Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37305 del 05/04/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 37305 Anno 2018
Presidente: IASILLO ADRIANO
Relatore: CAIRO ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI SIRACUSA
nel procedimento a carico di:
EN NAOUR RACHID nato a OULED AZZOUZ( MAROCCO) il 01/01/1986

avverso l’ordinanza del 30/12/2017 del TRIBUNALE di SIRACUSA
udita la relazione svolta dal Consigliere ANTONIO CAIRO;
lette/sentite le conclusioni del PG ROBERTO ANIELLO
Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento con rinvio
udito il difensore

/-1

Data Udienza: 05/04/2018

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.1. Osservava il decidente che la norma non prevedeva un periodo massimo di durata del
divieto di reingresso e che, pertanto, nell’interpretazione della fattispecie si sarebbe dovuto
integrare in bonam partem il dato normativo con quanto previsto dalla legge all’art. 13 comma
13 d. Igs 286/1998, caso analogo inerente il reingresso dello straniero extracomunitario in
violazione del provvedimento amministrativo di espulsione. Sicché, posta l’assimilazione
concettuale indicata, tra i due “modelli di controllo” della presenza dello straniero sul
territorio dello Stato, il fatto di “reingresso” non avrebbe avuto, comunque, rilevanza penale
oltre i cinque anni dall’espulsione.
2. Ricorre per cassazione il P.M. presso il Tribunale di Siracusa e lamenta la violazione dell’art.
235 cod. pen.
Osserva che la disposizione non risulta rispettata, poiché la limitazione della durata massima
del reingresso, imposta anche dalla direttiva 115/2008 è relativa alle sole espulsioni che
risultino in essa regolamentate e che abbiano genesi amministrativa. In questa logica,
pertanto, risultava erroneo il ragionamento operato dal Tribunale e la intervenuta
assimilazione tra le due forme di controllo. L’arresto era, pertanto, legittimo e il giudice a
quo avrebbe dovuto procedere alla relativa convalida.
3. Il ricorso è fondato e va accolto per quanto si passa ad esporre.
3.1. Ritiene erroneamente il giudice a quo di dover operare una assimilazione strutturale tra
l’espulsione dello straniero, disposta dall’autorità giudiziaria come misura di sicurezza in senso
stretto e quella che, al contrario, risulta assunta dall’autorità amministrativa ai sensi dell’art.
13 comma 13 d. Igs 286/1998 (o dal Giudice ai sensi dell’art. 13-bis d. Igs. 286/1998), in
guisa tale da recuperare la prima allo statuto di “durata” della seconda, attraverso il
ragionamento analogico dell’ubi eadem ratio ibi eadem iuris dispositio.
Osserva il giudice a quo che non essendo prevista una durata massima dell’espulsione
stessa, ordinata come misura di sicurezza, ai sensi dell’art. 235 cod. pen. dal giudice penale,
il reingresso, avvenuto in violazione di essa, oltre il quinquennio non avrebbe rilievo penale,
giacché il termine anzidetto si dovrebbe inferire attraverso un meccanismo di equiparazione
logico-giuridica, come termine massimo unitario, applicabile anche alla misura di sicurezza in
senso stretto, disposta dall’autorità giudiziaria penale.
3.2. Il ragionamento svolto sconta essenzialmente due profili critici.
3.2.1. Il primo è relativo alla
assimilazione strutturale tra le misure dell’espulsione cd.
amministrative (cioè ordinate dall’Autorità amministrativa e che trovano fonte regolatrice
nell’art. 13 del d. Igs. 25 luglio 1998, n. 286) e quelle che, al contrario, risultano disposte
dall’Autorità giudiziaria, come misure di sicurezza in senso stretto. Le prime risultano misure
di natura amministrativa stricto iure, anche là dove in via sostitutiva disposte dall’Autorità
giudiziaria e sono funzionalmente collegate sul piano amministrativo a contrastare l’ingresso
illegale o la illecita permanenza sul territorio dello Stato.
2

a

1. Con ordinanza in data 30/12/2017 il Tribunale di Siracusa, in composizione monocratica, a
seguito dell’arresto di En Naour Rachid per il reato di cui all’art. 235 comma 3 cod. pen. non
convalidava la misura precautelare. Ciò pur essendo stato costui espulso in esecuzione della
misura di sicurezza emessa dal magistrato di sorveglianza di Torino – misura disposta ex art.
86 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 il 14/1/2010 – e pur avendo fatto ingresso nel territorio dello
Stato, il 28/12/2017, senza autorizzazione e valido titolo di soggiorno.

