Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37088 del 14/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 37088 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: OLDI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Genova
nel procedimento nei confronti di:
1.

Perugini Alessandro, nato a Novara il 20/07/1971

2.

Poggi Anna, nata a Genova il 20/04/1970

3.

Cimino Ernesto, nato a Bi’emme (Svizzera) il 16/09/1966

4.

Pelliccia Bruno, nato a Guidonia Montecelio il 17/01/1961

5.

Gugliotta Antonio Biagio, nato a Carosino il 11/06/1960

6.

Maida Daniela, nata a Siracusa il 16/12/1962

7.

Brami Glanmarco, nato a Trieste il 03/07/1971

8.

Barucco Piermatteo, nato a Cuneo li 28/11/1974′

9.

Arecco Matilde, nata a Genova il 02/04/1962

10. Turco Mario, nato a Brindisi il 17/09/1955
11. Ubaldi Paolo, nato ad Ascoli Piceno il 19/06/1960
12. Piscitelli Maurizio, nato a Napoli il 26/04/1965
13. Multineddu Antonio Gavino, nato a Laerru il 20/07/1960
Ú. Russo Giovanni, nato a Castellammare di Stabia 11 03/05/1974
15. Furcas Corrado, nato a Cagliari il 08/01/1966
16. Serroni Giuseppe, nato a Capoterra il 19/03/1959

Data Udienza: 14/06/2013

17. Fonicella Mario, nato a San Prisco il 26/02/1960
18. Avoledo Reinhard, nato a Bolzano il 22/10/1964
19. Pintus Giovanni, nato a Torralba il 19/03/1967
20. Romeo Pietro, nato a Palermo il 27/01/1955
21. Mura Ignazio, nato a Cagliari il 21/02/1960
22. Mancini Diana, nata a Livorno il 14/11/1973
23. Gaetano Antonello, nato a Potenza il 17/02/1965

25. Cerasuoro Daniela, nata a Palermo il 07/01/1966
26. Incoronato Alfredo, nato a Pozzuoli il 07/11/1970
27. Patrizi Giuliano, nato a Monte San Giovanni Campano il 11/10/1955
28. Toccafondi Giacomo Vincenzo, nato a Genova il 06/03/1954
29. Amenta Aldo, nato a Noto il 10/09/1969
30. Mazzoleni Adriana, nata a Rosario (Argentina) il 16/03/1965
31. Sciandra Sonia, nata a Sanrema il 28/03/1963
32. Zaccardí Marilena, nata a Genova il 17/08/1958
33. Pigozzi Massimo Luigi, nato a Genova il 01/06/1963

sui ricorsi proposti da:
I. Perugini Alessandro, nato a Novara il 20/07/1971
2.

Poggi Anna, nata a Genova il 20/04/1970

3.

Doria Oronzo, nato a Manduria il 09/10/1954

4.

Cimino Ernesto, nato a Biemme (Svizzera) il 16/09/1966

5.

Pelliccia Bruno, nato a Guidonia Montecelio il 17/01/1961

6.

Gugiiotta Antonio Biagio, nato a Carosino il 11/06/1960

7.

Valerlo Franco, nato a San Vito al Tagliarnento il 11/02/1967

8.

Maida Daniela, nata a Siracusa il 16/12/1962

9.

Brami Gianmarco, nato a Trieste il 03/07/1971

10. Barucco Piermatteo, nato a Cuneo 28/11/1974
11. Tarascio Aldo, nato a Floridia il 08/02/1955
12. Taiu Antonello, nato a Sassari il 12/06/1957
13. Arecco Matilde, nata a Genova il 02/04/1962
14. Turco Mario, nato a Brindisi il 17/09/1955
15. Ubaldi Paolo, nato ad Ascoli Piceno il 19/06/1960
16. Piscitelli Maurizio, nato a Napoli il 26/04/1965
17. Multineddu Antonio Gavino, nato a Laerru il 20/07/1960
18. Russo Giovanni, nato a Castellammare di Stabia il 03/05/1974
19. Serroni Giuseppe, nato a Capoterra il 19/03/1959
20. Fonicello Mario, nato a San Prisco il 26/02/1960

2

24. Amadei Barbara, nata ad Arenzano il 09/02/1970


21. Avoledo Reinhard, nato a Bolzano il 22/10/1964
22. Pintus Giovanni, nato a Torralba il 19/03/1967
23. Romeo Pietro, nato a Palermo il 27/01/1955
24. Mura Ignazio, nato a Cagliari il 21/02/1960
25. Mancini Diana, nata a Livorno il 14/11/1973
26. Gaetano Antonello, nato a Potenza il 17/02/1965
27. Pígozzi Massimo Luigi, nato a Genova il 01/06/1963
28. Amadei Barbara, nata ad Arenzano il 09/02/1970

