Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37328 del 10/07/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 37328 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CORRENTE DOMENICO N. IL 27/01/1942
avverso la sentenza n. 911/2009 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 14/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/07/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 10/07/2013

I

– Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Gioacchino Izzo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con sentenza del
14-6-2012, ha confermato quella del tribunale di Taranto, che ha condannato

patrimoniale per avere, quale accomandatario della Sas Bellavista di Corrente
Domenico & C., dichiarata fallita il 5/7/2000, distratto la somma di £
377.741.000 costituita da prelievi effettuati dai soci nel corso dell’esercizio
sociale 1997, poi iscritta alla voce “crediti diversi”, come crediti vantati dalla
società nei confronti dei medesimi.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse
dell’imputato, l’avv. Giuseppe Semeraro, il quale lamenta:
a) l’erronea applicazione delle norme sulla prescrizione, in quanto, a suo
giudizio, il termine prescrizionale decorre dalla data delle condotte che si
assumono distrattive, e non dalla sentenza di fallimento;
b) l’erronea applicazione della normativa in materia di contumacia, in quanto
all’imputato, che è stato indebitamente ritenuto “assente” nel corso del giudizio
di primo grado, non è stata notificato l’estratto contumaciale della sentenza;
c) l’assenza di prova della responsabilità. Deduce che a comporre la somma di £
377.741.000 concorrono due voci: 1) £ 200.000.000 quali “anticipazioni ai soci”
e 2) £ 177.741.000 quali “anticipazioni fornitori per lavori da eseguire” e che tali
prelevamenti sono stati ritenuti penalmente rilevanti sulla base della semplice
presunzione della loro distrazione, in contrasto con la presunzione legale di non
colpevolezza. Al contrario, continua il deducente, il perseguimento in concreto
dell’oggetto sociale (con la costruzione degli immobili) dimostra che le somme
furono effettivamente destinate a scopi sociali e l’imputazione al conto
“prelevamento soci” della somma di £ 200 milioni è prova della buona fede
dell’imputato, che non poteva rendersi conto del pericolo creato dai prelevamenti
per “l’andamento della compagine sociale”. Trattasi, quindi, di “errore di
carattere esclusivamente contabile” che ha generato un obbligo di restituzione
delle somme suddette: anzi, si tratta del legittimo compenso percepito
dall’amministratore. Oltretutto, aggiunge, l’epoca dei prelevamenti (anni 19951997) esclude in radice il dolo di distrazione, non potendo imputarsi al Corrente
la consapevolezza di depauperare il patrimonio sociale, né la previsione del

Corrente Domenico a pena di giustizia per il reato di bancarotta fraudolenta

i

dissesto, mentre la regolare registrazione dei prelievi è prova della sua buona
fede;
d) l’irrogazione di una pena superiore al minimo edittale e l’immotivato diniego
delle attenuanti generiche, di cui l’imputato sarebbe meritevole in considerazione
del fatto che “le somme di denaro oggetto di – presunta – distrazione sono state
riportate in tutte le scritture contabili sino alla dichiarazione di fallimento”.

Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento.

1. Il primo motivo (ut suora, sub a) è manifestamente infondato, poiché, come si
intenda la sentenza di fallimento (condizione di esistenza del reato di bancarotta
o condizione obbiettiva di punibilità), la dichiarazione di fallimento, pronunciata
dal tribunale civile, segna il momento di decorrenza del termine prescrizionale
dei reati previsti dagli artt. 216 e 223 della legge fallimentare (Cass. Pen., sez.
V, 18/9/2007, n. 39307; Cass. Pen, Sez. I, 16 novembre 2000, n. 4356,
Agostini, in C.E.D. Cass., n. 218250; Sez. V, 28 maggio 1996, n. 7293, Schillaci,
ivi, n. 205987). Da detto orientamento, decisamente risalente nel tempo, questo

collegio non ravvisa motivi per discostarsi.

2. Altrettanto dicasi per il secondo motivo (ut supra, sub b). Dalla lettura dei
verbali di udienza – consentita a questa Corte in quanto, come nella specie, si
tratta di valutare la sussistenza di un error in procedendo – si evince che il
Corrente fu presente alla prima udienza del 7 giugno 2006. Pertanto, non doveva
essere dichiarato contumace e non gli doveva essere notificato l’estratto
contumaciale. In maniera del tutto assertiva il ricorrente parla di assenza
dell’imputato al dibattimento, senza nemmeno specificare se si riferisca alla
prima udienza dibattimentale o a quelle successive e senza confrontarsi con la
chiara indicazione contenuta nel verbale di udienza.

