Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37276 del 23/04/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 37276 Anno 2018
Presidente: IASILLO ADRIANO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI MILANO
nel procedimento a carico di:

PODARU ADRIAN nato il 14/12/1984

avverso la sentenza del 29/06/2016 della CORTE ASSISE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIACOMO ROCCHI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCA ZACCO
che ha concluso per l’annullamento con rinvio.
Udito il difensore avvocato MARTINI MARCO che ha chiesto il rigetto del ricorso del
P.G..

Data Udienza: 23/04/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di assise di appello di
Milano, in riforma di quella della Corte di assise di Milano, assolveva Podaru
Adrian dai reati ascrittigli per non aver commesso il fatto.
Podaru era stato condannato in primo grado alla pena di anni ventisei di
reclusione per i delitti di rapina pluriaggravata ai danni di Luca e Marzio
Colturani, violazione di domicilio aggravata, omicidio volontario e furto aggravato

Secondo le imputazioni, approfittando del rapporto di collaborazione
domestica intrattenuta da Mitrean Tatiana con i Colturani, che le aveva permesso
di procurarsi una chiave per l’accesso all’appartamento, Coceban Vasile, Podaru
Adrian, Pectu Constantin e altri soggetti non identificati si erano introdotti in ora
notturna nell’abitazione, sita in Milano, avevano imbavagliato e legato con nastro
adesivo i due proprietari e si erano impossessati di preziosi, quadri e denaro
contante per un valore complessivo di euro 700.000. Colturani Marzio, già
malato, era deceduto per asfissia causata dalla totale ostruzione delle vie aeree
da parte del nastro adesivo; i rapinatori, in precedenza, avevano rubato due
autovetture da usare per la rapina.
Per questi reati sono già stati condannati Mitrean Tatiana, Popesci lune,
Cociu Valeriu, Bunduki Alexander e Pectu Constantin, mentre Coceban Vasile è
stato giudicato e condannato in Moldavia; Dragan Serghei è deceduto.
Gli elementi a carico di Podaru erano stati individuati nelle sentenze
definitive di condanna di Mitrean Tatiana e Pectu Constantin, nei risultati
dell’analisi dei tabulati telefonici, nelle dichiarazioni a suo carico di Bunduchi
Alexander, Dragan Serghei, Coceban Vasile e Pectu Constantin e nei relativi
riscontri, nelle dichiarazioni dello stesso imputato e nelle conclusioni dei medici
legali sulle cause della morte di Maurizio Colturani.
Il primo ad accusare Podaru era stato Coceban Vasile, arrestato in Moldavia;
aveva reso dichiarazioni anche Pectu: le dichiarazioni dei due coimputati,
peraltro, erano state acquisite ex artt. 511, 512 e 513 cod. proc. pen.. Erano
state individuate quattro utenze riconducibili a Podaru e analizzati i contatti con
quelle dei correi. All’epoca dei fatti, Podaru viveva a Bareggio insieme a Pectu e
Sturza; Podaru conosceva bene Coceban e la Mitrean.
Secondo Bunduchi e Dragan, Podaru aveva accompagnato Coceban la sera
del delitto nell’appartamento di Via Quarti, che costituiva la base operativa della
banda; la mattina dopo la rapina si era allontanato con un taxi, chiamato con
una telefonata che risultava dai tabulati telefonici; inoltre, Coceban e Podaru
erano tornati insieme in Moldavia il 15/11/2007 con un volo Lione – Milano

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di due autovetture, reati commessi il 13/11/2007.

Malpensa – Mosca (circostanza riscontrata oggettivamente), mentre Pectu era
fuggito con un volo che partiva da Milano il giorno successivo.