30. Tatomeo Francesco Paolo Baldassarre, nato a Trapani il 02/05/1960
31. Nurchis Egidio, nato a Esporlatu il 07/01/1959
32. Mulas Marcello, nato a Lanusei il 10/07/1966
33. Amoroso Giovanni, nato a Palermo il 29/05/1963
34. Toccafondi Giacomo Vincenzo, nato a Genova il 06/03/1954
35. Amenta Aldo, nato a Noto il 10/09/1969
36. Mazzoleni Adriana, nata a Rosario (Argentina) il 16/03/1965
37. Sciandra Sonia, nata a Sanremo il 28/03/1963
38. Zaccardi Marilena, nata a Genova il 17/08/1958
39. Furcas Corrado, nato a Cagliari il 08/01/1966
40. Sabia Colucci Michele, nato a Palermo il 31/07/1966

sui ricorsi proposti da:
Ministero dell’Interno, Ministero della Difesa e Ministero della Giustizia, in
persona dei rispettivi Ministri pro tempore, quali responsabili civili

avverso la sentenza del 05/03/2010 della Corte di appello di Genova

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giuseppe Volpe, che ha concluso come segue: «codesta Corte di cassazione
voglia: – dichiarare inammissibili per manifesta infondatezza tutte le questioni di
legittimità costituzionale prospettate dal ricorrenti ed il ricorso del Procuratore
Generale presso la Corte d’appello di Genova; – 1) annullare, senza rinvio, tutte
le statuizioni civili in favore delle parti civili non appellanti poste a carico di
imputati non appellanti, relativamente alle sole imputazioni per le quali detto
appello dell’imputato è mancato; – 2) annullare, senza rinvio, le statuizioni civili
poste a carico degli imputati in favore di 11.111~1~.~0111~

~Mia mmemidIMIL

111111~~
3

per)

29. Incoronato Alfredo, nato a Pozzuoli il 07/11/1970

inammissibilità dell’appello, ad eccezione delle statuizioni relative alle imputazioni per le quali vi fu appello degli imputati; – 3) annullare, con rinvio al giudice
civile cornpetente, le statuizioni civili poste a carico di Maida Daniela In favore
delle seguenti parti civili, non ricomprese ai punti 1 e 2:~11.~..
orA”idell~11111.111.41~111~~~1M1111~
ill1111~111111.111111~~~~11b; – 4) annullare, senza
rinvio, l’ordinanza di correzione di errore materiale della Corte d’appello di

confronti di_. per inammissibilità dell’appello delle
parti civili; – 6) annullare la sentenza, senza rinvio, relativamente alle liquidazioni di ulteriori provvisionali non domandate; – 7) annullare, con rinvio al
giudice civile competente in grado d’appello, tutte le statuizioni civili relative alla
liquidazione delle spese in favore delle parti civili appellanti o beneficiarie di
statuizioni a carico di imputati appellanti, perciò non ricomprese al punto 1); – 8)
annullare, senza rinvio, le statuizioni concernenti il delitto dell’art. 323 c.p., ove
affermatane la sussistenza come concorrente con il delitto dell’art. 608 c.p.,
ritenuto il primo reato assorbito nel secondo; – 9) rigettare nel resto i ricorsi di
Perugini, Cimino, Pelliccia, Maida, Barucco, Piscitelli, Multineddu, Russo, Furcas,
Serroni, Fonicello, Avoledo, Pintus, Romeo e Mura; – 10) dichiarare nel resto
inammissibili tutti gli altri ricorsi».
uditi per le parti civili l’avv. Sandro Lungarini in sostituzione dell’avv. Raffaele
Miraglia, costituito per

iseli~p15

l’avv. Fausto Maria Amato in

sostituzione dell’avv. Manlio Riccardo Dozzo, costituito per

mmeismilp

e dell’avv. Agnese Pinto, costituita pera…1~MM l’avv. Antonio
Lerici, costituito per 111~~~1111111111111~~ 11111~
111111~111~~~1~111111111~ l’avv. Federica Roccatti, costituita

p e r11111111~11111111~
costituito per

anche in sostituzione dell’avv. Claudio Novaro,

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per 11.1111/~ le

per~~~1~0~~
am111.1~1~1~~1
e dell’avv. Sveva Insabato, costituita

l’avv. Maria

D’Addabbo, costituita

anche in sostituzione dell’avv.

Roberto Lamacchia, costituito pere~1.11111.1111~~

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Massimo Auditore, costituito per 2.1111111~; l’avv. Riccardo Passeggi,
costituito per 111111~1.1.111~~1~1~1~111″

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~~111111~~1111~111~1~~~~
1111~1~~1~111111~11111~~ i ‘a vv . Alessandro
1111~. l’avv. Emanuele Tambuscio, costituito

4

Genova in data 10.11.2011; – 5) annullare la sentenza, senza rinvio, nei

all.11111~1~~1.1.ill; l’avv. Giuseppe Campanelli, costituito
per~111~111111111 l’avv. Sandra Lungarini, costituito per 1/~
l’avv. Fausto Gianelli, costituito per

emmor

l’avv. Vladimiro

Noberasco, costituito per1~111~ l’avv. Alberto Larnma, costituito per gli
eredi di

111.1.1111~1.

