Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37177 del 21/06/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 37177 Anno 2018
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: CIANFROCCA PIERLUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto
dal PM presso la Procura della Repubblica di Palmi
contro l’ordinanza del Tribunale per il Riesame di Reggio Calabria del
27.12.2017-9.2.2018 nei confronti di
Tavernese Carmelo, nato a Polistena 1’8.6.1982,
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Pierluigi Cianfrocca;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Stefano Tocci, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avv. Mirna Raschi, in sostituzione dell’Avv. Giuseppe Bellocco, in
difesa di Carmelo Tavernese, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso del
PM.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 27.12.2017-9.2.2018, il Tribunale per il Riesame
delle Misure Cautelari Personali di Reggio Calabria decideva in merito al ricorso
proposto nell’interesse di Carmelo Tavernese contro il provvedimento del GIP di
Palmi del 24.11.2017 con cui era stata adottata, nei confronti del prevenuto, la
misura personale della custodia cautelare in carcere in quanto gravemente
indiziato per il reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di
una serie indeterminata di delitti di rapina, furto, ricettazione, violazione delle
leggi in materia di armi ed in materia di stupefacenti (capo 1) della rubrica
provvisoria) nonché, inoltre, per alcuni reati-fine e, in particolare, la rapina
commessa in data 21.9.2016 in danno della gioielleria Leva (capi 2), 3), 4) e 5)
della rubrica provvisoria), la tentata rapina commessa in data 17.9.2017 in

Data Udienza: 21/06/2018

danno della gioielleria Ciancio (capi 6), 7) e 8) della rubrica provvisoria), la
rapina commessa in data 30.4.2017 presso il ristorante Castello Degli Dei in San
Giorgio Morgeto (capo 32) della rubrica provvisoria), il reato detenzione di
sostanza stupefacente (capo 34) della rubrica provvisoria; il Tribunale, all’esito
dell’udienza camerale, ha confermato il provvedimento impugnato quanto ai capi
di incolpazione relativi alla rapina in danno della gioielleria Leva ed alla tentata
rapina in danno della gioielleria Ciancio oltre che alla detenzione, finalizzata allo
spaccio, di sostanza stupefacente, annullando invece il provvedimento quanto

commessa presso il ristorante Castello Degli ed al reato associativo;
2. ricorre in Cassazione il PM presso la Procura della Repubblica di Palmi
lamentando illogicità, contraddittorietà parziale, inesistenza della motivazione e
travisamento della prova oltre che violazione di legge:
2.1 con riguardo all’addebito relativo alla rapina in danno del ristorante
Castello Degli Dei: sottolinea, a tal proposito, che, diversamente da quanto
ritenuto dal Tribunale, gli elementi indiziari a carico del Tavernese sono plurimi:
la sua presenza (con la fidanzata) all’interno del locale al momento della rapina;
le comunicazioni whatgapp durante la sua permanenza nel locale; l’utilizzo, per
la rapina, di una Fiat Punto rubata da Tarzia Angelo, coindagato con il Tavernese
nell’ambito del medesimo procedimento penale e concorrente del prevenuto nella
rapina del 17.9.2016 a Soverato e nella detenzione di stupefacente; il ruolo
rivestito dal Tavernese e dalla di lui fidanzata che, di fatto, “replica” quello svolto
nella rapina presso la gioielleria Leva; sottolinea, dunque, come il Tribunale
abbia errato nel ritenere che l’unico elemento a carico si fosse risolto nella
presenza del Tavernese all’interno del locale e nella utilizzazione dello smartphone
nei minuti immediatamente antecedenti il fatto delittuoso;
2.1 quanto al reato associativo, il PM richiama in primo luogo gli elementi
richiesti dalla giurisprudenza per sostenere l’esistenza del reato associativo. rileva
che il Tribunale è partito dalla mancata prova del ruolo di “capo” riservato al
Borgese per escludere l’esistenza del sodalizio; ribadisce come, nel caso di
specie, sussistessero (e fossero stati ben evidenziati nella richiesta e nel
provvedimento del GIP) tutti gli elementi costitutivi del reato associativo a
partire dalla distribuzione di compiti tra i sodali, alla disponibilità di mezzi (quali,
ad esempio, i telefoni “citofono”) e di armi, alla ripartizione e distribuzione del
ricavato dell’attività delittuosa.
CONSIDERATO IN DIRITTO