La Corte territoriale rigettava l’eccezione difensiva avente ad oggetto la
carenza di giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Italiana che, secondo la difesa
dell’imputato, aveva rinunciato alla propria giurisdizione a favore di quella
moldava dopo che questa aveva trasmesso i verbali degli interrogatori di
Coceban Vasile che accusavano Podaru e aveva chiesto di procedere nei

Secondo l’appellante, a seguito della rinuncia da parte dell’A.G. Italiana,
quella moldava aveva giudicato ed assolto Podaru con un provvedimento di
“cessazione delle indagini penali” che, secondo la difesa, era efficace ai fini
dell’applicazione del principio del ne bis in idem.
Secondo la Corte territoriale, invece, dalla documentazione prodotta non
risultava affatto la volontà dell’Italia di rinunciare a perseguire Podaru: piuttosto,
la Procura italiana sollecitava la collaborazione con le Autorità moldave, in questa
ottica chiedendo a queste ultime di proseguire nelle indagini. In ogni caso, il
provvedimento di cessazione delle indagini penali assunto dall’Autorità
Giudiziaria moldava non aveva efficacia preclusiva in base al principio del ne bis
in idem,

che opera soltanto, ai sensi dell’art. 54 della Convenzione di

applicazione dell’accordo di Schengen, in presenza di sentenza o decreto penale
di condanna divenuti irrevocabili: il provvedimento dell’A.G. moldava era, invece,
revocabile. Per di più, la Moldavia non partecipava all’accordo di Schengen,
cosicché trovavano piena applicazione gli artt. 6 e 11 cod. pen..
Venivano respinte le ulteriori eccezioni preliminari e di rito sollevate dalla
difesa dell’imputato. In particolare, con riferimento alle dichiarazioni accusatorie
di Pectu, che erano contenute in un memoriale dallo stesso redatto, la sentenza
osservava che il coimputato era stato escusso in dibattimento in appello.

Dato atto che i principali elementi a carico di Podaru erano state individuati
nelle chiamate in correità di Coceban e Pectu, la sentenza osservava che la Corte
di primo grado, pur avendo dichiarato inutilizzabili le dichiarazioni di Coceban
rese nel gennaio del 2012 al P.M. italiano senza l’assistenza del difensore, le
aveva ugualmente citate in sentenza; anche le altre dichiarazioni venivano
valutate dalla Corte territoriale “di dubbia utilizzabilità”, non emergendo una
impossibilità assoluta ed oggettiva di sentire il coimputato, contrariamente a
quanto ritenuto “troppo sbrigativamente” dalla Corte di primo grado.
In effetti, dopo che era stata avanzata la richiesta di interrogare Coceban in
videoconferenza il 3/10/2014, già il 17/11/2014, in assenza di risposta delle

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confronti di quest’ultimo.

Autorità moldave, era stata decisa l’acquisizione dei verbali ex art. 512 bis cod.
proc. pen., nonostante che Coceban avrebbe potuto essere escusso dalla Corte
in Moldavia.
La credibilità di Coceban era “traballante” (questo è l’aggettivo utilizzato
dalla sentenza impugnata), in quanto egli appariva preoccupato di tutelare se
stesso ma non di chiarire le effettive modalità di quanto accaduto. Coceban
inizialmente aveva negato la sua responsabilità, poi aveva accusato Podaru,
Costea e Bulea (cioè Sturza): ma quest’ultimo era stato assolto dal G.U.P. di

oltre che prive di riscontri individualizzanti.
Anche Dragan e Bunduchi avevano accusato Podaru, che essi non
conoscevano, ma le loro dichiarazioni avevano una forte “valenza difensiva”,
poiché i due avevano negato ogni loro coinvolgimento nella rapina, anche se
erano stati condannati definitivamente.
Il comportamento processuale di Pectu era stato ambiguo: prima aveva
negato ogni coinvolgimento, poi aveva redatto un memoriale in cui ammetteva la
propria responsabilità e accusava Coceban, Podaru e Sturza; nel dibattimento di
primo grado a carico di Podaru, si era rifiutato di rispondere, con conseguente
acquisizione del memoriale da parte della Corte, sull’opposizione della difesa; in
sede di rinnovazione dell’istruttoria nel dibattimento di appello, sentito come
testimone assistito, Pectu – che aveva ammesso di essere detenuto nella stessa
cella di Podaru – aveva sostenuto che le accuse contenute nel memoriale erano
false e che, insieme a lui e a Coceban, vi erano altre due persone che aveva
conosciuto la sera stessa.
Secondo la Corte, esistevano “pesanti ombre” sulla credibilità di Pectu in
ragione della codetenzione con Podaru a partire dal dicembre 2014 (quindi prima
dell’inizio del dibattimento di appello); i due erano stati anche oggetto di
intercettazione ambientale. In effetti, se la ritrattazione poteva essere ritenuta
non credibile sulla base del semplice rapporto di amicizia tra Pectu e Podaru, la
codetenzione tra i due soggetti impediva di esprimere un sereno giudizio, in un
senso o nell’altro, sulla credibilità delle dichiarazioni di Pectu.
In definitiva, la situazione era “ambigua” ed era impossibile affermare con
certezza chi avesse detto il vero.

