Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37164 del 22/05/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 37164 Anno 2018
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: ARIOLLI GIOVANNI

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
FERIOLI MASSIMO nato a TRADATE il 26/06/1959
CASTO ANGELO nato a RACALE il 24/04/1950

avverso la sentenza del 24/10/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI ARIOLLI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCO SALZANO
che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
udito il difensore
AVV. Giosué Bruno NASO per Ferioli, il quale insiste per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 22/05/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore dell’imputato Casto Angelo ricorre per cassazione avverso la
sentenza emessa in data 24/10/2017 dalla Corte di appello di Milano che, in
riforma di quella del Tribunale del Tribunale della stessa città del 26/3/2014, ha
assolto l’imputato dai reati di cui ai capi nn. 33-34-35-36-37 perché il fatto non
sussiste; ha dichiarato il non doversi procedere per prescrizione in ordine ai reati

51, 52, 56, 57, 61, 62 e 63; ha confermato la condanna per i restanti capi
rideterminando la pena in anni quattro, mesi tre e giorni cinque di reclusione ed
€ 2.900,00 di multa.
1.1. Con il primo motivo deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione
delle norme sulla prescrizione con riguardo alle ulteriori ipotesi di reato di cui
all’art. 497-bis cod. pen. di cui ai capi 3, 30, 45 e 55, che la Corte territoriale in
ragione della data di consumazione avrebbe dovuto dichiarare estinte
(rispettivamente alle date del 9.12.2017, 30.11.2017, 19.1.2018 e 19.10.2017).
1.2. Con il secondo motivo deduce “l’inosservanza di norme processuali e,
in particolare, dell’art. 195 cod. proc. pen., stabilite a pena di inutilizzabilità, in
riferimento alla deposizione dell’ispettore Langella, nonché per omessa
motivazione sui motivi espressamente denunziati”. La censura riguarda
l’utilizzabilità delle risultanze di indagine (attività investigative, accertamenti e
notizie apprese da terzi) alle quali il teste non aveva direttamente partecipato o
svolto, ma che aveva riferito (il processo era il risultato di ben dodici
procedimenti apertisi presso vari uffici di Procura, il teste Langella aveva
compiuto personalmente soltanto gli accertamenti sul veicolo Mercecit Classe A),
e alla motivazione addotta dalla Corte d’appello che aveva ritenuto di non
procedere alla citazione dei testi di riferimento sul rilievo che l’ufficiale di PG
aveva comunque proceduto alla “riverifica” dei dati acquisiti, condotta che però
era consistita nella mera effettuazione delle visure delle auto clonate, restando
pertanto riferita la più complessa attività di accertamento di cui il teste aveva
solo conoscenza documentale.
1.3. Con il terzo motivo deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione della
legge penale, in relazione al combinato disposto degli artt. 110 e 648-bis cod.
pen., nonché il vizio di motivazione con riguardo ai capi di imputazione nn. 1, 6,
11, 16, 21, 27, 38, 43, 48, 53 e 58. In particolare, la censura attiene all’avere la
Corte territoriale ritenuto il Castro concorrente anche nell’attività di riciclaggio
delle autovetture, a fronte invece, per come dallo stesso ammesso, di un

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di cui ai capi nn. 4, 5, 9, 10, 14, 15, 19, 20, 24, 25, 26, 30, 31, 32, 41, 46, 47,

intervento successivo limitato alla fase della vendita (che, necessariamente,
presuppone che il veicolo sia stato già alterato) e sostituzione di persona. Né
dirimente sul punto ai fini dell’affermazione dell’ipotesi concorsuale era il
riferimento, contenuto a pag. 26 della sentenza, all’acquisto di una scheda
telefonica riferibile all’imputato, trattandosi, invece, di un’utenza utilizzata per la
messa in vendita dell’autovettura già clonata. Peraltro, anche laddove il dato
indiziario indicato dalla Corte d’appello avesse avuto rilievo ai fini della prova del

