Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37094 del 10/11/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 37094 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: RENOLDI CARLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Frigerio Diego, nato a Milano il 27/01/1981,
avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Milano del 30/06/2017;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
ùdito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore generale, dott.
Luigi Cuomo, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del
ricorso;
udito, per l’indagato, l’avv. Barbara Medagliani, comparso in costituzione
dell’avv. Claudio Angelo Acampora, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 20/02/2017, il Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Milano aveva respinto la richiesta di
applicazione della misura cautelare della custodia in carcere e di emissione di un
decreto di sequestro preventivo nei confronti di Diego Frigerio, nella sua qualità
di collaboratore di Michela MIORELLI nonché di amministratore e socio della
Fiscal Focus Consulting S.r.l. fin dalla costituzione, in relazione al reato di cui
artt. 110, 81 cod. pen., 10-quater, comma 2, 13-bis comma 3 del d.lgs. n.
74/2000, contestatogli per avere ideato e commercializzato modelli di evasione
fiscale attraverso cui erano stati commessi, da parte dei vari indagati, più reati di
compensazione di crediti tributari inesistenti per un totale di 42.558.848,56 di

Data Udienza: 10/11/2017

euro (dal 1/01/2013 al 2/09/2016) attraverso la trasmissione telematica di
modelli F24, accollandosi il debito tributario riferibile a terzi, in ciò consentendo
ai soggetti accollati l’apparente regolarizzazione della propria posizione fiscale;
attività illecite realizzate in concorso con Michela Miorelli, consulente fiscale e
amministratrice della MDC S.r.l. e della Fiscal Focus Consulting S.r.l. società di
consulenza alle imprese (nonché in concorso con Andrea Piga, collaboratore della
Miorelli, intermediario per la trasmissione dei modelli F24, amministratore di
diritto, nonché socio, della MDC S.r.l. a far data dal 1/09/2015 e della Fiscal

della Miorelli, nonché socio e liquidatore della MDC S.r.I., nonché amministratore
di fatto, insieme a Francesco Maiorana, della Centro Milano Due S.r.l. e della
Emme Mafer Soc. Coop., nonché con Alfredo Addonizio, consulente fiscale delle
società riconducibili alla Miorelli, nonché domiciliatario di varie società
beneficiarie dell’indebita compensazione di crediti inesistenti); con l’aggravante
di aver commesso il fatto nell’esercizio dell’attività professionale di consulente
fiscale, con ideazione di modelli di evasione. Fatti ipotizzati come commessi, in
Milano e altrove, dal 1/01/2013 al 2/09/2016.
1.1. Secondo il Giudice per le indagini preliminari nei fatti contestati al
ricorrente non potevano ravvisarsi gli estremi del delitto di cui all’art.

10-quater

D.Igs. n. 74/2000. Ciò in ragione della sua natura di reato “proprio”, realizzabile
unicamente dal “contribuente”; qualifica soggettiva che, nel caso di specie, non
sarebbe stata attribuibile a nessuno degli indagati, atteso che costoro non
sarebbero stati i destinatari della originaria obbligazione tributaria, la quale
sarebbe stata dagli stessi assunta sulla base di un contratto di accollo ex art. 8
commi 1 e 2 Statuto del contribuente. Pertanto, nel caso in esame, l’illecito
utilizzo della compensazione di crediti inesistenti sarebbe avvenuto da parte del
creditore accollante, indicato nei mod. F24 come coobbligato, il quale, in ogni
caso, non avrebbe conseguito né fatto conseguire, attraverso la condotta
contestata, alcun profitto ai sensi dell’art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000.
Infatti, dalla compensazione dei crediti inesistenti non sarebbe derivato, in capo
ai contribuenti, alcun incremento patrimoniale, né alcun mancato decremento
patrimoniale, atteso che il debitore reale, avendo aderito ad un accollo non
liberatorio nei confronti dell’Erario, avrebbe comunque dovuto estinguere la
propria obbligazione tributaria. Pertanto, l’unico profitto configurabile sarebbe
stato costituito dal quantum pagato dai titolari dei debiti tributari (pari al 70%
del valore nominale del debito tributario) ai creditori accollanti, ma ciò in virtù
del contratto di accollo e non dell’indebita compensazione.
2. Avverso la predetta ordinanza aveva proposto appello il Pubblico
ministero ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., censurando l’opinione del Giudice
per le indagini preliminari secondo cui il soggetto attivo del reato de quo debba