Permanevano gli ulteriori indizi che, peraltro, non erano ritenuti decisivi:
certamente Podaru era presente nell’appartamento di Via Quarti nelle prime ore
della mattina dopo l’esecuzione della rapina e certamente era fuggito dall’Italia
insieme a Coceban. Era pacifico, ma aveva contenuto neutro, che in quel periodo
Podaru vivesse a Bareggio con Pectu e Sturza.

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Milano che aveva valutato le dichiarazioni di Coceban incoerenti e incostanti,

Mancava una prova oggettiva della presenza di Podaru la sera prima della
rapina in Via Quarti, da dove il gruppo di rapinatori era partito, cosicché la sua
presenza nell’appartamento la mattina dopo la rapina (avvenuta verso le 330 4) e i suoi rapporti con Pectu potevano supportare l’ipotesi di un suo
coinvolgimento nell’episodio delittuoso a diverso titolo; analoghe considerazioni
potevano essere fatte quanto al viaggio di ritorno in Moldavia insieme a
Coceban.
In definitiva, il quadro restava incerto, anche in conseguenza dell’eccessiva

imponeva l’assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma 2 cod. proc. pen..

2. Ricorre per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di
Milano, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.
La motivazione relativa alle dichiarazioni di Coceban Vasile era
contraddittoria.
In effetti, la Corte territoriale aveva censurato come “troppo sbrigativa” la
decisione della Corte di primo grado di acquisire i verbali delle dichiarazioni del
coimputato, perché intervenuta dopo un lasso di tempo molto breve dalla
richiesta di rogatoria internazionale mediante videoconferenza cui non era
seguita alcuna risposta dalle Autorità moldave; ma la Corte d’assise aveva deciso
di acquisire i verbali di Coceban con motivata ordinanza che affermava essere
sussistenti i presupposti dell’art. 512 bis cod. proc. pen. alla luce della mancata
risposta delle autorità moldave nonostante i ripetuti solleciti e tenuto conto
dell’assenza di un trattato di cooperazione internazionale con la Moldavia.
Si trattava di motivazione corretta che un mero giudizio di “sbrigatività”,
privo di valore giuridico motivazionale, non poteva vanificare.

La motivazione appariva viziata anche con riferimento al giudizio di
credibilità di Coceban.
Mentre il Giudice di primo grado aveva evidenziato specifiche circostanze per
affermare la credibilità del coimputato, la Corte territoriale aveva fondato il
giudizio opposto su un dato inutilizzabile e privo di valore probatorio, vale a dire
l’assoluzione in primo grado di Sturza da parte del Giudice per l’udienza
preliminare con sentenza non definitiva.
In sostanza, la Corte territoriale aveva contrapposto alla argomentata
valutazione del giudice di primo grado il giudizio espresso da altro giudice in
sentenza non definitiva emessa nei confronti di diverso imputato: provvedimento
che non poteva essere utilizzato a questo scopo in base alle norme processuali,
ma che dimostrava solo il fatto storico dell’avvenuta assoluzione.

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frammentazione dei processi; l’impossibilità di disporre ulteriori approfondimenti

Analogo vizio motivazionale viene censurato con riferimento alla valutazione
delle dichiarazioni di Pectu Constantin.
La Corte territoriale non aveva valutato la credibilità della ritrattazione dei
coimputato nel corso del dibattimento di appello, ma aveva genericamente
affermato che lo stato di codetenzione di Pectu e Podaru prima della escussione
dibattimentale “gettava pesanti ombre sulla vicenda, oltre che sulla credibilità da
attribuire a Pectu”.
In realtà, si era di fronte ad un diniego di motivazione sul punto perché la

coimputato in un senso o nell’altro.

