Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37305 del 14/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 37305 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MERONI ENZO N. IL 15/01/1978
avverso la sentenza n. 1583/2005 CORTE APPELLO di MILANO, del
11/11/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA LAPALORCIA
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Udito il Procuratore Generale in persona de Dott. E.
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

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Data Udienza: 14/05/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Enzo MERONI è stato ritenuto responsabile, con sentenza 3-11-2004 del Tribunale di
Monza, confermata dalla Corte d’Appello di Milano in data 11-11-2011, dei reati di
bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, quale titolare dell’impresa
individuale, dichiarata fallita il 4-5-2000, Vetroplast di Meroni Enzo, di fatto gestita dal
padre Tullio, anch’egli raggiunto in primo grado da condanna, in secondo grado da

2. Il primo reato riguarda la distrazione di beni strumentali del valore di circa 100 milioni
di lire e dell’importo di un mutuo ipotecario pari a 160 milioni di lire. Il secondo la
tenuta dei libri e delle scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione del
patrimonio e del movimento degli affari, allo scopo di conseguire un ingiusto profitto e
di recare pregiudizio ai creditori.
3. La corte milanese, premesso che l’attuale ricorrente non si era mai ingerito
nell’amministrazione dell’impresa, gestita dal padre, ne confermava l’affermazione di
responsabilità sul rilievo che, non avendo assolto l’obbligo di vigilare sulla gestione
nonostante l’anomalia rappresentata dal fatto di essere un prestanome per
l’impossibilità del titolare di fatto di figurare formalmente, comportasse l’elevata
probabilità del compimento di atti irregolari da parte del dominus, aveva accettato il
rischio del compimento di atti di tal genere da parte di questi. Senza contare la sua
diretta partecipazione, nella qualità, all’accensione del mutuo relativo alla somma
contestata, tra le altre, quale oggetto di attività distrattiva.
4. Con il ricorso proposto dall’imputato tramite il difensore, avv. D. Figini, si deducevano
tre doglianze.
5. Primo motivo: violazione delle norme incriminatrici e dell’art. 40 cod. pen.. in ordine alla
bancarotta documentale. Per quanto, infatti, secondo giurisprudenza di questa corte, la
c.d. testa di legno risponde di tale reato a titolo di omissione stante l’obbligo giuridico di
tenere e conservare le scritture, nella specie non vi era prova che l’imputato, appena
maggiorenne allorchè aveva assunto la veste di titolare dell’impresa, avesse potuto
consapevolmente rappresentarsi che il padre avrebbe omesso la tenuta delle scritture
allo scopo di frodare i creditori.
6. Secondo motivo: violazione della norma sulla bancarotta patrimoniale e dell’art. 40 cod.
pen.. Non essendo applicabile all’amministratore ‘testa di legno’ il principio per il quale,
una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore
fallito, il loro mancato reperimento legittima, in assenza di adeguata giustificazione, la
presunzione della dolosa sottrazione, in quanto l’accettazione della carica non implica la
consapevolezza di disegni criminosi da parte dell’amministratore di fatto (Cass. Rv.
19049/2010), sarebbe stato necessario accertare se il Meroni, oltre ad aver accettato la

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pronuncia di improcedibilità per intervenuto decesso.

carica, fosse stato consapevole della condotta distrattiva del padre o almeno ne avesse
accettato il rischio.
7. Terzo motivo: mancata assunzione di prova decisiva e omessa motivazione sul punto.
La corte territoriale aveva ritenuto superflua la prova testimoniale relativa all’incendio
delle scritture contabili, mentre la chiesta rinnovazione del dibattimento aveva ad
oggetto quella relativa all’incendio dei macchinari di cui era contestata la distrazione per
un valore pari a cento milioni di lire, senza tener conto di quelli rinvenuti e smaltiti a

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va disatteso.
2. La prima doglianza non ha fondamento alla stregua del consolidato orientamento di questa
corte per il quale chi amministra solo formalmente l’impresa fallita essendo privo di reali poteri
di gestione (c.d. testa di legno), risponde di bancarotta fraudolenta documentale in virtù
dell’obbligo diretto e personale del titolare formale dell’impresa di tenere e conservare le
scritture contabili, a fronte del quale l’eventuale convinzione che quello di fatto provveda
all’incombente, nella specie sostenuta nel ricorso, è del tutto irrilevante.
3. Né ha maggior spessore il secondo motivo inerente alla bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Infatti, pur essendo esatto che nei confronti dell’imprenditore meramente formale non può
automaticamente operare la presunzione di responsabilità in caso di mancato reperimento,
privo di giustificazione, di beni dei quali sia accertata la disponibilità prima della pronuncia di
fallimento, tuttavia l’accettazione della titolarità dell’impresa rende il soggetto tenuto all’agire
informato, secondo quanto tra l’altro imposto dalle norme del codice civile agli amministratori.
In linea con tale principio la corte milanese ha correttamente affermato che la responsabilità
del Meroni nasceva dall’essere venuto meno ai doveri di vigilanza e controllo imposti a chi
accetta di ricoprire la carica nella consapevolezza di possibili condotte illecite da parte del
titolare di fatto -il padre giuridicamente impossibilitato a figurare come titolare dell’impresa-, e
in particolare dall’omesso controllo sulla tenuta delle scritture contabili, controllo atto a
prevenire il pericolo di distrazioni, con conseguente accettazione del relativo rischio (in
conformità all’orientamento di questa corte espresso, tra le altre, dalla sentenza n.
38712/2008), essendo l’elemento soggettivo integrato anche dal dolo eventuale.
4. Non configura, infine, il vizio di mancata assunzione di prova decisiva il diniego di
ammissione della prova testimoniale dell’incendio verificatosi nei locali dell’impresa. Anche se,
infatti, la richiesta di rinnovazione del dibattimento fosse relativa alla distruzione non delle
scritture contabili, ma dei beni strumentali dei quali era contestata la distrazione, essa sarebbe
comunque generica ed esplorativa (essendo volta ad accertare, in prima battuta, se dei
macchinari fossero stati smaltiti in quanto interessati dall’incendio), dunque non decisiva.
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

3

seguito appunto dell’incendio.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14-5-2013

Il Presidente

e est.

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