Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37283 del 07/06/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 37283 Anno 2018
Presidente: IASILLO ADRIANO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
METRY OSAMA nato il 19/09/1974

avverso la sentenza del 27/05/2016 del GIUDICE DI PACE di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIACOMO ROCCHI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI
che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 07/06/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice di Pace di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, riteneva
Metry Osanna responsabile del delitto di cui all’art. 14, commi 5-bis e 5-ter del
T.U. sull’immigrazione (D.Igs. n. 286/1998) e, previa concessione delle
attenuanti generiche, lo condannava alla pena di euro 8.000 di multa.
Il Metry, cittadino egiziano, in data 15/04/2013, veniva denunciato ed
arrestato perché, a seguito di un controllo della polizia ferroviaria presso la

riconoscimento, nonché destinatario di un ordine di allontanamento del Questore
di Milano emesso il 20/02/2013.
All’udienza del 27 maggio 2016, si celebrava il giudizio immediato a carico
dell’imputato, rimasto assente ex art. 420-bis cod. proc. pen., e si affermava la
sua penale responsabilità in mancanza di un motivo giustificativo della illegale
permanenza in Italia.

2.

Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato, sollevando distinte

doglianze.
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la nullità degli atti introduttivi del
giudizio per omessa traduzione degli stessi nella lingua (araba) dell’imputato.
Secondo la difesa, dagli atti utilizzati dal Giudice non risulta alcun elemento
dal quale desumere la conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato. Lo
stesso teste Francola, agente della P.G., aveva dichiarato di non ricordare se il
Metry parlava e comprendeva la lingua italiana.
L’ordinanza di rigetto dell’eccezione formulata alla prima udienza di
comparizione delle parti aveva, dunque, violato l’art. 143 cod. proc. pen., e
viziato insanabilmente la sentenza impugnata.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce l’erronea applicazione della legge
penale e la mancanza assoluta di motivazione con riferimento all’omessa
valutazione della legittimità dell’ordine di allontanamento del Questore,
precondizione necessaria per ritenersi integrata una violazione dell’art. 14,
commi 5-bis e 5-ter, d.lgs. n. 286/1998.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

2

Stazione Termini di Roma, risultava sprovvisto di un valido documento di

La difesa dell’imputato sostiene la nullità della sentenza impugnata in
conseguenza dell’illegittimità dell’ordinanza che aveva rigettato l’eccezione di
violazione dell’art. 143 cod. proc. pen..
Preliminarmente si deve ribadire che l’accertamento di cui all’art. 143 cod.
proc. pen., come modificato dal D.Lgs. n. 32 del 2014, della conoscenza
della lingua italiana da parte dell’imputato non esige che ad effettuarlo sia
direttamente l’autorità giudiziaria, né che vi partecipi il difensore, in quanto
trattasi di una semplice verifica di qualità e circostanze e non di un atto a

269505).
Osserva questa Corte che, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso circa la mancanza di elementi agli atti dai quali dedurre la conoscenza della
lingua italiana da parte del Metry -, risulta dal ‘Verbale di dichiarazione o
elezione di domicilio della persona sottoposta ad indagini e contestuale nomina
del difensore’, redatto e sottoscritto in data 24 aprile 2013, che l’imputato aveva
eletto, in lingua italiana, domicilio per le notificazioni presso il proprio difensore
d’ufficio.
Poiché l’accertamento relativo alla conoscenza da parte dell’imputato della
lingua italiana può essere effettuato anche sulla base degli elementi risultanti
dagli atti di polizia giudiziaria (Sez. 5, n. 52245 del 09/10/2014 – dep.
16/12/2014, Viharev, Rv. 262101), la doglianza difensiva risulta priva di
fondamento e il Giudice di Pace ha correttamente rigettato la corrispondente
eccezione: l’elezione di domicilio fatta dell’imputato ai sensi dell’art. 161 cod.
proc. pen. dimostra che questi comprendeva e parlava la lingua italiana e, al
contempo, che non vi era ragione alcuna per la notifica degli atti del giudizio
tradotti in lingua araba; mediante la sottoscrizione del suddetto verbale, infatti,
l’imputato aveva manifestato, in lingua italiana, la volontà di ricevere le notifiche
presso il suo difensore.