Il ricorrente, infine, censura la valutazione degli ulteriori elementi di prova
come “meri indizi” contenuta in sentenza.
In effetti, la sentenza aveva svolto un esame frazionato di tali elementi che,
valutati nel loro complesso, avevano il valore di riscontro alle dichiarazioni di
Coceban.
Il ricorrente conclude per l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata limitatamente ai capi A, B e D, segnalando che il delitto di violazione
di domicilio contestato al capo C è estinto per intervenuta prescrizione.

3. I difensori di Podaru Adrian hanno depositato memoria, sostenendo la
manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso.
La sentenza nei confronti di Podaru era giunta dopo la celebrazione di
numerosi processi a carico dei coimputati; è sulla base delle sentenze definitive
che la Corte territoriale aveva concluso per l’impossibilità di accertare
compiutamente la verità: ma questo punto era stato tralasciato dal Procuratore
Generale ricorrente.
In particolare, la valutazione negativa della credibilità di Coceban Vasile era
già contenuta nella sentenza a carico di Dragan e altri, cosicché l’aggettivo
“traballante” usato nella sentenza in questa sede impugnata richiamava la
valutazione espressa nelle sentenze irrevocabili.
L’assoluzione in primo grado di Sturza Ruslan, nei cui confronti l’unico
elemento di prova era costituito dalle dichiarazioni di Coceban Vasile, era solo un
tassello che supportava la motivazione della sentenza e, comunque, aveva sicura
valenza fattuale, essendo stata confermata in appello.
I difensori sottolineano che, in questa vicenda, sono stati condannati
definitivamente soggetti che Coceban aveva dichiarato essere estranei al delitto
ed assolti altri che Coceban aveva accusato.

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Corte aveva espressamente rifiutato di formulare un giudizio sull’attendibilità del

Secondo i difensori, anche il motivo di ricorso concernente l’attribuita
inattendibilità di Pectu è manifestamente infondato.
Il coimputato aveva sostenuto versioni differenti ed opposte sia nel presente
processo che in quello di rinvio a carico di Dragan, Coceban, Cociu e altri proprio
sulla posizione di Podaru; per di più, la sentenza faceva esattamente riferimento
alla scelta dell’accusa di collocare nella stessa cella Pectu e Podaru al fine di
procedere ad intercettazioni ambientali: tre delle quali dimostravano con
chiarezza la falsità delle accuse nei confronti di Podaru.

sciogliere in senso positivo il tema dell’attendibilità del dichiarante.

Anche il motivo concernente gli “ulteriori elementi di prova” è infondato.
La Corte aveva dato atto che, mancando la prova della presenza di Podaru
la sera precedente alla rapina e, invece, sussistendo quella della presenza dopo il
compimento del delitto, era possibile ipotizzare un coinvolgimento a diverso
titolo, ma non era provata la partecipazione alla rapina.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato.

1. Appare opportuno richiamare i principi che le Sezioni Unite hanno
recentemente affermato in tema di obbligo motivazionale per il giudice di appello
che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado: benché
non sussista l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame
dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive (così come nel caso
opposto di riforma in peius di sentenza di assoluzione), il giudice di appello deve
offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale
giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se
necessario, la prova dichiarativa decisiva (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 dep. 03/04/2018, P.G. in proc. Troise, Rv. 272430).
Per il ribaltamento della sentenza di condanna il giudice d’appello può
limitarsi a giustificare la perdurante sostenibilità di ricostruzioni alternative del
fatto, sulla base di un’operazione di tipo essenzialmente demolitivo; deve
trattarsi, peraltro, di ricostruzioni non solo astrattamente ipotizzabili
natura,

in rerum

ma la cui plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle

risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. È dunque
necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di
intrinseca razionalità, ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni

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In definitiva, la Corte territoriale aveva esattamente ritenuto di non poter

verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo. Il giudice
d’appello deve strutturare la motivazione della decisione assolutoria in modo
rigoroso, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte.
Già in precedenza si era affermato l’obbligo di confutare in modo specifico e
completo le precedenti argomentazioni, essendo necessario scardinare l’impianto
argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto diretto
contatto con le fonti di prova.
La precedente elaborazione giurisprudenziale di questa Corte (Sez. U, n.

