Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37137 del 09/05/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 37137 Anno 2018
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LEUZZI LORENZO nato il 08/07/1962 a FRANCAVILLA FONTANA

avverso l’ordinanza del 24/10/2016 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di

TARANTO
sentita la relazione svolta dal Consigliere SALVATORE DOVERE;
lt-t cte k.S’b
lette/e3 le conclusioni del PG L . -fr.

A.2.9

Data Udienza: 09/05/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Leuzzi Lorenzo, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata
la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 26.3 al
28.8.2008 (in carcere) e dal 28.8.2008 al 13.7.2010 (agli arresti domiciliari) in
relazione ad una pluralità di delitti (partecipazione ad associazione per
delinquere finalizzata alla commissione di rapine, concorso in rapina,
ricettazione, reati in materia di armi e tentata lesione personale), per i quali era

egli non avesse commesso i fatti.
La Corte territoriale ha ravvisato l’insussistenza dei presupposti del diritto alla
riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il
comportamento del Leuzzi aveva dato corso all’ordinanza di custodia cautelare,
individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al riconoscimento
dell’indennizzo richiesto. E ciò in ragione del fatto che il Leuzzi non aveva
spiegato agli inquirenti chi, il giorno della rapina commessa in danno di alcuni
portavalori, avesse avuto la disponibilità dell’autovettura Ford Focus che,
intestata alla moglie, egli usava.

2. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione
dell’art. 314 cod. proc. pen., rilevando che da un verso la Corte di Appello ha
omesso di motivare, avendo reso una motivazione meramente apparente, in
quanto costituita dagli elementi di accusa posti a base del provvedimento
cautelare; dall’altro ha formulato una motivazione contraddittoria rispetto alla
sentenza di assoluzione, riproponendo fatti e circostanze escluse da questa ed
altresì manifestamente illogica perché attribuisce al Leuzzi condotte che questi
non tenne.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
3.1. Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di
merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con
dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli
elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di
condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o
violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito
motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità
(Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002 – dep. 15/10/2002, Min. Tesoro in proc. De
Benedictis, Rv. 222263; Sez. 4, n. 22642 del 21/03/2017 – dep. 09/05/2017, De
Gregorio, Rv. 270001). In particolare, quanto al compendio degli elementi

stato prosciolto con sentenza passata in giudicato, essendo stato ritenuto che

valutabili, il S.C. ha ripetutamente puntualizzato che il giudice, nell’accertare la
sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto
all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale
del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del
provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal
predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura
e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un
procedimento a suo carico (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010 – dep.

13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203636).
Vale anche precisare che idonea ad escludere la sussistenza del diritto
all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – è non solo
la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi
termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma
anche “la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del
procedimento riparatorio con il parametro dell’ “id quod plerunnque accidit”
secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una
situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a
tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche
ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve
ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del
predetto primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur
tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza,
imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme
disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile,
ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un
provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno
già emesso” (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed
altri, Rv. 203637).
Nella prospettiva del sindacato di legittimità è decisivo rimarcare che esso è
limitato alla correttezza del ragionamento logico giuridico con cui il giudice è
pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio,
mentre resta nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a
motivare adeguatamente e logicamente il proprio convincimento, la valutazione
sull’esistenza e la gravità della colpa o del dolo (Sez. 4, n. 21896 del
11/04/2012 – dep. 06/06/2012, Hilario Santana, Rv. 253325).
Dovendosi tener conto del fatto che va tenuta distinta l’operazione logica propria
del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un
reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del

30/08/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664; nel medesimo senso già Sez. U, n. 43 del

giudice della riparazione. Questi, pur dovendo operare, eventualmente, sullo
stesso materiale, deve seguire un “iter” logico-motivazionale del tutto autonomo,
perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno
reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel
concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione”; ed in
relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare
il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di
controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica),