l’utenza, seppur in via indiretta, era collegata. Parimenti era a dirsi con
riferimento al rapporto di conoscenza tra il ricorrente ed il coimputato Ferioli, la
cui valenza era stata sminuita dalla stessa Corte d’appello che lo aveva ritenuto,
in difetto di ulteriori elementi istruttori, non sufficiente, assolvendo l’imputato dai
reati di cui ai capi 27-32; 33-37; 38-42; 53-57. Ad analoghe conclusioni di
irrilevanza probatoria andava ricondotta, altresì, l’affermazione secondo cui il
Cast/o doveva essere a conoscenza della clonazione della auto che poi vendeva
in prima persona (spendendo le generalità di terzi ed esibendo i documenti
contraffatti recanti la sua effigie), in quanto la consapevolezza dell’avvenuta
alterazione delle vetture, così come più in generale della loro provenienza
delittuosa, non costituisce ragione giuridica per configurare un concorso nel
delitto presupposto. Inoltre, non si era tenuto conto che tutte le alterazioni delle
autovetture erano intervenute in data precedente allo stesso intervento di Ferioli
per come si ricava dagli annunci di vendita (vedi capi 1, 6, 11 e 21). Infine,
contraddittorio era il ragionamento della Corte territoriale laddove aveva assolto
il Ferioli, cui si imputa tutta l’attività di riciclaggio per i capi sopra indicati,ma, al
contempo, ha mantenuto la responsabilità del ricorrente in relazione ai capi 27,
38, 53 (e 58) “a cui si può unicamente addebitare, in difetto di qualsiasi condotta
materiale, di avere rafforzato il proposito criminale del complice” e, dunque, di
avere svolto una condotta in favore di un soggetto ritenuto estraneo ai fatti.
1.4. Con il quarto motivo deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione
della legge penale, in relazione al combinato disposto degli artt. 110 e 648-bis
cod. pen., nonché il vizio di motivazione con riguardo al mancato accoglimento
della richiesta formulata in via gradata di ritenere a carico dell’imputato il
concorso nel reato presupposto di furto, in ordine ai capi di imputazione nn. 1, 6,
11, 16, 21, 27, 38, 43, 48, 53 e 58, stante il brevissimo lasso di tempo
intercorso tra i furti dei veicoli e la loro clonazione e il momento di riproposizione
sul mercato, la presenza di modalità comuni nella sottrazione dei veicoli, il fatto
che alcune vetture fossero già nella disponibilità degli autori dei reati contestati

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concorso, ciò avrebbe dovuto essere limitato alla sola autovettura con la quale

ancor prima della denunzia di furto.
2. Il difensore dell’imputato Massimo Ferioli ricorre per cassazione avverso
la sentenza emessa in data 24/10/2017 dalla Corte di appello di Milano che, in
riforma di quella del Tribunale del Tribunale della stessa città del 26/3/2014, ha
assolto l’imputato dai reati di cui ai capi nn. 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35,
36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 53, 54, 55, 56, 57 perché il fatto non sussiste ed ha
confermato la condanna per i restanti capi rideterminando la pena in anni sette

2.1. Con il primo motivo deduce “la nullità della sentenza per violazione di
legge e vizio logico e carenza di motivazione in relazione al rigetto della richiesta
di escussione dei testimoni a discarico ovvero di rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale”. Evidenzia come la difesa avesse censurato l’ordinanza del
giudice di prime cure con la quale era stata rigettata la richiesta di ammissione
della propria lista testimoniale (in particolare si trattava di sentire i soggetti
titolari delle agenzie di pratiche auto e i dealer ove venivano acquistate le schede
telefoniche anche ai fini di un comph accertamento dell’elemento soggettivo e
dell’esatta riconducibilità dei reati contestati al ricorrente ad un soggetto
piuttosto che ad un altro) e come la Corte d’appello, in modo acritico e
preconcetto, ne avesse ritenuto la superfluità in forza di una prognosi svolta in
assenza dei necessari elementi probatori di supporto, fondata su una presunta
ed ingiustificata prevalenza delle prove documentali rispetto a quelle dichiarative
e sulla base di un’apodittica possibilità per i soggetti indicati nella lista di
versare, in ragione delle modalità dei fatti contestati agli imputati, in una
situazione di incompatibilità con la qualità di testimone (tra le fonti di prova di
rilievo si indica Esena Giacomo il quale avrebbe effettuato delle visure su alcuni
veicoli clonati prima che gli imputati del presente procedimento facessero la loro
comparsa nella vicenda).
2.2. Con il secondo motivo deduce “la nullità della sentenza per violazione
di legge processuale in relazione all’art. 195 cod. proc. pen. con riferimento alla
prova di natura dichiarativa rinvenuta nella deposizione del teste Langella. La
censura riguarda l’utilizzabilità delle risultanze di indagine alle quali il teste non
aveva direttamente partecipato o svolto, ma che aveva riferito (il processo era il
risultato di ben dodici procedimenti apertisi presso vari uffici di Procura), e alla
motivazione addotta dalla Corte d’appello che aveva ritenuto di non procedere
alla citazione dei testi di riferimento sul rilievo che l’ufficiale di PG aveva
comunque proceduto alla “riverifica” dei dati acquisiti, condotta diversa da quella
di avere compiuto direttamente l’attività investigativa.