agli altri capi di incolpazione e, in particolare, ai capi relativi alla rapina

Non è inutile, in primo luogo, premettere una considerazione di carattere
generale sui limiti alla sindacabilità, in questa sede, dei provvedimenti adottati
dal Tribunale del Riesame sulla libertà personale; è infatti consolidato il principio,
condiviso dal Collegio, secondo cui, in tema di misure cautelari personali,
allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del
provvedimento emesso dal Tribunale del riesanne in ordine alla consistenza dei
gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, alla Corte spetta il compito
di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità, se il

indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario e della permanenza delle
esigenze cautelari a carico dell’indagato, controllando la congruenza della
motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni
della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze
probatorie.
Si è anche precisato che la richiesta di riesame – ritenuto mezzo di
impugnazione, sia pure atipico – ha la specifica funzione di sottoporre a controllo
la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali indicati
nell’art. 292 cod. proc. pen. ed ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità
del provvedimento coercitivo; in particolare, si è evidenziato che la motivazione
della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve
conformarsi al modello delineato dalla predetta disposizione, coerente con il
modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., pur tenendo conto dei necessari
adattamenti conseguenti al peculiare contenuto della pronuncia cautelare in
quanto fondata non già su prove, ma su indizi e che, per altro verso, mira
all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di
colpevolezza (cfr., Cass. SS.UU., 22.3.2000 n. 11, Audino).
D’altra parte, è noto che il ricorso per Cassazione, con il quale si deduca
la (in)sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, è ammissibile soltanto se con
esso venga denunciata la violazione di specifiche norme di legge, ovvero si
deduca la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i
canoni della logica ed i principi di diritto, e non si ci limiti a proporre e sviluppare
censure che attengono alla ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una
diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., Cass.
Pen., 5, 8.10.2008 n. 46.124, Pagliaro; Cass. Pen., 4, 2.3.2017 n. 18.795, Di
Iasi; Cass. Pen., 2, 17.5.2017 n. 31.553, Paviglianiti).
Va anche ricordato che, nella fase cautelare, si richiede non la prova
piena del reato contestato (secondo i criteri di cui all’art. 192 cod. proc. pen.)
ma solo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza; questo Collegio, in
particolare, condivide la tesi secondo cui “in tema di misure cautelari personali,

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giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno

la nozione di gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 cod. proc. pen. non si
atteggia allo stesso modo del termine indizi inteso quale elemento di prova
idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza. Pertanto, ai fini
dell’adozione di una misura cautelare, è sufficiente qualunque elemento
probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla
responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli e gli indizi non devono
essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art.
192 cod. proc. pen., comma 2, come si desume dall’art. 273 cod. proc. pen.,

