Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37272 del 17/04/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 37272 Anno 2018
Presidente: IASILLO ADRIANO
Relatore: ESPOSITO ALDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

DI MUOIO GIUSEPPE, n. il 17/02/1967;

avverso la sentenza n. 1138/2015 della Corte di appello di Salerno del
04/11/2016;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere dott. Aldo Esposito;
udite le conclusioni del Procuratore generale, in persona della dott.ssa Franca
Zacco, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

Data Udienza: 17/04/2018

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RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Salerno ha confermato la
sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania del 10/02/2015, con cui Di Muoio Giuseppe era stato condannato alla pena di mesi nove di reclusione ed euro quattrocento
di multa per il reato di cui all’art. 2 L. n. 895 del 1967 (illegale detenzione all’interno
di uno scantinato di 2.727 di fuochi di artificio appartenenti alle categorie IV e V per
un peso totale di kg. 109,299 di polvere pirica e un peso lordo complessivo di kg.

In ordine alla ricostruzione della vicenda, militari della G.D.F. di Agropoli eseguivano una perquisizione di un casolare in località Vatolla, rinvenendovi il materiale
esplodente suindicato e identificando Perdifumo, ivi presente sul posto, in possesso
delle chiavi del deposito e non in grado di fornire giustificazioni sulla disponibilità
delle stesse.

2. Perdifumo ricorre personalmente per Cassazione avverso la sentenza della Corte
di appello, proponendo due motivi di ricorso.
2.1. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale e omessa motivazione
sui punti fondamentali della decisione.
Si deduce che la presenza dell’imputato, sul luogo del rinvenimento dei fuochi
d’artificio, era stata occasionale, trattandosi di soggetto abitante a soli cento metri
dallo scantinato, il quale apparteneva al nonno Malandrino Adolfo.
Di Muoio, infatti, aveva parcheggiato l’auto in prossimità del casolare e si era recato sul posto esclusivamente per ricevere una motosega da Malandrino. Si trattava
di luogo accessibile a chiunque, privo di lucchetti o chiavi. Non poteva fornire spiegazioni nell’immediatezza dei fatti, in quanto era stato colto da malore e ricoverato
al Pronto Soccorso di Agropoli.
Il reato contestato di cui all’art. 2 L. n. 895 del 1967, peraltro, doveva essere
derubricato in quello previsto dall’art. 679, comma primo, cod. pen. poiché l’esplosivo
non era dotato del carattere della micidialità; al riguardo, la Corte territoriale aveva
equivocato l’interpretazione di un precedente giurisprudenziale, relativo ad un’ipotesi
di cinquanta quintali di fuochi d’artificio difettosi o scaduti occultati in un centro abitato e non di otto quintali di fuochi perfettamente confezionati, situati in un immobile
chiuso, recintato e lontano dal centro abitato.
2.2. Motivazione omessa o apparente su punti fondamentali della decisione.
Si sostiene che gli elementi probatori posti a base della sentenza impugnata non
trovavano ulteriori conferme nella proprietà dell’immobile da parte del Di Muoio o
nella dimostrazione di suoi pregressi accessi allo scantinato in questione.

819,566 – in Perdífumo il 16.12.2009).

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3. Il ricorso è manifestamente infondato.
3.1. Il ricorrente deduce, innanzitutto, la mancanza di disponibilità dei fuochi da
parte del Di Muoio e l’esistenza di plurimi vizi motivazionali della sentenza impugnata.
Va premesso che, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, l’impugnazione di legittimità è proponibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme
di legge, ovvero la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento gravato, secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando attiene a censure che – benché formalmente prospettanti