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mesi uno giorni 10 di reclusione ed € 6.900,00 di multa.

2.3. Con il terzo motivo deduce “la nullità della sentenza e della relativa
ordinanza per violazione di legge e vizio logico e carenza di motivazione in
relazione agli artt. 112, 113 e 178 n. 1 lett. c) cod. proc. pen. In particolare,
premette come la difesa aveva eccepito, nel corso della discussione in sede di
appello, la nullità di ordine generale derivante dalla mancata trasmissione di tutti
gli atti del processo di primo grado, tra i quali i verbali di udienza, di
interrogatorio e la documentazione relativa ad alcuni dei veicoli sottoposti a

atto dell’assenza degli atti segnalati, procedendo alla ricostruzione parziale del
fascicolo processuale utilizzando il solo riferimento alla sentenza di prime cure
(“la ricostruzione è possibile attraverso la semplice lettura della sentenza
integrata dalle trascrizioni..”), ricorrendo, dunque, ad un espediente che aveva di
fatto aggirato il dettato normativo.
2.4. Con il quarto motivo deduce “la nullità della sentenza per violazione di
legge e vizio logico e carenza di motivazione in relazione all’affermazione della
penale responsabilità del ricorrente in ordine ai reati a lui ascritti con particolare
riferimento all’art. 192 cod. proc. pen.”. In particolare, l’elemento di natura
indiziaria ,costituito dal fatto che la visura delle auto clonate era stata effettuata
attraverso un indirizzo di posta elettronica ritenuto riconducibile all’imputato,
non aveva rinvenuto ulteriori elementi di sostegno. Né al fine di colmare detta
lacuna poteva farsi ricorso alla deduzione, apodittica e congetturale, in forza
della quale la presunta diretta partecipazione dell’imputato all’attività di
compravendita della vettura di cui al capo 64) è indicativa di una ipotetica
partecipazione criminosa nel reato di riciclaggio precedentemente commesso. La
Corte aveva omesso poi di apprezzare favorevolmente – oltre le dichiarazioni
spontanee rese dall’imputato – diverse circostanze favorevoli alla difesa, non
tenendo conto che le visure effettuate dal ricorrente erano state poste in essere
in epoca successiva al presunto delitto di riciclaggio a differenza di quelle del
teste non ammesso Esena Giacomo che erano state precedenti ed al quale erano
riconducibili le inserzioni delle auto su siti esteri.
2.5. Con il quinto motivo deduce “la nullità della sentenza per violazione di
legge e vizio logico e carenza di motivazione in relazione all’affermazione della
penale responsabilità del ricorrente in ordine ai reati a lui ascritti con particolare
riferimento alla qualificazione giuridica delle ipotesi di riciclaggio in
contestazione”. In particolare, la censura attiene al fatto che la Corte territoriale,
con riferimento al delitto presupposto, per un verso lo avesse dato “per
scontato” (facendo riferimento alle dichiarazioni del teste di P.G. Langella, il

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sequestro e che la Corte, con ordinanza del 6/7/2017, si “era limitata a prendere

quale aveva riferito sui furti delle auto) e, per altro, aveva omesso di verificare
se fosse fondata la prospettazione difensiva secondo cui l’imputato poteva aver
concorso nella commissione di tali reati (con ciò escludendosi, in forza della
clausola di riserva, il delitto di riciclaggio).
2.6. Con il sesto motivo deduce “la nullità della sentenza per violazione di
legge e vizio logico e carenza di motivazione in relazione al riconoscimento della
recidiva”. In particolare, la Corte territoriale aveva omesso di considerare che

sentenze di condanna pronunciate nei confronti del ricorrente, doveva far venir
meno il presupposto della reiterazione con conseguente configurabilità della
recidiva semplice che, ancorché specifica, non è ostativa al riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche in misura prevalente.
2.7. Con il settimo motivo deduce “la nullità della sentenza per violazione
di legge e vizio logico e carenza di Motivazione in relazione alla provvisionale
riconosciuta in favore delle parti civili”, la cui misura avrebbe dovuto essere
rideterminata dalla Corte territoriale in ragione dell’intervenuta assoluzione
dell’imputato con riguardo a delitti relativi a cinque veicoli, stante l’incidenza di
ciò sul quantum di danno cagionato alla compagnia assicuratrice.
2.8. Con l’ottavo motivo deduce “la nullità della sentenza per violazione di
legge e vizio logico e carenza di motivazione in relazione alla quantificazione
della pena ed agli aumenti operati per la continuazione”, avendo il giudice di
seconde cure omesso di dare conto delle ragioni per le quali, nonostante il fatto
fosse stato in parte ridimensionato in conseguenza delle intervenute assoluzioni,
era comunque partito dalla stessa pena base stabilita dal giudice di primo grado
ed aveva applicato gli stessi aumenti per la continuazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso di

