma secondo, c.p. presuppone che si sia di fronte a più pene
per più delitti, mentre il risultato a cui si perviene con la continuazione è la determinazione di
una pena unica, entro cui si disperde l’autonomia delle singole pene dei reati-satellite.
L’applicazione della continuazione risolve la pluralità delle pene, unificandole in quella della pena
per il reato più grave aumentata sino al triplo, con l’ulteriore limite, per la fase esecutiva, della
somma delle pene inflitte e, per la fase della cognizione, della pena applicabile in forza dei criteri
del cumulo materiale.
La conseguenza logica è che, una volta determinata la pena per la continuazione, vengono
automaticamente meno la pluralità delle pene prima considerate e quindi i presupposti perché
possa discutersi dell’applicazione o meno della regola di cui all’articolo 73, comma secondo, c.p.
2

Successivamente il difensore di Giovanni Buscemi ha depositato memoria, con cui ha

In questo senso si pronunciò molti anni fa questa Corte, stabilendo il principio per il quale
“nel caso di pluralità di omicidi aggravati a norma del comma ultimo dell’ad 577 c.p. ed unificati
dal vincolo della continuazione, la pena applicabile non e quella prevista dall’art 73, comma
secondo, c.p. (ergastolo), bensì quella prevista dall’art 81, comma terzo, c.p., cioè una pena
temporanea…” – Sez. I, 21 giugno 1966, n. 750, Forzati, C.E.D. Cass., n. 102279 -.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

Il co
Gius :Al

Il presidente

liere estensore
lucia

CORTE SUPREMA D! CASSAZIONE
Prima Sezione Penale

Depositata in Cancelleria oggi

Roma, lì

A60, 2018

Adriano Iasillo

Così deciso il 15 giugno 2018

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