di esclusione del diritto alla riparazione (in tal senso, espressamente, Sez. U, n.
43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203638; più di
recente, tra le molte, Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016 – dep. 23/01/2017, La
Fornara, Rv. 268952).
Ma, ovviamente, il giudice della riparazione non può ignorare quanto accertato
nel giudizio sull’imputazione e può affermare e negare solo quanto è stato
affermato e negato in questo; mentre un più ampio spazio di manovra gli è
riconosciuto in relazione a quelle circostanze che non sono state escluse dal
primo giudice, pur se non positivamente affermate (cfr. Sez. 4, n. 8163 del
12/12/2001 – dep. 28/02/2002, Pavone, Rv. 220984; Sez. 4, n. 4372 del
21/10/2014 – dep. 29/01/2015, Garcia De Medina, Rv. 263197).
Quanto alla rilevanza nell’ambito del giudizio riparatorio delle modalità di
esercizio delle facoltà difensive, la costante giurisprudenza di questa Corte è nel
senso affermativo, ma a ben precise condizioni. Infatti si afferma che, ai fini
dell’accertamento della sussistenza della condizione ostativa della colpa grave
dell’interessato – fermo restando l’insindacabile diritto al silenzio o alla reticenza
o alla menzogna da parte della persona sottoposta alle indagini e dell’imputato nell’ipotesi in cui solo questi ultimi siano in grado di fornire una logica
spiegazione, al fine di eliminare il valore indiziante di elementi acquisiti nel corso
delle indagini, non il silenzio o la reticenza, in quanto tali, rilevano ma il mancato
esercizio di una facoltà difensiva, quanto meno sul piano dell’allegazione di fatti
favorevoli, che se non può essere da solo posto a fondamento dell’esistenza della
colpa grave, vale però a far ritenere l’esistenza di un comportamento omissivo
causalmente efficiente nel permanere della misura cautelare, del quale può
tenersi conto nella valutazione globale della condotta, in presenza di altri
elementi di colpa. Sez. 4, Sentenza n. 7296 del 17/11/2011, Berdicchia, Rv.
251928;).
In rapporto alla peculiarietà del caso in esame appare opportuno richiamare
l’attenzione sul fatto che la valorizzazione del silenzio serbato dal ristretto non
può essere portata di per sé a ragione dell’affermazione di sussistenza di colpa

sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa

grave, avendo essenziale rilievo che quel silenzio abbia mantenuto ignote
all’autorità procedente informazioni che, nella disponibilità del silente, avrebbero
avuto l’effetto di sottrarre gli inquirenti all’errore (Sez. 3, n. 51084 del
11/07/2017 – dep. 09/11/2017, Pedetta, Rv. 271419). Inoltre, ed è il secondo
aspetto che pure merita di essere rimarcato, quel silenzio va pur sempre
accompagnato ad altri elementi, convergenti verso la strutturazione di una
condotta macroscopicamente imprudente o negligente.
Siffatti principi comportano la necessità che la motivazione del provvedimento

consistenza degli elementi che, in possesso dell’istante, avrebbero potuto essere
rivelati e la cui mancata ostensione ha avuto sinergica efficienza causale nel
mantenimento della misura cautelare.
3.2. Tanto premesso, va ritenuto che l’ordinanza impugnata non mostra le
carenze motivazionali indicate dal ricorrente.
Il vizio del provvedimento impugnato per essere stata omessa la descrizione
della condotta gravemente colposa del Leuzzi è certamente insussistente,
avendo la Corte di Appello chiaramente definito il contenuto di tale
comportamento. Questo non è stato ritenuto nell’aver omesso di rispondere alle
domande del giudice in sede di interrogatorio ex art. 294 cod. proc. pen. ma
nell’aver, nell’ambito delle dichiarazioni rese, mancato di fornire giustificazioni in
merito alla presenza dell’autovettura intestata alla moglie sul luogo teatro della
rapina. Che ciò sia dipeso, come pretende di asserire l’esponente, perché non
vennero richieste spiegazioni è quanto meno irrilevante, risultando esse
necessitate dall’addebito provvisorio rivolto al Leuzzi.
La denuncia di un’assunzione di elementi che, contenuti e valorizzati
dall’ordinanza cautelare, sono risultati successivamente sconfessati dal giudizio
assolutorio è aspecifica. Infatti, si asserisce che il Tribunale di Taranto aveva
accertato che il giorno della rapina la autovettura nell’ordinaria disponibilità del
Leuzzi fosse stata in uso a soggetto diverso. Ma si tratta di affermazione che non
è stata sostenuta da alcuna dimostrazione; anzi, i passi della sentenza di
assoluzione riportati nel ricorso confermano che quell’utilizzatore rimase ignoto.
Per contro la Corte di Appello ha ascritto al Leuzzi proprio di non aver dato
indicazioni agli inquirenti circa il soggetto che aveva quella disponibilità. Quindi
non coglie il segno l’addebito di aver indebitamente rivalutato i fatti coperti da
accertamento processuale, poiché la Corte di Appello ha assunto proprio quanto
era stato affermato dal giudice della cognizione; ed ha legittimamente operato
una valutazione dei medesimi nella prospettiva introdotta con la domanda di
riparazione.

5

reso sull’istanza di riparazione dell’ingiusta detenzione dia conto della natura e

4. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9/5/2018.
Il Consigli re estensore
overe

Salvato

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