diversa ricostruzione dei fatti o una diversa valutazione degli elementi esaminati dal
giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178; Sez. 5, n.
46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997).
Alla Corte di cassazione spetta soltanto di verificare, in relazione alla peculiare
natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, la congruenza
logica e l’adeguatezza della motivazione sul punto (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013,
Tiana, Rv. 255460), senza alcun potere di revisionare le circostanze fattuali della
vicenda.
Nel caso di specie, tale motivo di ricorso, benché formalmente diretto a denunciare
la carenza o l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi a carico dell’imputato, si esaurisce in realtà in una
contestazione, nel merito, delle vicende fattuali e delle risultanze degli accertamenti
che la Corte territoriale, con valutazione conforme, giudicava idonei ad emettere una
sentenza di condanna.
Le censure – più che criticare la congruità e la consequenzialità logica delle argomentazioni del provvedimento gravato – si pongono in diretto confronto col materiale
documentale, del quale il ricorrente prospetta una lettura alternativa e sollecita un
diverso apprezzamento in punto di fatto, secondo lo schema tipico di un gravame di
merito, che esula completamente dalle funzioni dello scrutinio di legittimità.
Il ricorrente indica vari elementi fattuali, a sostegno della tesi dell’indisponibilità
da parte sua dei fuochi d’artificio, senza però confrontarsi con le articolate prospettazioni di cui alla sentenza impugnata, denunciando argomentazioni di merito in contrasto con le risultanze processuali.
In proposito, la Corte territoriale ha attribuito la detenzione dei fuochi illegali a Di
Muoio, basando la propria valutazione sulla sua presenza sul posto, sul possesso delle
chiavi del deposito e sulla mancanza di giustificazioni sulla disponibilità delle stesse.
La Corte di appello, pertanto, ha fornito una spiegazione non manifestamente illogica in ordine alle ragioni, che consentivano di ricollegare le armi alla sua persona.
Essa ha correttamente applicato il principio affermato costantemente da questa
Corte, cui si ritiene di aderire, secondo cui, per la configurazione del delitto di

una violazione di legge o un vizio di motivazione – mirano in realtà a sollecitare una

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detenzione di armi, è necessaria una relazione stabile del soggetto con la cosa, in
quanto il concetto di detenzione per sua natura implica un minimo di permanenza del
rapporto materiale tra detentore e cosa detenuta ed un minimo apprezzabile di autonoma disponibilità del bene da parte del soggetto (Sez. F, n. 33609 del 30/08/2012,
Bedin, Rv. 253425; Sez. 1, n. 20935 del 20/05/2008, Ponzo, Rv. 240287).
Il ricorrente si limita a dedurre in proprio favore che il luogo in oggetto era agevolmente accessibile da parte di qualsiasi estraneo e che non aveva potuto fornire
giustificazioni nell’immediatezza della vicenda, in quanto colto da malore.

rimasto contumace, che neanche successivamente, nel corso del dibattimento, forniva una propria ricostruzione dell’episodio criminoso.
3.2. In ordine alla qualificazione giuridica del reato, deve ritenersi corretta la configurazione del reato di cui all’art. 2 L. n. 895 del 1967.
Va premesso che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, integra il
delitto di illegale detenzione di esplosivi, e non la contravvenzione di detenzione abusiva di materie esplodenti, la condotta avente ad oggetto materiali pirotecnici, non
micidiali se singolarmente considerati, che in determinate condizioni – quali l’ingente
quantitativo, il precario confezionamento, la concentrazione in ambiente angusto, la
prossimità a luoghi frequentati – costituiscono pericolo per persone o cose, assumendo nell’insieme la caratteristica della micidialità (Sez. 1, n. 45614 del
14/10/2013, Persello, Rv. 257344).
Ciò posto, la Corte territoriale ha rilevato che l’ingente quantitativo, il precario
confezionamento, la concentrazione in un ambiente angusto, la prossimità in luoghi
frequentabili da un numero indeterminato di persone, sebbene si trattasse di materiali non micidiali se valutati singolarmente, attribuiva ai fuochi d’artificio, nel loro
complesso, una potenzialità distruttiva di entità tale da escludere la ricorrenza della
più lieve ipotesi contravvenzionale configurata dalla difesa.
A fronte di tale apparato motivazionale, il ricorrente sostiene che i fuochi erano
stati perfettamente confezionati e che l’entità del peso complessivo, di otto quintali,
non era elevata.
Il primo di tali rilievi non è documentato in violazione del principio di autosufficienza; il secondo va disatteso poiché il quantitativo di otto quintali è stato logicamente considerato dalla Corte di appello di entità apprezzabile, tale da consentire di
configurare la più grave ipotesi delittuosa contestata.

4. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conse-

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guente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non sussistendo ragioni di esonero – al versamento della somma di euro duemila in favore
della Cassa delle ammende.

Si tratta di censure in fatto e prive di autosufficienza, prospettate da un soggetto

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P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 17 aprile 2018.

Il Consigliere estensore
Ald Espos. to

Adriano Iasillo

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Prima Sezione Penale

Depositata in Cancelleria oggi
Roma, lì

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1 AGO. 2019

Il Presidente

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