Musumeci, Rv. 191229) ha stabilito, in linea generale, l’obbligo di una nuova e
compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni
raggiunte nel caso in cui il giudice di appello riformi totalmente la decisione di
primo grado, sostituendo all’assoluzione l’affermazione di colpevolezza
dell’imputato. Ne discende che il giudice di appello, nel riformare la condanna
pronunciata in primo grado con una sentenza di assoluzione, dovrà confrontarsi
con le ragioni addotte a sostegno della decisione impugnata, giustificandone
l’integrale riforma senza limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della
riformata pronuncia delle generiche notazioni critiche di dissenso, ma
riesaminando, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo
giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire una nuova e
compiuta struttura motivazionale che dia adeguata ragione delle difformi
conclusioni assunte.

La sentenza impugnata non rispetta l’onere motivazionale per le ragioni
esattamente individuate dal Procuratore Generale ricorrente.

2. La motivazione della sentenza risulta contraddittoria con riferimento al
tema dell’utilizzabilità delle dichiarazioni di Coceban: viene censurata come
“sbrigativa” la scelta del giudice di primo grado di acquisirne i verbali ma,
contestualmente, la Corte territoriale mostra di aderire a tale decisione, atteso
che dà atto di avere adottato la “decisione di non citare Coceban in dibattimento”
(pag. 24) e, ancora, annota che sarebbe stato possibile sentire Coceban in
contraddittorio in Moldavia, così superando tutte le censure difensive, ma
“questa Corte non ha tuttavia ritenuto di procedere in tal senso alla luce di
considerazioni che riguardano la credibilità di Coceban, invero piuttosto
traballante”.
In questo modo, i due piani sono stati confusi irrimediabilmente: di fatto, la
censura di tipo procedurale mossa alla sentenza di primo grado è caduta, in
quanto la Corte ha adottato la medesima decisione; del resto, come ben osserva

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33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992,

il P.G. ricorrente, la decisione relativa all’utilizzabilità o meno di determinati
verbali ex art. 512 bis cod. proc. pen. non può essere “sbrigativa”, ma soltanto
corretta o errata dal punto di vista procedurale, in conseguenza di una corretta o
errata applicazione della norma del codice di rito.
In definitiva, la valutazione della credibilità di un coimputato non può
influenzare la decisione relativa alla utilizzabilità delle sue dichiarazioni rese al di
fuori del dibattimento: il Giudice deve prima risolvere il problema
dell’utilizzazione dei verbali e, in seguito alla decisione, deve esprimere la

3. Proprio con riferimento a tale valutazione – che, appunto, la Corte
territoriale ha fatto ritenendo utilizzabili i verbali delle dichiarazioni acquisiti agli
atti, che non sono stati espulsi dal fascicolo per il dibattimento – la censura del
Procuratore Generale ricorrente appare fondata.
In effetti, si riscontra sia una specifica violazione di legge che un evidente
vizio motivazionale.
La menzione della sentenza di primo grado di assoluzione di Sturza viola
l’art. 238 bis cod. proc. pen.; costantemente la Corte ha insegnato che le
sentenze pronunciate in altri procedimenti penali, non ancora irrevocabili, sono
da considerare documenti e possono essere utilizzate come prova solo per i fatti
documentali in esse rappresentati, ma non anche per la ricostruzione dei fatti e
la valutazione delle prove in esse contenute (Sez. 5, n. 11905 del 22/01/2010 dep. 26/03/2010, D.R. e altri, Rv. 246550; Sez. 1, n. 46082 del 09/10/2007 dep. 11/12/2007, Lago e altri, Rv. 238167; Sez. 6, n. 33519 del 04/05/2006 dep. 05/10/2006, Acampora e altro, Rv. 234400).
Le valutazioni del G.U.P. del Tribunale di Milano in quella diversa sentenza
non sono state sottoposte ad alcun vaglio dalla Corte territoriale, benché – per di
più – la motivazione rilevi che, per quell’imputato, l’assoluzione era giustificata
anche per l’assenza di riscontri individualizzanti che, nel caso di Podaru invece
esistevano.
Salvo il riferimento alla valutazione del G.U.P. del Tribunale di Milano, la
motivazione della sentenza impugnata in punto di credibilità del coimputato si
limita all’osservazione secondo cui Coceban “appariva soprattutto preoccupato di
tutelare se stesso, addossando le maggiori responsabilità alla Mitrean, e assai
meno di chiarire le effettive modalità di quanto accaduto”: considerazione di
scarso spessore – di per sé, la preoccupazione per la propria sorte accomuna
tutti i colpevoli di così gravi delitti e, pertanto, non pare elemento decisivo per
incrinare la credibilità di un dichiarante – e riferita, per di più, alle accuse rivolte
ad altro soggetto (la Mitrean); inoltre, l’evoluzione delle dichiarazioni (dapprima