Casto Angelo è inammissibile per essere i motivi

manifestamente infondati.
3.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, in quanto il
ricorrente censura la sentenza impugnata sul rilievo che la Corte territoriale
avrebbe omesso di dichiarare l’avvenuta estinzione del reato di cui all’art. 497bis cod. pen. in relazione ai capi 3, 30 (da intendersi invece il 29, in quanto per il
capo 30, relativo al delitto di cui all’art. 494 cod. pen. è stata dichiarata la
prescrizione) e 45 per i quali, invece, secondo il calcolo dallo stesso difensore
effettuato (che ha correttamente individuato in anni nove e mesi sei il termine

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l’intervenuto riconoscimento della continuazione, con riferimento a quattro

massimo di prescrizione stante l’aggravante speciale di cui al comma 2
contestata) la prescrizione maturerebbe dopo la pronuncia della sentenza
d’appello del 24/10/2017.
Quanto, poi, all’ulteriore capo n. 55 per cui la prescrizione sarebbe
maturata il 19/10/2017 e, dunque, in data antecedente alla deliberazione della
sentenza della Corte di appello, il ricorrente omette di tenere conto delle
sospensioni, tra le quali è sufficiente indicare quella di cui all’udienza del

esigenze di uno degli avvocati degli imputati, con l’accordo degli altri e con
l’espressa rinunzia alla decorrenza dei termini di prescrizione (vedi pag. 121
verbale di udienza).
3.2. Manifestamente infondata è la censura di inutilizzabilità mossa alle
dichiarazioni del teste di P.G. Langella sul contenuto dell’attività investigativa
svolta da altri ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria. Al riguardo, questa Corte ha
avuto modo di precisare come non viola il divieto di testimonianza indiretta
previsto dall’art. 195, comma 4, codice di rito, la deposizione dell’ufficiale o
dell’agente di polizia giudiziaria che riferisca non in merito a dichiarazioni di terzi,
ma sulle attività di indagine svolte da altri ufficiali o agenti nello stesso contesto
investigativo (Sez. 3, n. 6116 del 14/1/2016, Rv. 266284; Sez. 2, n. 36286 del
21/9/2010, Rv. 248536). Nel caso in esame, risulta che il teste Langella si
occupò in prima persona di passare in rassegna tutti gli elementi investigativi
che erano stati acquisiti dalle altre forze di polizia sui diversi territori interessati
dall’indagine, firmando anche le informative e verificando direttamente
attraverso gli accessi alle varie banche dati la bontà delle informazioni acquisite.
3.3. Manifestamente infondato è anche il motivo di ricorso relativo alla
sussistenza del concorso del ricorrente anche nel reato di riciclaggio delle
autovetture. Entrambe le decisioni di merito hanno evidenziato, con motivazione
congrua e scevra da vizi logici, le molteplici ragioni che depongono nel senso di
ritenere non credibile ed anzi smentita la tesi difensiva dell’imputato, il quale si
sarebbe limitato esclusivamente alla fase di vendita del veicolo ignaro della
provenienza delittuosa, nella convinzione che si trattasse di condotta al più
idonea ad evitare il pagamento di imposte sul prezzo di compravendita delle
auto. Il ricorrente, infatti, per quanto asseverato dai giudici di merito, al fine di
poter mettere in vendita un veicolo “clonato” (di provenienza furtiva ma
corrispondente per modello ad altro regolarmente circolante) formava un falso
documento di riconoscimento con la sua foto e con i dati del proprietario
dell’auto regolarmente circolante assunta come modello per la creazione del

