Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37301 del 14/05/2013
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37301 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO
SENTENZA
Sul ricorso proposto dalla parte civile
Vitalone Wilfredo, nato a Reggio Calabria il 24/11/1932
avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 10/02/2011, nel procedimento .
penale a carico di BONAMORE Silvia, nata a Roma il 19/04/1953
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Antonio BRUNO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Eduardo
Scardaccione, che ha chiesto l’inemmissibiltà del ricorso<,
sentito, altresì. l'avv. Michele Calabrese, difensore dell'imputata, che si è associato
alle richieste del P.G. RITENUTO IN FATTO Data Udienza: 14/05/2013 1. Milvia Bonamore era chiamata a rispondere, innanzi al Giudice di pace di
Roma, del reato di ingiuria, ai sensi dell'art. 594, commi 1 e 4, cod. pen., per aver
offeso l'onore ed il decoro dell'avv. Wilfredo Vitalone, proferendo al suo indirizzo le
seguenti espressioni: "Lei dice il falso" - "non voglio parlare con questo tizio qua";
con l'aggravante di aver commesso il fatto alla presenza di più persone.
Le espressioni erano state profferite nel corso dell'esame al quale Milvia Bonamore, difensore dell'imputata Bonamore Anna Maria, nell'ambito di un procedimento
penale per ingiuria nei confronti della sorella, la stessa Milvia Bonamore.
Con sentenza del 06/08/2009 il Giudice di pace di Roma assolveva l'imputata,
ai sensi dell'art. 530 cpv., per mancanza dell'elemento psicologico e per
l'applicabilità, in ogni caso, dell'art. 599 cod. pen.
Pronunciando sul gravame proposto dalla parte civile, il Tribunale di Roma, con
la sentenza indicata in epigrafe, confermava la pronuncia impugnata con ulteriori
statuizioni di legge. 2. Avverso la pronuncia anzidetta l'avv. Wilfredo Vitalone, rappresentato e
difeso dall'avv. Naurilio Prioreschi, ha proposto ricorso per cassazione affidato alle
ragioni di censura indicate in parte motiva. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con il primo motivo d'impugnazione, parte ricorrente denuncia inosservanza
degli artt. 234 e 121 cod. proc. pen., in relazione all'art. 606 n. 1 lett. b) c) e d)
cod. proc. pen. Censura, in particolare, la motivazione nella parte in cui il giudice a
quo ha ritenuto che non risultasse che la difesa della parte civile avesse chiesto
l'acquisizione di memoria ex art. 121 bensì solo l'acquisizione di sentenze sul rilievo
che lo stesso giudice non aveva considerato che, a norma delle richiamate
disposizioni processuali, la documentazione della memoria illustrativa poteva essere
legittimamente depositata in ogni stato e grado del procedimento, sicché l'avere
respinto tale produzione concretizzava atto illegittimo. Del pari illegittimamente era
stato ritenuto che i documenti prodotti dalla parte civile non erano acquisibili in
quanto evidentemente irrilevanti o ultronei o non pertinenti senza considerare che il
primo giudice non aveva espresso alcuna motivazione sulla pertinenza o sulla
rilevanza della documentazione prodotta dalla parte civile, aveva respinto tale
produzione senza nemmeno leggerla e, quindi, senza nemmeno valutarla. in veste di persona offesa-querelante, era stata sottoposta dall'avv. Vitalone, Con il secondo motivo lo stesso ricorrente denuncia inosservanza dell'art. 594,
commi 1 e 4 cod. pen. in relazione all'art. 606 n. 1 lett. b), c) e d) del codice di rito.
Censura, in particolare, la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui
ha ritenuto che le espressioni incriminate, ammesse dalla stessa imputata, non
integrassero gli estremi del reato di ingiuria sulla base dell'applicazione di una
scriminante inesistente nell'ordinamento positivo, con riguardo all'asserito
intendimento dell'imputata di reagire alle domande che le venivano rivolte senza posizione di parte che il difensore della sorella in quel momento rappresentava. 2. La prima ragione di censura va disattesa. Se è indubbio, infatti, in linea
meramente astratta, il diritto della persona offesa di produrre memoria difensiva e
documentazione utile alla sua linea di difesa e, per converso, l'obbligo del giudice di
provvedere e di motivare l'eventuale diniego per ritenuta irrilevanza, è pur vero che
nel caso di specie la questione è priva di apprezzabile rilevanza e, comunque, è
ininfluente. Ed infatti, oltre al rilievo che, come emerge dal testo del provvedimento
impugnato, una parte delle sentenze prodotte risultava già acquisita in primo grado,
la difesa della persona offesa, attraverso la detta produzione, intendeva
dichiaratamente provare l'atteggiamento rancoroso dell'imputata nei confronti della
sorella, assistita dallo stesso avv. Vitalone, anche a seguito dell'esito di precedenti
procedimenti penali o civili che l'avevano vista soccombente. Ebbene, la condizione
di animosità ed accesa conflittualità tra le parti sostanziali del giudizio, ossia le due
sorelle Bonamore, anche per ragioni di divisione ereditaria, era fatto pacifico in
processo, che, ad ogni modo, rappresentava elemento ininfluente nell'economia del
presente giudizio, riguardante esclusivamente la legittimità della reazione verbale
dell'odierna imputata alle domande che, in altro procedimento penale, le aveva
rivolto l'avv. Vitalone, difensore della sorella Anna Maria Bonamore, in sede di
esame dibattimentale. 3. È certamente fondata, invece, la seconda doglianza relativa alla pronunzia
assolutoria dell'imputata per carenza dell'elemento psicologico o, comunque, al
proscioglimento della stessa Bonannore per applicazione dell'art. 599 cod. pen.,
come ritenuto dalla pronuncia di primo grado, interamente confermata dalla
sentenza impugnata.
