Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37204 del 18/07/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 37204 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Concetto Porto, nato a Catania il 13.4.1988
avverso la sentenza del 10 maggio 2012 emessa dalla Corte d’appello di
Catania;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;
udite le richieste del Sostituto Procuratore generale Carmine Stabile, che ha
concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza in accoglimento del
primo motivo;
udito l’avvocato Vincenzo Di Mauro, che ha insistito per l’accoglimento del
ricorso.

Data Udienza: 18/07/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione indicata in epigrafe la Corte d’appello di Catania, sulle
impugnazioni del pubblico ministero e dell’imputato, ha parzialmente
riformato la sentenza del locale Tribunale in data 11 gennaio 2012 e, in
accoglimento dell’appello del pubblico ministero, effettuata la comparazione

contestata, ha condannato Concetto Porto, per il reato di concorso in cessione
di stupefacenti, alla maggior pena di anni quattro di reclusione ed euro
1.800,00 di multa.

2. L’avvocato Vincenzo Di Mauro, nell’interesse dell’imputato, ha proposto
ricorso per cassazione.
Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione, lamentando che la
sentenza ha basato il giudizio di colpevolezza dell’imputato sulla sola
dichiarazione del teste d’accusa, Massimo Zappalà, ignorando del tutto le
versioni fornite dal coimputato, Giuseppe Nicosia, e dall’acquirente della
sostanza, Giuseppe Pennisi, che avrebbero scagionato il Porto da ogni
responsabilità nella condotta di spaccio. In particolare, si insiste sulla
omissione di ogni motivazione e valutazione in ordine alle dichiarazioni
favorevoli all’imputato rese dal Pennisi, allegando al ricorso il relativo
processo verbale.
Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 597 c.p.p. sul
divieto di reformatio in pejus, sostenendo che il pubblico ministero aveva
limitato il suo appello alla sola necessità di operare il bilanciamento tra la
circostanza attenuante di cui all’art. 73 comma 5 cit. e la recidiva, che lo
stesso imputato aveva chiesto di considerare l’attenuante prevalente sulla
recidiva contestata e che i giudici di secondo grado hanno operato il
bilanciamento aumentando la pena da due anni e otto mesi a quattro anni di
reclusione. In altri termini, il ricorrente assume che non avendo il pubblico
ministero censurato la sentenza anche per la quantificazione della pena, la
Corte d’appello non avrebbe potuto infliggerne una superiore a quella
applicata dal primo giudice.
Con il terzo motivo deduce l’illogicità della motivazione in ordine alla
entità della pena, ritenuta eccessiva e ingiustificata tenuto conto del giudizio

2

tra l’attenuante di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 309/1990 e la recidiva

di prevalenza della attenuante speciale sulla recidiva: infatti la pena base
individuata dai giudici è stata di sei anni, cioè il massimo della pena per
l’ipotesi attenuata, senza che di tale valutazione così grave sia stata data una
motivazione.

3. Il primo motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha coerentemente motivato le ragioni per le quali
ha ritenuto il Porto coinvolto nell’attività di spaccio di droga svolta
materialmente dal coimputato Nicosia: le prove sono costituite dall’attività di
osservazione svolta dalla polizia giudiziaria, riferita dall’agente Massimo
Zappalà nella testimonianza resa nel corso del dibattimento, in cui ha detto di
avere notato distintamente l’imputato indicare al Nicosia le persone a cui
vendere lo stupefacente; da tale circostanza i giudici di merito hanno desunto
che l’attività dell’imputato fosse, inequivocabilmente, rivolta ad agevolare
l’attività di spaccio del complice, confermando il concorso nel reato di cui
all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
Nella stessa sentenza le dichiarazioni rese dal Nicosia vengono valutate e
considerate null’altro che “tentativi maldestri” diretti ad escludere ogni ipotesi
di responsabilità del Porto, smentiti dalle risultanze istruttorie.
Per quanto riguarda la testimonianza dell’acquirente della droga,
Giuseppe Pennisi, che, secondo la difesa, non sarebbe stata presa in alcuna
considerazione dalla Corte d’appello, si osserva che questa specifica doglianza
non risulta sia stata proposta in appello e che, in ogni caso, la dichiarazione
del Pennisi, allegata al ricorso per cassazione, non appare in grado di mettere
in crisi la ricostruzione dei fatti contenuta in sentenza, dal momento che il
mancato riconoscimento dell’imputato come il soggetto che gli fornì la dose di
cocaina non contraddice la motivazione della decisione, che, come si è detto,
ha escluso che il Porto abbia materialmente venduto la droga all’acquirente,
attribuendogli una responsabilità a tito di concorso nel reato di cessione di
stupefacenti, precisando che a vendere materialmente la dose al Pennisi è
stato il Nicosia.

3

CONSIDERATO IN DIRITTO

Deve pertanto escludersi che la Corte d’appello sia incorsa in un
travisamento della prova per omissione, dovendo riconoscersi la sostanziale
irrilevanza della dichiarazione in questione.

4. Infondato è anche il secondo motivo.
Non sussiste alcuna violazione del principio di cui all’art. 597 c.p.p., in

al mancato bilanciamento tra la circostanza attenuante del comma 5 dell’art.
73 d.P.R. 309/1990 e la recidiva contestata, ha riguardato la determinazione
della pena in concreto, lasciando così libero il giudice d’appello di
rideterminarla, operando correttamente la comparazione tra le circostanze.

5. E’, invece, fondato il terzo motivo.
La Corte d’appello ha, correttamente, operato la comparazione delle
circostanze in questione, ma non ha offerto alcuna motivazione in ordine alla
entità della pena inflitta, determinata, come pena base detentiva, nel
massimo edittale, pari ad anni sei, nonostante abbia ritenuto prevalente
l’attenuante dell’art. 73 comma 5 cit. sulla recidiva. Come è noto, in tema di
commisurazione della pena, quando questa venga individuata nel massimo
edittale – anche in relazione alla pena base -, la motivazione deve
necessariamente svilupparsi in un esame dei singoli criteri elencati nell’art.
133 c.p., non essendo sufficiente il riferimento alla necessità di adeguamento
al caso concreto.

6. In conclusione, la sentenza deve essere annullata, limitatamente alla
determinazione della pena, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di
Catania per nuovo giudizio sul punto.
Per il resto, il ricorso deve essere rigettato.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della
pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte
d’appello di Catania.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 18 luglio 2013

4

quanto l’impugnazione del pubblico ministero, seppure riferita specificamente

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