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16/10/2013, conseguente ad un rinvio disposto al 13/1/2014, per far fronte ad

clone, inserendo gli annunci online sui siti dedicati alla vendita di veicoli e
presentandosi all’appuntamento con il potenziale acquirente. E’ stato, poi,
accertato – per come evidenziato dalla stessa Corte territoriale – che l’imputato
provvide anche all’acquisto di una carta sim corrispondente alle utenze
telefoniche che venivano fornite agli acquirenti dagli apparenti venditori dei
veicoli e come il modus procedendí relativo alla contraffazione dei documenti
necessari per la vendita fosse presente anche con riferimento sia all’acquisto

utilizzate per il collegamento online avviato per la redazione dell’annuncio di
vendita. Ammessa dal coimputato Ferioli – il quale era dedito, mediante
interrogazioni al sistema del PRA, all’individuazione delle vetture da clonare (per
targa, numero di telaio, dati anagrafici del proprietario) – è poi la pregressa
conoscenza con il ricorrente, il quale annovera pure un passato da carrozziere.
Dal medesimo stock oggetto di furto provengono poi i certificati di proprietà
apparentemente emessi dal PRA ed utilizzati per vendere le auto. Di
conseguenza, provato il collegamento tra il ricorrente ed il Ferioli, nonché la
serialità delle condotte nell’ambito di una successione di tipo organizzato, non
risulta affatto illogica la conclusione alla quale sono pervenuti i giudici di merito
nel ritenere il ricorrente coinvolto anche nella pregressa ma necessaria e
strumentale attività volta ad occultare la provenienza dei veicoli. La clonazione
delle auto avviene, infatti, con l’evidente ed esclusivo scopo di metterle in
vendita e ciò richiede e presuppone che nella filiera illecita – che, si ripete, non
risulta affatto occasionale – sia stato già ben individuato ed organizzato il tassello
successivo di collocazione del bene sul mercato, settore affidato al ricorrente.
Logico è dunque desumerne il previo concerto, anche in forza dell’elemento di
prova costituito dal precedente acquisto delle sím card (vedi pag. 30 della
sentenza di primo grado) che dà conto di come l’intervento materiale
dell’imputato riguardasse anche la fase antecedente alla vendita dei veicoli.
Peraltro, il giudice del merito, con riguardo alla responsabilità per il delitto di
riciclaggio, ha ben evidenziato come sia idonea ad occultare la provenienza
delittuosa del bene non solo l’alterazione del numero di telaio e la sostituzione
delle targhe, ma anche quella di predisporre un corredo di documenti di
circolazione apparentemente corrispondenti ad un veicolo circolante. A ciò,
peraltro, deve altresì aggiungersi che costituisce riciclaggio – per espressa
disposizione normativa – anche la condotta di “trasferimento” del bene.
L’imputato, dunque, non solo ha preso parte a pieno titolo ad un segmento della
filiera illecita volto ad occultare la provenienza del bene mediante l’attività di

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delle diverse carte sim da destinare alle utenze dei falsi proprietari che a quelle

sostituzione, ma ha anche direttamente compiuto un’attività causalmente idonea
a trasferire il bene a terzi, rendendolo anche circolabile. Ciò, pertanto, rende del
tutto irrilevante l’avvenuta assoluzione del coimputato in appello dai reati di cui
ai capi 27-32 (Toyota), 38-42 (AUDI) e 53-57 (Tuareg), in quanto a carico del
ricorrente sono state evocate per tali episodi dai giudici di merito specifiche
condotte dimostrative del previo concerto e compartecipazione nell’attività di
sostituzione e di realizzazione di quella di trasferimento (vedi pagg. 14, 16, 21).

Castio, la Corte territoriale è correttamente pervenuta ad una pronuncia
assolutoria (vedi capi 33-37 relativi alla BMW X5).
3.4. Manifestamente infondato è anche il quarto motivo di ricorso. Quanto
alla mancanza di prova negativa del concorso dei ricorrenti nei delitti
presupposti, si osservi che l’incipit del comma 1 tanto dell’art. 648-bis, quanto
dell’art. 648 cod. pen. (“Fuori dei casi di concorso nel reato, …”) costituisce una
clausola di riserva: in quanto tale, essa — lungi dal delineare un elemento
costitutivo del reato di riciclaggio – è finalizzata soltanto ad escludere il ricorso al
criterio di specialità, applicando in sua vece quello di sussidiarietà e così
prevenendo, a monte, un concorso apparente di norme. Se, dunque, l’estraneità
al delitto presupposto non è elemento costitutivo del riciclaggio, ma mera
clausola di riserva a fini di preventiva soluzione del concorso apparente di
norme, l’accusa non è onerata della relativa prova. In altre parole, in tema di
ricettazione o di riciclaggio non v’è bisogno della prova positiva che il soggetto
attivo non sia stato concorrente nel delitto presupposto, bastando che non
emerga la prova del contrario (Sez. 2, n. 47375 del 6/11/2009, Rv. 246434). E
la circostanza che l’imputato, al pari del concorrente, abbia compartecipato ad
alcune fasi della filiera illecita,volte ad ostacolare l’identificazione dei beni, non è
di per sé univocamente dimostrativo, in assenza di elementi diretti di prova, del
concorso nella realizzazione dei pregressi reati dì furto dei veicoli.
3.5. L’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza
dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e,
pertanto, preclude anche la possibilità di dichiarare la prescrizione del reato
intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (Sez. 2, n. 28848
dell’8/5/2013, Rv. 256463).
3.6. All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di € 2.000,00 così equitativamente fissata in