frattanto deceduto, nonché per ialifin~

ga~1111~1~1~~1110111~;

l’avv. Michela

Stefania Porcile, costituita per 111~1~111~11.111.111.1111~

iii~11~111b; l’avv. Stefano Bigliazzi, costituito perliall~~~

ii~~~~ei
costituito

per

anche in sostituzione dell’avv. Luca Moser,

dell’avv. Dario Rossi, costituito

1111111~~~

per~1111~

l’avv. Silvia Rocca in sostituzione dell’avv. Fabio

Fossati, costituito perall~111~1~~111~.; l’avv. Fabio
Taddei, costituito per 111~11.1~11.11~1111~1″
1.1111~11~~1111~~~ l’avv. Paolo Angelo
Sedani, costituito per MINIMIIII~11~1~1~; l’avv.
Filippo Guiglia, costituito

perge~§~~~~”

Sebastian; l’avv. Luca Partesotti, costituito per~~11111 l’avv. Luca
Brezigar, costituito per 111~111~1111~~11! l’avv. Licia
D’Amico, costituita

per nella

difesa di quest’ultimo

sostituita dall’avv. Alfredo Galasso); l’avv. Raffaella Multedo, costituita periffilla
11.~11111~ l’avv. Laura Tartarini, costituita per..

l’avv. Gilberto Pagani, costituita per~~~1111111111~1111″
111.1.11~1~11~1110~~111~~”
l’avv.
Ezio Paolo Menzione, costituito per~~1~1111111~~

111111~~l’avv.

~1~1111
costituito

Lorenzo Trucco,

~1I’avv.

per~

Massimo

Pastore, costituito per~1111~11111~1~1~11iii l’avv.
Federico Micali, costituito per 11~1111.); l’avv. Patrizia Maltagliati, costituita
Per

l’avv.

Malossi, costituito per

11111.~

Carlo

l’avv. Simonetta Criscì, costituita per

udito per i responsabili civili l’avvocato dello Stato Giuseppe Novaresi;

g

uditi per gli imputati l’avv. Giovanni Aricò, difensore di amino Ernesto e Pelliccia

5

per gli eredi di

Bruno; l’avv. Saverio Aloisio, difensore di Amoroso Giovanni e Sabia Colucci
Michele; l’avv. Ilaria Claudia Pasqui, difensore di 4111111111111~11~; l’avv. Stefano
Sambugaro, difensore di Turco ‘Mario e 4.1~0, anche in sostituzione
dell’avv. Alessandro Vaccaro, difensore di Pigozzi Massimo, Gugliotta Biagio
Antonio e Toccafondi Giacomo Vincenzo; l’avv. Alessandro Ferrero, difensore di
Barucco Piermatteo, anche in sostituzione del codifensore Giovanni Vercellotti;
l’avv. Maurizio Condipodero, difensore di Braini Gianmarco; l’avv. Piergiovanni
.1unca, difensore di Ubaldi Paolo, anche in sostituzione dell’avv. Giuseppe Maria

Ernesto e Pelliccia Bruno, anche in sostituzione dell’avv. Alberto Simeone,
difensore di Cerasuolo Daniela; l’avv. Giorgio Zunino, difensore di Multineddu
Antonio Gavino, Serroni Giuseppe, Avoledo Reinhard e Pintus Giovanni; l’avv.
Ennio Pischedda, difensore di Mil~1111. anche in sostituzione dell’avv.
Umberto Pruzzo, difensore di Poggi Anna; l’avv. Alfredo Biondi, difensore di
Piscitelli Maurizio, Multineddu Antonio Gavino, Russo Giovanni, Furcas Corrado,
Serroni Giuseppe, Fonicello Mario, Avoledo Reinhard, Pintus Giovanni, Romeo
Pietro e Mura Ignazio; l’avv. Maurizio Mascia, difensore di Gaetano Antonello;
l’avv. Paolo Scovazzi, difensore di Maida Daniela, anche in sostituzione dell’avv.
Vittorio Pendini, difensore di Perugini Alessandro, e dell’avv. Pierantonio
Franzosa, difensore di Mancini Diana; gli avv.ti Mario Iavicoli e Marco Giuseppe
Baroncini, difensori di Zaccardi Marilena, Amenta Aldo e 01.~111; l’avv.
Fiorenzo Celasco, difensore di

111~11111~1~~111111~11.

l’avv. Dario Imparato, difensore di Sciandra Sonia; l’avv. Massimo Bassi,
difensore di Mazzoleni Adriana.

RITENUTO IN FATTO

1. I fatti per cui si procede sono il seguito di quanto avvenuto in Genova nel
mese di luglio dell’anno 2001 quando, in occasione del vertice fra i capi di Stato
più industrializzati del mondo, noto come G8, si ebbero manifestazioni di
protesta da parte di gruppi che si opponevano alla globalizzazione dell’economia:
proteste dalle quali scaturirono eccessi che richiesero l’intervento delle forze
dell’ordine e diedero luogo a numerosissimi fermi e arresti.
1.1. In previsione della necessità di provvedere a una prima collocazione dei
fermati e arrestati, ai fini della loro identificazione e successivo smistamento
verso i carceri di destinazione o – quando necessario – verso il ricovero
ospedaliero, la caserma Nino Bixio di Bolzaneto venne predisposta per un utilizzo
come carcere provvisorio, dotato di uffici per le forze dell’ordine e per la Polizia
Penitenziaria, di ufficio matricola ed infermeria, oltre ad un certo numero di