2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché generico e, al
contempo, non autosufficiente.
La fattispecie incriminatrice dell’ingiustificata inosservanza dell’ordine di
allontanamento del Questore ha natura di reato omissivo proprio. Il presupposto,
ai fini della configurabilità del reato e della sussistenza dell’obbligo di
ottemperanza da parte dello straniero clandestino,

è costituito dalla validità

dell’ordine del Questore.
Detto provvedimento amministrativo, dunque, assume la veste di
presupposto positivo della condotta omissiva incriminata, ossia di antecedente
logico e giuridico del fatto tipico, inserito nella fattispecie penale e tale da

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valenza difensiva (Sez. 2, n. 7913 del 31/01/2017 – dep. 17/02/2017, Mejri, Rv.

condizionarne la tipicità.
Rientrando nel novero degli elementi costitutivi della fattispecie, il
provvedimento di cui all’art. 14, comma 5-bis D. L.vo 286 del 1998 deve essere
conforme ai requisiti sostanziali e formali previsti dalla legge. Così, il Questore
ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di sette
giorni qualora non sia stato possibile trattenerlo in un centro di permanenza per i
rimpatri, ovvero la permanenza presso tale struttura non ne abbia consentito
l’allontanamento dal territorio nazionale, ovvero dalle circostanze concrete non

eseguito e che lo straniero possa essere riaccolto dallo Stato di origine o di
provenienza (comma 5-bis).
Per non violare l’ordine del Questore e non incorrere nella sanzione prevista
dal comma successivo, lo straniero inottemperante all’ordine di allontanamento
deve fornire un “giustificato motivo” (art. 14, comma 5-ter D. L.vo 286 del 1998)
in grado di neutralizzare la rilevanza penale della propria condotta.
L’attribuzione al provvedimento di espulsione del ruolo di antecedente
logico-giuridico della condotta incriminata dall’art. 14, comma 5-ter cit. si
ricollega, dunque, al condizionamento che tale provvedimento esplica sulla
legittimità dell’ordine e, pertanto, sulla tipicità del reato.

Secondo l’impostazione difensiva, nel caso di specie, il Giudice di Pace di
Roma ha del tutto pretermesso il necessario sindacato sulla legittimità dell’ordine
di allontanamento del Questore, limitandosi, con una motivazione ‘apodittica,
stereotipata e del tutto apparente’, ad una ‘mera riproduzione’ dell’accertamento
eseguito dall’autorità di pubblica sicurezza.
Rileva questa Corte l’assoluta genericità della doglianza difensiva.
Questa, infatti, da un lato, non lamenta alcuno specifico vizio di legittimità
del provvedimento amministrativo e, dall’altro, non consente a questa Corte, in
qualità di giudice penale, di valutarne la legalità.
Sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per
genericità, i motivi che deducano il vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà
della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non
contengano la loro integrale trascrizione o allegazione (Sez. 2, n. 20677 del
11/04/2017 – deo. 02/05/2017, Schioppo, Rv. 270071).
Il ricorrente non ha correttamente assolto al proprio onere di allegazione del
provvedimento amministrativo di cui lamenta il pretermesso sindacato di
legittimità da parte della sentenza impugnata. Agli atti, infatti, questa Corte
rinviene solo il secondo ordine di allontanamento (emesso in data 15/04/2013),
e non quello coinvolto nella censura (emesso in data 20/02/2013).

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emerga più alcuna prospettiva ragionevole che l’allontanamento possa essere

Si rileva, comunque, che l’ordine di allontanamento presente agli atti è
rispettoso delle prescrizioni contenute nell’art. 14 del T.U. sull’immigrazione: il
Questore, infatti, nell’incipit specificava, in perfetta aderenza al comma 1 dell’art.
14 cit., che l’immediata espulsione mediante accompagnamento alla frontiera
disposta con il previo decreto del Prefetto di Milano non era stata possibile per la
necessità di procedere ad accertamenti supplementari in ordine alla
identità/nazionalità dello straniero, di acquisire un valido documento per
l’espatrio e di reperire un idoneo vettore o mezzo di trasporto.

che ‘non è stato possibile procedere al trattenimento dello straniero presso alcun
Centro di Identificazione ed Espulsione sul territorio nazionale per indisponibilità
di posti’.
A sua volta, il verbale di notifica del provvedimento dava atto che la
mancata informazione alla Rappresentanza Diplomatica/consolare di
appartenenza, ex art. 2 comma 7, D. Lgs. 286/1998, era stata conseguenza
della volontà espressa dall’interessato.

In definitiva, non sussiste alcuna illegittimità dell’ordine di allontanamento
del Questore di Milano, tale da giustificarne la disapplicazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 7 giugno 2018

Il Presidente

Il Consigliere estensore
Giacomo Rocchi

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Prima Sezione Penale
Depositata in Cancelleria oggi
Roma, lì

AGO. 2018

Adriano Iasillo

Si specificava inoltre, in ossequio al disposto dell’art. 14 comma 5-ter cit.,

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