Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37162 del 13/04/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 37162 Anno 2018
Presidente: IASILLO ADRIANO
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

sui ricorsi proposti da:
VIZZINO ANTONIO FERNANDO nato il 18/06/1983 a SUPERSANO
TOMA EMANUELE nato il 22/11/1981 a TRICASE
PREITE EDOARDO nato il 29/03/1988 a TRICASE

avverso la sentenza del 08/06/2016 della CORTE APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCIANO IMPERIALI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore CIRO
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che ha concluso per

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Data Udienza: 13/04/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 12/6/2012 il giudice per l’udienza preliminare del
tribunale dì Lecce riconosceva Vizzino Antonio Fernando, Torna Emanuele, Preite
Edoardo ed altri colpevoli di aver partecipato ad un’associazione per delinquere
finalizzata a commettere furti in danno di esercizi commerciali ed abitazioni
private ed altri delitti contro il patrimonio, preceduti da furti di vetture che
venivano posizionate in luoghi idonei ad essere utilizzate per la fuga, nonché di
una pluralità di delitti scopo dell’associazione. La Corte di Appello di Lecce con

grado solo in ordine al trattamento sanzionatorio del Vizzino, del Preite e di altri,
confermando il giudizio di responsabilità espresso dalla sentenza impugnata.
2. Avverso la pronuncia della Corte territoriale propongono ricorso per
cassazione il Vizzino, il Preite e Toma Emanuele, quest’ultimo con due ricorsi
dello stesso tenore a firma rispettivamente dell’avv. Biagio Palamà e dell’avv.
Silvio Caroli.
2.1. Il Vizzino deduce, con unico motivo di impugnazione, la violazione di
legge ed il vizio di motivazione in ordine al giudizio di responsabilità per il delitto
associativo, assumendo che la Corte territoriale si sarebbe limitata a richiamare
le pronunce di questa Corte di legittimità senza fornire adeguata risposta alle
censure formulate con l’atto di appello. In particolare si deduce che in primo
grado i coimputati Malerba e Marra sono stati assolti dal reato associativo, e che,
però, il Vizzino ed il Toma avrebbero assunto la direzione del gruppo solo a
seguito dell’arresto del Malerba sicché, assolto questo, a dire del ricorrente non
vi sarebbe correlazione tra accusa e sentenza. Deduce, infine, il Vizzino che in
alcune parti della pronuncia impugnata lo stesso elemento processuale avrebbe
avuto un’interpretazione diametralmente opposta a quella data dal giudice di
primo grado, così usandosi criteri disomogenei per interpretare lo stesso fatto.
2.2. Edoardo Preite deduece:
2.2.1. La violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento
all’affermazione della penale responsabilità del ricorrente in ordine al reato di cui
all’art. 416 cod. pen., essendosi limitata la Corte territoriale a riportarsi alla
sentenza di primo grado, mutuandone le valutazioni, pur in assenza di uno
stabile vincolo tra i correi, che si assume invece desunto da semplici
frequentazioni tra gli stessi, sintomatiche non di un rapporto di collaborazione
bensì di legami di amicizia tra giovani della stessa età e dello stesso paese.
Assume il ricorrente che difetterebbe qualsiasi preventiva ripartizione di compiti,
e che non sarebbero state adottate precauzioni nel corso dei dialoghi, né

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sentenza in data 8/6/2016 ha riformato parzialmente la pronuncia di primo

risulterebbe pianificata la ripartizione dei proventi dei delitti, sicché potrebbero
riconoscersi solo quelle forme organizzative necessarie alla perpetrazione dei
singoli delitti, di volta in volta determinati e singolarmente perseguiti. Si contesta
anche, con riferimento alla specifica posizione del Preite, che questo sia stato
assimilato al Vizzino, a Toma Emanuele ed al Sabato, con una valutazione che si
assume aver valorizzato solo la partecipazione a singoli episodi, sebbene le
contestazioni mossegli abbiano riguardato solo cinque furti, commessi in un
limitatissimo arco temporale, il tutto pur non essendo emersa dalle conversazioni

