Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37288 del 19/06/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 37288 Anno 2018
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
EL KHALIDI YOUSSEF nato a SETTAT( MAROCCO) il 18/03/1982

avverso la sentenza del 18/07/2017 della CORTE ASSISE APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI
che ha concluso chiedendo

Il PG conclude chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

udito il difensore
E’ presente l’avvocato FERRARI ANTONIO, del foro di SALERNO, in difesa di: EL
KHALIDI YOUSSEF che conclude chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

Data Udienza: 19/06/2018

1. Il GUP del Tribunale di Salerno, all’esito del giudizio abbreviato,
con sentenza del 9 febbraio 2017 condannava alla pena di anni
trenta di reclusione El Khalidi Youssef, accusato, come da
contestazione in atti, del reato di cui agli arti. 575, 575, co. 1 n. 1,
c.p., in riferimento all’art. 61 n. 1 c.p., per aver cagionato la morte
del connazionale Sorj Elman colpendolo alla zona giugulare con un
coccio di bottiglia rotta al culmine di un litigio insorto per l’utilizzo
di un apparecchio cellulare.
Il giudice di prime cure riteneva provata l’accusa mossa
all’imputato sulla scorta della accertata sua partecipazione alla
colluttazione violenta con la vittima, degli esiti delle risultanze
medico-legali, delle acquisizioni testimoniali di alcuni presenti ai
fatti di causa.
2. La sentenza di primo grado, appellata dall’imputato, veniva
confermata il 25 luglio 2017 dalla Corte di assise di appello di
Salerno. La Corte territoriale, in particolare, esaminate le ragioni
del gravame difensivo, negava sia la ricorrenza, nella specie, di una
ipotesi concretamente riferibile alla legittima difesa, anche nelle
forme attenuate, sia la legittimità della tesi difensiva volta a
sostenere la qualificazione preterintenzionale dell’omicidio e
confermava la ricostruzione della vicenda operata dal giudice di
prima istanza in uno con ogni sua valutazione giuridica con la sola
eccezione del trattamento sanzionatorio. I giudici dell’appello,
infatti, ritenevano di giustizia riconoscere in favore del prevenuto le
circostanze attenuanti generiche, tenuto conto del contesto di
disperazione e povertà sociale nel quale si erano registrati gli
accadimenti, e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata,
giudicata la equivalenza delle stesse sia con la contestata
aggravante che con la ritenuta recidiva, riduceva la condanna a
carico dell’imputato a quindici anni di reclusione.
3. Ricorre per cassazione avverso la sentenza di appello l’imputato,
assistito dal difensore di fiducia, il quale nel suo interesse sviluppa
cinque motivi di impugnazione.