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Allorché tali elementi di coinvolgimento non sono stati ravvisati anche per il

ragione dei motivi dedotti.
4. Il ricorso di Massimo Ferioli deve essere rigettato essendo i relativi
motivi infondati e/o manifestamente infondati.
4.1. Il primo motivo di ricorso sollevato in ordine al rigetto delle richieste
istruttorie sia nel corso del giudizio di primo che di secondo grado non è fondato.
Al giudice di appello compete, infatti, l’obbligo di disporre la rinnovazione
del dibattimento quando la richiesta di parte sia riconducibile alla violazione del

sopravvenienza della prova dopo il giudizio, o perché l’ammissione della prova,
ritualmente richiesta nel giudizio di primo grado, sia stata irragionevolmente
negata da quel giudice (Sez. 6, n. 7197 del 10/12/2003, dep. 19/2/2004, Rv.
228462). Tanto premesso, posto che nel caso in esame la questione si pone con
esclusivo riguardo all’ultimo dei profili sopra indicati – irragionevole diniego
disposto dal giudice di prime cure – ritiene il Collegio che non ricorra tale ipotesi
di irragionevolezza sia sul versante “processuale” che “sostanziale”.
4.1.1. Quanto al primo aspetto, è certamente un dato acquisito che il
Tribunale di Milano non provvide sulla lista testi della difesa e sulle correlative
richieste istruttorie secondo le cadenze prescritte dal codice di rito, in quanto
l’ordinanza di non ammissione – resa all’udienza del 10/3/2014 e a scioglimento
della riserva formulata sul punto dal collegio – venne pronunciata all’esito
dell’esame dei testi del P.M. e degli imputati (tanto che poi le parti vennero
invitate a concludere). Tuttavia, essendo comunque stato reso un provvedimento
sulle richieste di prova a discarico, non sussiste la paventata violazione del diritto
di difesa, ma una mera irregolarità che attiene all’osservanza

dell’iter

procedimentale non presidiata da alcuna sanzione. Inoltre, allorché il
provvedimento sulla prova venga adottato – come nel caso in esame – a seguito
dell’acquisizione di prove documentali e dichiarative, non può non confluire nella
relativa valutazione altresì un giudizio sulla eventuale superfluità delle altre
prove richieste, alla luce proprio del materiale probatorio acquisito. Irragionevole
sarebbe stato, d’altra parte, adottare dapprima il provvedimento di ammissione
della prova secondo i canoni prescritti dagli artt. artt. 468 e 495, comma 1, cod.
proc. pen. per poi procedere in un momento immediatamente successivo alla
revoca in ossequio alla disposizione di cui all’art. 495, comma 4, codice di rito.
4.1.2. Riguardo, poi, al secondo aspetto di carattere “sostanziale”, il
giudice di primo grado ha rigettato la richiesta dei testi indicati dalla difesa, tra
cui i titolari delle agenzie pratiche auto e dei dealer, poiché essi “nulla avrebbero
potuto aggiungere a discarico sulle condotte ascritte agli imputati”, considerato

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diritto alla prova, che non sia stato esercitato o per forza maggiore o per la

che gli aspetti di rilievo erano stati già provati sotto il profilo documentale. Il
giudizio di superfluità della prova ai fini del decidere risulta, quindi, essere stato
fondato su una valutazione di merito non censurabile in questa sede, rafforzata,
poi, dalle modalità di commissione dei fatti reato per come contestato nella
rubrica, la cui prova era principalmente costituita da documenti e verbali di
perquisizione e sequestro. Tale valutazione, del resto, è stata anche asseverata
nel corso del giudizio di primo grado – e trattasi di circostanza di cui il Tribunale