6

Gallo, difensore di Amadei Barbara; l’avv. Salvatore Orefice, difensore di Cimino

celle; in essa furono quindi tradotti e custoditi molti dei fermati e degli arrestati
nell’arco di tempo compreso fra il 20 e il 23 luglio 2001.
1.2. Su quanto accaduto nel corso delle operazioni svoltesi nel sito di
Bolzaneto furono sporte numerose denunce per fatti illeciti, che diedero luogo
all’instaurazione di un complesso procedimento penale da parte della Procura
della Repubblica di Genova. Secondo il narrato dei denuncianti, recepito nei capi
d’imputazione, le persone ivi trasportate furono ingiustificatamente sottoposte a

ripetutamente colpite con calci, pugni, colpi di manganello; nell’essere obbligate,
durante l’attraversamento del corridoio e in ogni caso di trasferimento da un
locale all’altro, a tenere la testa abbassata all’altezza delle ginocchia e le mani
sulla testa, venendo frattanto colpite, ingiuriate e derise da poliziotti disposti ad
ali lungo il corridoio; nell’essere obbligati, durante la permanenza in cella, a
tenere ininterrottamente per ore una posizione vessatoria, in piedi con il viso
rivolto verso il muro, le braccia alzate oppure tenute dietro la schiena, talvolta
strettamente avvinte da !accetti, o anche sedute a terra a gambe larghe oppure
inginocchiate, subendo colpi e percosse ad ogni tentativo di cambiare posizione;
nel subire ingiurie e derisioni, anche con riferimento alle loro opinioni politiche,
alla sfera sessuale, alle credenze religiose e alla condizione sociale; nell’essere
costrette ad ascoltare canti inneggianti al fascismo e a pronunciare analoghi
slogan; nell’essere, in alcuni casi, raggiunte da spruzzi di gas urticante;
nell’essere private di cibo ed acqua, nonché di coperte per proteggersi dal freddo
notturno; nell’essere talora Impedite ad accedere al bagno per l’espletamento
delle funzioni fisiologiche, fino ad essere costrette a urinarsi addosso; nel subire,
durante la perquisizione, il danneggiamento o la distruzione di propri oggetti
personali, e in taluni casi il taglio dei capelli. Anche durante le visite mediche,
secondo l’ipotesi accusatoria, si erano verificati illeciti penalmente rilevanti: sia
per il carattere sbrigativo del

trine e della visita, talvolta connotata da

disinteresse per i sintomi dolorosi lamentati; sia per il verificarsi di ulteriori
episodi di violenza fisica in danno dei soggetti da visitare; sia per essersi
costrette persone di sesso femminile a denudarsi completamente davanti a
uomini presenti e a ruotare ripetutamente su se stesse, o ad eseguire flessioni.
Per quanto avvenuto in sede di immatricolazione, vennero elevate imputazioni di
falsità in atto pubblico per essersi attestata nei verbali, contro il vero, la rinuncia
degli arrestati ad informare i familiari e il consolato dello Stato di appartenenza.
1.3. Dell’esito dei giudizi di primo e di secondo grado, svoltisi
rispettivamente davanti al Tribunale e alla Corte d’Appello di Genova, si dirà
oltre nel trattare di volta in volta le posizioni dei singoli imputati qui ricorrenti.
Fin da ora va comunque osservato che, di tutti i reati per i quali si è ritenuta

7

maltrattamenti e vessazioni di ogni genere, consistite fra l’altro: nell’essere

accertata la responsabilità, è stata rilevata l’estinzione per intervenuto decorso
del termine prescrizionaie (cui hanno, tuttavia, rinunciato gli imputati Matilde
Arecco„ Mario Turco e Paolo Ubalcii); con le soie eccezioni costituite da un reato
di lesione volontaria grave e dai reati di falso, per i quali la disposta applicazione
dell’aggravante di cui all’art. 476, comma secondo, cod. pen. ha determinato
l’applicazione di un più lungo termine prescrizionale.

per i fatti ritenuti di maggior gravità è insorto il Procuratore Generale presso la
Corte d’Appello di Genova, il quale, nei confronti degli imputati Alessandro
Perugini, Anna Poggi, Ernesto Cimino, Bruno Pelliccia, Antonio Biagio Gugliotta,
Daniela Maida, Glanmarco Braini, Piermatteo Barucco, Matilde Arecco, Mario
Turco, Paolo Ubaldi, Maurizio Piscitelli, Antonio Gavino Multineddu, Giovanni
Russo, Corrado Furcas, Giuseppe Serroni, Mario Fonicello, Reinhard Avoledo,
Pintus Giovanni, Pietro Romeo, Ignazio Mura, Diana Mancini, Antonello Gaetano,
Barbara Amadei, Daniela Cerasuolo, Alfredo Incoronato, Giuliano Patrizi,
Giacomo Vincenzo Toccafondi, Aldo Amenta, Adriana Mazzoleni, Sonia Sciandra,
Marilena Zaccardi e Massimo Luigi Pigozzi, ha proposto ricorso per cassazione
sulla base di due motivi.
2.1. Col primo motivo il PG. ricorrente, premessa una rassegna circa lo

stato della giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo in tema di
tortura e richiamato il parametro di costituzionalità di cui all’art. 117 della
Costituzione italiana, solleva questione di legittimità costituzionale dell’ordinario
regime di prescrizione stabilito dall’art. 157 cod. pen., relativamente alle
condotte riconducibili alla nozione di tortura.
2.2. Col secondo motivo solleva analoga questione di legittimità
costituzionale in ordine all’indulto concesso dall’art. 1 della legge 31/07/2006, n.
241, in concreto applicato nel presente processo all’Imputato Massimo Pigozzi,
condannato per un delitto di lesione volontaria riconducibile, secondo il
deducente, alla nozione di tortura.

