Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37331 del 10/07/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 37331 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PARLONGO BRUNO N. IL 25/10/1962
avverso l’ordinanza n. 1164/2012 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 24/12/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO;

Uditi di nsor Avv.;

Data Udienza: 10/07/2013

udito il PG in persona del sost.proc.gen. dott. G. Izzo, che ha chiesto rigettarsi il ricorso,
udito il difensore avv. A. Russo che ha illustrato il ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO

2. Il tribunale del riesame di Reggio Calabria, con il provvedimento di cui in epigrafe, ha
rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse del predetto, confermando il
provvedimento cautelare.
3. Ricorre per cassazione il difensore del Parlongo e deduce:
3.1. a) nullità del decreto di autorizzazione alla intercettazione delle conversazioni
intercorse a bordo della autovettura targata CA279 PE, in uso a Romano Nicola, atteso che
detta autorizzazione fu chiesta in relazione all’ipotetico delitto di estorsione e invece fu
concessa con riferimento al delitto di rapina e al delitto di danneggiamento. Peraltro, non è
stata adeguatamente motivata l’assoluta indispensabilità delle operazioni di intercettazione
delle comunicazioni e i contenuti della richiesta formulata dal pubblico ministero rispecchiano
l’informativa della polizia giudiziaria.
Furono inoltre utilizzati impianti esterni, in assenza di decreto motivato del pubblico ministero.
Invero, con decreto 2 maggio 2006, si dispose che le intercettazioni avvenissero tramite gli
impianti installati nella procura della Repubblica di Locri; successivamente gli inquirenti
noleggiarono e utilizzarono impianti appartenenti a privati;
3.2. b) violazione di legge processuale (artt. 273-292 cpp) e sostanziale (art. 416 bis
cp), atteso che i colloqui oggetto di attenzione investigativa sono quelli intervenuti tra Romano
Nicola e Melia Vincenzo. Ad essi non prende mai parte il ricorrente. Ne consegue che siamo di
fronte a intercettazione, per così dire, indiretta, il cui contenuto deve essere attentamente
valutato e adeguatamente riscontrato; il GIP, viceversa, ha omesso di valutare la peculiare
natura delle conversazioni intercettate e i risultati promananti dalle medesime, nonostante la
difesa avesse formulato specifiche censure sul punto, censure che non sono state
minimamente valutate. In particolare si lamentava l’assoluta genericità delle dichiarazioni dei
due colloquianti. A ben vedere, gli indizi vengono desunti unicamente dal contenuto di sole tre
conversazioni, nel corso delle quali si afferma che il ricorrente sarebbe un soldato di Bova
Bruno e di Varacalli Giuseppe. Orbene, perché sia concludente una simile affermazione,
dovrebbe innanzitutto essere accertato che esiste una struttura criminosa (il “locale” di Ardore)
nella quale le persone nominate dovrebbero militare. Di tutto ciò -viceversa- non vi è stata
alcuna prova e, conseguentemente, manca qualsiasi motivazione. In altre parole, sarebbe
stato necessario previamente dimostrare, con la relativa indicazione dei risultati probatori,
tanto la sussistenza del “locale” cui, in ipotesi di accusa, il ricorrente sarebbe ascritto, quanto il
ruolo ricoperto dai soggetti prima citati (Varacalli e Bova). Sul punto, manca qualsiasi
argomentazione. Né concludenti possono essere le cosiddette frequentazioni tra Parlongo e
Bova, atteso che esse non hanno un’efficacia dimostrativa;
3.3. c) vizi dell’apparato motivazionale, atteso che, con il ricorso innanzi alla tribunale
del riesame, era stato fatto notare che le affermazioni fatte da Romano e Melia avevano un
tono riconoscibilmette scherzoso, quando non di vero e proprio dileggio. Al proposito, è stato
depositato, oltre alla trascrizione delle conversazioni intercettate, anche il supporto magnetico
nel quale tali conversazioni sono registrate, con invito al tribunale del riesame ad ascoltare
direttamente detta registrazione, in quanto, a seguito di tale esame diretto, i giudicanti
avrebbero potuto effettivamente avere percezione sensoriale del reale tono con il quale
venivano pronunciate le affermazioni. A tanto, certamente, non ha provveduto il tribunale
calabrese né sul punto ha, peraltro, prodotto alcuna motivazione. Poiché il supporto magnetico
è da considerarsi documento, al pari di un qualsiasi scritto, ne consegue che la decisione è
stata assunta senza che il decidente avesse preso conoscenza dei documenti depositati dalla