RITENUTO IN FATTO

3.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente vizio della
motivazione in relazione agli artt. 52 e 55 c.p., in particolare
osservando: la corte di merito, pur considerando la circostanza
secondo la quale la vittima era armata di una bottiglia che aveva
rotto con finalità aggressive, finalità poi concretamente perseguite
fino al suo disarmo dell’arma impropria da parte del prevenuto, ha
in conclusione negato la ricorrenza di qualsiasi profilo di legittima
autodifesa sul rilievo che l’imputato avrebbe dovuto scagliare
lontano l’arma; vi è un salto logico nel ragionamento appena
esposto giacchè, implicitamente e senza spiegarne le ragioni, la
corte di merito ritiene che, una volta disarmata la vittima, fosse
venuta meno ogni situazione di pericolo, circostanza questa, si
ribadisce, immotivata e comunque contraria alla realtà; il giudice di
appello ignora inoltre la valutazione di tale fase degli accadimenti e
non ne considera i possibili profili subordinati, ovverosia quello di
una situazione di pericolo per sé percepita per colpa o in termini
putativi.
3.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa
ricorrente vizio della motivazione in relazione all’art. 575 c.p. ed
all’elemento psicologico del reato, in particolare osservando: la
corte di secondo grado deduce l’elemento psicologico del reato
dalla entità della ferita mortale, dalla micidialità dell’arma, dalla
sede corporea attinta, dalla direzione e dalla forza del colpo inferto,
ma ciò ha fatto ignorando del tutto ciò che è avvenuto prima e cioè
l’azione della vittima di rompere la bottiglia ed attaccare l’imputato,
condotta ampiamente riportata alla pag. 4 della sentenza; prima di
questo momento vittima ed imputato si erano affrontati a mani
nude picchiandosi ed in tali momenti nessun intento omicida poteva
coinvolgere il prevenuto; anche sulla micidialità dell’arma la
motivazione si appalesa incongrua e non aderente alla realtà di
fatto, tenuto conto che il coccio di vetro misurava circa dieci
centimetri, di guisa che, esclusa l’impugnatura, rimaneva una
minima parte utilizzabile per ledere l’avversario, evidentemente in
termini non micidiali; la vittima viene rappresentata dai giudici di
merito come inerme, in contrasto con l’aggressività viceversa
dimostrata dalla stessa allorché si è annata con la bottiglia rotta per
aggredire il rivale; nei motivi di appello si è invano evidenziato che
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le lesioni al volto, in particolare allo zigomo ed alla fronte della
vittima, erano state causate dalla caduta a terra, come dimostrato
dalla posizione di stasi in cui venne ritrovato il corpo, di guisa che,
per ricostruire la dinamica dell’aggressione, occorreva confrontarsi
soltanto con le lesioni al labbro ed alcune escoriazioni; la corte di
merito ignora del tutto l’accertato edema al piede dell’imputato e le
riferite algie, dati viceversa idonei, con le opportune e precedenti
precisazioni, a fornire uno sviluppo dello scontro fisico tra vittima
ed imputato diverso da quello accreditato in sentenza; il teste diretto
ha riferito un rapidissimo passaggio dallo scontro fisico a quello
con l’utilizzo dell’arma impropria ed anche questa circostanza
andava valutata ai fini della ricostruzione e del riconoscimento
dell’eventuale dolo omicida; la sentenza, viceversa, nega
apoditticamente tale andamento fulmineo, peraltro
complessivamente considerando gli accadimenti dall’inizio alla fine
e non considerando che vi fu il momento in cui ci si armò della
bottiglia rotta e la si utilizzò; quest’ultima fase dovette essere
necessariamente rapidissima, come confermato dal teste presente; la
corte di merito ha violato le regole sulla valutazione probatoria di
cui all’art. 192 c.p.p. là dove non ha valorizzato compiutamente le
dichiarazioni del teste oculare ancorchè decisive, giacchè la
repentinità dell’azione esclude la volontà di mirare la parte corporea
poi attinta; il colpo inoltre non fu unico, come assunto nella
sentenza impugnata, perché va legato ai momenti precedenti ed ai
colpi ricevuti dall’imputato; anche la ferita mortale non ha le
dimensioni indicate nella sentenza impugnata, come peraltro
evidenziato dallo stesso presidente relatore nel giudizio di appello,
là dove risulta equivocato il dato della lunghezza con quello della
profondità, dato questo rimasto nella sua equivocità anche nella
sentenza impugnata; di qui, altresì, l’utilità della invocata perizia, in
assenza della quale rimane il vizio assoluto di motivazione sul
punto della entità della ferita mortale; tra l’altro proprio da questo
dato equivoco, quello della profondità della ferita mortale, la corte
di merito ha dedotto che il colpo mortale sarebbe stato diretto e non
di striscio, peraltro in assenza di considerazioni circa le risultanze
del CT, che ha accreditato un andamento del colpo fatale da sinistra