con gli altri componenti. Si deduce, ancora, che la Corte territoriale avrebbe
eluso il rilievo che i reati di cui ai capi H, I, L, M, N, O risultano commessi in un
arco temporale di soli venti giorni, nè avrebbe considerato le motivazioni addotte
dal Preite in sede di interrogatorio.
2.2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione di legge, in
quanto tutti gli elementi probatori acquisiti al processo, alla luce delle
argomentazioni esposte, non consentirebbero di ritenere il ricorrente colpevole
del delitto associativo oltre ogni ragionevole dubbio, come richiesto della regola
posta dall’art. 533 cod. proc. pen.
2.2.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce il vizio di motivazione e la
violazione di legge con riferimento alla partecipazione del Preite alle ipotesi
criminose contestate ai capi L) ed M), nell’asserito difetto di prove, alle quali non
potrebbe sopperire la conversazione ambientale n. 250 menzionata in sentenza,
successiva ai fatti ed asseritamente inidonea a provare la responsabilità del
ricorrente, così come la conversazione n. 252, anch’essa menzionata in
sentenza, dovrebbe essere ritenuta inidonea a dimostrare la sua partecipazione
al delitto di cui al capo N).
2.2.4. Con l’ultimo motivo di ricorso il Preite deduce il vizio di motivazione
la violazione di legge in ordine al trattamento sanzionatorio, laddove il
bilanciamento tra circostanze è stato effettuato senza riconoscere la prevalenza
delle attenuanti generiche sulle aggravanti, e si è determinato un aumento di
pena di cinque mesi di reclusione per ciascun reato in continuazione.
2.3. Con i due ricorsi nell’interesse di Torna Emanuele si deduce:
2.3.1. la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla
fattispecie di cui all’art. 416 cod. pen., nonché la violazione anche dell’art. 516
cod. proc. pen. sotto un duplice profilo: a) l’associazione viene indicata in
contestazione come capeggiata dal Malerba, invece assolto in sentenza, sicché il
sodalizio di cui alla condanna avrebbe una struttura diversa da quella contestata;

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ambientali intercettate la partecipazione del Preite ad uno stabile pactum sceleris

b) nel capo di imputazione le modalità operative del sodalizio vengono indicate
nella commissione di furti di vetture che venivano posizionate in luoghi idonei ad
essere utilizzate per la fuga, e la sentenza ha, invece, assolto il Toma ed il
Malerba dalle ipotesi di furto di cui ai capi B, C, e D, riconoscendo la colpevolezza
del solo Vizzino, sicché sia sotto il profilo soggettivo che sotto il profilo oggettivo
non vi sarebbe correlazione tra accusa e sentenza.
2.3.2. Violazione degli artt. 270 e 271 cod. proc. pen. e vizio di motivazione
con riferimento al capo A2) dell’imputazione, per essere state utilizzate

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I ricorsi sono inammissibili in quanto attengono prevalentemente al
merito della decisione impugnata e, comunque, si discostano dai parametri
dell’impugnazione di legittimità stabiliti dall’art. 606 cod. proc. pen.
3.1. Sono, infatti, in primo luogo inammissibili i motivi di ricorso con i quali
sia il Vizzino che il Toma deducono l’asserita violazione del principio di
correlazione tra accusa e sentenza in relazione al reato associativo, in ordine al
quale sono stati riconosciuti responsabili i predetti ricorrenti, pur essendo stato
assolto dalla medesima imputazione il coimputato Malerba, nella contestazione
indicato, invece, come capo del sodalizio almeno sino al suo arresto, allorché al
predetto sarebbero subentrati nella direzione dell’associazione gli stessi Torna e
Vizzino. Dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata
emerge, infatti, che la doglianza non risulta essere stata previamente dedotta
come motivo di appello secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità
dall’art. 606 comma 3 cod. proc. pen. e, peraltro, si tratta anche di doglianza
manifestamente infondata, atteso che quel che rileva ai fini della correlazione tra
l’accusa e la sentenza è che il fatto materiale sia stato sufficientemente
enunciato nell’atto di imputazione e con la sentenza l’imputato sia stato ritenuto
responsabile di tale fatto materiale (Sez. 5, n. 21077 del 25/03/2004, Rv.
229194), sicché si ha mancata correlazione tra fatto contestato e sentenza – o
nullità della sentenza per difetto di contestazione – quando vi sia stata una
immutazione tale da determinare uno “stravolgimento” dell’imputazione
originaria: quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi cioè, rispetto a quello
contestato, in rapporto di ontologica eterogeneità o incompatibilità, nel senso
che viene a realizzarsi una vera e propria trasformazione, sostituzione o
variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato posto
in tal modo di fronte ad un fatto “nuovo”, rispetto al quale non ha alcuna

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intercettazioni telefoniche autorizzate ed effettuate in altro procedimento

possibilità di effettiva difesa (Sez. 1, n. 9958 del 27/10/1997, Rv. 208935),
ipotesi che non può certo ritenersi essersi verificata nel caso in esame, nel quale
i ricorrenti sono stati ritenuti responsabili della partecipazione ad un sodalizio
criminoso avente le finalità, le caratteristiche e la ripartizione di compiti indicata
nel capo di imputazione, ed in particolare, quanto al Vizzino ed al Torna, un ruolo
comunque di direzione del gruppo, sicché nessuno stravolgimento
dell’imputazione originaria può ravvisarsi a seguito dell’assoluzione del
coimputato che l’imputazione indicava aver diretto il sodalizio, comunque,

dell’associazione medesima.
3.2. Più in generale, attengono al merito della decisione impugnata le
censure con le quali gli stessi Vizzino e Torna, ed anche il Preite, contestano la
sussistenza del sodalizio criminoso o, comunque, la partecipazione a questo del
singolo ricorrente. Al giudice di legittimità è invece preclusa – in sede di controllo
della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati
dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una
migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la
Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel
quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è – e
resta – giudice della motivazione.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili
censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua
manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio
ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali
ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le
doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore
o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che
sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle
diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti
sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza
probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
A fronte di una motivazione della sentenza impugnata che ha dato
adeguatamente conto delle ragioni che hanno consentito di riconoscere,
soprattutto alla luce delle conversazioni intercettate, l’esistenza di una struttura
organizzata finalizzata alla realizzazione di un programma criminoso comune,