1. Nei confronti di Parlongo Bruno è stata emessa ordinanza di custodia cautelare in
carcere con riferimento ai delitti di cui agli articoli 416 bis, commi dal primo al sesto, cp (per
avere fatto parte con ruolo apicale dell’associazione di stampo mafioso denominata
‘ndrangheta capo A), e 81 cpv, 110, 648 cp, 7 legge n. 203/91 (capo AI), 81 cpv, 110, 624625 n. 7, 632, 639 bis cp, 7 legge 203/91 (capo AL).

1. La prima censura è inammissibile per manifesta infondatezza e per genericità.
1.1. Invero, rimanendo identico il fatto portato all’attenzione della competente autorità
giudiziaria, questa ben può ad esso dare una diversa qualificazione giuridica, disponendo
attività di intercettazione, ovviamente se il reato come ritenuto dal decidente consenta tal
mezzo di ricerca della prova. Ne consegue, dunque, che se anche l’originaria, provvisoria
imputazione, come si sostiene, fu formulata con riferimento al delitto di cui all’articolo 629 cp,
ben poteva il GIP disporre intercettazioni con riferimento al delitto di cui all’articolo 628 del
medesimo codice, rimanendo immutata la ricostruzione del fatto.
1.2. Quanto all’utilizzo di impianti diversi da quelli esistenti nella procura della
Repubblica di Locri, non si chiarisce, innanzitutto, se gli impianti in un secondo tempo utilizzati
furono semplicemente di proprietà privata ma furono -comunque- installati nei locali della
procura, ovvero furono installati altrove; né si chiarisce da qual momento furono utilizzati tali
secondi impianti e quali conversazioni, rilevanti ai fini del decidere, siano state intercettate con
la nuova strumentazione.
1.3. Il ricorrente inoltre non ha nemmeno soddisfatto l’onere di allegazione dei relativi
decreti autorizzativi.
1.4. Quanto al fatto che la motivazione dei provvedimenti di autorizzazione richiama
quella della informativa della polizia giudiziaria, è noto che, entro certi limiti, è possibile, per
quel che riguarda la giustificazione dell’attività di intercettazione, procedere facendo
riferimento al contenuto di altri atti del procedimento. Non avendo il ricorrente fornito ulteriori
elementi, questa corte di legittimità non è stata posta nella condizione di valutare se detta
motivazione abbia superato “i confini” individuati dalla elaborazione giurisprudenziali in tema di
motivazione per relationem.
2. La seconda censura è infondata, atteso che la distinzione tra intercettazioni,
cosiddette dirette e intercettazioni, cosiddette indirette, non può trovare cittadinanza nel
vigente sistema processuale, nel quale le prove legittimamente acquisite sono liberamente
valutate dal giudicante e non sono ammesse astratte e generali gerarchie tra le prove stesse.