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Focus Consulting S.r.I., dal 14/12/2015; con Lorenzo Maiorana, collaboratore

necessariamente identificarsi nel contribuente, inteso come soggetto titolare del
debito tributario cui si oppone un credito da compensare, essendo lo stesso
riferibile, secondo il tenore letterale della norma incriminatrice, a qualunque
soggetto che, essendo debitore di una somma nei confronti dell’Erario, anche per
effetto dell’accollo, utilizzi crediti inesistenti o non spettanti per estinguere il
debito. Inoltre, quanto al profitto del reato, esso andava individuato nelle somme
non versate per effetto dell’uso, in compensazione, dei crediti inesistenti, somme
il cui obbligo di versamento era stato assunto mediante il contratto di accollo. In
intraneus

partecipasse inconsapevolmente alla condotta illecita posta in essere
dall’accollante, sarebbe stato configurabile, nel caso di specie, il ricorso alla
figura dell’autore mediato ex art. 48 cod. pen., che dunque avrebbe risposto
dell’illecito, avendo volontariamente tratto in errore l’intraneus.
3. Con ordinanza del 30/06/2017, in parziale accoglimento dell’impugnazione
del Pubblico ministero, il Tribunale del riesame di Milano aveva disposto
l’applicazione della misura degli arresti domiciliari.
3.1. L’ordinanza aveva ricordato la genesi dell’indagine, scaturita dalla
segnalazione all’Agenzia delle Entrate compiuta da Nicola Musto, collega di studio
di Alfredo Addonizio, già avvalsosi del meccanismo delle compensazioni messo a
disposizione dalla Miorelli, il quale, dopo avere utilizzato il servizio, aveva iniziato
ad avere dubbi sull’esistenza dei crediti facenti capo alle società della Miorelli.
Nel corso delle successive indagini era emerso che la Miorelli, la MDC S.r.I., la
Management & Development Consulting S.r.l. e, dal settembre 2015, la Fiscal
Focus Consulting riferibile proprio a Frigerio, anch’essa operante per conto
dell’indagata, avevano presentato numerosi modelli di dichiarazione nei quali
erano stati portati in compensazione, per un ammontare pari oltre 30 milioni di
euro nel 2014/2015, ingenti crediti d’imposta, la cui pacifica inesistenza era stata
occultata attraverso l’uso di ‘codici identificativi, del tutto avulsi dalla tipologia
della compensazione operata, utilizzati per superare un primo vaglio di controllo
da parte dell’amministrazione creditrice.
Quanto, poi, alla posizione Frigerio, il Tribunale, pur sottolineando il ruolo
centrale della Miorelli, rilevò che l’indagato avesse assunto, secondo un
consolidato modus operandi, dapprima un ruolo meramente esecutivo, per poi
diventare un perno essenziale del meccanismo architettato per la realizzazione
della frode. Egli, amministratore e socio della

FFC Sri, ossia della società

costituita dopo la liquidazione della MDC Sri, operava attivamente proponendo ai
debitori il contratto di accollo del debito tributario ed esibendo loro una falsa
documentazione, percependo dalla MDC per l’attività svolta, già prima della
costituzione della nuova società, somme elevatissime (pari a 224.323,69 euro in
sei mesi) rispetto alle sue competenze tecniche, asseritamente inesistenti. Dalla

3

ogni caso, secondo l’appellante, anche ritenendo che il debitore

lettura delle conversazioni telefoniche, il Tribunale trasse il convincimento del
ruolo di primo piano svolto da Frigerio, in grado di gestire, in completa
autonomia, una serie di rapporti finanziari con l’estero, facendo transitare
,somme da una banca svizzera ad una di Dubai, stipulando un contratto di lavoro
con una società elvetica. In particolare, l’indagato si era fattivamente impegnato
nella risoluzione dei problemi insorti con i clienti, che avevano chiesto conto
dell’esistenza dei crediti portati a compensazione, partecipando ad incontri