verso destra.
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3.3 Col terzo motivo di impugnazione denuncia ancora la difesa
ricorrente vizio della motivazione in relazione all’art. 192 c.p.p. con
riferimento alla confessione dibattimentale dell’imputato, in
particolare osservando: la corte di merito ha utilizzato la
confessione dibattimentale dell’imputato disapplicando i principi
sanciti dal giudice di legittimità il quale, in presenza di versioni
discordanti rese dallo stesso imputato nella fase predibattimentale
ed in quella dibattimentale, avrebbe dovuto verificarne e motivare
l’affidabilità, la genuinità, l’attendibilità, e considerare altresì il
travisamento delle stesse dichiarazioni da parte del presidente
relatore, che ha mal riferito quelle predibattimentali (l’imputato
anche in questa fase ha riferito le lesioni mortali alla caduta della
vittima sul coccio di :vetro e mai ha affermato di avere per primo
imbracciato la bottiglia poi rotta); l’utilizzo in violazione di legge
della confessione dell’imputato priva il quadro di accusa di un
sostegno decisivo.
3.4 Col quarto motivo di impugnazione denuncia ancora la difesa
ricorrente violazione di legge in relazione all’art. 61 n. 1 c.p., anche
perché omesse circostanze decisive ai fini della decisione sul punto,
in particolare argomentando: nella specie il motivo futile ha
determinato la lite tra l’imputato e la vittima ma non certo
l’omicidio, il quale, a tutto concedere e fatte salve le tesi difensive
sugli esatti termini in cui riconoscere la colpevolezza del prevenuto,
il quale consumò la condotta omicidaria dopo l’iniziativa della
vittima medesima di armarsi per offendere; reagire alla violenza
della vittima non può ritenersi motivo futile.
3.5 Col quinto ed ultimo motivo di impugnazione denuncia la difesa
ricorrente vizio della motivazione in relazione all’art. 69 c.p., sul
rilievo che il bilanciamento tra circostanze attenuanti generiche, da
una parte, ed aggravante contestata in uno con la recidiva, avrebbe
avuto illogica motivazione, in quanto valorizzato il precedente
penale giustificativo della recidiva relativo al mancato
adempimento dell’ordine questorile di lasciare il territorio dello
Stato. Ad avviso del difensore la motivazione detta non farebbe
riferimento, come richiesto dalla lezione di legittimità, alla
pericolosità dell’imputato.
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3.6 In data 31 maggio 2018 il difensore di fiducia ha depositato
memoria difensiva con la quale ha ulteriormente approfondito le
ragioni esposte ed illustrate con i primi tre motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Manifestamente infondato è il primo motivo di impugnazione. Ed
invero con esso la difesa ricorrente travisa del tutto la motivazione
sviluppata dai giudici di merito. Il sillogismo difensivo è, in
particolare, errato nella sua premessa logica, perché mai la corte di
merito ha dato per accertata la dinamica difensivamente accreditata
e cioè che la vittima sia stata disarmata perché inizialmente munita
del coccio di bottiglia che avrebbe ella stessa provveduto a rompere
per ricavarne lo strumento di offesa. Tutt’altro; innanzitutto va
sottolineato che la difesa aveva già sviluppato la stessa tesi con i
motivi di appello, motivi logicamente ritenuti infondati dalla corte
di assise di appello. Quest’ultima ha in primo luogo affermato che
la dinamica dello scontro fisico intervenuto tra i due contendenti,
sul punto, non è statq, provatq, adeguatamente; che al riguardo
neppure la testimonianza del teste Dahaimi ha fatto chiarezza, ma
che deve ritenersi decisivo, ai fini di una ragionevole ricostruzione
dei fatti di causa, considerare che non appare per nulla credibile che
l’imputato abbia disarmato la vittima, togliendo A di mano un
coccio rotto di bottiglia rimasto con tre monconi acuminati, senza
che tale violenta e non semplice operazione non lasciasse neppure
un graffio sulle mani dell’imputato. Di più; i giudici di appello
hanno esplicitamente affermato di non credere alla versione resa dal
prevenuto non solo perché non credibile, per le ragioni dette, ma
anche perché, su una parte del fatto di primaria importanza,
l’imputato ha fornito nel corso del processo versioni contrastanti: in
sede cautelare ha infatti sostenuto che la vittima aveva rotto la
bottiglia con una mattonella che aveva poi scagliato contro il rivale,
mentre nel corso del dibattimento ha sostenuto che l’avversario
aveva infranto la bottiglia sul marciapiede. Solo dopo aver
sviluppato tali principali, e decisivi, argomenti la corte territoriale si
è improvvidamente avventurata in una motivazione alternativa,
quella valorizzata dalla difesa quasi fosse stata l’unica adottata dai
giudici di merito, dove implicitamente si sostiene, niente affatto
immotivatamente né illogicamente, che, una volta eliminata l’arma
5