teste di P.G. Langella, il quale ha precisato di avere ritenuto superfluo allargare
le indagini sulle agenzie di pratiche auto poiché non vi era alcun obbligo di
verifica della originalità dei documenti esibiti dai contraenti e ben poteva
accadere che costoro non si accorgessero di quanto accaduto.
Non risulta, pertanto, decisivo, ai fini della fondatezza della censura mossa,
il rilievo secondo cui il Tribunale avrebbe errato nell’escludere alcuni testi perché
avrebbero potuto risultare incompatibili con l’ufficio di testimone. Fermo che
trattasi di valutazione che deve essere necessariamente compiuta al
dibattimento, va tuttavia evidenziato che la motivazione in punto di esclusione si
fonda anche su un giudizio di irrilevanza in ragione del tema di prova sul quale i
testi erano chiamati a deporre.
4.1.3. Esclusa dunque l’irragionevolezza del rigetto delle richieste
istruttorie da parte del giudice di primo grado, parimenti legittimo risulta il
diniego operato dalla stessa Corte territoriale dell’istanza di rinnovazione
avanzata dal ricorrente, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., nel corso del
giudizio di appello. La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista
dall’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., è subordinata alla verifica
dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione
del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione
istruttoria e tale accertamento comporta una valutazione rimessa al giudice di
merito che, se correttamente motivata, è insindacabile in sede di legittimità
(Sez. 4 n. 18660 del 19/2/2004, Rv. 228353; sez. 3 n. 35372 del 23/5/2007,
Rv. 237410; Sez. 3 n. 8382 del 22/1/2008, Rv. 239341). Nel caso in esame, la
Corte ha dato atto di come gli elementi di giudizio acquisiti – e specificamente
elencati a pagina 6 della motivazione – a seguito dello svolgimento del processo
di primo grado rendessero non necessario procedere alla rinnovazione chiesta
dalla difesa, in quanto non concernenti punti di decisiva rilevanza. Inoltre, va
evidenziato che il ricorrente proprio nel corso del giudizio di appello risulta
essere stato assolto – in accoglimento del numero 2 dei motivi aggiunti (vedi

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dà atto a pag. 4 della decisione – da quanto espressamente riferito sul punto dal

pag. 10 e ss.) – da una molteplicità di imputazioni sulla scorta dell’assenza di un
elemento di prova certo quale quello costituito dall’avere effettuato le
interrogazioni presso la banca dati del PRA. Di conseguenza, andare alla ricerca
di altri soggetti che potessero avere comunque compiuto tali visure non ha alcun
carattere di decisività, a fronte peraltro, e ciò vale soprattutto con riferimento
alle ipotesi per cui è intervenuta condanna, dell’esistenza di un ambito criminoso
in cui detta attività è stata di volta in volta calata. Pertanto, un profilo di

primo grado sul punto, risulta superato proprio dall’esito del giudizio di appello.
Nessuna violazione di legge o vizio di motivazione è dunque ravvisabile nel
provvedimento con cui la Corte di appello ha rigettato la relativa richiesta.
4.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Valgono al proposito le
argomentazioni svolte al paragrafo 3.2. con riferimento al coimputato Casto, con
la precisazione che la doglianza risulta altresì generica perché non sono stati
indicati gli elementi di riferimento a contenuto inutilizzabile e gli effetti di
scardinamento del dato probatorio ad essi conseguenti alla luce degli altri
elementi di prova acquisiti.
4.3. Manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso con cui si
censura l’avvenuta ricostruzione del fascicolo ad opera della Corte d’appello. La
sanatoria operata dalla Corte di appello non ha determinato alcuna mancata
conoscenza da parte del Collegio degli atti processuali per come specificatamente
risulta dalla motivazione dell’ordinanza di ricostruzione del fascicolo ove si dà
atto di avere colmato pienamente le lacune documentali lamentate dalla difesa
anche a seguito dell’iniziativa delle parti. Fermo quanto sopra / la censura – che
individua il pregiudizio alla difesa nella mancata conoscenza degli atti relativi alla
persona di Esena Giacomo (uno dei testi di cui era stato sollecitato l’esame in
primo grado e ritenuto superfluo) – è anche generica poiché omette di
specificare di quali documenti si tratti né essendo all’uopo sufficiente il mero
richiamo di una nota di discussione non allegata al ricorso o indicata nella sua
allocazione processuale. Peraltro, ad ogni buon conto le questioni relative
all’esigenza di sentire l’Esena risultano superate dalle conclusioni in termini di
superfluità a cui è giunta anche la stessa Corte territoriale (vedi sub 4.1.3).
4.4. Inammissibile è il quarto motivo di ricorso in punto di affermazione di
responsabilità. Difatti, attraverso una riproposizione sul punto di gran parte del
motivo di appello, viene prospettata una valutazione delle prove diversa e più
favorevole al ricorrente rispetto a quella accolta nella sentenza di primo grado e
confermata dalla sentenza di appello. In sostanza si ripropongono questioni di

