Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37316 del 26/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 37316 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SANNA CORRADO N. IL 08/08/1975
avverso la sentenza n. 1057/2011 CORTE APPELLO di CAGLIARI,
del 09/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 26/06/2013

e

– Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Carmine Stabile, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
– Udito, per il ricorrente, l’avv. Gianfranco Siuni, che ha chiesto l’accoglimento
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

emessa dal Tribunale di Oristano, all’esito di giudizio abbreviato, impugnata dalla
sola parte civile Puddu Maurizio, ha condannato Sanna Corrado al risarcimento
dei danni in favore di quest’ultimo, ritenuta la sua responsabilità per il reato di
lesioni personali.
Secondo l’accusa originaria, il Sanna, addetto alla vigilanza di una discoteca di
Oristano, venuto a diverbio con Puddu Maurizio, Mereu Riccardo e Lai Mattia,
ingaggiò con costoro una colluttazione all’esito della quale procurò al Puddu,
colpendolo con pugni e con un manganello, una ipoacusia.
All’esito del giudizio di primo grado il Tribunale aveva dichiarato non doversi
procedere nei confronti del Sanna per remissione delle querele da parte di Mereu
e Lai ed aveva assolto il Sanna dal reato di lesioni nei confronti del Puddu per
insussistenza del fatto.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse
dell’imputato, l’avv. Gian Franco Siuni, che, con cinque motivi, censura la
sentenza per vizio di motivazione. Il quarto contiene anche una censura riferita
alla violazione di legge.
Col primo lamenta l’omessa valutazione, col necessario rigore, delle
dichiarazioni rese dalle persone offese, costituitesi parte civile.
Col secondo ricollega il vizio di motivazione ad “altri atti del
procedimento”, che smentiscono, a suo giudizio, le dichiarazioni delle persone
offese e che non sono state prese in considerazione dal giudicante. Si tratta delle
dichiarazioni di Sanna Corrado, Atzori Oscar, Brai Nicola (barista della discoteca),
Pavanetto Paola (cassiera), Magari Sergio, Marchi Gianfranco, Masala Claudio e
Casciu Giovanni (avventore della discoteca), nonché quelle della dr.ssa Finetti
(medico del Pronto soccorso di Oristano) e del dr. Frigerio (del Pronto soccorso di
Cagliari).
Col terzo ravvisa il vizio di motivazione nelle contraddizioni riscontrate,
secondo la sua lettura della vicenda processuale, nelle dichiarazioni delle tre
persone offese.

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1. La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza del 9-5-2012, in riforma di quella

Col quarto lamenta la mancata applicazione della scriminante della
legittima difesa e la contraddittorietà della motivazione resa, sul punto, dalla
Corte d’appello.
Col quinto si duole della condanna pronunciata in presenza di ipotesi
antagoniste, che fanno venir meno la certezza processuale della colpevolezza
“oltre il ragionevole dubbio”.

Tutti i motivi contengono censure all’apparato logico della motivazione e
possono, pertanto, essere esaminati congiuntamente. Si tratta di motivi
infondati, in quanto non evidenziano alcuna reale frattura nel discorso
giustificativo della decisione e si limitano a porre in dubbio la credibilità della
persona offesa, ovvero a lamentare un insufficiente o inadeguato apprezzamento
del materiale probatorio, in contrasto con i principi reiteratamente affermati da
questa Corte: quello per cui la valutazione della credibilità della persona offesa è
rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e non è sindacabile in
cassazione, ove congruamente motivata; quello per cui solo la mancata disamina
di prove decisive – per tali intendendosi quelle idonee a scardinare il costrutto
argomentativo della decisione – comporta un vizio della motivazione capace di
provocare l’annullamento di una decisione.
Ciò posto, si rileva che il giudice d’appello ha attribuito credibilità alla persona
offesa in considerazione della linearità del racconto suo e dei giovani che a lui si
accompagnavano quella sera, non contrastato dalle assertive dichiarazioni
dell’imputato; per il fatto che furono Puddu e i suoi amici a chiamare in soccorso
le forze dell’ordine, evidentemente nella consapevolezza di non avere alcunché
da temere da un rilevamento immediato dell’occorso, mentre il Puddu si
allontanava, sottraendosi ad una immediata verifica; perché la lesione del
timpano fu accertata la sera stessa dalla dr.ssa Finetti, del pronto soccorso di
Oristano, e dal dr. Frigerio, del pronto soccorso di Cagliari, a cui il Puddu si
rivolse nello stesso giorno. Trattassi di argomenti di indiscutibile forza
persuasiva, che rendono ragione della decisione assunta, anche perché nessuno
degli argomenti messo in campo dal difensore dell’imputato presenta le
caratteristiche di dirompenza sopra delineate.
Tali caratteristiche non hanno, innanzitutto, le “discordanze” ravvisate dal
ricorrente nelle dichiarazioni del Puddu e dei suoi due amici (Lai e Mereu),
giacché si tratta di discordanze che – stando al contenuto dello stesso ricorso toccano aspetti secondari del racconto dei tre (fu utilizzata dal Sanna un bastone
o un manganello?) e perché si tratta di dichiarazioni non sospettabili di
animosità nei confronti dell’imputato, provenendo da soggetti che hanno rimesso