ma non il connma 2 dello stesso articolo che richiede una particolare
qualificazione degli indizi (non solo gravi ma anche precisi e concordanti)” (cfr.,
Cass. Pen., 5, 5.6.2012 n. 36.079, Fracassi; Cass. Pen., 4, 24.1.2017 n. 6.660,
Pugiotto; Cass. Pen., 4, 9.11.2016 n. 53.369, Jovanovic).
1. Il ricorso del PM
1.2 Il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria ha annullato l’ordinanza
“genetica” relativamente al coinvolginnento del Tavernese nella rapina perpetrata
da ignoti in data 30.4.2017 presso il ristorante Castello Degli Dei in San Giorgio
Morgeto.
L’imputazione è sintetizzata nel capo 32) della rubrica provvisoria nel
quale si attribuisce al Tavernese (ed alla fidanzata Ronnina Laversa) il ruolo di
“supporto logistico” nella rapina commessa da altri sodali (per l’appunto rimasti
ignoti) i quali, entrati nel ristorante, e puntando una pistola contro i dipendenti
ed il titolare, si erano nell’occasione impossessati della somma di Euro 1.300
circa e di due bottiglie di champagne del valore di Euro 200 ciascuna.
Il Tribunale (cfr., pag. 7-8 della ordinanza impugnata) ha osservato che il
comportamento del Tavernese, intento a “messaggiare” per tutta la serata in cui
era rimasto all’interno del ristorante, fosse stato il medesimo che aveva svolto
mesi addietro nella gioielleria Leva.
Il Tribunale ha ritenuto che siffatti elementi fattuali non siano idonei a
suffragare un giudizio di gravità indiziaria tale da giustificare la adozione della
misura.
Il ricorso del PM sottolinea come il Tribunale abbia operato una
valutazione parziale e comunque parcellizzata degli elementi indiziari acquisiti
ribadendo, al contrario, che la loro lettura congiunta e complessiva avrebbe
consentito, invece, di giungere a conclusioni diverse; aggiunge che, oltre alla
(mera) presenza del Tavernese all’interno del ristorante (ed il suo
“messaggiare”), altri elementi erano stati addotti e non valutati dal Tribunale
quali, in particolare, le comunicazioni what5app, l’utilizzo, per la rapina, di una
Fiat Punto rubata da Tarzia Angelo, coindagato con il Tavernese nell’ambito del

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comma 1bis, che richiama i commi terzo e quarto dell’art. 192 cod. proc. pen.,

medesimo procedimento penale e concorrente del prevenuto nella rapina ai
danni della gioielleria Ciancio di Soverato del 17.9.2016 e nella detenzione di
stupefacente; sottolinea, ancora, il ruolo rivestito dal Tavernese e dalla fidanzata
che, di fatto, finisce con il “replicare” quello svolto da costoro nella rapina ai
danni della gioielleria Leva.
Dalla ricostruzione operata dal Tribunale (e, prima ancora, nella ordinanza
“genetica”) risulta che la rapina perpetrata presso il ristorante “Castello Degli
Dei” in San Giorgio Morgeto avveniva alle ore 00,35 del 30.4.2017 ad opera di

impugnava una pistola.
I due, dopo essersi impossessati di denaro contante per Euro 1.300 e di
due bottiglie di champagne del valore di 200 Euro ciascuna, si erano dati alla
fuga a bordo della stessa vettura con cui erano giunti sul posto, ovvero una Fiat
Punto targata BW863LD provento di furto avvenuto in Anoia il giorno
precedente, ovvero il 29.4.2017.
Secondo quanto riportato nella ordinanza “genetica”, sul posto ed in
occasione del furto della Fiat Punto era stata notata quest’ultima seguita “a
staffetta” dall’Audi A3 di proprietà ed in uso ad Angelo Tarzia e quest’ultima
successivamente allontanarsi seguita dalla Fiat Punto rubata e dalla quale era
stato asportato il GPS.
Dai filmati della telecamere di sorveglianza (cfr., pagg. 9-10 del ricorso
del PM) era inoltre emerso che l’Audi A3 del Tarzia si era allontanata dal
ristorante insieme alla Fiat Punto e, comunque, una serie di dati che erano stati
ripresi e che testimoniavano la presenza dell’Audi e l’utilizzo della Fiat Punto sul
posto.
Inoltre, secondo la ricostruzione operata dal PM, il Tavernese e la Laversa
erano stati notati all’interno del ristorante ed il primo era stato ripreso mentre
era intento a “messaggiare” ripetutamente sino a quando erano rimasti gli unici
clienti presenti all’interno dei locali nel momento nel momento in cui i due
rapinatori vi avevano fatto irruzione/.
Il motivo è fondato.
Questa Corte ha più volte ribadito che, in tema di gravi indizi di
colpevolezza necessari per l’applicazione di misure cautelari personali, è
illegittima la valutazione frazionata e atomistica della pluralità di elementi
indiziari acquisiti, dovendosi non solo accertare,