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valutazione di credibilità del coimputato dichiarante.

Coceban aveva negato, poi aveva specificato coloro che avevano partecipato alla
rapina) viene soltanto menzionata, senza alcuna valutazione della
verosimiglianza delle prime dichiarazioni o di quelle successive.
Se si analizza la motivazione della sentenza di primo grado sul punto (in
particolare il par. 6.5), si deve concludere – alla luce dei principi enunciati nel
primo paragrafo – che le considerazioni espresse nella sentenza impugnata non
sono adeguate per ribaltare la valutazione di credibilità del coimputato espressa

4. Il vizio motivazionale è evidente anche con riferimento alla valutazione
della attendibilità di Pectu.
Ancora una volta, il Giudice di appello doveva affrontare la valutazione sulla
credibilità del coimputato espressa compiutamente dal giudice di primo grado:
valutazione, invece, del tutto omessa.
La Corte territoriale, invece, utilizza il fatto successivo della codetenzione tra
Pectu e Podaru per ritenere impossibile una valutazione: ma, si noti, non della
ritrattazione resa in dibattimento – che non viene in alcun modo vagliata, quanto
alla sua verosimiglianza e alle modalità con cui era sostenuta – ma dell’intera
testimonianza.
In sostanza, il Giudice d’appello si è sottratto ad una effettiva valutazione
delle dichiarazioni di Pectu rese nel corso del tempo, così come dell’effetto sulla
comune detenzione con Podaru ed anche dell’interpretazione delle intercettazioni
ambientali svolte in carcere: la sentenza sostiene che “il rapporto di amicizia tra
Pectu e Podaru poteva spiegare, e rendere di conseguenza non credibile,
l’intervenuta ritrattazione del memoriale; tale successiva discutibile scelta non
consente più, ora, di formulare alcun sereno giudizio in un senso o nell’altro.
Restano, cioè, dei dubbi su entrambe le chiamate di correità (…)”.

5. Inoltre, l’evidente vizio motivazionale concernente la valutazione delle
dichiarazioni dei due coimputati si accompagna ed è reso ancora più evidente
dall’analisi dei riscontri di natura oggettiva.
Secondo la sentenza, essi “costituiscono meri indizi, non suscettibili di
univoca lettura”; la motivazione prosegue analizzando i dati oggettivi emersi (e
per buona parte pacifici), dà atto delle “assurde giustificazioni fornite
dall’interessato” in ordine alla sua presenza in Via Quarti nelle ore successive alla
rapina, della fuga verso Lione insieme a Coceban e del viaggio aereo Lione Malpensa – Mosca, fatto sempre insieme a Coceban, ed osserva che “il fatto di
essere stato in via Quarti quel mattino e i suoi stretti rapporti con Pectu
potrebbero quindi anche supportare un suo coinvolgimento a diverso titolo

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dal Giudice di primo grado.