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CONSIDERATO IN DIRITTO

la querela e non sono, nel presente procedimento, costituite parte civile. In
realtà, sotto l’apparenza del difetto di motivazione, il ricorrente sollecita, in
maniera per vero inammissibile, una rinnovata lettura delle dichiarazioni in
questione, nella prospettiva di una loro più favorevole utilizzazione. Senonché,
“esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva,
riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità, la
mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione

il riferimento dell’art. 606 lett. e) c.p.p. alla “mancanza o manifesta illogicità
della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato”
significa in modo assolutamente inequivocabile che in Cassazione non si svolge
un terzo grado di merito, e che il sindacato di legittimità è limitato alla
valutazione del testo impugnato.
Le stesse considerazioni valgono per i numerosi testimoni che, a giudizio del
ricorrente, sono stati trascurati dal giudicante, in quanto, al di fuori del
travisamento della prova – nemmeno prospettato dal ricorrente – non è
consentito al giudice di legittimità prendere cognizione delle dichiarazioni dei
testi, al fine di precedere alla loro autonoma valutazione, in quanto anche tale
operazione comporterebbe lo sconfinamento nel merito. E senza considerare che,
in maniera del tutto irrituale, il ricorrente utilizza, nel proprio iter argomentativo,
le querele presentata dal Puddu e dai suoi compagni – atti pacificamente
utilizzabili solo per la verifica della sussistenza della prescritta condizione di
procedibilità -, nonché le “sommarie informazioni” rese nel corso delle indagini
preliminari da vari soggetti alla polizia giudiziaria, senza nemmeno precisare se
si tratta di dichiarazioni utilizzate per le contestazioni, se le stesse sono state
acquisite al dibattimento e se i dichiaranti sono stati escussi nell’istruzione
dibattimentale. Ne consegue che le “ipotesi antagoniste” di pari valore – che,
secondo il ricorrente, emergono dall’istruzione e inficiano il valore della
ricostruzione operata dalla Corte d’appello – sono fondate su un disinvolto utilizzo
dei dati processuali e non hanno, pertanto, pari dignità processuale né, a
maggior ragione, uguale fondamento probatorio.
Di conseguenza, anche la tesi, prospettata in subordine, della legittima difesa,
si rivela priva di basi nel processo e la critica portata sul punto alla sentenza
d’appello fondata anch’essa su una disinvolta manipolazione della prova.
Peraltro, il motivo concernente il mancato riconoscimento della scriminante
presenta un pregiudiziale profilo di inammissibilità, in quanto la legittima difesa com’è dato apprezzare dai verbali di udienza – non è stata dedotta in appello. E’
ben vero che l’imputato era stato assolto in primo grado dall’accusa di lesioni
personali “perché il fatto non sussiste” – e quindi non aveva interesse a
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delle risultanze processuali” (Cass. sezioni unite 30.4.1997, De Simone). Invero,

impugnare la sentenza per far valere la legittima difesa -, ma l’impugnativa del
Pubblico Ministero lo poneva nella necessità di rappresentare compiutamente al
giudice d’appello le linee della propria difesa, in modo da consentire una
delibazione completa sul fatto che gli è addebitato (quindi, anche sugli elementi
negativi dello stesso): omissione che ha ristretto l’ambito cognitivo del giudice
del gravame ed espunto dal processo il profilo della scriminante, che non può
essere recuperato in sede di legittimità.
Il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 26/6/2013

pagamento delle spese processuali.

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