7-i

finalizzati .i0le@g-F
av.c

meccanismi delle compensazioni utilizzando non più la FFC

ancora per due milioni di euro.
Non essendovi, dunque, alcun dubbio in ordine alla partecipazione di Frigerio
al complessivo sistema facente capo alla Miorelli ed agli altri sodali, il Tribunale
passava, poi, al profilo afferente la qualificazione dei fatti.
Sotto un primo profilo, l’ordinanza, pur ritenendo che il reato in esame fosse
un reato proprio, sottolineò che nella nozione di “chiunque” potesse rientrare
qualunque soggetto che, al di là della qualifica rivestita, potesse realizzare la
condotta tipica, “non versando le somme dovute, utilizzando in compensazione”
crediti inesistenti, ivi compresi coloro i quali, in virtù di un contratto di accollo
tributario, agissero come debitori, per essersi volontariamente fatti carico di
debiti altrui in virtù del predetto contratto, realizzando una condotta di
compensazione ai sensi dell’art. 17 citato. Infatti, i modelli F24 riportavano, nella
sezione “contribuente”, sia i dati identificativi del soggetto debitore d’imposta,
sia i dati del soggetto coobbligato ossia del soggetto che effettuava il pagamento
delle imposte – mediante compensazione – in veste di coobbligato, figura prevista
dal modello F24, che prevedeva, altresì, l’utilizzo di un codice identificativo
dell’operazione.
Per quanto riguarda, poi, il profitto del reato, costituito dal cd. risparmio di
spesa per il contribuente, il Tribunale osservò che il medesimo doveva essere
identificato nel totale dell’importo portato a compensazione, corrispondente al
100% del debito, proprio perché il credito era inesistente, con ripartizione del
medesimo tra accollante ed accollato sulla base della regolamentazione tra
privati antecedente alla compensazione.
In ultimo, il Tribunale osservò che anche a ritenere che il soggetto attivo del
reato de quo dovesse necessariamente essere identificato nel “contribuente”,
ovvero nel debitore originario e che quest’ultimo non fosse consapevole
dell’inesistenza dei crediti, l’accollante, avendo indotto in errore il debitore
accollato sulla esistenza dei crediti, sarebbe stato comunque responsabile, quale
autore mediato, in applicazione dell’art. 48 cod. pen, atteso che la condotta di
compensazione dei crediti inesistenti ex art. 10-quater, compiuta dal debitore

4

(ormai bruciata), ma i crediti personali della Miorelli, indicati come disponibili

originario indotto in errore, sarebbe stata in realtà riferibile allo stesso
accollante.
3.2. Quanto, infine, alle esigenze cautelari, il tribunale ritenne di ravvisare,
alla luce, in particolare, di una cospicua attività intercettativa svolta nei confronti
di Frigerio, il pericolo di reiterazione dei reati, di inquinamento probatorio e di
fuga, stimando comunque adeguato il ricorso alla misura degli arresti domiciliari
in forma ristretta, ovvero senza possibilità di contatto con l’esterno.
4. Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame, ha proposto ricorso lo

e Chiara Valcepina, deducendo quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
4.1. Con il primo di essi, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma
1, lett. B) ed E), cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della
legge penale nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in relazione a una pluralità di profili. Sotto un primo aspetto, si
sottolinea la mancata dimostrazione che Frigerio, soggetto scarsamente
scolarizzato con competenze circoscritte al settore commerciale, fosse a
conoscenza della inesistenza dei crediti utilizzati in compensazione, avendo
significato equivoco le intercettazioni telefoniche richiamate nel provvedimento e
non avendo Nicola Musto, le cui dichiarazioni avevano originato l’indagine, fatto
alcun riferimento al ruolo svolto dall’indagato. E, in tale prospettiva, si censura la
mancata considerazione, da parte dei giudici del riesame, degli elementi dedotti
dalla difesa in sede di gravame, che sarebbero rimasti sostanzialmente
pretermessi. In particolare, il Tribunale non avrebbe considerato il fatto che,
dopo avere iniziato a dubitare dell’esistenza dei crediti ed essersi rivolto all’avv.
Manuel Deidda, Frigerio avesse deciso di dimettersi dal Consiglio di
amministrazione della FFC S.r.l.. In definitiva, il Tribunale del riesame non
avrebbe compiuto una autonoma valutazione degli indizi a carico di Frigerio,
limitandosi a considerare gli stessi elementi presi in considerazione nei confronti
della Miorelli. Sotto un altro profilo, l’ordinanza impugnata avrebbe illogicamente
riferito il tempus commissi delicti anche ad un periodo, nel 2013-2014, in cui
l’indagato non aveva ancora conosciuto la Miorelli, addebitandogli l’intero
importo, pari a oltre 42 milioni di euro, oggetto delle illecite compensazioni.
4.2. Con il secondo motivo, la difesa di Frigerio censura, ex art. 606, comma
1, lett. B) ed E), cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della
legge penale nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in relazione alla configurabilità del delitto contestato. Sotto un primo
profilo, l’accollo, essendo ammissibile, ai sensi dell’art. 8, comma 2 della legge n.
212 del 2000, solo in quanto cumulativo (e dunque “senza liberazione del
contribuente originario”), avrebbe efficacia solo sul piano interno e non anche nei
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stesso indagato, a mezzo dei difensori fiduciari, avv.ti Claudio Angelo Acampora

confronti del fisco, sicché all’accollante non potrebbero applicarsi i principi di
solidarietà tributaria ed egli non potrebbe essere considerato come debitore (e,
quindi, come soggetto attivo del reato de quo). Sotto altro aspetto, trattandosi di
reato proprio, la responsabilità concorsuale dell’extraneus presupporrebbe che il
contribuente abbia posto in essere la condotta tipica, nel caso di specie non
compiuta dall’originario soggetto d’imposta. In ogni caso, ove l’art.

