Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37302 del 05/04/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 37302 Anno 2018
Presidente: IASILLO ADRIANO
Relatore: CAIRO ANTONIO

Data Udienza: 05/04/2018

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MILAZZO FABIO nato a ALCAMO il 28/06/1996

avverso l’ordinanza del 20/09/2017 del TRIB. LIBERTA di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere ANTONIO CAIRO;
lette/sentite le conclusioni del PG ROBERTO ANIELLO
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’ del ricorso
udito il difensore
Udito il difensore avv. Vito Mancuso del Foro di Trapani che insiste per l’accoglimento
dei motivi di ricorso.

i

q

1. Con ordinanza in data 9 agosto 2017 il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Sciacca rigettava la richiesta di applicazione della misura degli arresti
domiciliari nei confronti di Milazzo Fabio, per il delitto di incendio previsto all’art. 423
comma 1 cod. pen. La contestazione era quella di aver appiccato il fuoco a diversi
punti della vegetazione secca e di aver cagionato un incendio boschivo, in Salaparuta
località demaniale di monte Porcello, incendio spento solo dopo ore e dopo l’intervento
di un elicottero. Il Giudice per le indagini preliminari riteneva non sussistente il
quadro di gravità indiziaria, poiché l’avvistamento del Milazzo, da parte dell’Arena,
operaio intento al lavoro, aveva prodotto un riconoscimento non contraddistinto da
margini di certezza e che si aggirava intorno ad una soglia del 90-95%. Neppure erano
stati ritenuti valorizzabili altri elementi a carico che descrivevano una piattaforma
dimostrativa dubbia. Tali erano, in primo luogo, i particolari relativi all’abbigliamento
del Milazzo (maglia bianca e pantalone blu: capi decisamente comuni) e
all’inseguimento attuato, interrotto dalle operazioni di spegnimento, aspetto ulteriore
che aveva privato d’immediatezza l’individuazione del medesimo Milazzo.
1.1. Il giudice dell’appello cautelare, investito dal P.M., riformava la decisione e
applicava la misura invocata. In particolare, oltre a valorizzare le dichiarazioni
dell’Arena, che aveva visto un soggetto (con il medesimo abbigliamento del Milazzo)
chinarsi e appiccare il fuoco in più punti e ne aveva seguito la fuga fino al campo
agricolo poco distante, scrutinava, in una cornice diversa, i plurimi elementi emersi
all’esito delle investigazioni. Tra questi, in primo luogo, la particolarità che non erano
stati notati altri soggetti
in loco con quell’abbigliamento e, soprattutto, le
dichiarazioni rese da Baregh Houcine e Rzic Mohamoud, oltre che dal Savona
Salvatore. Costoro avevano, in maniera convergente, dato conto, secondo il giudice
dell’appello cautelare, dell’identità del soggetto che aveva appiccato il fuoco e che
era fuggito presso il campo agricolo sostanzialmente limitrofo. Gli elementi indicati,
attraverso una valutazione unitaria, inducevano a ritenere esistente il quadro di
gravità indiziaria e un rilevante pericolo di recidiva, non solo per la gravità della
condotta, ma considerando l’iniziativa della fuga e l’indifferenza verso i valori
ordinamentali di cui essa stessa era rivelatrice.
2. Ricorre per cassazione Milazzo Fabio e deduce quanto segue, con due distinti
motivi di doglianza.
2.1. Con il primo denuncia l’erronea applicazione dell’art. 273 cod. proc. pen. in
funzione dell’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Sottolinea, in primo luogo,
l’incertezza che aveva caratterizzato il riconoscimento da parte dell’Arena, incertezza
che ne condizionava l’attendibilità. In secondo luogo, il dato era confermato dalla
stessa contraddittorietà delle relative dichiarazioni. Costui aveva offerto, in una prima
occasione, una descrizione assolutamente generica del soggetto e si era limitato a
fare riferimento, in altri termini, al solo abbigliamento dell’autore del fatto, per
rendere, successivamente, particolari di dettaglio e descrittivi a livello anche somatico.
Non sarebbe stata, tra l’altro, compatibile la corporatura media affermata, poiché il
Milazzo era alto mt. 1,93. Del resto, si rivelava mendace la dichiarazione dell’Arena
che aveva asserito di non aver visto, prima del riconoscimento, il soggetto. Infatti,
l’Arena stesso si era recato con la forestale direttamente presso il fondo agricolo (ove
si affermava essersi portato colui che aveva appiccato l’incendio). Anche alla luce delle

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RITENUTO IN FATTO

altre dichiarazioni non si costruiva un quadro individualizzante sulla posizione del
Milazzo, quadro che restava, pertanto, inidoneo ad applicare una misura cautelare.
2.2. Con il secondo motivo si deduce l’insussistenza di esigenze cautelari con
relativa violazione di legge e vizio di motivazione.