3. Avverso la sentenza si sono gravati, altresì, i 40 imputati dei quali di
seguito sono singolarmente esaminate le posizioni processuali e i motivi di
ricorso, prendendo le mosse da coloro ai quali, nella sentenza impugnata, sono
state attribuite funzioni di carattere apicale nella direzione del sito.

4. Alessandro Perugini, Vice Questore incaricato della trattazione dei fermati
e funzionario più alto in grado nel sito di Bolzaneto; imputato del delitto di abuso
di ufficio pluriaggravato (capo 1) per avere sottoposto – o lasciato che altri

8

2. Contro l’applicazione dell’istituto della prescrizione, così come dell’indulto,

sottoponessero – le persone ristrette a misure vessatorie e a trattamenti
inumani e degradanti, in violazione di norme di legge e della Convenzione
Europea per i Diritti dell’Uomo; del delitto di abuso di autorità contro arrestati
(capo 2), per aver sottoposto – o consentito che altri sottoponessero – a misure
di rigore non consentite le persone ristrette presso la caserma nel periodo in cui
esse erano a disposizione della Polizia di Stato; del delitto di violenza privata
pluriaggravata (capo 3) per aver consentito che 111111111~~ fosse

delitto di violenza privata pluriaggravata (capo 4) per aver consentito che

gmaimmompb venisse obbligato con percosse a firmare, contro la
sua volontà, i verbali relativi al suo arresto; del delitto di percosse pluriaggravate
(capo 5) per avere colpitc1111111~i fianchi e in altre parti dei corpo.
4.1. à stato condannato in primo grado per il solo reato di cui al capo 2
(escluso l’addebito riguardante la mancata somministrazione di cibo e bevande)
e assolto dalle restanti imputazioni. La Corte d’Appello ha parzialmente riformato
la sentenza, riconoscendo la responsabilità del Perugini in ordine ai capi 1) e 2),
così come contestati, e rilevando l’Intervenuta prescrizione. Lo ha quindi
condannato, in solido con la coimputata Anna Poggi e col responsabile civile
Ministero dell’Interno, al risarcimento dei danni in favore delle parti civilid~

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9

costretto con percosse a pronunciare un’espressione autodenigratoria; di altro

411111111~~1.1111111~111~1~

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~ah’
4.2. Il ricorso proposto dall’imputato, per il tramite dei difensori, è articolato
in due motivi.
4.2.1. Col primo motivo il ricorrente impugna la sentenza nella parte in cui
si è ritenuto configurabile il concorso forrnale fra i reati di cui agli artt. 323 e 608
del codice penale. Rileva che le medesime condotte materiali sono entrate nella
descrizione di entrambe le figure delittuose: sicché il carattere residuale del
reato di abuso di ufficio avrebbe dovuto condurre al suo assorbimento in quello
di abuso di autorità verso gli arrestati.
4.2.2. Col secondo motivo denuncia vizi di motivazione in ordine alla
ritenuta responsabilità omissiva ex art. 40 cod. pen.. Osserva che, mentre per il
magistrato coordinatore, Dott. Sa bella, si è ritenuto che, date le mansioni svolte
e il tempo trascorso nel sito, pote non aver percepito gli accadimenti nel loro
effettivo dinamismo, lo stesso criterio non è stato applicato al deducente.
Lamenta non essersi motivata la possibilità di intervenire, che si è basata
soltanto sul rapporto gerarchico e sulla presenza nel sito, senza considerare
l’enorme numero degli arrestati e dei dipendenti da sorvegliare, la vestita degli
ambienti e le molteplici attività di coordinamento da espletare.

5. Anna Poggi, Commissario Capo aggregata all’ufficio trattazione atti;

10

«~~~~~~flimmirmeirli~~.