10-quater

avesse inteso estendere l’ambito dei soggetti attivi oltre la nozione di
contribuente lo avrebbe fatto espressamente, così come le recenti modifiche

2000, avrebbero previsto che l’impegno a versare all’erario le somme dovute non
consentisse la confisca non solo nei confronti del contribuente, come
testualmente previsto, ma anche del terzo che si fosse accollato il debito fiscale.
Secondo la difesa, ove il reato potesse essere commesso da un soggetto che non
abbia la qualifica di contribuente, si arriverebbe al paradosso che l’autore non
potrebbe accedere al beneficio previsto dalla predetta disposizione anche quando
il contribuente originario avesse pagato integralmente il debito tributario.
Ancora: dal momento che l’accollo avrebbe efficacia meramente interna,
senza in alcun modo liberare il debitore accollato, la compensazione non
produrrebbe alcun profitto (da intendersi nel senso della diminuzione
patrimoniale per il debitore tributario, cd. risparmio di spesa), né alcun danno
per l’Erario.
Quanto, infine, alla configurabilità dello schema delineato dall’art. 48 cod.
pen., esso sarebbe incompatibile con quanto descritto in imputazione, che
rimanderebbe a una condotta diretta dell’accollante. In ogni caso, ai fini della
integrazione del paradigma dell’autore mediato sarebbe necessario accertare la
sussistenza del dolo per il reato commesso dal soggetto ingannato;
accertamento che, nel caso di specie, sarebbe mancato. In realtà, la vicenda
avrebbe dovuto essere ricondotta, più correttamente, nell’alveo della truffa,
commessa dagli indagati ai danni dei contribuenti attraverso l’induzione a
stipulare, dietro un corrispettivo (costituente il profitto e il danno del reato), un
accollo privo di qualunque efficacia liberatoria.
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1,
lett. B) ed E), cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge
penale nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari relative al
pericolo di reiterazione dei reati e di inquinamento probatorio. I giudici del
riesame non avrebbero spiegato come Frigerio, scarsamente scolarizzato e dalle
inesistenti competenze tecniche, potesse reiterare i reati, una volta venuti meno
sia il rapporto con la Miorelli, sia i veicoli societari in precedenza utilizzati e
considerato, altresì, che non sarebbero state effettuate compensazioni da
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della disciplina della confisca, introdotte dall’art. 12-bis n. 2 del d.lgs. n. 74 del

almeno un anno e che l’indagato sarebbe residente in Svizzera, sicché non
sarebbe in grado di effettuare alcuna operazione con l’Agenzia delle Entrate.
Quanto al pericolo di inquinamento probatorio, questo sarebbe stato affermato
sulla base di alcune intercettazioni, peraltro di contenuto non univoco, relative a
conversazioni occorse oltre un anno fa e, dunque, non sarebbe più attuale.
Apparente sarebbe, infine, la motivazione sul pericolo di fuga, non essendo essa
agganciata ad elementi concreti, tali non potendo considerarsi gli interessi
professionali di Frigerio a Dubai o la dichiarata intenzione di trasferirsi in

dall’indagato.
4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 606, comma
1, lett. B), cod. proc. pen., dell’inosservanza o erronea applicazione della legge
penale in relazione alla valutazione delle esigenze cautelari, in relazione alle
quali sarebbero carenti i profili di adeguatezza, proporzionalità e concretezza,
tenuto conto del fatto che esse sarebbero state apprezzate in relazione all’intera
attività illecita posta in essere dalla Miorelli e non al contributo, certamente più
circoscritto, prestato da Frigerio.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Muovendo, secondo l’ordine logico, dall’analisi delle questioni poste, con i
primi due motivi di doglianza, in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza, le censure svolte dal ricorrente attengono, sotto un primo profilo,
alla astratta configurabilità del reato contestato (secondo motivo di doglianza) e,
sotto altro aspetto, alla possibilità di configurare la condotta di Diego Frigerio in
termini effettivamente concorsuali (primo motivo di doglianza).
3. Quanto al primo profilo, occorre preliminarmente ricordare che, introdotta
dall’art. 35, comma 7, del D.L. n. 223 del 4 luglio 2006 (convertito con L. 4
agosto 2006, n. 248), la fattispecie prevista dall’art. 10-quater del d.lgs. n. 74
del 2000, secondo quanto indicato dalla stessa relazione governativa al decretolegge, è diretta a reprimere non tanto le condotte evasive realizzate nella fase di
presentazione delle dichiarazioni tributarie, quanto piuttosto i comportamenti
rientranti nel pernicioso fenomeno della cd. evasione da riscossione, alla cui
repressione sono finalizzate le fattispecie contigue, ma differenti dal punto di
vista strutturale e funzionale, previste dagli artt.

