Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37309 del 17/04/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 37309 Anno 2018
Presidente: IASILLO ADRIANO
Relatore: BINENTI ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SPANO’ AURORA, nata a Rosarno il 25/01/1947

avverso l’ordinanza del 14/07/2017 del Tribunale di sorveglianza di Roma;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Binenti;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale Antonietta Picardi, che ha
chiesto di dichiarare il ricorso inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di sorveglianza di Roma, con il provvedimento indicato in
epigrafe, rigettava il reclamo avverso il decreto del Ministro della Giustizia che
aveva disposto la proroga di anni due del regime speciale della detenzione di cui
all’art. 41 bis, Ord. pen., applicato ad Aurora Spanò con precedente decreto.

2. Avverso il provvedimento ha proposto ricorso per cassazione Aurora
Spanò, tramite i suoi difensori e con rispettivi distinti atti di impugnazione.

3. Il ricorso depositato dall’Avv. Paolo Enrico Guidobaldi.

Data Udienza: 17/04/2018

3.1. Con un primo motivo viene denunziata mancanza, contraddittorietà e
illogicità della motivazione, nonché errata indicazione della normativa applicabile.
Come già prospettato davanti al Tribunale di sorveglianza, il provvedimento
del Ministro provenendo da un’autorità amministrativa non poteva incidere su
una materia riservata alla giurisdizione, tanto più con tale discrezionalità e in
modo che la successiva decisione si presenti come di natura solo confermativa.
L’ordinanza impugnata tuttavia non aveva risposto a tali rilievi che avevano
eccepito la violazione dei principi costituzionali derivante dalla procedura seguita.

proc. pen. e 111 Cost., per non essere state valutate le prove introdotte dalla
difesa che avevano rappresentato come la capacità criminale di Spanò Aurora
dovesse ritenersi ridimensionata in ragione dell’esclusione di ogni ruolo nella
gerarchia della «ndrangheta» ricoperto da compagno della stessa Bellocco Giulio,
da tanto derivando pertanto la nullità del provvedimento impugnato.
3.3. Con un terzo motivo si denunzia violazione degli artt. 41 bis Ord. pen. e
546 cod. proc. pen., sul rilievo che non si era provveduto sulla richiesta di
acquisizione di documentazione indicata nel decreto ministeriale concernente la
cd. «Operazione crimine» e si era continuato ad attribuire al citato Bellocco un
ruolo mafioso che non risultava in nessun modo dai recenti processi celebrati.
Né il Tribunale di sorveglianza aveva risposto alle obiezioni che avevano
posto in evidenza, sotto molteplici profili, violazioni dell’art. 111 Cost., delle
norme convenzionali, dell’art. 192 cod. proc. pen., nonché delle regole applicabili
ai fini dell’accertamento della condotta prevista dall’art. 416 bis cod. pen.
Era stato ritenuto, in assenza di qualsiasi supporto processuale – e anzi a
fronte di chiare smentite – il coinvolgimento di Giuseppe Bellocco in traffici di
sostanze stupefacenti e la vicinanza della cosca Bellocco a quella dei Pesce.
Si era pervenuti ad adottare il provvedimento restrittivo in pregiudizio di
Spanò Aurora solo perché aveva procreato figli con Bellocco Giulio, benché la
stessa non fosse risultata coinvolta nei diversi menzionati precedenti processi.
Il semplice riferimento a una condanna riportata in primo grado non avrebbe
potuto porsi a fondamento della decisione in violazione dell’art. 27 Cost.
Nessuno dei citati comportamenti in carcere trovava riscontro e comunque
poteva risultare significativo (in particolare avuto riguardo all’occultamento di
uno scritto riportante semplicemente un passo della Bibbia), mentre avrebbero
dovuto considerarsi le denunzie presentate dalla ricorrente per le vessazioni
subite durante il periodo di detenzione presso l’istituto penitenziario di L’Aquila.
Il Tribunale di sorveglianza aveva ritenuto che fosse suo compito solo
risolvere questioni attinenti alle modalità di esecuzione della pena; invece, alla
stregua dei principi del giusto processo, avrebbe dovuto esaminare il titolo

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3.2. Con un secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 192 e 546 cod.

cautelare valutandone l’infondatezza, con riferimento anche a quanto dedotto
circa l’allontanamento da anni della coppia Spanò e Bellocco da ambiti criminali.
L’ordinanza pertanto si era basata su dati e valutazioni inesistenti e
assolutamente inidonei a configurare i presupposti di cui all’art. 41 bis Ord. pen.

