Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37341 del 18/04/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 37341 Anno 2013
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
LIUTI Daniele, nato a Roma il 28/5/1982
avverso la sentenza del 19/11/2010 della Corte di appello di Roma, che ha
parzialmente riformato la sentenza emessa al termine di rito abbreviato dal
Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Civitavecchia e, assolto il sig.
Liuti dai reati contestati al capo Il e applicata l’ipotesi prevista dall’art.73,
comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, ha ridotto la pena a un anno e sei
mesi di reclusione e 6.400,00 euro di multa, confermando nel resto la prima
decisione.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale,
Gabriele Mazzotta, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;
udita per l’imputato l’avv. Susanna Carraro, che ha concluso per l’accoglimento
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa al termine di rito abbreviato il Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Civitavecchia, giudicando nei confronti di più
imputati, ha assolto il sig. Liuti per una parte delle contestazioni e lo ha

Data Udienza: 18/04/2013

condannato, previa applicazione della continuazione tra i reati e previa
concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di tre anni e sei
mesi di reclusione e 18.000,00 euro di multa perché colpevole dei reati di
detenzione illegale e cessione di sostanza stupefacente contestatigli ai capi H1,
in esso assorbiti gli episodi di cessione al sig. Veneruzzo (capo P1), Il, Ml, Ni e
01.
2. Con sentenza del 19/11/2010 la Corte di appello di Roma ha parzialmente
riformato la sentenza di primo grado e, assolto il sig. Liuti dai reati contestati al

1990, n.309, ha ridotto la pena a un anno e sei mesi di reclusione e 6.400,00
euro di multa, confermando nel resto la prima decisione.
3. Avverso tale decisione il sig. Liuti propone ricorso tramite il Difensore, in
sintesi lamentando:
a. errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di
motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. per avere ritenuto
utilizzabili le dichiarazioni rese come persone informate sui fatti da alcuni
degli acquirenti senza considerare che gli stessi avevano, in realtà, assunto
la qualità di persone indagate, vizio che riguarda in particolare la posizione
del sig. Veneruzzo, che fu sentito come persona indagata senza l’assistenza
del Difensore. Sostiene, a questo proposito il ricorrente, che ogni persona
che acquista la sostanza stupefacente deve essere considerata in prima
battuta come soggetta a indagine e che, in ogni caso, si è in presenza di
dichiarazioni non rese sul luogo né nell’immediatezza del fatto (art.350 cod.
proc. pen.), così che non possono trovare ingresso neppure in sede di
giudizio abbreviato;
b. errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di
motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. per avere i giudici di
appello confermato il giudizio di responsabilità sulla base di generiche
valutazioni che non rispondono alle censure mosse coi motivi di
impugnazione; in particolare la Corte di appello omette di considerare che
mai il ricorrente è stato trovato in possesso di sostanza stupefacente e che
gli elementi di riscontro sui singoli episodi risultano carenti o, addirittura,
smentiti; ciò senza dimenticare che difetta qualsiasi verifica dell’attendibilità
delle dichiarazioni degli acquirenti;
c.

errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di
motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. per violazione degli
artt.133 e 163 cod. pen. in relazione alla immotivata mancata concessione
della sospensione condizionale della pena, pur sussistendone i presupposti

2

capo Il e, applicata l’ipotesi prevista dall’art.73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre

quanto a entità della pena inflitta, a incensuratezza dell’imputato, ad
applicazione delle circostanze in termini a lui favorevoli;
d.

errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di
motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc.

pen. con riferimento

all’entità della pena inflitta per ipotesi riconducibile al comma quinto del
citato art.73;
e.

errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di
motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc.

pen. con riferimento

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Osserva preliminarmente la Corte che i motivi quarto e quinto sono

viziati da genericità e manifesta infondatezza, riducendosi a mera contestazione
della discrezionalità del giudicante sulla base di una diversa lettura degli
elementi posti a fondamento della decisione, così rivolgendo a questa Corte una
richiesta di censura nel merito delle valutazioni operate dalla Corte di Appello
allorché ha considerato il fatto in termini più favorevoli all’imputato e ridotto in
modo assai significativo, ma ritenuto non adeguato dal ricorrente, la pena inflitta
in primo grado. Si tratta di richiesta che esula dalle competenze del giudice di
legittimità allorché, come nel caso di specie, il giudice di merito abbia indicato
con argomenti non manifestamente illogici o incoerenti i parametri essenziali cui
ha ancorato la determinazione della pena.
2. Per quanto concerne il primo motivo di ricorso, la Corte rileva che i
giudici di merito haPiae. sono giunti ad affermare la responsabilità del sig. Liuti
sulla base di una pluralità di elementi probatori. Va evidenziato a tale proposito
che l’esame congiunto delle motivazioni rese dal Tribunale e dalla Corte di
appello evidenzia un quadro probatorio oggetto di complessiva valutazione; che
le dichiarazioni delle persone sentite perché informate sui fatti non abbisognano,
a differenza di quelle rese da persona indagata o imputata nel medesimo reato o
in reato connesso, di “riscontri” esterni allorché siano credibili e coerenti tra loro;
che la lettura del significato e il giudizio di rilevanza delle conversazioni
telefoniche sono stati oggetto di motivazione da parte del primo giudice e hanno
trovato conferma nella decisione di appello. Tutti questi elementi privano di
rilevanza concreta il tema della legittimità delle dichiarazioni Veneruzzo,
dichiarazioni non indispensabili lal ricostruzione dei fatti e non costituenti
elemento decisivo nel contesto argomentativo dei giudici di merito. Il primo
motivo di ricorso risulta pertanto infondato.

3

all’entità della pena portata in aumento per la continuazione tra i reati.

3. Il secondo motivo, anche alla luce di quanto adesso affermato dalla Corte,
non può non essere valutato come complessivamente generico, prospettando vizi
di coerenza e di travisamento delle risultanze probatorie non specificamente
indicati e non idonei a mettere in crisi le argomentazioni della sentenza
impugnata.
4.

Può essere, invece accolto il motivo concernente la sospensione

condizionale della pena. Premesso che il beneficio ex art.163 cod. pen. non è
stato richiesto dalla Difesa, la Corte rileva che il trattamento sanzionatorio inflitto

limite è caduto a seguito della nuova determinazione della pena. Ciò impone di
richiamare la disposizione contenuta nell’art.597, comma 5, cod. proc. pen., che
proprio per ipotesi come quella in esame attribuisce al giudice di appello la
facoltà di valutare anche d’ufficio la concedibilità della sospensione della pena.
Sul punto la sentenza difetta in radice di motivazione e non si hanno elementi
per affermare che detta valutazione sia stata compiuta. Appare dunque
necessario rimettere al giudice di merito l’esame del profilo ora ricordato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata sul punto della sospensione condizionale della
pena e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Roma. Rigetta nel resto il
ricorso.
Così deciso il 18/4/2013

in primo grado risultava incompatibile con la concessione del beneficio e che tale

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