10-bis e ter dello stesso d.lgs.

n. 74 del 2000 (omesso versamento delle ritenute certificate e dell’Iva dovuta).
E non a caso, nella sua originaria formulazione, l’art.

10-quater prevedeva

l’equiparazione, dal punto di vista sanzionatorio, con quelle due fattispecie.
Con il diffondersi dello strumento del pagamento unificato di cui all’art. 17 del
d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, introdotto per agevolare il contribuente

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Svizzera, considerata la pubblica registrazione AIRE da anni effettuata

consentendogli di effettuare non soltanto un unico pagamento dei debiti assunti
anche con enti diversi dall’Erario (quali, ad esempio, l’Inps, l’Inail ecc.), ma
anche la compensazione di tali debiti con i crediti vantati nei confronti di diversi
soggetti pubblici. Tuttavia, a seguito del reiterato manifestarsi, nel tempo, delle
condotte illecite dei contribuenti realizzate con lo strumento della
compensazione, il legislatore ha introdotto il citato l’art. 10-quater, congegnando
una fattispecie consistente, nella sua originaria formulazione, nella punizione del
soggetto che non versasse le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai

inesistenti. Tale configurazione è stata, poi, modificata, con il d.lgs. 24
settembre 2015, n. 158, nel senso della introduzione di soglie di punibilità,
individuate in un importo annuo superiore a cinquantamila euro, nonché di
differenti trattamenti sanzionatori a seconda che la compensazione abbia
interessato crediti “non spettanti” ovvero “inesistenti”; modifica che, però, non
ha inciso sulla presente vicenda.
4. Tale fattispecie si configura come reato a condotta mista, caratterizzata,
da un lato, da una condotta di tipo commissivo, consistente nell’invio di un
modello F24 contenente l’indicazione della illecita compensazione (cfr. Sez. 3, n.
15236 del 16/01/2015, dep. 14/04/2015, Chiarolla, Rv. 263051, relativo ad una
fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità del reato in quanto
l’imputato non aveva compilato alcun modello F24 in cui avrebbe dovuto indicare
il credito, inesistente o non spettante, da portare in compensazione); e, dall’altro
lato, dalla condotta omissiva, realizzata contestualmente alla prima, consistente
nel mancato conferimento della delega per il pagamento delle somme dovute,
ove superiori alla ricordata soglia.
Il reato in questione, come anticipato, è posto a tutela dell’interesse pubblico
alla tempestiva ed efficace riscossione delle imposte, dei contributi e degli altri
crediti riferibili alla pubblica amministrazione, interessati dal meccanismo di
auto-liquidazione realizzato in sede di pagamento unificato (ex plurimis Sez. 3,
n. 42462 del 11/11/2010, dep. 30/11/2010, Ragosta e altri, Rv. 248754,
secondo cui il reato è configurabile sia nel caso di compensazione verticale, ossia
riguardante crediti e debiti afferenti la medesima imposta, sia in caso di
compensazione orizzontale, ossia riguardante crediti e debiti di imposta di natura
diversa). Ne consegue, dunque, che attraverso tale fattispecie non viene
sanzionato il mero inadempimento dell’obbligo di pagamento, come avviene nel
caso previsto dagli artt. 10-bis e 10-ter, quanto piuttosto l’omesso versamento
realizzatosi a mezzo di una indebita compensazione, ovvero di uno strumento
assai più insidioso, in quanto di non immediata percezione per l’Erario, il quale
potrà avvedersi del vulnus recato dalla condotta illecita soltanto quando abbia
verificato l’insussistenza (ovvero la non spettanza) del credito posto in

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sensi dell’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti o

compensazione, all’esito di una non semplice istruttoria (consistente nella
individuazione di coloro i quali abbiano utilizzato, in maniera significativa, la
compensazione in maniera non marginale, nella successiva attività ispettiva
finalizzata alla verifica delle tracce documentalq;dell’esistenza e della spettanza
del credito compensato).
5. Alla luce delle considerazioni che precedono, va affrontata la prima
questione posta dalla difesa del ricorrente: ovvero la possibilità che il soggetto
attivo del delitto in contestazione vada necessariamente identificato nel