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rinnovazione dell’istruttoria in appello, motivato da una lacuna del giudizio di

mero fatto che implicano una valutazione di merito preclusa in sede di
legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva, immune da vizi logici;
viceversa dalla lettura della sentenza della Corte territoriale non emergono, nella
valutazione delle prove, evidenti illogicità, risultando, invece, l’esistenza di un
logico apparato argomentativo sulla base del quale si è pervenuti alla conferma
della sentenza di primo grado con riferimento alla responsabilità dell’imputato in
ordine al fatto ascrittogli, sulla scorta di elementi di prova di carattere

mancanza, ha assolto l’imputato. Tutto ciò preclude qualsiasi ulteriore esame da
parte della Corte di legittimità (Sez. Un. n. 12 sent. del 31/5/2000, Rv. 216260;
Sez. Un. n. 47289 del 24.9.2003, Rv. 226074).
4.5. Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato per le ragioni
già esposte con riguardo al ricorso del coimputato (vedi sub 3.4).
4.6. Inammissibile è il sesto motivo di ricorso in tema di continuazione e
recidiva. Al riguardo, va anzitutto precisato che la Corte territoriale ha fornito
adeguata e specifica risposta in relazione alla questione di diritto che era stata
posta dal ricorrente nel relativo motivo di appello. Infatti, dopo avere affermato
quale principio generale la compatibilità tra l’istituto della recidiva e quello della
continuazione (per come enunciato anche dalle stesse Sez. un. n. 9148 del
17/4/1996, Rv. 205543) e venendo al tema oggetto della censura, ha precisato
come il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i precedenti penali
dell’imputato non fa venir meno la natura e la valenza reiterata della recidiva, la
quale resta nella sua originaria configurazione (in termini Sez. 2, n. 19477 del
20/4/2016, Rv. 266522). E ciò perché “l’unico vincolo che il legislatore ha
previsto nel rapporto tra i due istituti “recidiva e continuazione” è semmai, al
contrario, quello dell’art. 81, comma 4, cod. pen. per cui in caso di
riconoscimento in sede esecutiva della continuazione, ove i reati siano stati
commessi da un soggetto al quale sia stata applicata la recidiva reiterata ex art.
99, comma 4, cod. pen., deve essere eseguito un aumento non inferiore ad un
terzo della pena stabilita per il reato più grave”. Il ricorrente, invece, ribadendo
di non aver messo in discussione il principio della compatibilità dei due istituti,
ha tuttavia omesso poi di confrontarsi specificamente con la motivazione addotta
dalla Corte a fondamento del rigetto che non risulta illogica e trova anche un
argomento di carattere testuale nel codice di rito.
4.7. Il settimo motivo di ricorso relativo alla misura della provvisionale è
inammissibile, dovendosi, al riguardo, ribadire il principio di diritto espresso da
questa Corte secondo cui “il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel

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individualizzante, tanto che tiettzT la Corte territoriale -Ce ha registrato la

pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte
civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per
cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e
destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento”
(Sez. 2, n. 49016 del 6/11/2014,Rv. 261054).
4.8. Manifestamente infondato è l’ultimo motivo in tema di trattamento
sanzionatorio. Il ricorrente lamenta che al ridimensionamento del fatto dovuto

una diminuzione della pena ulteriore rispetto alle decurtazioni degli aumenti di
pena che il giudice di primo grado aveva inflitto per i capi da cui il Ferioli è stato
poi assolto in appello. Tuttavia, va al riguardo evidenziato che la Corte
territoriale ha stabilito la pena base (per il delitto di riciclaggio) nel minimo
edittale e che i residuali aumenti di pena dovuti ai reati in continuazione per i
quali è stata confermata la condanna (molteplici) sono quelli già stabiliti dal
giudice di primo grado in una misura estremamente contenuta proprio in ragione
del numero elevatissimo di reati per cui l’imputato veniva condannato in primo
grado (giorni o qualche mese anche a fronte della commissione di fattispecie
gravi). Ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di
cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui
determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5,
n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che – nel caso
di specie – non ricorre.
4.9. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di Casto Angelo e rigetta il ricorso di Ferioli
Massimo. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e il Casto
anche al pagamento della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 22/5/2018

Il Presidente
Matilde Cammino

assoluzione del ricorrente per molteplici capi di imputazione non ne sia seguita

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