potenzialmente omicida, non v’è alcun pericolo esiziale per alcuna
delle parti in contesa, né è possibile ritenere il contrario per errore o
per colpa.

Tutto ciò considerato ritiene la Corte che le ragioni affidate dalla
difesa al primo motivo di doglianza si appalesano eccentriche
rispetto alla motivazione sviluppata dalla corte di merito e
comunque non coerenti con le ragioni logiche poste dal giudice
territoriale a fondamento del rappresentato suo convincimento. Se
l’arma usata per tagliare la gola della vittima non fu mai nel
possesso della vittima, rimane priva di fondamento la ricostruzione
dei fatti dai quali poter dedurre una ipotesi di legittima difesa,
ancorchè putativa ovvero ritenuta per colpa.
2. Manifestamente infondato è, altresì, il secondo motivo di ricorso
giacchè volto ad accreditare una ricostruzione degli accadimenti
diversa da quella logicamente ritenuta dai giudici di merito di primo
e secondo grado ed una valutazione di dati e circostanze alternativa
a quella coerentemente argomentata con la sentenza impugnata (
Cass.e4.‘r b3C 54 1065 In primo luogo insiste la difesa ricorrente
nell’articolazione di sillogismi logici viziati dalla considerazione
che avrebbero i giudici di merito accreditato l’iniziale utilizzo della
bottiglia infranta da parte della vittima, la quale sarebbe stata poi
disarmata dall’imputato, circostanze già innanzi smentite col
richiamo puntuale alla motivazione impugnata. A parte ciò contesta
la difesa ricorrente la motivazione sviluppata in sentenza per
evidenziare la micidialità dell’arma, la non fulmineità del colpo
mortale, la gravità, per dimensioni, della ferita mortale. Trattasi
all’evidenza di soluzioni alternative a quelle ritenute in sentenza,
peraltro di palese irrilevanza per la decisione, giacchè che l’arma
fosse micidiale e le lesioni tali da causare la morte della vittima è
dimostrato non già dalle considerazioni della corte di assise di
appello ma dai fatti; il coccio di bottiglia cagionò una ferità che in
pochi attimi portò al dissanguamento della vittima in quanto recisa
la vena giugulare. Non occorre aggiungere altro per riportare lo
schema fattuale concretamente descritto alla lezione
giurisprudenziale che ha individuato le circostanze attraverso le
quali dedurre l’esistenza o meno di un dolo omicidiario. Che
l’azione sia stata o meno fulminea e che il teste oculare si sia
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dimostrato incerto, reticente e di scarsa utilità processuale integrano
considerazioni logicamente ritenute dai giudici di merito e le
contrarie considerazioni difensive vanno giudicate del tutto
inidonee ad inficiare il quadro probatorio e le considerazioni
motivazionali logiche e coerenti affidate alla sentenza impugnata.
Rimangono le lesioni al volto sulle quali anche la difesa oppone una
origine diversa (la caduta a terra) da quella ancora una volta
logicamente sostenuta dai giudici di merito (i colpi inferti a mani
nude dall’imputato prima di impugnare il coccio di vetro).
3. Anche il terzo motivo di impugnazione è manifestamente
infondato. La confessione è stata valutata in modo corretto,
individuando i profili ove essa appariva affidabile ed evidenziando,
viceversa, quelli palesemente illogici e contraddittori nella stessa
versione dell’imputato, in particolare là dovei;*Sostenuto che la ferita
mortale sarebbe stata cagionata dalla caduta della vittima a terra
proprio dove si trovava il coccio rotto di bottiglia. Come tutto ciò
sarebbe in violazione dei principi giurisprudenziali
sulla
confessione dell’imputato appare oscuro e, comunque,
genericamente sostenuto. Non si rilevano poi, per concludere,
argomenti decisivi per contrastare le conclusioni alle quali sono
correttamente pervenuti i giudici di merito ed in quale modo il
travisamento denunciato, quello della confessione, abbia inciso
sulla decisione contestata.
4. Infondato, inoltre, è il quarto motivo di ricorso. Innanzitutto la
condotta omicidiaria si realizzò non già secondo i moduli fattuali
sui quali insiste ancora la difesa ricorrente, ma secondo quelli
realmente accreditati in sentenza e cioè dapprima con un litigio
sull’utilizzo del telefono cellulare (in particolare su quale musica
ascoltare), quindi con un violento scontro fisico, e da ultimo con
l’utilizzo del coccio acuminato di bottiglia da parte dell’imputato. A
parte ciò, ai fini del giudizio su quanto lamentato da parte della
difesa, osserva la corte che la condotta violenta all’origine della
morte della vittima non può essere considerata per momenti o fasi e,
quindi, illogicamente parcellizzata. Non vi fu soluzione di
continuità tra l’inizio dello scontro fisico e la sua progressione fino
all’omicidio, senza altresì considerare, giova ribadirlo, che la
presunta reazione dell’imputato all’aggressione armata della vittima
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è circostanza che la difesa continua ad utilizzare contro le risultanze
processuali ritenute e motivate dai giudici di merito.
5. Fondato, giudica infine la Corte, il quinto ed ultimo motivo di
doglianza.