Tale soluzione ermeneutica parrebbe doversi imporre in considerazione del
meccanismo della compensazione delineato dall’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997,
n. 241, a mente del quale “i contribuenti eseguono versamenti unitari delle
imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato,
delle Regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti
dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle
dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di
entrata in vigore del presente decreto”:
Tuttavia, tale opzione interpretativa va armonizzata, da un lato, con quanto
stabilito dall’art. 8, comma 2, della legge n. 212 del 2000 (cd. Statuto del
Contribuente), secondo cui “è ammesso l’accollo del debito d’imposta altrui
senza liberazione del contribuente originario”; norma che, ad onta del rinvio
operato dallo stesso art. 8 alla disciplina regolamentare delle relative disposizioni
di attuazione, è stata ritenuta applicabile, dal giudice di legittimità, anche in
assenza di un intervento attuativo da parte dell’amministrazione finanziaria,
secondo i principi generali civilistici in materia di compensazione (Cass. civ., Sez.
5, n. 22872 del 25/10/2006, Rv. 595451 – 01), con conseguente affermarsi,
nella realtà economica, dell’accollo di debiti tributari e della compensazione
operata dall’accollante, attraverso la semplice trasmissione telematica del
modello F24, recante l’indicazione del debitore soggetto passivo quale
intestatario e l’accollante come soggetto che procede alla compensazione. E,
dall’altro lato, dalla formulazione aperta dello stesso art.

10-quater,

che

individua la categoria di soggetti attivi alla stregua della configurabilità di una
situazione debitoria che li legittimi alla realizzazione di operazioni con l’uso di
modelli F24, per mezzo dei quali operare la compensazione ovvero la delega di
pagamento.
Nel caso di specie, invero, tale posizione soggettiva doveva pacificamente
riconoscersi anche in capo al coobbligato, ovvero ad un soggetto che, sia pure in
virtù di un accordo tra privati, aveva assunto un obbligo di adempimento non
soltanto nei confronti dell’originario debitore tributario accollato, ma anche nei
confronti della stessa amministrazione creditrice. Ciò è risultato, pacificamente,
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“contribuente”, ovvero nell’originario debitore tributario.

dall’accertamento in fatto compiuto dal tribunale del riesame, il quale ha
richiamato, come sopra ricordato, la concreta configurazione degli F24, i quali
prevedevano la specificazione, in apposite caselle, di tale qualità del dichiarante
e la classificazione della relativa operazione alla stregua di speciali codici
identificativi.
Prova troppo, invero, l’affermazione difensiva secondo cui, accedendo alla
tesi qui accolta, si arriverebbe al paradosso che egli non possa accedere al
beneficio previsto dall’art.

12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 anche quando il

in realtà, in una siffatta evenienza, non potrebbe in ogni caso procedersi alla
misura ablativa, pena una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto
con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai
essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa.
Consegue alle osservazioni fin qui svolte che in assenza, quantomeno alla
data odierna, di una regolamentazione che inibisca il ricorso alla compensazione
di crediti da parte del coobbligato in virtù di un accollo tributario, deve
certamente ritenersi riconducibile al novero • dei soggetti attivi del delitto
contestato anche il debitore accollante che proceda alla realizzazione, attraverso
i menzionati modelli F24, di operazioni di compensazione di crediti inesistenti.
6. Venendo, quindi, all’ulteriore questione relativa alla impossibilità di
configurare alcun profitto o danno nella condotta descritta, anch’essa dedotta
con il secondo motivo di doglianza, la tesi difensiva è incentrata sulla circostanza
che l’accollo abbia efficacia meramente interna, sicché esso non produrrebbe
alcun effetto liberatorio sul debitore accollato, il quale, per tale motivo, non
conseguirebbe alcun profitto. E dal momento che, per effetto della
compensazione di un credito inesistente, l’obbligazione non si estinguerebbe,
non sarebbe ipotizzabile alcun pregiudizio per l’amministrazione creditrice.
In argomento, giova nondimeno richiamare le considerazioni già svolte in
relazione alla individuazione del bene giuridico tutelato dalla norma

contribuente originario abbia pagato integralmente il debito tributario, posto che

incriminatrice, il quale è costituito dall’interesse pubblico alla tempestiva ed
efficace riscossione delle imposte. Infatti, impregiudicata la possibilità, per
l’amministrazione creditrice, di rivolgersi al debitore tributario originario per
ottenere il pagamento del dovuto, non inciso da una compensazione resa
giuridicamente impossibile dall’inesistenza del credito, l’interesse protetto dalla
norma incriminatrice è correlato, da un lato, al rischio che, ove l’inesistenza del
credito non sia rilevata, l’amministrazione non sia nelle condizioni di avvedersi
della mancata estinzione e non provveda, quindi, ad attivare i controlli e le
successive procedure di riscossione; e, dall’altro lato, al ritardo nella riscossione
che, nelle more della illecita compensazione e della sua scoperta, si