4. Il ricorso depositato dall’Avv. Pasquale Antonio Maria Galati.
4.1. Con un primo motivo, con cui si lamenta erronea indicazione della
normativa applicabile e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, oltre a esporsi rilievi già mossi nel precedente atto di ricorso per

quanto riguarda in particolare la legittimazione del Ministro a emettere il
provvedimento di proroga, si osserva che la misura cautelare dava luogo ad una
sorta di carcerazione preventiva in assenza di concrete esigenze giustificative a
seguito della raccolta di prove da parte dell’autorità amministrativa senza che
all’interessata fosse stato consentito di intervenite esercitando il diritto di difesa.
Ma, anche al riguardo l il Tribunale di sorveglianza non aveva fornito risposte,
incorrendo la decisione nella violazione dei precetti costituzioni e convenzionali.
4.2. Con un secondo motivo viene denunziata violazione degli artt. 192 e
546 cod. proc. pen., sul rilievo che l’ordinanza, affetta da nullità in ragione delle
violazioni denunziate, non si era attenuta al sistema della gerarchia delle fonti,
non avendo preso atto, senza neppure rispondere ai rilievi difensivi proposti, che
il provvedimento adottato si poneva in contrasto con le norme costituzionali.

5. Con requisitoria depositata il 19 marzo 2019, il Procuratore Generale, in
forza di diffuse argomentazioni, ha chiesto di dichiarare il ricorso inammissibile.

6. In data 3 aprile 2018 l’Avv. Guidobaldi ha depositato memoria tramite cui
ha ribadito e ancora sviluppato le censure già svolte, soffermando fra l’altro
l’attenzione sui quei rilievi che erano stati mossi alla ricorrente in ragione dei
comportamenti tenuti durante la detenzione a L’Aquila, dei quali la memoria
indicava l’infondatezza e l’assenza di significatività, prospettando altresì ulteriori
violazioni di disposizioni costituzionali in relazione alla verifica di tali episodi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.

2.

Come osservato nell’articolata requisitoria depositata dal Procuratore

Generale, tutti i rilievi di costituzionalità, che accompagnano buona parte delle

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a

doglianze mosse con i motivi rassegnati negli atti di impugnazione, sono stati già
ritenuti destituiti di fondamento dalla Corte costituzionale in numerose occasioni.
Per quanto riguarda in particolare la compatibilità con i precetti costituzionali
delle disposizioni restrittive previste dall’art. 41 bis Ord. pen. e della procedura
di controllo giurisdizionale dei provvedimenti adottati in materia dall’autorità
amministrativa, è appena il caso di citare, fra le pronunzie più risalenti, quelle n.
351 del 1996, n. 332 del 1994, n. 4010 del 1993 e n. 349 del 1993; mentre
successivamente ne sono intervenute altre ancora, sempre nello stesso senso,

n. 313 del 2009, nonché le sentenze n. 266 del 2009 e n. 190 del 2010.
Il Tribunale, specificatamente disattendendo i medesimi rilievi di
costituzionalità, oltre a citare alcune delle pronunzie di cui sopra, ha altrettanto
correttamente richiamato le conformi decisioni della Corte Edu, fra cui quella del
24/09/2015, Paolello c. Italia, del pari a smentita delle censure ancora proposte.
Alle citate chiare posizioni dalla Corte cost. di volta in volta assunte, si è
attenuta la giurisprudenza di legittimità, nelle numerose pronunzie che hanno
continuato a ritenere manifestamente infondate obiezioni del genere di quelle
rappresentate nei motivi di ricorso e nella memoria in seguito depositata.
Ivi peraltro si lamentano mancate risposte a tal riguardo invece intervenute,
sicché, attesa l’assenza di un idoneo confronto con quanto rilevato dal Tribunale
anche tramite i richiami a precedenti di legittimità e pronunzie della Corte cost.,
neppure rimangono rappresentati, con la dovuta specificità, quali particolari
profili di illegittimità, non ancora giudicati infondati, vorrebbero ora prospettarsi.
Va solo aggiunto sul tema che, come pure rilevato dal Procuratore generale,
la giurisprudenza di legittimità non ha mancato di chiarire che, in forza di
ragionevoli esigenze dovute alle peculiarità del procedimento, non è prevista
l’anticipazione delle garanzie difensive alla fase solo prodromica di emissione del
provvedimento ministeriale, senza che ciò pregiudichi la pienezza del controllo
giurisdizionale nel contraddittorio, istaurato il quale l’interessato può svolgere le
attività utili alla difesa (fra le altre, Sez. 1, n.98 del 19/10/2011, Rv. 252061).
Né, per altro verso, assume un minimo di fondamento l’affermazione
secondo cui gli elementi acquisiti nell’ambito di procedimenti penali ancora in
corso e dunque per fatti non acclarati da condanna irrevocabile, non potrebbero
essere considerati, attraverso autonomi apprezzamenti quanto all’attendibilità e
concretezza, all’atto dell’adozione dei provvedimenti di cui trattasi, a fronte di
funzioni preventive regolate da tassative disposizioni legge, in presenza di ben
individuati presupposti, al fine di tutelare primarie esigenze di ordine e sicurezza.