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coadiuvato dai ricorrenti e, peraltro, solo in una prima fase della vita

con predisposizione dei mezzi necessari al perseguimento di questo, con
ripartizione di ruoli ed un ripetuto modus operandi, anche da parte di chi, come il
Preite, risulta aver realizzato in un arco temporale limitato una pluralità di reati
fine, deve rilevarsi, pertanto, che esula dai poteri della Corte di cassazione quello
di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. Un.,

Per le stesse ragioni deve ritenersi, pertanto, inammissibile anche il terzo motivo
del ricorso proposto nell’interesse del Preite, in quanto rivolto, appunto, ad una
rivalutazione del significato attribuito senza vizi logici dalla Corte territoriale alle
conversazioni nn. 250 e 252 menzionate nella sentenza impugnata.
3.3. Peraltro, giova ricordare che tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è
anche quello, sancito a pena di inammissibilità, della specificità dei motivi : il
ricorrente ha non soltanto l’onere di dedurre le censure su uno o più punti
determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi
che sono alla base delle sue lagnanze. Nel caso di specie, molte censure sono
inammissibili perché prive dei requisiti prescritti dall’art. 581, comma 1, lett. c)
cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata
ampia e logicamente corretta, non indicano gli elementi che sono alla base della
censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i
rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato: così, deve riconoscersi l’assoluta
genericità delle doglianze con le quali il Vizzino non specifica quali possano
essere state le censure formulate con l’atto di appello alle quali la Corte
territoriale non avrebbe dato adeguata risposta, né quali possano essere state le
circostanze che si assumono valutate in modo contrastante nei due gradi di
giudizio.
3.4. Il motivo di ricorso con il quale Torna censura il riconoscimento della
penale responsabilità in ordine al delitto di cui al capo A2) dell’imputazione, sul
rilievo che questo si fonderebbe su intercettazioni telefoniche autorizzate ed
effettuate in altro procedimento, inoltre, ripropone le stesse argomentazioni già
discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, sicché deve ritenersi
aspecifico, avendo chiaramente evidenziato la sentenza impugnata (al par. 3.5.)
che la conversazione telefonica nella stessa sentenza richiamata ed indicata
come determinante, è stata captata in virtù di autorizzazione emessa nel
presente procedimento, né risulta dedotto sul punto alcun vizio di travisamento

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30/4/1997, n. 6402, riv. 207944; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, Rv. 229369).

della prova. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere
apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per
la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata
e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le
esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità
conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c) cod. proc. pen.,
(Sez. 4, 29/03/W00, n. 5191, Rv. 216473; Sez. 1,
30/09/2004, n. 39598, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, Rv. 236945;

3.5. E’ inammissibile, infine, anche il motivo di ricorso proposto dal Preite in
ordine al trattamento sanzionatorio, in . quanto la graduazione della pena, anche
in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti
ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita,
così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt.
132 e 133 cod. pen., sicché è inammissibile la censura che, nel giudizio di
cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui
determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5,
n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre.
Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena
irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è
necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di
quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei
criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena
equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla
capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Rv. 245596), ed anche
il giudizio di comparazione tra le circostanze aggravanti e le circostanze
attenuanti non postula una analitica esposizione dei criteri della eseguita
valutazione, essendo sufficiente la enunciazione del criterio di valutazione
adottato. Esso è infatti affidato al potere discrezionale del giudice di merito ed è
pertanto incensurabile in Cassazione, se è adeguatamente motivato (Sez. 2, n.
2003 del 30/10/1981, Rv. 152506), come nel caso di specie, atteso che la Corte
territoriale ha riconosciuto al Preite le circostanze attenuanti generiche, in misura
equivalente alle aggravanti, al dichiarato fine di adeguare la pena al fatto
concreto e di perequare la posizione del predetto a quelle di altri ricorrenti,
evidentemente ritenute analoghe.
4. All’inamnnissibilita’ dei ricorsi consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p.,
la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al

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Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Rv. 237596).

versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che,
considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente
in € 2.000,00 ciascuno.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno a favore della Cassa

Così deciso nella camera di consiglio del 13 aprile 2018

Il Consiglie e estensore

Il Presidente

Dott. Lu • a • • …perrali

Dott. Adriano Iasillo

delle Ammende.

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