difesa. In sintesi, il DVD non ha costituito oggetto di valutazione giudiziale. Si è quindi in
presenza di un omessa valutazione di un atto del procedimento;
3.4. d) travisamento del fatto per omessa valutazione della prova, atteso che, con il
ricorso innanzi al tribunale del riesame, si era evidenziato come uno dei dialoganti avesse
chiaramente affermato di non conoscere il ricorrente (“chi è Parlongo?”). Ebbene, travisando il
contenuto delle conversazioni intercettate, il collegio cautelare ha sostenuto che il Romano non
ha pronunziato detta frase, ma ha chiesto semplicemente dove abitasse il ricorrente. Così non
è, come emerge, tanto dall’ascolto del ricordato DVD, quanto dalle trascrizioni contenute nella
misura cautelare emessa dal GIP. Il giudice del riesame -dunque- ho oscurato una parte del
dialogo, negando l’esistenza del risultato intercettivo, fondante la censura difensiva;
3.5. e) ancora vizi dell’apparato motivazionale con riferimento agli artt. 273 cpp e 648 e
624 cp, atteso che manca la effettiva gravità indiziaria con riferimento a tali reati. E invero non
si comprende quale contributo causale il ricorrente avrebbe dato alla loro consumazione. è lo
stesso giudice del riesame ad affermare che Parlongo figurava solo titolare della ditta, della cui
amministrazione e della cui gestione si occupava, viceversa, Varacalli Rocco Bruno. Non si
comprende, dunque, per qual motivo le condotte ascritte a quest’ultimo vengono poi estese
anche al ricorrente. Pacifica essendo la interpretazione, in questo caso, delle conversazioni
intercettate, era stato richiesto al collegio cautelare di indicare quali fossero i concreti elementi
in base ai quali la responsabilità dovesse essere estesa anche al Parlongo. Sul punto, manca
qualsiasi motivazione. Il fatto che la titolarità formale dell’impresa fosse del ricorrente non può
svolgere funzione surrogatoria rispetto all’accertamento della condotta. Ciò vale tanto per il
delitto di ricettazione, quanto per quello di furto, non potendosi ipotizzare un concorso tra
Varacalli e Parlongo semplicemente in ragione del ruolo formale rivestito da quest’ultimo,
anche se, come ipotizza il tribunale del riesame, il ricorrente avrebbe tratto vantaggio
economico dall’azione illegale del Varacalli. Invero, per quanto specificamente riguarda il
delitto di furto, viene punito chi si impossessa della cosa mobile altrui, ma non anche il terzo
che, senza tenere la condotta idonea a facilitare la realizzazione del reato, eventualmente ne
tragga profitto.
CONSIDERATO IN DIRITTO

3. La terza censura è manifestamente infondata per irrilevanza, atteso che, anche se il
tribunale del riesame non ha ascoltato direttamente le conversazioni intercettate e registrate,
lo stesso non ha escluso che talune frasi possano essere state pronunciate con tono scherzoso
o addirittura di scherno; non di meno, ha ritenuto che tali frasi fossero comunque significative
e sintomatiche dell’appartenenza del ricorrente alla associazione malavitosa. A pagina 69
infatti vi è un’attenta disamina dei colloqui tra Melia e Romano, nel corso dei quali si esamina
Varacalli. Si legge nel
la posizione del ricorrente, anche in relazione a quella del
provvedimento impugnato che Melia meditava un “avanzamento di grado” del Varacalli, pur
prevedendo che ciò avrebbe provocato delusione nel Parlongo, il quale avrebbe visto
progredire nella gerarchia di ‘ndrangheta un soggetto (il Varacalli) che fino a quel momento
era rimasto suo sottoposto. Come tutto ciò possa conciliarsi con affermazioni fatte joci causa,
nel ricorso non si chiarisce.
4. Anche la quarta censura è manifestamente infondata, atteso che la conoscenza del
Parlongo in ambito mafioso è positivamente provata dal fatto che esiste, come premesso,
intercettazione tra Melia e Parlongo.
Effettivamente Romano, nel corso di una conversazione con il Melia, ebbe, contrariamente a
quel che si legge nell’ordinanza, a pronunciare la frase” chi è Parlongo”, riportata tuttavia, per
quel che può valere, senza punto interrogativo (cfr. pagina 62 del provvedimento impugnato);
e tuttavia, come lo stesso provvedimento, subito di seguito, pone in evidenza, dopo l’avvio
della conversazione, emerge con evidenza che Romano ben sapeva chi fosse il ricorrente, tanto
che, in un secondo tempo, chiede anche dove lo stesso abitasse.
5. L’ultima censura è (ancora una volta) manifestamente infondata. Invero, a parte il
fatto che il criterio del cui prodest rappresenta un efficace strumento ausiliario per
l’interpretazione dei fatti (a meno che non si voglia ipotizzare che l’agente, portatore di una
particolare filantropia criminale, compia atti illeciti per favorire un terzo del tutto ignaro, che
dunque si avvantaggerebbe “a sua insaputa”), resta il fatto che, nel provvedimento impugnato,
si evidenzia con chiarezza come il ricorrente sia stato il mandante dell’attività di sottrazione di