10

J2»’-

determinerebbe. Ciò che, pertanto, rende le argomentazioni svolte, sul punto,
dalla . difesa, manifestamente infondate.
7. Con il primo motivo di ricorso, la difesa di Frigerio ha svolto una serie di
censure in ordine all’acquisizione dei gravi indizi di colpevolezza a carico
dell’indagato.
In proposito, giova premettere che ai fini dell’adozione di una misura
cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a
fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in

corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un
motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati
secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma
2, cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza
degli indizi – non richiamato dall’art. 273, comma 1-bis, cod. proc. pen. (tra le
tante, Sez. 4, n. 6660 del 24/01/2017, dep. 13/02/2017, Pugiotto, Rv. 269179).
Rileva il Collegio che l’ordinanza impugnata ha compiuto una ricostruzione
assai puntuale e niente affatto illogica del materiale investigativo. Alla stregua
delle acquisizioni documentali, delle sommarie informazioni di alcuni dei soggetti
che si erano rivolti alle società gravitanti intorno alla figura di Michela Miorelli,
nonché del cospicuo materiale intercettativo, i giudici di merito hanno individuato
una serie di specifici e concreti elementi di fatto che danno corpo all’ipotesi
formulata nell’imputazione cautelare: dalla costituzione di una serie di società,
tutte ispirate all’iniziativa della citata Miorelli, le quali offrivano a soggetti
imprenditoriali a vario titolo debitori nei confronti dell’amministrazione finanziaria
e di altri enti pubblici, l’assunzione, mediante contratto di accollo, del debito
tributario dietro corrispettivo, cui faceva seguito la più volte descritta attività di
compensazione, che avveniva attraverso l’utilizzo di crediti risultati inesistenti
all’esito dei controlli esperiti dall’Agenzia delle entrate.
La tesi difensiva, lungi dal porre in dubbio la inesistenza dei crediti, si fonda
essenzialmente, da un lato, su un argomento di carattere logico, ovvero sulla
sostanziale incapacità tecnica di Frigerio a svolgere il ruolo attivo attribuitogli
nell’ambito del meccanismo fraudolento; e, dall’altro lato, su una diversa
interpretazione delle intercettazioni telefoniche richiamate nel provvedimento,
che secondo il ricorrente avrebbero avuto un ben diverso tenore rispetto a quelle
alle stesse attribuite dal tribunale del riesame.
Tuttavia, deve

rilevarsi che

l’interpretazione del significato delle

conversazioni intercettate costituisce una tipica operazione di competenza del
giudice di merito, la quale, salvo che si dimostri un sostanziale travisamento del
loro contenuto, non è scrutinabile in sede di legittimità, fermo restando che la
lettura offerta dal tribunale del riesame sembra sottrarsi a qualunque censura di
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ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non

illogicità, peraltro genericamente evocata dal ricorrente, quantomeno secondo
quanto è dato trarre dagli ampi stralci delle intercettazioni in questione riportate
nell’ordinanza impugnata, non essendo consentito al giudice di legittimità un
accesso diretto al materiale di indagine, salvo il caso di una sua puntuale e
compiuta allegazione ad opera delle parti processuali che ne abbiano interesse,
qui del tutto omessa.
Sotto altro profilo, non può non riconoscersi che anche il ricorrente
argomento difensivo circa la mancanza, in capo al ricorrente, di adeguate

doviziosamente illustrati dal tribunale del riesame, che ha citato il contenuto di
diverse conversazioni nelle quali Frigerio, mostrando adeguata padronanza dei
meccanismi dell’operazione fraudolenta, faceva riferimento a future operazioni,
manifestando un ruolo assolutamente attivo e niente affatto subalterno. E del
resto, l’ordinanza ha ben spiegato come il collaudato