imputata di abuso di ufficio pluriaggravato (capo 6) e abuso di autorità contro
arrestati (capo 7), in base a condotte omissive sostanzialmente coincidenti con
quelle ascritte al Perugini nei capi 1) e 2). E’ stata condannata in primo grado
per il solo reato di cui al capo 7, escluso l’addebito riguardante la mancata
somministrazione di cibo e bevande. La Corte d’Appello ha invece riconosciuto la
sua responsabilità per ambedue i reati, così come contestati, dei quali ha rilevato
l’Intervenuta prescrizione. Agli effetti civili ha pronunciato la sua condanna al

favore delle medesime parti civili sopra elencate.
5.1. L’imputata ha proposto personalmente ricorso in base a tre motivi.
5.1.1. Col primo motivo la ricorrente lamenta che la Corte d’Appello, pur
avendo premesso in linea di principio di ripudiare il criterio di giudizio secondo
cui la sola presenza nel sito sarebbe fonte di responsabilità in base all’assunto
«non poteva non vedere», si sia di fatto attenuta ad esso nel giudicare la sua
posizione. Osserva non essersi precisato, nella motivazione, in quali momenti
ella avrebbe avuto la possibilità di rendersi conto di quanto avveniva. Lamenta
non essersi tenuto conto delle numerose testimonianze a suo favore, né delle
dichiarazioni da lei stessa rese, di cui riproduce il testo nel ricorso.
5.1.2. Col secondo motivo denuncia errata applicazione dell’art. 40, comma
secondo, cod. pen.. Osserva che la Corte non ha indicato il momento
consumativo del reato, tralasciando di precisare in che cosa sarebbe dovuta
consistere l’azione doverosa omessa, né ha indagato sulla sua idoneità a
impedire l’evento. Osserva, altresì, essere mancata la motivazione in ordine al
dolo.
5.1.3. Coi terzo motivo denuncia carenza di motivazione in ordine alla
liquidazione delle provvisionali.

6411111~i ufficiale del disciolto corpo degli Agenti di Custodia,
responsabile del coordinamento e dell’organizzazione dei servizi di Polizia
Penitenziaria per il vertice G8, di fatto occupatosi solo delle carceri esterne
predisposte per l’accoglienza degli arrestati (fra cui il sito di Bolzaneto): imputato
dei reati di abuso di ufficio pluriaggravato (capo 12) e abuso di autorità contro
arrestati (capo 13), in base a condotte cornmissive od omissive non dissimili da
quelle già viste dianzi. Assolto in primo grado con statuizione non impugnata dal
Pubblico Ministero, dalla Corte d’Appello è stato riconosciuto responsabile agli
effetti civili e condannato, in solido col Ministero della Giustizia, al risarcimento
dei danni in favore delle parti civili

appellanticallell111~•~P

6.1. Il ricorso da lui proposto, per il tramite del difensore, è articolato in

11

risarcimento dei danni, in solido col Perugini e col Ministero dell’interno, in

dieci motivi.
6.1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta che la condanna a suo carico
sia stata emessa in favore di parti civili che non avevano interposto appello
avverso l’assoluzione pronunciata nei suoi confronti; osserva, al riguardo, che in
nessuna parte dell’atto d’impugnazione è fatto riferimento al proprio nome.
6.1.2. Col secondo motivo denuncia carenza di motivazione in ordine al
tacito rigetto della propria eccezione di inammissibilità dell’appello delle parti

6.1.3. Col terzo motivo specifica – e ripropone – le ragioni poste a base
della predetta eccezione, illustrandole secondo tre distinti profili, riguardanti:
l’omessa indicazione dei capi e punti della sentenza oggetto d’impugnazione;
l’omessa specificazione dei motivi; la genericità della domanda e la carenza
d’interesse ad impugnare. A quest’ultimo proposito osserva che le parti civili
appellanti avevano già ottenuto la condanna di altri imputati al risarcimento dei

danni da loro subiti, per cui avrebbero dovuto specificare sotto quale profilo
aquiliano la sentenza sarebbe stata fonte per essi di un pregiudizio al fini
risarcitori.
6.1.4. Col quarto motivo denuncia, siccome illegittima, la reformatio in peius
consistita nell’aver pronunciato condanna al risarcimento dei danni anche in
relazione al reato di cui al capo d’imputazione n. 13, sebbene l’appello si riferisse
soltanto al capo n. 12.
6.1.5. Col quinto motivo denuncia il vizio di ultra o extra petizione, insito nel
fatto che la sentenza si sia addentrata nella disamina della posizione di garanzia
attribuitagli, e negata dai Tribunale, sebbene l’appello delle parti civili non
avesse toccato tale argomento.
6.1.6. Col sesto motivo rimprovera alla Corte d’Appello di avere violato la
regola del ragionevole dubbio, cui all’art. 533, comma l, cod. proc. pen..
6.1.7. Col settimo motivo contrasta la configurabilità di un concorso formale
fra i reati di cui agli artt. 323 e 608 cod. pen..
6.1.8. Con l’ottavo motivo, tornando sulla posizione di garanzia attribuitagli
quale presupposto per l’applicabilità dell’art. 40, comma secondo, cod. pen.,
Sostiene essersi erratamente ravvisato un obbligo di subordinazione gerarchica
del personale della Polizia Penitenziaria nei confronti degli ufficiali del disciolto
corpo degli Agenti di Custodia,
6.1.9. Col nono motivo deduce illogicità di motivazione in ordine alla ritenuta
sua responsabilità.

6.1.10. Col decimo impugna l’entità della provvisionale.
6.2. Un’ulteriore censura, di illogicità della motivazione e travisamento della
prova, è sviluppata in una memoria con motivi nuovi, nella quale I ricorrente

12

civili.

sostiene esservi stata da parte della Corte territoriale un’errata lettura delle
prove testimoniali.