Ancora, l’autorità giudiziaria può disporre ulteriori tipi di espulsione. A prescindere da quella a
titolo di sanzione sostitutiva e di sanzione alternativa alla detenzione, in questa sede rileva il
provvedimento emesso ex art. 235 cod. pen. Esso è disposto dal giudice, dopo la condanna.
Si tratta di una misura di sicurezza in senso stretto, di carattere non detentivo, finalizzata al
controllo della pericolosità del soggetto e che va eseguita dopo l’espiazione della pena.
(esecuzione o estinzione) (art. 211 cod. pen.). Si tratta di una misura sensibilmente diversa
dalle precedenti di tipo amministrativo (che risultano collegate alla irregolarità della posizione
giuridica dello straniero sul territorio dello Stato) o a quelle che sono assunte con funzione
alternativa o sostituiva della pena e che rivestono il carattere di modelli, in definitiva,
alternativi all’esecuzione penale.
La legittimazione all’espulsione, come misura di sicurezza, nell’attuale e vigente assetto
normativo è frutto delle modifiche apportate dall’art. 1 comma 1 lett. a) d.l. 23 maggio 2008
n. 92 conv. in I. 24 luglio 2008 n. 125. Esso prevede l’espulsione nei casi previsti dalla legge
e nelle ipotesi in cui vi sia stata la condanna ad una pena di entità superiore a due anni.
L’abrogazione dell’art. 204 cod. pen.
impone un accertamento concreto e costante della
pericolosità sociale prima di procedere all’applicazione della misura di sicurezza,
con
necessità d’una verifica del presupposto applicativo, demandata al magistrato di sorveglianza
ai sensi dell’art. 679 cod. proc. pen.
Le due forme di controllo (amministrativo e come misura di sicurezza) sono concettualmente e
strutturalmente diverse. In ciò sta la ragione degli statuti normativi diversificati, dettati in
funzione della distinta finalità cui essi assolvono. Le misure amministrative, cmi oosi è fatto
cenno, hanno essenzialmente lo scopo di assicurare il controllo della presenzaniero sul
territorio e di un possibile contrasto ai profili amministrativi della pericolosità sociale.
L’espulsione come misura di sicurezza, disposta dall’autorità giudiziaria, al contrario,
(prescindendo dalle sanzioni sostitutive o alternative alla detenzione) ha la tipica funzione
del controllo della pericolosità cd. post delictum, nella logica del doppio binario, cui è ispirato
il sistema sanzionatorio prescelto dal codice penale. Esse sono, pertanto, collegate alla
commissione di un fatto reato e alla pericolosità sociale del suo autore. Non hanno funzione di
contenimento e di controllo della regolarità della presenza sul territorio dello Stato. La mancata
previsione, dunque, di un termine di durata massimo è in intimo e naturale collegamento con
la gravità del fatto e con lo spessore di pericolosità soggettiva che da esso si inferisce. In ciò
risiede la ragione della astratta mancata previsione dell’invocato termine massimo e della
mancata equiparazione agli altri modelli di controllo, che al contrario prevedono il
quinquennio come limite di durata non valicabile.
Non ricorre, pertanto, un’ipotesi in un cui la misura di sicurezza dell’espulsione determina un
effetto permanente a carico dello straniero che la subisce, a differenza delle altre misure
personali, che prevedono un termine minimo di durata con un riesame di pericolosità alla
scadenza. La regola di revocabilità della misura, ai sensi dell’art. 207 cod. pen., opera pieno
iure e si lega al venir meno dei presupposti legittimanti, applicandosi anche alle misure
istantanee come l’espulsione e non alle sole misure di durata (già 29/9/1986, Sattar;
26/6/1989, Hermix), attraverso, appunto, il riesame della pericolosità.
3