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fra cui possono richiamarsi l’ordinanza n. 417 del 2004, quelle n. 220 del 2009 e

3. Quanto a tutte le rimanenti censure mosse con gli atti di ricorso e poi
ribadite e sviluppate con la successiva memoria, va preliminarmente rilevato che
il controllo di legittimità affidato alla Corte di cassazione in materia di
provvedimenti di applicazione o proroga del regime detentivo di cui all’art. 41 bis
Ord. pen. rimane circoscritto alla violazione di legge, cosicché, quanto alla
motivazione, gli unici rilievi che possono trovare ingresso sono quelli che ne
rappresentino la mancanza – oltre che grafica – sotto il profilo dell’assenza dei
requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità in relazione agli elementi sui

motivazione, per la mancanza di suindicati requisiti, solo apparente ovvero
assolutamente inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice
di merito nel pervenire alla decisione (fra le altre, Sez. 1, n. 48494 del
9/11/2004, Rv 230303; Sez. 1, n. 5338 del 14/11/2003, Rv. 226628).
Solamente in tali ipotesi è, invero, configurabile la denunziabile violazione di
legge, poiché il provvedimento risulta privo del requisito della motivazione
richiesto dall’art. 125 cod. proc. pen. e dal comma 2 sexies, art. 41 bis Ord. pen.
Restano, di contro, estranei all’ambito della verifica di legittimità consentita
in materia non solo tutti quei rilievi che invocano un diverso apprezzamento degli
elementi acquisiti riservati alle valutazioni di merito, ma anche il controllo della
motivazione sotto il profilo della semplice contraddittorietà o illogicità.

4.

L’art. 41

bis Ord. pen., ai fini dell’adozione del provvedimento di

sospensione, in tutto o in parte, delle ordinarie regole del trattamento
penitenziario nei confronti dei soggetti condannati o imputati per taluno dei gravi
reati ivi menzionati, richiede «elementi tali da far ritenere la sussistenza di
collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva», così
esigendosi al riguardo, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (fra le
altre, Sez. 1, n. 4857 del 10/03/2016, Rv. 267248; Sez. 1, n. 39760 del
28/09/2005, Rv. 232684; Sez. 1, n. 46013 del 29/10/2004, Rv. 230136), non
già un giudizio di certezza secondo i parametri dell’accertamento probatorio ai
fini dell’affermazione della responsabilità penale, ma la formulazione di una
ragionevole previsione sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti, fra cui assumono
primaria rilevanza quelli desumibili, sempre in chiave di valutazione prognostica,
dai fatti di cui alle condanne già intervenute o ai procedimenti ancora in corso.
E in tale ambito è appropriato apprezzare in via deduttiva, nell’ottica della
verifica del citato collegamento con la criminalità organizzata (così da derivarne
le particolari prescrizioni del regime speciale a tutela di primarie esigenze di
ordine e sicurezza), elementi come quelli rappresentati dal ruolo assunto dal
soggetto considerato in quel genere di fenomeni, dall’ampiezza delle relazioni

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quali deve cadere la verifica dei presupposti di legge; in modo da risultare la

che ne sono conseguite e dalle particolari modalità della loro plausibile
permanenza, a fronte di un’organizzazione criminale che appaia ancora presente
(in tale senso, fra le altre, Sez. 1, n. 305 del 06/02/2015, Rv. 263508).
Si tratta di un accertamento prognostico del tutto particolare, poiché gli
obiettivi perseguiti in ambito preventivo non attengono propriamente al pericolo
di reiterazione delle medesime condotte delittuose, ma si fermano a un più
anticipato momento di tutela, quello ttIP in cui ci si propone di prevenire, tramite