Ai fini della regolamentazione sanzionatoria la sentenza impugnata,
a pag. 7 della motivazione, ha chiarito che l’imputato appariva
meritevole della concessione delle circostanze attenuanti generiche
e che queste andavano bilanciate in termini di equivalenza con
l’aggravante contestata e con la riconosciuta recidiva. A tale ultimo
proposito, quanto cioè al riconoscimento della recidiva ed alla sua
considerazione ai fini sanzionatori, la corte territoriale argomentava
nel senso che la recidiva rinveniva da un unico precedente,
maturato per la violazione dell’ordine questorile di lasciare il
territorio, che tale condanna non si appalesava grave, ma che,
cionondimeno, appariva meritevole di considerazione ai fini detti
giacchè, se ottemperato l’ordine amministrativo di ci alla condanna,
non si sarebbe verificata la presenza dell’imputato sul territorio
nazionale occasione dell’omicidio sottoposto a giudizio.
La motivazione appena sintetizzata è, ad avviso della corte, in
contrasto con i principi di diritto costantemente affermati in sede di
legittimità, principi che giova qui riproporre nella loro più recente
riaffermazione: “Ai fini della rilevazione della recidiva, intesa
quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del
prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza
di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione
del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e
sull’ arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli
tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133
cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le
precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa
condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al
delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la
commissione del reato “sub iudice” (così: Sez. 3, Sentenza n. 33299
del 16/11/2016, Rv. 270419).
Nel caso in esame la corte territoriale ha valorizzato una circostanza
del tutto estraneq, alla valutazione richiesta per la legittima
8

Si impone pertanto, sul punto, l’annullamento della sentenza
impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di
Appello di Salerno affinché, in piena libertà di giudizio, rivaluti
l’opportunità di applicare ai fini sanzionatori la recidiva contestata
all’imputato secondo i principi di diritto innanzi indicati.
Il ricorso, alla stregua di quanto innanzi argomentato, va rigettato
nel resto.
P. T. M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla recidiva e al
conseguente giudizio di bilanciamento e rinvia per nuovo giudizio
sul punto ad alra sezione della Corte di assise di appello di Salerno.
Rigetta nel resto il ricorso.
Roma, addì 19 giugno 2018
Il Presidente

Il cons. rel.
1i

)9

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Prima Sezione Penale

Depositata in Cancelleria oggi

Roma,

i1. AGO. 2015.

considerazione della recidiva ai fini sanzionatori, valutazione che
deve essere essenzialmente di pericolosità dell’imputato
desumibile, come detto, da una significativa relazione tra il
precedente ed il fatto giudicato. Il giudice di secondo grado ha
invece incentrato le ragioni giustificative dell’impugnato
riconoscimento su una circostanza giuridicamente non apprezzabile
e comunque estranea alla dimensione del diritto: se eseguito
l’ordine di lasciare il territorio nazionale, l’imputato non avrebbe
potuto trovarsi nella situazione nella quale ebbe a trovarsi al
momento dell’omicidio.

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