7. Ernesto Cimino e Bruno Pelliccia, entrambi ufficiali del disciolto corpo
degli Agenti di Custodia, con funzioni di responsabile e comandante del servizio
centrale traduzioni (5.C.T.) per il vertice G8; entrambi imputati di abuso di
ufficio pluriaggravato e abuso di autorità contro arrestati (capi 14 e 15 per

anche in questo caso, all’imposizione di misure vessatorie e di trattamenti
inumani e degradanti.
7.1. Assolti dal Tribunale per insussistenza dei fatti, sono stati riconosciuti
dalla Corte d’Appello colpevoli dei reati come contestati e, applicata la
prescrizione, condannati al risarcimento dei danni – in solido fra loro e col
Ministero della Giustizia – in favore delle parti civili~111~1~

Cimino, 16 e 17 per Pelliccia), per condotte com missive od omissive riconducibili,

111~~111111.11~1111111.11~
7.2. I due imputati hanno proposto congiuntamente ricorso, per il tramite
dei comuni difensori, affidandolo a sei motivi, cui hanno fatto seguito altri due
motivi presentati con atto separato.

Riproducendo parti dei verbali di udienza, contrastano Il convincimento della
Corte di merito secondo cui le violenze ai danni degli arrestati sarebbero state
continue e si sarebbero svolte anche sul piazzale d’ingresso al sito di Bolzaneto,
ad opera di un gruppo di poliziotti definito «comitato di accoglienza».
Sostengono che la propria presenza – non continuativa – all’interno del sito era
stata coincidente coi momenti nei quali nulla accadeva.
7.2.2. Coi secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 192 cod. proc.
pen. e travisamento dei fatti, contestano la fondatezza dei due presupposti sui
quali la Corte d’Appello ha basato l’affermazione di colpevolezza, e cioè: la
sussistenza di un rapporto gerarchico tra gli ufficiali del disciolto corpo degli
Agenti di Custodia e gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria; l’utilizzo
dell’assioma secondo cui essi, essendo presenti, non avrebbero potuto non
vedere.
7.2.3. Coi terzo motivo, espressamente dedotto in via subordinata, i
ricorrenti eccepiscono in rito la nullità, per entrambi, della notifica degli avvisi di
fissazione dell’udienza preliminare – e, per il solo Cimino, anche del decreto che
ha disposto il giudizio – nonché di tutti gli atti successivi. Precisano che il Cimino
ebbe ad eleggere domicilio presso il difensore e, contestualmente, presso la
propria abitazione: sicché l’elezione così formulata non era valida e la notifica
effettuata presso il difensore in base ad essa era nulla; quanto al Pelliccia,
osservano che costui, dopo aver eletto domicilio presso il difensore, con
successiva dichiarazione in sede di interrogatorio davanti al pubblico ministero
aveva invece eletto la propria abitazione: sicché la notifica effettuata al
precedente domicilio eletto, ormai revocato, era parimenti nulla. Denunciano
carenza di motivazione in ordine al rigetto di tali eccezioni.
7.2.4. Coi quarto motivo ripropongono l’eccezione di inammissibilità
dell’appello del pubblico ministero, per la sovrapponibilítà del suo tenore a quello
di una memoria depositata nel corso del giudizio di primo grado. Anche di tale
eccezione lamentano l’omessa disamina.
7.2.5. Coi quinto motivo denunciano, siccome contraria a legge, la disposta
condanna al risarcimento dei danni anche in favore delle parti civili che non

14

7.2.1. Col primo motivo i ricorrenti denunciano travisamento dei fatti.

avevano interposto appello avverso la pronuncia assolutoria.
7.2.6. Col sesto motivo impugnano l’entità delle provvisionali.
7.3. L’atto successivamente depositato s’indirizza a impugnare la sentenza,
così come risultante dopo le correzioni disposte con tre ordinanze in data 10
novembre 2011, in base ai due ulteriori motivi di seguito indicati.
7.3.1. Col settimo motivo i ricorrenti deducono violazione di legge, che
sarebbe insita nella liquidazione delle spese di parte civile nella misura di euro

parti civili erano state ammesse al patrocinio a spese dello Stato, il che
comportava la necessità di non eccedere i valori tariffari medi; sia perché in
diversi casi più parti civili erano assistite dal medesimo difensore.
7.3.2. Con l’ottavo motivo contestano che l’inserimento dei nome della parte
civile~l~ra i beneficiari della condanna al risarcimento dei danni
potesse essere disposto con procedimento di correzione

ex art. 130 cod. proc,

pen., non vedendosi in un’ipotesi di errore materiale, bensì di modificazione
essenziale dell’atto.
7.4. Agli atti vi è un’ulteriore memoria presentata a questa Corte
nell’interesse dei ricorrenti, recante in allegato copie di atti processuali finalizzate
a rendere autosufficiente il ricorso.