modus operandi

dell’iniziativa criminale messa in piedi dalla Miorelli prevedesse la creazione via
via di nuove società, l’apporto di collaboratori/soci/legali rappresentanti, non
necessariamente muniti, in principio, di particolari competenze sul versante
tributario o dell’attività di impresa, ma comunque in grado di svolgere una serie
di “attività di contorno” sicuramente indispensabili per la complessiva gestione
del sistema illecito.
Quanto, poi, alla eccezione relativa allAV iattribuzione a Frigerio, suggerita
dall’imputazione cautelare, di condotte collocabili temporalmente in una fase, tra
il 2013 e il 2014, in cui l’indagato non aveva ancora conosciuto la Miorelli, con
conseguente improprio addebito dell’intero importo delle operazioni di illecita
compensazione, è appena il caso di osservare che i passaggi dell’ordinanza
impugnata che parrebbero avallare una siffatta lettura concernono, in realtà, la
descrizione degli esiti complessivi dell’operazione fraudolenta e non l’attribuzione
ai singoli concorrenti del complesso delle attività illecite. E non a caso l’ordinanza
ha sottolineato che “la creazione e la gestione negli anni del sistema articolato,
che ha portato nell’arco di pochi anni alla realizzazione di indebite compensazioni
per la cifra di oltre 42 milioni di euro”, sia “indubbiamente” da attribuire
all’iniziativa di Michela Miorelli, con ciò chiarendo ancor più il significato da
attribuire alla richiamata descrizione del fatto contenuta nell’imputazione
cautelare.
8. Venendo, infine, alle censure, svolte con il terzo e il quarto motivo, relative
alle esigenze cautelari, il tribunale del riesame ha sottolineato l’elevato livello di
professionalità criminale raggiunto dalla Miorelli e dai suoi sodali, tra i quale vi
era, ovviamente, anche Frigerio, e il livello di spregiudicatezza che ha consentito
loro di operare fino a maggio 2016 e, dunque, ben dopo l’intervento da parte
dell’Agenzia delle Entrate; intervento che, quindi, non costituì affatto un
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competenze tecniche è stata puntualmente smentita dagli elementi di fatto

deterrente, avendo Frigerio mostrato di non avere alcuna intenzione di cessare
ogni attività delittuosa, ma, anzi, di continuarla all’interno di una nuova struttura
societaria da lui costituita. In questa prospettiva, anche tenuto conto delle
disponibilità finanziarie e logistiche vantate dall’indagato, finanche all’estero, il
Tribunale del riesame ha ritenuto, in maniera tutt’altro che illogica, l’esistenza di
un rischio di reiterazione concreto e attuale, e la conseguente necessità di inibire
al ricorrente la possibilità di trovare ed approfittare di nuove occasioni criminose.
Quanto al pericolo di fuga, l’ordinanza impugnata ha, poi, fatto riferimento ad

Svizzera e l’esistenza di cospicue disponibilità per mantenersi – che la difesa
dell’indagato ha confutato attraverso la generica affermazione di una scarsa
concretezza dei medesimi.
Analoghe considerazioni valgono in relazione alla prognosi concernente il
rischio di inquinamento probatorio: a fronte delle molteplici conversazioni
intercettate, nelle quali Frigerio e Miorelli cercano di cautelarsi rispetto agli
accertamenti in corso e alla ricostruzione delle loro responsabilità, la difesa si
limita ad affermare, ancora una volta in maniera aspecifica, il contenuto
asseritamente equivoco delle intercettazioni su cui tale giudizio predittivo è stato
compiuto e la loro non prossima collocazione temporale.
8.1. Per quanto, infine, concerne l’asserita carenza dei profili di adeguatezza,
proporzionalità e concretezza della misura applicata, dedotta con il quarto
motivo di doglianza, anche in questo caso la deduzione difensiva si rivela
assolutamente generica, affermando apoditticamente che le stesse siano state
valutate in relazione alla posizione della Miorelli e non al contributo, certamente
più circoscritto, prestato da Frigerio.
Sul punto, il Collegio non può che ribadire la puntualità dell’analisi del
tribunale del riesame, che ha specificamente valutato la posizione di Frigerio, i
suoi legami con una vasta clientela, la determinazione e la pervicacia dimostrate
nel portare avanti l’attività delittuosa anche dopo le segnalazioni a carico dei
sodali e il conseguente intervento degli organi addetti al controllo, affermando,
infine, la necessità di circoscrivere la possibilità di contatti con i terzi e, con essa,
di tutelare la genuinità degli accertamenti in corso, in specie sul versante della
individuazione della rete di referenti, “protrattasi per un notevole numero di
anni, senza che l’abnormità degli importi compensati fosse mai stata oggetto di
alcuna attenzione”.
9. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere,
pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n.
186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono
elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria

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alcuni specifici elementi di fatto – quali l’intenzione di Frigerio di trasferirsi in

dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,
in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 euro.

PER QUESTI MOTIVI

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore
della Cassa delle Ammende.

Il Consigli re estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 10/11/2017

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