3. Nel merito (ut supra, sub c) il ricorso è parimenti infondato, in quanto
all’affermazione della responsabilità i giudici di primo e secondo grado sono
pervenuti sulla base degli accertamenti del curatore fallimentare e del consulente
tecnico del Pubblico Ministero, i quali, senza essere in alcun modo smentiti,
hanno accertato che nell’anno 1997 il Corrente prelevò dalla cassa sociale, senza
alcuna giustificazione, la somma di £ 200 milioni (100 milioni personalmente ed
altri 100 milioni attraverso la moglie), mentre per gli anni 1995-96 annotò in
contabilità uscite per 177 milioni, quali anticipi di denaro contante effettuati a
favore dei fornitori, senza che di essi sia stata prodotta alcuna documentazione

3

CONSIDERATO IN DIRITTO

(né con riguardo alla merce acquistata, né con riguardo al nominativo dei
fornitori).
Da tanto è stato ragionevolmente desunto che il Corrente, in un periodo in cui la
società era già in crisi, distrasse somme rilevanti dall’attivo sociale, impoverendo
la società che rappresentava e compromettendo la garanzia rappresentata, per i
creditori, dal patrimonio sociale.
Trattasi di fatti dall’indubbia valenza distrattiva, non contrastata dalle
generiche, contraddittorie o inconferenti deduzioni difensive, giacché non è dato

della “buona fede” del ricorrente, né donde derivi la prova della loro destinazione
a fini sociali (il fatto che la società abbia continuato ad operare – costruendo
immobili – non dimostra che lo abbia fatto con le somme distratte), né perché il
Corrente avesse un diritto sulle somme in questione (in considerazione
dell’attività di amministratore svolta), trattandosi di somme che non è possibile
imputare, in ragione della loro entità, a un “legittimo compenso” (peraltro non
deliberato dai soci e che l’amministratore si è auto attribuito in assenza di utili da
distribuire). Questa Corte ha infatti affermato, in plurime occasioni, che
l’amministratore, il quale si ripaghi di un proprio credito verso la società risponde
del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (e non di bancarotta
preferenziale), non potendo scindersi la sua qualità di creditore da quella di
amministratore, come tale vincolato alla società dall’obbligo di fedeltà e da quello
della tutela degli interessi sociali nei confronti dei terzi (Cass. Pen., sez. V,
30/5/2012, n. 25292; N. 14380 del 1999 Rv. 215186, N. 22022 del 2003 Rv.
224535, N. 2273 del 2005 Rv. 231289, N. 2647 del 2007 Rv. 236293, N. 19557
del 2007 Rv. 236645, N. 27343 del 2007 Rv. 237580, N. 17616 del 2008 Rv.
240069). Peraltro, anche allorquando ha mostrato di privilegiare la differente
opinione, più favorevole all’imputato, che ravvisa un’ipotesi di bancarotta
preferenziale (quindi, pur sempre una bancarotta) nella condotta
dell’amministratore che abbia effettuato prelevamenti di retribuzione, ha tenuto
ferma le condizioni 1) che si trattasse di prelevamenti autorizzati dall’organo
assembleare, 2) che non risultassero altre percezione di compenso e 3) che
fosse incontestata la congruità del prelievo (Cass. Pen., 10/11/2004, n. 48280):
tutte condizioni assenti nella specie.
Quanto all’elemento soggettivo del reato – che si traduce nella consapevolezza di
impoverire il patrimonio sociale creando pericolo per le aspettative dei creditori ben ragionevolmente è stato desunto dalla distrazione di somme rilevanti (poco
meno di 400 milioni di lire), avvenuta quando la società non produceva utili e
manifestava già segni di sofferenza, in un’epoca per nulla “lontana” dal
fallimento (dichiarato solo tre anni dopo).

4

&

comprendere, né è stato spiegato, perché quegli indebiti prelievi siano segno

4. Anche l’ultimo motivo (ut supra, sub d) è manifestamente infondato, essendo
rivolto a censurare scelte riservate alla potestà discrezionale del giudice del
merito, su cui è stata resa adeguata motivazione. Oltre ad applicare la pena nel
minimo edittale, il giudice d’appello ha escluso la possibilità di concessione delle
attenuanti generiche in considerazione dei precedenti penali dell’imputato – già
gravato da altra condanna – e della gravità della condotta, protrattasi per più
anni e che ha gravemente pregiudicato i diritti dei creditori. Trattasi di
motivazione ampia e logica, resa con specifico riferimento ai parametri (quelli di

della potestà punitiva attribuitagli dalla legge.

Il ricorso è pertanto inammissibile. Consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a
favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo quantificare in C 1.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10 luglio 2013

Il Consirli-re stensore

Il Presidente

cui all’art. 133 cod. pen.) che, per legge, devono guidare il giudice nell’esercizio

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