L’espulsione amministrativa è, infatti, prevista in tre ipotesi essenziali: l’ingresso irregolare
dello straniero che, sottrattosi ai controlli di frontiera non è stato respinto ai sensi dell’art. 10
del T.U. 286/1998; l’irregolarità del soggiorno, ricorrente nelle ipotesi in cui lo straniero non
abbia richiesto il relativo permesso e quelle in cui sia stato accertato che il soggetto straniero
appartenga ad una delle categorie di tipica pericolosità di prevenzione, già contemplate
dall’art. 1 della legge 1423/1956 (ora D. L.vo 6 settembre 2011, n. 159).

La misura dell’espulsione amministrativa (art 13
d. Igs. 286/1998) è disposta
non
necessariamente come conseguenza di un reato o per contrastare la pericolosità sociale del
singolo. Piuttosto è un modello di controllo, si è visto, della regolarità della presenza sul
territorio che, indirettamente, può rivelarsi anche funzionale all’allontanamento di soggetti
pericolosi in via di prevenzione. Ciò se, da un lato, giustifica la durata massima non
superiore a cinque anni del divieto di reingresso, dall’altro, non ammette che essa possa
assolvere al controllo di pericolosità post delictum in senso stretto, cui è funzionale la misura
di sicurezza, che può essere assunta nei soli casi previsti espressamente dalla legge e alle
condizioni che il delitto commesso abbia avuto determinate caratteristiche e una pena non
inferiore alla soglia stabilita normativamente.
La misura di sicurezza dell’espulsione non presenta, pertanto, vuoti normativi o di disciplina
da colmare ricorrendo al ragionamento anzidetto, risultato non evocabile neppure là dove
l’effetto sia quello di indurre un effetto in bonam partem. La pericolosità sociale, post delictum,
cui si ancora l’espulsione stessa come misura di scurezza, ben potrebbe persistere dopo il
decorso del quinquennio dall’esecuzione. Non vi sarebbero, dunque, ragioni valide né altri dati,
in virtù dei quali ritenere che il reingresso oltre il quinquennio, in violazione della misura di
sicurezza, sia fatto penalmente indifferente, attraverso il richiamo del termine che caratterizza
la diversa misura amministrativa di cui all’art. 13 comma 14 d. Igs 286/1998.
Là dove, pertanto, lo straniero espulso in applicazione della misura di sicurezza di cui all’art.
235 cod. pen. intenda fare ritorno sul territorio dello Stato avrà la possibilità di chiedere una
revoca di essa misura e la rimozione con efficacia ex nunc degli effetti ostativi al reingresso
che dalla sua esecuzione derivano. Ciò permette il doveroso riesame della pericolosità sociale
post delictum e le condizioni per la revoca.
4. Alla luce di quanto premesso, appurato che la misura dell’espulsione era stata disposta
per la violazione della normativa sul controllo degli stupefacenti (d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309)
e che, pertanto, si trattava di una misura di sicurezza in senso stretto, il reingresso costituiva
fatto penalmente rilevante anche se posto in essere oltre il termine quinquennale, limite di
durata non applicabile nel caso di specie. Del resto, ragionando diversamente, si
legittimerebbe in capo al giudice a quo l’esercizio di un potere non previsto dal sistema,
ammettendo che, in via interpretativa, si possa integrare il precetto normativo con dati
extralegali. Il provvedimento impugnato di non convalida dell’arresto va, pertanto, annullato
senza rinvio, perché la misura precautelare era stata legittimamente eseguita.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato, perché l’arresto è stato legittimamente
eseguito.
Così deciso Così deciso in Roma, il 5 aprile 2018
Il consigliere estensore

Il Presidente

3.2.2. Il secondo nodo critico si coglie riflettendo sulla particolarità che alla luce di quanto
premesso non ha fondamento il richiamo del ragionamento analogico. Ciò perché i diversi tipi
di misura, per struttura, non possono postulare l’applicazione del medesimo statuto giuridico.

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