con il contesto di criminalità organizzata nel quale sono maturati i fatti di grave
46,
`-5
allarme ragionevolmente riferiti ai delitti citati dall’art. 41 bis (Sez. 1, n.[1:35Z del
19/04/2016 Rv 268294; Sez. 5, n. 40673 del 30/05/2012, Rv 253713).
(.4
2,c23
5. Quanto poi in particolare all’ipotesi di proroga del regime di cui all’art. 41
bis Ord. pen., ciò che va apprezzato non è tanto il concreto realizzarsi di
momenti di collegamento esterno con il contesto di criminalità organizzata in
ragione dell’elusione delle particolari disposizioni già predisposte per impedirli,
quanto più propriamente la necessità di rendere ancora vigenti tali disposizioni,
riscontrandosi – non necessariamente in considerazione di elementi sopraggiunti
– la permanenza di quelle apprezzabili condizioni di pericolo che avevano
giustificato originariamente il regime speciale (Sez. 1, n. 41731 del 15/11/2005,
Rv. 232892; Sez. 1, n. 40220 del 20/10/2005, Rv. 232466; Sez. 1, n. 39760 del
28/09/2005, Rv. 232684; Sez. 1, n. 36302 del 21/09/2005 Rv. 232114).
A tal riguardo il comma 2 bis dell’art. 41 bis Ord. pen. indica appunto la
verifica della «capacità» di mantenere quei collegamenti a suo tempo riscontrati,
«anche» tenendo conto di alcuni parametri elencati in termini non esaustivi: il
profilo criminale; la posizione rivestita all’interno dell’associazione; la perdurante
operatività del sodalizio; la sopravvenienza di nuove incriminazioni non
precedentemente valutate; gli esiti del trattamento penitenziario; il tenore di vita
dei familiari del sottoposto. Mentre si sottolinea che il mero decorso del tempo
non costituisce elemento sufficiente a escludere la «capacità» di cui sopra.
Si tratta di un ponderato apprezzamento di merito in ordine agli elementi
che di volta in volta richiedono attenzione nel caso concreto, giacché in grado di
incidere in senso positivo o negativo ai fini della verifica del presupposto di cui
trattasi in termini di attualità (Sez. 1, n. 40673 del 30/05/2012, Rv. 253713).
Apprezzamento che, se accompagnato da motivazione nei termini sopra
descritti in cui essa possa risultare effettivamente approntata, rimane del pari
sottratto a censure in sede di legittimità sotto il profilo della violazione di legge.

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le funzionali prescrizioni del regime detentivo speciale, già il solo collegamento

6. Il provvedimento impugnato si è attenuto ai superiori criteri, non avendo
trascurato il ragionato apprezzamento di tutti i presupposti di legge come
correttamente individuati. L’articolata motivazione adottata, per nulla apparente
e priva di profili di manifesta illogicità e incoerenza, nel dare diffusamente conto
delle ragioni della decisione, illustra anzitutto l’ampia gamma di gravi condotte
delittuose addebitate alla ricorrente, come quelle di associazione mafiosa e usura
aggravata dal metodo mafioso, per le quali era già intervenuta condanna in
primo grado. Descrive poi, con altrettanta chiarezza, il qualificato ruolo assunto

elementi da cui è stato tratto il ragionevole convincimento in ordine all’attuale
«capacità» della stessa di mantenere ancora i consolidati collegamenti con le
cosche mafiose «Bellocco – Pesce». In tale ambito valutativo vengono apprezzati
specifici comportamenti verificatisi in carcere. Né si omette di dar conto dei dati
dai quali è stata desunta l’attuale operatività delle citate cosche di riferimento.

7.

Orbene, a fronte dell’esposizione di tale motivato convincimento, le

censure come articolate secondo quanto sopra specificatamente illustrato, al di là
della qualificazione formale nel senso della denunzia di violazioni di legge,
formulano rilievi rivolti piuttosto a criticare le valutazioni riservate al giudice di
merito, invocando di fatto una non consentita sovrapposizione argomentativa.
Lo si fa in particolare per quanto riguarda le relazioni con il compagno
Bellocco Giulio, le condotte nel frattempo attribuibili a Bellocco Giuseppe e
l’interpretazione del comportamenti tenuti durante la detenzione dalla ricorrente.
Invocando su questi e altri punti alternative valutazioni di merito, per di più
nemmeno ci si confronta con l’esatta lettura dell’intera motivazione, si citano atti
di cui non si ha contezza, si lamenta la mancata acquisizione di altri atti ancora
alla stregua di valutazioni sempre estranee a profili di legittimità, tanto più che
neppure è dato comprendere quale decisiva smentita ne potrebbe derivare.
Si tratta pertanto anche in tal caso di doglianze tutte inammissibili, poiché
non rappresentano con un minimo di congruenza violazioni di legge – neppure
quanto alla motivazione, rimanendo assolutamente indimostrato che la stessa sia
talmente carente e scoordinata da potere essere in questa sede censurata sotto
l’unico profilo consentito, ossia quello appunto della violazione di legge.

8. Ne discende la dichiarazione d’inammissibilità, con conseguente condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, stante i profili di colpa,
della somma determinata in euro tremila in favore della cassa delle ammende.

7

dal Aurora Spanò in tale variegato contesto di criminalità organizzata, nonché gli

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla cassa delle
ammende.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Prima Sezione Penale
Depositatbin Cancelleria oggi
Roma,

n ……. cja,60., …… ……..

Così deciso il 17 aprile 2018

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