Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37145 del 15/05/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 37145 Anno 2018
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: DAWAN DANIELA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CHIARELLA TEODORO nato a BRINDISI il 06/12/1988

avverso l’ordinanza del 29/11/2017 della CORTE APPELLO di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA DAWAN;
lette/sentite le conclusioni del PG

Data Udienza: 15/05/2018

RITENUTO IN FATTO

1.Teodoro Chiarella, a mezzo del difensore, ricorre avverso l’ordinanza
emessa il 29 novembre 2017 dalla Corte di appello di Catania che ha rigettato la
richiesta di riparazione per ingiusta detenzione subita dal 24 giugno 2014 al 2 aprile
2015 in custodia cautelare in carcere e dal 3 aprile 2015 al 9 agosto 2016 agli arresti
domiciliari.

in riferimento all’art. 628, comma 3, n. 1, cod. pen., aggravato ex art. 7 L. n. 157/91,
dal quale – dopo condanna in primo grado – era assolto in appello ai sensi dell’art. 530,
comma 2, con sentenza irrevocabile, per non aver commesso il fatto sull’assunto, in
particolare, che non fosse stata provata la sua consapevolezza sulla circostanza che il
ritiro e la consegna giornaliera di 15 litri di latte – dallo tesso effettuate per conto del
suocero, Alfio Licciardello, appartenente al clan mafioso di Giuseppe Pulvirenti costituissero il prezzo dell’estorsione compiuta dal suocero per la quale quest’ultimo ed
altri soggetti sono stati condannati.
2. Con un unico motivo di ricorso, il Chiarella deduce violazione di legge e vizio
di motivazione in ordine all’art. 314, comma 2, cod. proc. pen. e alla ritenuta
sussistenza della colpa grave. Osserva che la Corte di appello ha sovrapposto il piano
del giudizio della riparazione a quello del merito, individuando la condotta ostativa
gravemente colposa nella medesima oggetto dell’imputazione, senza peraltro valutare
quella successiva alla conoscenza del procedimento a proprio carico.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e merita, pertanto, accoglimento.
2.

Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di

merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con
dolo o colpa grave, deve valutare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi
probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino
eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti,
fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è
incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice deve fondare la sua
deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente
sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione

ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello
seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se
sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore
2

Al ricorrente veniva ascritto il reato di cui agli artt. 80 cpv., 110, 629, comma 2

dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito
penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (Sez. U., sent.
n. 34559 del 26/06/2002, De Benedictis, Rv. 222263). Il giudice della riparazione, cioè,
ben può rivalutare, ai fini dell’accertamento del diritto alla riparazione e non della
penale responsabilità, i fatti accertati o non esclusi dai giudici del merito (Sez. 4, sent.
n. 27397 del 10/06/2010, Rv. 247867). La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre,
chiarito che il piano valutativo del tutto diverso tra le condotte da considerare per la

a base della decisione da parte del giudice della cognizione dimostra che tutti gli
elementi probatori devono essere rivalutati, in quanto, pur se ritenuti insufficienti ai fini
della dichiarazione di responsabilità, possono essere tali da configurare il dolo o la colpa
grave, soprattutto nel momento dell’emissione della misura cautelare personale (Sez. 4,
sent. n. 10987 del 15/02/2007, Rv. 236508). Condotte rilevanti in tal senso possono
essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere
determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale
(autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state
escluse dal giudice della cognizione., in conformità ai parametri giurisprudenziali
su indicati.
3.

Ciò premesso, il Collegio rileva che la motivazione dell’ordinanza impugnata

non è né adeguata né congrua, non dà conto dei connotati della negligenza eclatante o
macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, né è fondata
su fatti concreti e precisi.
4.

Essa si limita invece ad asserzioni apodittiche e meramente congetturali

poiché ravvisa la colpa grave ostativa al riconoscimento dell’indennizzo sulla base
dell’assunto che l’istante non potesse non sapere che detta consegna gratuita era frutto
e conseguenza di un’attività illecita del suocero, considerate le modalità della consegna
(a tarda sera, i contenitori lasciati all’esterno dei locali del caseificio del Bagli), la quale
si protrasse per alcuni mesi, che la stessa avveniva anche ad opera di altri soggetti
fidati del Licciardello, i quali, imbattendosi in un collaboratore della persona offesa, gli
facevano chiaramente intendere che «doveva comportarsi bene [..]» e considerato
altresì che il Chiarella era di certo a conoscenza dei trascorsi criminali del suocero.
Si tratta, come detto, di assunti meramente congetturali che, in quanto tali si
iscrivono nell’orizzonte della mera possibilità sicché, per definizione, sono insuscettibili
di riscontro empirico e quindi di dimostrazione. La Corte di appello di Catania si è
pertanto avvalsa di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di
proposizioni prive di efficacia dimostrativa: un ragionamento, espresso dal giudice a
sostegno della decisione adottata, soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente.
5.

Quanto sin qui affermato, comporta l’annullamento dell’ordinanza impugnata

con conseguente rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Catania.
3

sussistenza delle condizioni per la liquidazione dell’equo indennizzo e gli elementi posti

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di
Catania.

Così deciso il 15 maggio 2018

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