in

un primo momento, il

maggiore o minore livello di gravità e precisione dei singoli indizi, ciascuno
isolatamente considerato, ma anche, in un secondo momento, procedere al loro
esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità e a inserirli
in una lettura complessiva che di essi chiarisca l’effettiva portata dimostrativa e

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due individuai armati e con il volto coperto da passamontagna uno dei quali

la congruenza rispetto al tema d’indagine prospettato dall’accusa nel capo di
imputazione (cfr., Cass. Pen., 1, 14.3.2010 n. 16.548, PM in proc. Bellocco;
Cass. Pen., 1, 22.9.2015 n. 39.125, PM in proc. Filippone; Cass. Pen., F,
30.7.2015 n. 38.881, PM in proc. Salerno; Cass. Pen., 2, 5.12.2012 n. 9.269,
Della Costa).
Alla luce di tale principio ritiene il Collegio che l’ordinanza debba essere
annullata sul punto.
Ed in effetti, il Tribunale ha in primo luogo omesso di considerare alcuni

elementi sottoposti al suo esame: così, in particolare, la circostanza secondo cui
la Fiat Punto utilizzata dai rapinatori per raggiungere il ristorante e per
allontanarsene dopo la rapina era stata oggetto di furto commesso il giorno
precedente ad opera (anche) di Angelo Tarzia, che risulta coindagato con li
Tavernese nell’ambito del medesimo procedimento penale e, peraltro,
concorrente dell’indagato nella rapina consumata presso la gioielleria “Ciancio”
(cfr., capi 6), 7) e 8) della rubrica provvisoria) per la quale l’ordinanza è stata
invece confermata.
Si tratta, invero, della rapina avvenuta in Soverato il 17.9.2016 (che ha
originato i capi 6, 7 e 8 della rubrica provvisoria) in cui risulta indagato anche il
Tavernese per il quale il compendio indiziario, validato dal Tribunale con la
ordinanza in verifica, è rappresentato dalla visione dei filmati che avevano
consentito di verificare la presenza della Fiat Bravo del Tavernese insieme
all’Audi A3 del Tarzia e la Clio nera del Connmisso nei pressi dell’esercizio
commerciale ed in occasione della rapina; dagli stessi filmati era stato inoltre
chiarito che il Borgese ed il Commisso erano rimasti fuori del negozio e, dalle
immagini riprese dalle videocannere di sorveglianza, erano stati riconosciuti dalla
PG.
Il Tavernese, peraltro, risulta coindagato, in concorso con li Tarzia (e con
il Borgese) nel delitto di detenzione, trasporto e cessione a terzi di sostanza
stupefacente in ordine all’episodio delineato al capo 34) della incolpazione
provvisoria, ipotesi di reato per la quale l’ordinanza custodiale è stata
confermata.
Per altro verso, il Tribunale, limitandosi a tener conto esclusivamente del
dato “oggettivo” e “asettico” della presenza del Tavernese (e della Laversa)
all’interno del ristorante in coincidenza della rapina, non ha considerato che, in
tal modo, l’indagato finiva per ricalcare il ruolo assegnatogli e ricoperto in
occasione della rapina perpetrata ai danni della gioielleria di Gianluca Leva il
giorno 21.9.2016 in Taurianova.