Non può dunque farsi questione circa il “peso specifico” di una prova rispetto a un’altra, ma
unicamente questione della corretta valutazione (e della adeguata giustificazione
motivazionale) operata dal giudice.
2.1. È noto poi (trattandosi di principio ormai consolidato) che alle indicazioni di reità
provenienti da conversazioni intercettate non si applica il canone di valutazione di cui all’art.
192, comma terzo, cpp perché esse non sono assimilabili alle dichiarazioni che il coimputato
del medesimo reato o la persona imputata in procedimento connesso rende in sede di
interrogatorio dinanzi all’autorità giudiziaria e, conseguentemente, per esse, vale la regola
generale del prudente apprezzamento del giudice (da ultimo ASN 201036218-RV 248290).
2.2.. Neanche poi può sostenersi che, per affermare, in sede cautelare, la appartenenza
di un soggetto a una associazione di stampo mafioso, occorre aver prima dimostrato (mediante
sentenza passata in giudicato), la sussistenza di tale associazione, quasi che la dimostrazione
di entrambi gli assunti (esistenza dell’associazione e militanza in essa del soggetto indagato)
non possa essere contestuale e quasi che gli elementi di prova non possano essere comuni e
reciprocamente corroboranti. Oltretutto, così ragionando, non si comprende come potrebbe per la prima volta- esser dimostrata la esistenza di una struttura criminosa, posto che una
associazione in tanto esiste in quanto vi siano persone 8che si sono) associate.
Parlongo, in un contesto connotato da spiccata mafiosità, viene indicato come un soldato e
poiché non risulta che lo stesso fosse, in quel momento, sottoposto agli obblighi di leva (che,
peraltro, nel corrente periodo storico, risultano sospesi), non appare illogica la interpretazione
fornita dal tribunale del riesame.
2.3. Neanche poi è esatta la affermazione in base alla quale il ricorrente non sarebbe
mai stato direttamente intercettato, atteso che, come si dà atto a pagina 65, è stata captata
una conversazione tra Parlongo e Romano Nicola, nel corso della quale il primo garantisce un
debito del Varacalli, nell’ambito degli intricati rapporti, anche di affari, tra Romano e soggetti
che lo stesso, nel corso delle sue conversazioni con altri colloquianti, indica come appartenenti
alla ‘ndrangheta (pagina 64); tra costoro, viene indicato Bova Bruno, del quale il ricorrente
sarebbe, appunto, “un soldato”.

6. Conclusivamente il ricorso, contenendo censure infondate e censure inammissibili,
merita rigetto e il ricorrente va condannato alle spese del grado. Si deve far luogo alle
comunicazioni di cui all’articolo 94 disp. att. cpp. A tanto provvederà la Cancelleria.
PQM
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di procedimento; manda
alla Cancelleria per le comunicazioni di cui all’articolo 94 disp. att. cpp.
Così deciso in Roma, camera di consiglio, in data 10 luglio 2013.

materiale inerte dal letto della fiumana adiacente allo stabilimento intestato proprio al Parlongo
(cfr. pagina 107 “metti in moto il centosessanta che vai a caricare.., viaggi dalla fiumana”); si
pone anche in evidenza come, sempre il ricorrente, abbia violato i sigilli -a suo tempo posti dai
carabinieri- per poter continuare nella sua opera di indebito prelievo di terra e pietrame dal
letto della fiumana (pagina 106). A pagina 93 poi si dà atto del fatto che non tutto il materiale
trovato presso l’impianto intestato al ricorrente, ma gestito dal Varacalli, proveniva dal diretto
prelievo operato nell’interesse e per ordine dei predetti, ma altro ve ne era, che era stato
prelevato dai fratelli Cosmo e poi ceduto all’impresa della Parlongo. A pagina 102, infine, si dà
atto del fatto che il ricorrente, con riferimento all’elevata quantità di materiale già asportato
abusivamente, ebbe dichiarare che erano in corso lavori di creazione di uno sbarramento, al
fine di evitare che, nella stagione estiva, le acque reflue del depuratore comunale giungessero
sulla spiaggia. Se ne deduce, inevitabilmente, che Parlongo, non solo era consapevole e
consenziente con riferimento l’abusivo prelievo e all’altrettanto abusiva ricezione di materiale
di origine illecita, ma, evidentemente, aveva dato disposizioni in tal senso.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA