Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3732 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 3732 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI CATANIA
nei confronti di
o

AMANTEA FRANCESCO

o

ASSINNATA SALVATORE

o

CATANIA SALVATORE

o

MIRENNA GIUSEPPE

o

VESPUCCI LUCA

2) CHISARI ROSARIO
3) FRISENNA CARMELO
4) VESPUCCI LUCA
avverso la sentenza n. 2027 del 13/7/2012 della CORTE DI APPELLO DI
CATANIA
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERLUIGI DI STEFANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FRANCESCO MAURO
IACOVIELLO che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata in accoglimento dei ricorsi del Procuratore Generale e di Frisenna
Carmelo ed il rigetto nel resto.
Udito per Chisari l’avv. SALVATORE PACE che ha chiesto l’accoglimento del
proprio ricorso.

Data Udienza: 27/11/2013

Udito per Frisenna l’avv. LUIGI LATINO in sostituzione dell’avv. CARMELO
PELUSO che ha chiesto l’accoglimento del proprio ricorso.
Udita per Amantea Francesco l’avv. MARIA LUCIA D’ANNA che ha chiesto
dichiararsi inammissibile il ricorso del pg.
Udito per Catania e Vespucci l’avv. MARIO LUCIANO BRANCATO che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso di Vespucci e dichiararsi inammissibile il ricorso del pg.
RITENUTO IN FATTO
1.

La Corte di Appello di Catania con sentenza del 13 luglio 2012

Catania il 22 luglio 2010, appellata da Aiello Antonino, Amantea Francesco,
Amantea Massimo, Assinnata Salvatore, Befumo Alessandro, Branciforte
Salvatore, Catania Salvatore, Chisari Rosario, Frisenna Carmelo, Mirenna
Giuseppe, Pappalardo Filippo Santo e Vespucci Luca. Dichiarava, inoltre, la
inammissibilità del ricorso per cassazione, convertito in appello, del Procuratore
Generale presso la Corte di Appello di Catania proposto nei confronti di Amantea
Francesco, Assinnata Salvatore, Catania Salvatore, Mirenna Giuseppe e Vespucci
Luca.
1.1.1 reati contestati erano
1.2.associazione mafiosa, in relazione all’attività del gruppo criminale
denominato Santapaola /Ercolano, operante in Catania, Paternò e Bronte,
associazione armata di cui erano ritenuti dirigenti ed organizzatori Amantea
Francesco, Assinnata Salvatore e Catania Salvatore;
1.3. estorsione continuata nei confronti degli imprenditori Caruso in
relazione alla attività di lavorazione di inerti;
1.4. estorsione nei confronti degli imprenditori Di Cavolo, esercenti attività
di lavori edili e stradali;
1.5. estorsione nei confronti della impresa di Ponzio Antonino, esercente
attività di movimento terra;
1.6. estorsione nei confronti della Puglisi srl, esercente attività di lavori edili
stradali
1.7. altri reati accessori alle citate attività criminali.
2.

La Corte confermava il dato della esistenza della citata associazione

criminale Santapaola/Ercolano sulla scorta di sentenze passate in giudicato,
nonchè l’esistenza di un gruppo derivato denominato “Assinnata” in base alle
dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia, in particolare Pappalardo Filippo
Santo, ed in base all’esito di intercettazioni ambientali che avevano consentito di
seguire la complessiva attività della banda criminale avente le caratteristiche di
mafiosità. Inoltre venivano acquisite dichiarazioni delle persone offese dei fatti di

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confermava la sentenza resa in giudizio abbreviato dal GUP del tribunale di

estorsione, adeguatamente collaborative rispetto alle condizioni di omertà
imposte dalla pressione criminale.
3.

Con più specifico riferimento alle questioni di interesse nella presente

sede, la Corte osservava:
3.1.quanto al Chisari Rosario, come a suo carico vi fosse il contenuto di
intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonché servizi di appostamento, che ne
dimostravano una stabile attività nell’ambito della banda criminale. In particolare
citava una serie di conversazioni relative a minacce da lui esercitate nei confronti

presunta vittima-, gli accertati rapporti con i vari associati, aventi ad oggetto
fatti di interesse della banda mafiosa, la partecipazione del ricorrente agli
incontri con i fratelli Di Cavolo da sottoporre ai. richieste estorsive, poco
rilevando, come da argomentazioni la difesa, che gli stessi Di Cavolo fossero
coinvolti in vicende di criminalità organizzata.
3.2. Quanto a Frisenna Carmelo, ripercorrendo gli elementi probatori alla
luce delle contestazioni dei difensori, ribadiva come gli elementi acquisiti
dimostrassero il suo ruolo quale esponente politico per curare gli interessi del
gruppo criminale, in particolare con la questione della gestione dell’affare “ATO”,
osservando poi anche la frequenza di rapporti con i membri del gruppo criminale.
3.3. Quanto a Vespucci Luca, confermati gli elementi a carico, consistenti
soprattutto nelle dichiarazioni di collaboratori, quanto all’inserimento nel gruppo
criminale, valutava le argomentazioni della difesa sulla eccessività della pena
ritenendo la assenza di ragioni per la applicazione delle attenuanti generiche
richieste.
4.

La Corte dichiarava inammissibile il ricorso del procuratore generale

convertito in appello in quanto, essendosi proceduto nelle forme del giudizio
abbreviato, anche in ipotesi di conversione dell’impugnazione perché connessa
agli appelli dell’imputato non vi è facoltà di appello nel merito ma resta la
possibilità di impugnazione per sole questioni di legittimità; quindi, rilevato che il
ricorso aveva ad oggetto le doglianze relative alla individuazione del reato più
grave sul quale operare l’aumento per continuazione, osserva che “nel caso di
specie si evince dagli atti che il PG ha denunciato asseriti errori di giudizio in
ordine all’individuazione del reato più grave il che afferisce non già a profili di
legittimità bensì a motivi di fatto”.
5.

Avverso tale sentenza propongono ricorso Chisari Rosario, Frisenna

Carmelo e Vespucci Luca ed il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di
Catania.
6.

Ricorso Chisari Rosario

3

di una persona esercente attività di fabbro – motivando sulle inattendibilità della

6.1. con primo motivo deduce violazione legge e vizio di motivazione in
riferimento alla regola di giudizio di cui all’articolo 192 cod. proc. pen.; rileva che
erroneamente la sentenza impugnata ha sostanzialmente confermato gli stessi
argomenti del giudice di primo grado laddove:
6.1.1.

il rapporto personale con alcuni soggetti sicuramente affiliati alla

banda mafiosa non è affatto indice di affiliazione in base a quanto riferito dallo
stesso ricorrente;
6.1.2.

le conversazioni ritenute significative sono suscettibili di diversa

6.1.3.

il collaboratore di giustizia Pappalardo Filippo Santo ha riferito di

non conoscere il ricorrente, e tale circostanza, prova decisiva, non è stata
valorizzata;
6.1.4.

con secondo motivo deduce violazione legge e vizio di motivazione

in relazione agli artt.i 192 cod. proc. pen. e 629 cod. pen. , presunta estorsione
aggravata nei confronti dei fratelli Di Cavolo. Richiama la propria versione dei
fatti, che non può essere smentita dalle dichiarazioni delle presunte persone
offese, di cui indica la inattendibilità atteso il loro collegamento con ambienti
criminali. In particolare, osserva come il collaboratore Pappalardo abbia riferito
dei rapporti dei fratelli Di Cavolo con la banda Santapaola. Quindi il rapporto con
i predetti imprenditori non andava interpretato quale estorsione ma come “un
accordo di scambio in cui l’imprenditore versò la somma al clan e l’associazione è
però a sua disposizione per ogni problema che all’imprenditore possa
presentarsi”.
6.1.5.

Infine, rileva come sia priva di significato la intercettazione del 29

luglio 2005 utilizzata contro di lui per la accusa di estorsione, in quanto lui stesso
non ha offerto alcuna spiegazione alternativa a quella degli investigatori.
6.2. Con terzo motivo deduce la mancanza assoluta di motivazione in
relazione agli artt. 133 e 62 bis cod. pen.. Rileva che la Corte non ha affatto
motivato sulla negazione delle attenuanti generiche, di doverosa applicazione in
relazione alla quantità e qualità del contributo causale in ipotesi assicurato, non
essendo sufficiente la applicazione della pena nel minimo edittale.
7. Ricorso Frisenna Carmelo
7.1.con ricorso a firma dei propri difensori deduce con primo motivo la
violazione di legge ed il vizio di motivazione per assoluta mancanza della
motivazione stessa essendo stata integralmente riportata la motivazione della
sentenza di primo grado . Osserva che i due testi sono assolutamente identici e,
a dimostrazione di come si tratti della mera trasposizione informatica dello
stesso nell’altro, dimostra la presenza dei medesimi errori di battitura. Inoltre

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interpretazione;

manca qualsiasi esame critico delle argomentazioni contenute nei motivi di
gravame.
7.2.Con secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione
all’articolo 192 cod. proc. pen. in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti e
comunque il vizio di motivazione. Deduce come dalle intercettazioni utilizzate
quale prova a carico non possa affatto desumersi la sussistenza di tutti gli
elementi necessari a definire la partecipazione alla banda mafiosa. Il contenuto è
riferito alla mera frequentazione occasionale del ricorrente con un imprenditore

7.3. Rileva inoltre come non sia possibile neanche contestare la condotta
della forma del concorso esterno.
8.

Ricorso Vespucci Luca

8.1.Con ricorso a firma del proprio difensore deduce la violazione di legge
ed il vizio di motivazione per non essere state applicate le attenuanti generiche.
In contrasto con la motivazione della Corte, osserva che le attenuanti generiche
andavano riconosciute in ragione della confessione piena dei fatti da parte del
ricorrente.
9.

Ricorso Pg

9.1. il procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di
Catania ricorre nei confronti di Amantea Francesco, Assinnata Salvatore, Catania
Salvatore, Mirenna Giuseppe e Vespucci Luca rilevando che la sentenza
determina il reato più grave con criterio erroneo, dovendo far riferimento al
criterio oggettivo della pena edittale. Rileva come gli argomenti siano quelli già
proposti quale ricorso per cassazione, convertito in appello dichiarato
erroneamente inammissibile dalla Corte di Appello.
9.2. In particolare con il ricorso per cassazione avverso la sentenza del Gup
il PG aveva dedotto:
9.2.1. che era stato erroneamente ritenuto reato più grave per Amantea
Francesco quello di cui all’articolo 74 d.p.r. 309/90 per il quale vi era stata
precedente condanna laddove la pena edittale è maggiore per reato di
associazione mafiosa aggravata ai sensi del 4° comma ultima parte dell’articolo
416 bis cod. pen.
9.2.2. Anche per Assinnata e Catania il reato più grave in base alla pena
edittale è il reato di associazione mafiosa aggravata ai sensi del quarto comma
ultima parte dell’articolo 416 bis cod. pen.
9.2.3. Per Mirenna Giuseppe e Vespucci Luca il reato più grave era quello
di associazione mafiosa aggravata per essere l’associazione armata.
9.3. Contro tale ricorso resiste Assinnata che con memoria osservando che
non solo il ricorso è inammissibile perché ripropone nuovamente motivi di fatto e
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ed un associato.

non profili di legittimità ma perché, dichiarata la inammissibilità dell’originaria
impugnazione da parte della Corte di Appello, la sentenza diventa definitiva e
non è ulteriormente impugnabile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
10. Il primo motivo del ricorso di Frisenna Carmelo è fondato e risulta
assorbente rispetto agli altri.
10.1.

L’atto di appello proposto nell’interesse di Frisenna Carmelo era

certamente caratterizzato da argomentazioni specifiche. Ciò vale certamente per

materiale probatorio e vale ancor di più per il secondo motivo che, con una lunga
e analitica valutazione del materiale probatorio, rilevava sia la insufficiente
analisi di tale stesso materiale che l’errore di valutazione del giudice di primo
grado.
10.2.

La lettura congiunta delle sentenze di primo e secondo grado, per

la parte che riguarda il ricorrente, dimostra come la sentenza di appello riporti il
medesimo testo della sentenza di primo grado con poche variazioni
essenzialmente stilistiche. È quindi evidente la mancanza di risposte agli specifici
motivi di appello o, comunque, una valutazione di inconsistenza degli stessi che
giustificasse una generica decisione di rigetto. Ricorre in tale caso un tipico vizio
di motivazione, più volte affermato da questa Corte (per tutte:

In tema di

integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e di secondo
grado, se l’appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto
già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure
prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice
dell’impugnazione ben può motivare per relazione; quando invece sono
formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati
nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le
valutazioni in esso compiute, è affetta da vizio di motivazione la decisione di
appello che si limita a respingere con formule di stile o in base ad assunti
meramente assertivi o distonici dalle risultanze istruttorie le deduzioni proposte.
(Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012 – dep. 01/07/2013, Santapaola e altri, Rv.
256435). La motivazione, quindi, è solo apparente e non solo non rende conto
delle ragioni della decisione ma non dimostra neanche la effettiva considerazione
da parte della Corte delle ragioni dell’appellante.
10.3.

Tale carenza impone l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio.

11. Il ricorso del procuratore generale è inammissibile in quanto non
sviluppa argomenti in risposta alla sentenza impugnata ma si limita alla
dichiarazione di impugnazione rinviando al precedente ricorso, che allega in
copia, con la mera affermazione che è stato “dichiarato erroneamente
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un primo motivo che formulava osservazioni in tema di utilizzabilità di parte del

inammissibile”. Tale ricorso, quindi, non rispetta la regola di specificità dei motivi
di cui all’art. 581 cod. proc. pen..
12. Il ricorso di Chisari è inammissibile. I primi due motivi riguardano
esclusivamente profili di valutazione del contenuto delle prove delle quali viene
suggerito un significato alternativo al fine di escludere la fondatezza dell’accusa.
Si invoca, quindi, una attività che è di competenza esclusiva del giudice di
merito. Anche il terzo motivo non rispetta i limiti del giudizio di legittimità
laddove chiede che vengano valutati elementi di fatto per giungere alla

13. Il ricorso di Vespucci Luca è parimenti inammissibile in quanto l’unico
argomento posto si risolva nella richiesta di una valutazione di merito ai fini della
applicazione delle attenuanti generiche, anche in questo caso quindi ponendo
motivi che non rientrano nell’ambito di quanto ammesso in sede di legittimità.
14. Valutate le ragioni della inammissibilità dei ricorsi di Chisari e Vespucci,
la sanzione pecuniaria nei loro confronti è determinata nella misura di cui in
dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Frisenna Carmelo e rinvia per
nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Catania.
Dichiara inammissibile il ricorso del Pg.
Dichiara inammissibilé i ricorsi di Chisari Rosario e Vespucci Luca, che
condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000,00
ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
eciso il 27 novembre 2013

affermazione di applicabilità in concreto delle attenuanti generiche.

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