nell’episodio delittuoso”.
Il vizio di fondo di questa analisi sta nella valutazione degli elementi di fatto
quali indizi e non quali riscontri: in altre parole, la Corte territoriale, nell’ultima
parte della motivazione, ha giudicato della prova della colpevolezza di Podaru
come se a suo carico esistessero soltanto quegli indizi e non dichiarazioni
accusatorie nei suoi confronti da parte di soggetti definitivamente condannati
come partecipi.
In questo quadro, nel quale sono stati cancellati i dichiaranti, è ovviamente

che costituiva la base del gruppo di rapinatori dopo la rapina non è sufficiente
per ritenere provato che egli fosse presente ivi anche

prima della rapina e,

quindi, che vi avesse partecipato; così come è possibile ipotizzare un generico
coinvolgimento di Podaru nella vicenda “a diverso titolo”, nonostante le
dichiarazioni dell’imputato siano considerate “assurde giustificazioni”, perché,
appunto, non si valuta il dato oggettivo congiuntamente alle dichiarazioni
accusatorie (si ricordi, però, la sentenza delle Sezioni Unite citata in precedenza,
sulla necessità per il giudice di appello di valutare ricostruzioni alternative “la cui
plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali,
assunte nella loro oggettiva consistenza”); così come è legittimo ritenere il
ritorno in Moldavia insieme ad uno degli autori della rapina e dell’omicidio con le
modalità viste “significativo”, ma insufficiente a rendere l’imputato un correo
nella rapina e nell’omicidio.
La valutazione di questi elementi oggettivi avrebbe dovuto, invece, essere
effettuata nell’ottica diversa di ritenerli riscontri – una volta compiutamente
effettuato il giudizio di credibilità dei dichiaranti.
La giurisprudenza di questa Corte ha affermato, ad esempio, che, allorché il
chiamante in correità renda dichiarazioni che concernono un unico fatto-reato
commesso con una condotta protratta in un lungo arco temporale, l’elemento di
riscontro esterno relativo ad alcuni segmenti della condotta è sufficiente a fornire
la necessaria conferma probatoria anche agli altri segmenti, atteso che il
frazionamento dell’efficacia dimostrativa delle dichiarazioni provenienti da un
unico soggetto può derivare solo da un giudizio di parziale inattendibilità
intrinseca delle stesse. Non sono richiesti riscontri su tutti i segmenti delle
dichiarazioni relative ad un medesimo episodio, poiché non è richiesto che i
riscontri abbiano lo spessore di una prova autosufficiente (Sez. 6, n. 38994 del
06/06/2017 – dep. 08/08/2017, P.G. in proc. Giacino e altro, Rv. 271081); in
effetti, i riscontri dei quali necessita la narrazione dei dichiaranti possono essere
costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico,
a condizione che sia indipendente e, quindi, anche da altre chiamate in correità,

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legittimo affermare, ad esempio, che la presenza di Podaru nell’appartamento

purché la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla
fonte che occorre riscontrare, ed a condizione che abbia valenza
individualizzante, dovendo cioè riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche
la riferibilità dello stesso all’imputato, mentre non è richiesto che i riscontri
abbiano lo spessore di una prova “autosufficiente” perché, in caso contrario, la
chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali
elementi esterni e non sulla chiamata di correità (Sez. 3, n. 44882 del
18/07/2014 – dep. 28/10/2014, Cariolo e altri, Rv. 260607).

6. La sentenza impugnata deve, quindi, essere annullata con rinvio ad altra
Sezione della Corte di assise di appello di Milano che opererà una nuova
valutazione di merito, esprimendo un compiuto e completo giudizio sulla
attendibilità dei due dichiaranti e una effettiva verifica degli ulteriori elementi
oggettivi emersi dall’istruttoria, per verificarne la utilità e sufficienza quali
riscontri alle predette dichiarazioni.
La Corte di rinvio valuterà, infine, l’intervenuta prescrizione del delitto di
violazione di domicilio, segnalata dal Procuratore Generale ricorrente, che questa
Corte non dichiara, da una parte non essendo evidente l’intervenuta estinzione
del reato e, dall’altra, potendo risultare più vantaggiosa per l’imputato una
eventuale sentenza di assoluzione nel merito.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione
della Corte di assise di appello di Milano.

Così deciso il 23 aprile 2018

Il Presidente

Il Consigliere estensore

Adriano lasillo

Giacomo Rocchi
i

i

‘CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Prima Sezione Penate

Depositata in Cancelleria oggi

Roma, lì

E:1 AGO, 2018

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