OSSERVA IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perché affidato a-motivi manifestamente infondati.
Non ricorre vizio alcuno della motivazione. Il giudice a quo ha dato conto
adeguatamente delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua,
affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della
plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte: Cass., Sez. I, 5
maggio 1967, n. 624, Maruzzella, massima n. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. IV, 2
dicembre 2003, n. 4842, Dia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni
sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità; laddove i rilievi, le deduzioni
e le doglianze espressi dal ricorrente, benché prospettati come vizi della motivazione,
si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di merito, sicché, consistendo in motivi
diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili
ai termini dell’articolo 606, comma 3, cod. proc. pen.
1.1. Il primo motivo tende sostanzialmente a una rivalutazione del dato
dimostrativo e si richiede, in sostanza, un riesame di esso in funzione della
integrazione del requisito dei gravi indizi di colpevolezza. Ciò pur a fronte di una
motivazione resa dal giudice dell’appello cautelare che, secondo quanto si è anticipato,
risulta immune da censure e da vizi di manifesta illogicità. Il Tribunale del riesame
adito ex art. 310 cod. proc. pen., infatti, ha spiegato come la valutazione del caso in
esame non si fondasse sulla sola attendibilità del teste Arena -che aveva operato il
primo riconoscimento- ma sul portato dichiarativo degli altri soggetti escussi che,
confermando quanto aveva, in definitiva, dichiarato l’Arena stesso, anche in punto di
abbigliamento, hanno spiegato di aver visto il soggetto in questione nell’atteggiamento
tipico dell’alzarsi e abbassarsi, esattamente nei punti in cui, immediatamente dopo
gestualità siffatta, sorgeva il focolaio. Ciò, pertanto, aveva attirato l’attenzione e
visivamente il soggetto era stato seguito in fase di fuga verso il fondo,
sostanzialmente limitrofo, di proprietà del fratello. Lì, d’altro canto, era sorpreso
l’odierno indagato, poi riconosciuto dall’Arena stesso. La convergenza del quadro
dichiarativo in uno ai particolari inerenti l’abbigliamento, il luogo in cui il Milazzo stesso
era stato sorpreso e l’assenza di altri soggetti che in loco avessero abiti simili e che
si fossero rifugiati presso il fondo stesso, costituiscono una piattaforma correttamente
valutata dal Giudice di merito, in una logica di unitarietà degli indizi e con un giudizio
che risulta insindacabile in questa sede dal Giudice di legittimità.
2.2. Manifestamente infondati ancora risultano i rilievi sulla gradualità della
misura e sul ragionamento svolto dal giudice d’appello. Si deve osservare che proprio
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A parte la. carenza del quadro di gravità indiziaria avrebbero nel caso di specie
fatto difetto, a giudizio del ricorrente, le esigenze cautelari, poiché, da un lato, il
tempo trascorso dai fatti non avrebbe permesso di ritenere attuale e concreto il rischio
di recidiva e, per altro verso, la misura detentiva domiciliare violava il principío di
adeguatezza, ben potendo nella specie applicarsi la misura del divieto di
avvicinamento ad aree boschive.

3. Conseguono, alla luce di quanto detto, la declaratoria di inammissibilità del
ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché —
valutato il contenuto dei motivi e in difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella
proposizione della impugnazione — al versamento a favore della cassa delle ammende
della somma, che la Corte determina, nella misura congrua ed equa, infra indicata in
dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle
ammende. Si provveda a norma dell’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 aprile 2018
Il consigliere estensore
onio Cairo

Il Presidente
Adriano Iasillo

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
P rima Sezione Penale
Depositata in Cancelleria oggi
AGO. 2018
Roma,

in attuazione della regola di proporzionalità e adeguatezza il giudice adito, ex art. 310
cod. proc. pen., ha ritenuto di intervenire con un controllo autocustodiale,
ammettendo, dunque, una misura detentiva diversa da quella di massimo rigore.
Risulta, altresì, spiegata la ragione per la quale misure diverse da quella scelta non
fossero idonee a far fronte alle esigenze cautelari esistenti e, soprattutto, la ragione
per cui forme di controllo che implicassero la libertà di movimento non potessero
assolvere la funzione cui si era inteso far fronte con il controllo invocato. Non
correlato alla decisione è, pertanto, l’argomento di critica sul punto ed egualmente
non comprensibile risulta il riferimento -alla luce del principio di tipicità e legalità
delle misure cautelari- alla applicazione di un non meglio specificato “divieto di
avvicinamento ad aree boschive”.

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