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dati fattuali idonei, di per sé, a corroborare la gravità indiziaria dei singoli

Anche in tal caso, peraltro, il Tribunale aveva confermato la ordinanza
“genetica” adottata nei confronti del Tavernese con riferimento a quell’episodio
nel quale, oltre ad aver messo a disposizione dei sodali la Fiat Bravo utilizzata
dagli autori materiali per raggiungere la gioielleria ed allontanarsene subito dopo
la rapina, era stato ascritto di aver eseguito, insieme alla fidanzata, vari
“sopralluoghi” presso l’esercizio commerciale con il pretesto di effettuare degli
acquisti di gioielli.
Anche in tale occasione, infatti, i filmati delle videocamere di

Tavernese si era recato per due volte (una volta da solo e la seconda volta
accompagnato dalla fidanzata Romina Laversa) nel negozio al fine evidente di
effettuare dei sopralluoghi ed era stato riconosciuto dal Leva, titolare del negozio
(cfr., pagg. 6-7 della ordinanza in verifica).
Questi elementi, dunque, quand’anche merannente indiziari del ruolo
rivestito dall’odierno indagato, avrebbero dovuto essere considerati anche al fine
di attribuire un corretto rilievo alla invero piuttosto sorprendente presenza del
Tavernese all’interno del locale ove, proprio quella sera, e dopo che erano andati
via tutti i clienti tranne l’indagato e la fidanzata, avevano fatto irruzione due
rapinatori che ivi erano giunti a bordo di una vettura il cui furto era stato
attribuito al Tarzia.
In definitiva, quindi, il dato “asettico” individuato dal Tribunale non poteva
essere letto isolatamente (sia pure in “concorso” con la condotta dell’indagato
che, nel corso della serata, continuava a “nnessaggiare”) ma, invece, valutato
alla luce di tutti gli altri elementi sopra indicati.
L’ordinanza va dunque su questo aspetto annullata con rinvio al Tribunale
di Reggio Calabria che procederà ad un nuovo esame della vicenda che dovrà
tener conto della effettiva valenza di tutti gli elementi indiziari acquisiti alla luce
di una valutazione complessiva.
1.2 n Tribunale ha infine annullato l’ordinanza del GIP con riferimento alla
ipotesi di reato associativo contestata all’imputato al capo 1) della rubrica
provvisoria.
I giudici del riesanne hanno in primo luogo riportato la ipotesi accusatoria
che aveva ipotizzato la creazione di una struttura organizzativa tendenzialmente
stabile ed operativa per un periodo di tempo apprezzabile (quantonneno dal
settembre 2016 all’aprile del 2017) con a capo il Borgese che era riconosciuto da
tutti come il “leader” del sodalizio tanto che gli altri erano sempre e
costantemente a sua disposizione creando persino delle tensioni e delle liti in
famiglia; i ruoli dei sodali tendenzialmente “fissi” nella commissione delle varie

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videosorveglianza avevano consentito di accertare che il giorno 19.9.2016 il

rapine e, quindi, la disponibilità di mezzi e di armi a disposizione per la
realizzazione di un numero indeterminato di reati.
Ha tuttavia sostenuto che il ruolo di “capo” del Borgese era stato desunto
soltanto da telefonate nelle quali gli altri si mettevano a disposizione per
esigenze estranee alla commissione di reati non emergendo inoltre la
consapevolezza dei sodali di appartenere ad una struttura stabile che, peraltro,
aveva operato in un periodo sostanzialmente limitato e compreso tra il
settembre del 2016 ed il febbraio del 2017.