Risulta, infatti, palesemente incongrua ed illogica la motivazione con la quale il
giudice a quo, nel riconoscere che le espressioni riportate in rubrica (Lei dice il falso
-non voglio parlare con questo tizio qua che l'imputata, persona offesa in altro
procedimento a carico della sorella, aveva rivolto all'avv. Vitalone, difensore della
congiunta, nel corso dell'esame dibattimentale) avessero contenuto obiettivamente volontà di colpire la persona dell'avvocato ed il suo patrimonio morale, ma la ingiurioso, aveva nondimeno negato "la volontà dell'evento" in capo alla stessa
imputata.
Al riguardo, è noto che, per consolidato insegnamento di questa Corte
regolatrice, In tema di elemento psicologico del reato di ingiuria non è richiesta la
sussistenza delranimus iniurandì, essendo sufficiente il dolo generico che può
anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto basta che l'agente,
consapevolmente, faccia uso di espressioni o parole socialmente interpretabili come assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni dell'agente (cfr. Cass. Sez. 5,
n. 6169 del 19.10.2012, dep 7.2.2013,Rv. 255015; id. Sez. 5 n. 7597
dell'11.5.1999, Rv. 213631, secondo cui in tema di delitti contro l'onore, non è
richiesta la presenza di un "animus iniuriandi vel diffamandi", ma appare sufficiente
il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto
basta che l'agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni
socialmente interpretabili come offensive, cioè adoperate in base al significato che
esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle
intenzioni dell'agente; nello stesso senso, id. Sez. 5 n. 3371 del 29.5.1998, Rv.
211479, secondo cui il reato di ingiuria è punibile a titolo di dolo generico, inteso
come volontà di usare espressioni offensive con la consapevolezza dell'attitudine
offensiva delle parole usate. La configurabilità del delitto prescinde, quindi, dai
motivi a delinquere e dallmanimus nocendi vel iniuriandi" che è del tutto irrilevante
perché estraneo alla struttura della fattispecie legale. In conseguenza, il dolo è
configurabile, senza necessità di una particolare dimostrazione, qualora
l'espressione usata sia autonomamente e manifestamente offensiva, tale, cioè, da
offendere, con il suo significato univoco, la dignità della persona).
Orbene, al di là della locuzione lei dice il falso, riferibile - pur nella sua greve
formulazione - all'ipotetico convincimento dell'imputata del contenuto inveritiero
delle asserzioni del difensore, non è opinabile che l'espressione non voglio parlare
con questo tizio qua, nell'esprimere sostanziale disprezzo per la persona del
professionista, si traduceva in gratuita offesa alla dignità personale, nella quale era
oggettivamente insita - tenuto conto della qualità dell'imputata e del contesto in cui
era profferita - la piena consapevolezza della sua attitudine lesiva.
Erronea, inoltre, era la pur gradata applicazione dell'esimente dell'art. 599
cod. pen., posto che la provocazione postula, notoriamente, reazione a fatto
ingiusto altrui, che, nel caso di specie, non era certamente ravvisabile, posto che
l'odierno ricorrente stava esercitando il diritto di difesa mediante esame della
persona offesa, sia pure in forma stringente ed incalzante, le cui modalità, ad ogni
modo, spettava solo al giudice sindacare e, eventualmente, moderare. offensive, cioè utilizzate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad 4. Le rilevate incongruenze ed erronee applicazioni di norme sostanziali si
traducono in ragione di nullità della sentenza impugnata che va, dunque,
dichiarata, sia pure ai soli effetti civili, nei termini di cui in dispositivo. P.Q.M. Annulla agli effetti civili la sentenza impugnata con rinvio al Giuduce civile Così deciso il 14/05/2013 competente per valore in grado d'appello.