nemmeno il dato della “stabilità” dei ruoli attribuiti ai sodali nella commissione
delle rapine dato che i compiti attribuiti e ricoperti dai singoli indagati erano
invece di volta in volta variabili mentre, quanto alla distribuzione della refurtiva,
il dato era stato desunto soltanto da alcune ristrutturazioni ed acquisti di beni
materiali e di consumo in misura sproporzionata rispetto alle condizioni
reddituali.
Il PM ricorre rilevando in primo luogo che il Tribunale è partito dalla
mancata prova del ruolo di “capo” riservato al Borgese per escludere, con
argomentazione in realtà inconferente, l’esistenza del sodalizio; ribadisce come,
nel caso di specie, fossero stati correttamente evidenziati nella richiesta e nel
provvedimento del GIP tutti gli elementi costitutivi del reato associativo a partire
dalla distribuzione di compiti tra i sodali, alla disponibilità di mezzi (quali, ad
esempio, i telefoni “citofono”) e di armi, alla ripartizione e distribuzione del
ricavato dell’attività delittuosa.
Il ricorso è, per questo aspetto, inammissibile.
È noto che la linea di discriminazione tra il reato associativo ed il (mero)
concorso di persone nel reato continuato risiede nel fatto che in quest’ultimo
l’accordo criminoso è occasionale e limitato, in quanto diretto soltanto alla
commissione di più reati determinati, ispirati da un unico disegno che li prevede
tutti (cfr., Cass. Pen., 6, 13.5.2014 n. 36.131, Torchia).
Nella giurisprudenza di questa Corte è inoltre un dato acquisito quello per
cui l’associazione per delinquere si caratterizza per tre fondamentali elementi,
costituiti da un vincolo associativo tendenzialmente permanente, o comunque
stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente
programmati, dall’indeterminatezza del programma criminoso che distingue il
reato associativo dall’accordo che sorregge il concorso di persone nel reato, e
dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea e
soprattutto adeguata a realizzare gli obiettivi crinninosi presi di mira (cfr., Cass.
Pen., 2, 17.1.2013 n. 16.339, Burgio).

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I giudici del Riesanne hanno ritenuto che non fosse così evidente

L’ordinanza impugnata può in effetti prestarsi a qualche rilievo di
opinabilità laddove ha ritenuto di poter valorizzare, ai fini della esclusione della
ipotesi di reato associativo, la “brevità” del periodo in cui il sodalizio avrebbe
operato; è stato infatti più volte ribadito in questa sede che, ai fini della
configurabilità del reato di associazione per delinquere, non è necessario che il
vincolo associativo assuma carattere di assoluta stabilità, essendo sufficiente che
esso non sia a priori e programmaticamente circoscritto alla consumazione di
uno o più delitti predeterminati, in quanto l’elemento temporale insito nella

protrarsi del legame criminale, occorrendo soltanto una partecipazione
all’associazione pur se limitata ad un breve periodo (cfr., Cass. Pen., 2,
15.1.2013 n. 19.917, Bevilacqua; Cass. Pen., 5, 28.6.2000 n. 12.525,
Buscicchio).
Se non ché, il Tribunale non ha, sul punto, trascurato alcuno degli
elementi sottoposti al suo esame e, con argomentazioni che si sottraggono a
censure di legittimità, è pervenuto ad una conclusione che, pur non condivisa dal
PM ricorrente, non è caratterizzata da evidenti profili di illogicità o
contraddittorietà laddove, ad esempio, si tenga conto che lo stesso dato della
pronta distribuzione del ricavato delle rapine, valorizzato ai fini della integrazione
del reato associativo, si pone in realtà in antitesi con l’ipotesi della esistenza di
un sodalizio tendenzialmente stabile (ancorché “temporalmente” limitato nel
tempo).
In definitiva, si tratta di un apprezzamento “di merito” sottratto al vaglio
di legittimità nel momento in cui i medesimi elementi di valutazione vengono
utilizzati per sostenere una soluzione diversa da quella cui il Tribunale è
motivatamente approdato.
Il ricorso del PM va dunque sul punto dichiarato inammissibile.

P.Q.M.
annulla Animilip l’ordinanza impugnata limitatamente al capo 32) e rinvia
per nuovo esame, con integrale trasmissione degli atti, al Tribunale di Reggio
Calabria (Sezione per il Riesame delle misure coercitive).
Rigetta nel resto il ricorso del Pubblico Ministero.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma ibis,
disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma il 21 giugno 2018

Il Consigliere stensorel

Il Presidente

nozione stessa di stabilità del vincolo associativo non va inteso come necessario

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