8. Antonio Biagio Gugliotta, Ispettore della Polizia Penitenziaria nominato
«responsabile della sicurezza»; imputato di abuso di ufficio pluriaggravato (capo
18) per avere sottoposto – o lasciato che altri sottoponessero – le persone
ristrette a misure vessatorie e a trattamenti inumani e degradanti, in violazione
di norme di legge e della Convenzione Europea per i Diritti dell’uomo; di abuso di
autorità contro arrestati (capo 19), per aver sottoposto – o consentito che altri
sottoponessero – a misure di rigore non consentite le persone ristrette presso la
caserma; di concorso agevolativo in percosse, lesioni, ingiurie, minacce e
violenza privata pluriaggravate (capo 20) ai danni

di :_i..,

percosso in

cella con calci mentre stava nella posizione vessatoria e ancora cori calci, pugni e
colpi di manganello quando aveva chiesto di poter andare in bagno;~
. ..
morimi~~111111May ripetutamente percossi da due ali di agenti
della Polizia Penitenziaria quando transitavano nel corridoio e in cella quando
tentavano di sedersi perché

stanchi ;111~~» costretto nel corridoio a

gridare «Viva il Duce»;11111~11~ percosso con un colpo di manganello
all’ingresso della caserma e ancora nei corridoio, con calci e pugni, riportando
lesioni; ingiuriato nel corridoio con frasi del tipo «Bastardi comunisti, è ora che
impariate»; percosso nella cella mentre era nella posizione vessatoria e quando
veniva fatto sostare nel corridoio, in attesa della visita medica, in altra posizione

15

18.000,00 per ciascuna: sia per essersi omesso di considerare che molte delle

caratterizzata dall’obbligo di tenere le gambe molto divaricate~~/1,
percosso con un pugno e uno schiaffo da un agente della Polizia Penitenziaria al
momento dell’arrivo in cella; ancora percosso alla caviglia dolorante e con un
colpo dietro alle ginocchia da due diversi agenti mentre sostava nel corridoio
nella posizione di cui sopra;~111~~1. percosso dalla Polizia
Penitenziaria con calci e pugni e costretto, con violenza e minaccia, a gridare
«Viva il Duce» e «Alala», oltre a subire una ustione al polso destro causatagli con

iffil”.1.11~11~1.11~1~111111M11.1~~~
quali soggetti passivi di fatti analoghi a quelli dianzi descritti; nonché, ancora, in
danno di 3111111111111~11111~~~11.1111~~~~ 1,

^costretti da agenti della Polizia Penitenziaria a fare il saluto romano e a
dire e ascoltare frasi contrarie alla propria fede politica; il capo d’imputazione
prosegue con l’elencazione di altre 67 persone offese e con la descrizione di
quanto da esse subito secondo l’accusa. Al Gugliotta sono stati altresì contestati i
reati di lesione volontaria (capo 21), percosse (capo 22) e ingiuria continuata
(capo 23), direttamente commessi nei confronti di~/~~ fermato per
l’identificazione; di violenza privata ai danni di (capo 24), costretto a
marciare nel corridoio della caserma e ad alzare il braccio destro in segno di
saluto fascista; d i percosse inflitte 3111~, (capo 25), facendogli sbattere
la testa contro il muro mentre si trovava nel corridoio in posizione vessatoria.
8.1. Il Tribunale ha condannato il Gugliotta per i reati di cui ai capi 18, 19,
20, 21, 22, 23 e 24, escluse le contestazioni riguardanti l’omessa somministrazione di cibo e bevande, nonché i riferimenti alle persone offese~
illgi1″11~111111~u 1111~1~~41.1~IP
Sebastian, esclusa altresì l’aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen.; lo ha
condannato alla pena di legge e al risarcimento dei danni, in solido col Ministero
della Giustizia, in favore delle parti civili«.11~~1111.~
1
diellid~01~1111.
diffiellill~11111~.~111~1~1.11~11~1.1~
«.11~~11111~11~1~11~~ 1111111~~

4111101~~~~~111~~111~11111~~

una sigaretta; ed altresì in danno dial1~111.1.1111~11~.

weimiral~1111

8.2. La Corte d’Appello ha ravvisato la responsabilità del Gugliotta per tutti i
reati così come contestati, dichiarandone tuttavia l’estinzione per prescrizione e
confermando le statuizioni civili.
8.3. L’imputato ha proposto ricorso congiuntamente a Massimo Pigozzi e
Giacomo Vincenzo Toccafondi, per il tramite del comune difensore; ma i motivi
inerenti a ciascuno sono illustrati separatamente, stante la diversificazione delle
posizioni processuali.
8.3.1. Dei due motivi riguardanti il Gugliotta, il primo muove critiche alla
motivazione della sentenza, in quanto attenta agli aspetti generali delle vicende
e non alle specifiche responsabilità a lui addebitate. Lamenta il ricorrente che si
sia omesso ‘di considerare che ognuno degli uffici istituiti nel sito di Bolzaneto

17

1~111111111~11111~

aveva un proprio responsabile, così essendosi erratamente attribuito al Gugliotta
il ruolo di unico responsabile della sicurezza. Sostiene che, incaricato soltanto di
organizzare l’immatricolazione e la visita medica degli arrestati, per poi metterli
a disposizione della Polizia Penitenziaria, si era trovato senza uomini, senza
disposizioni, senza un regolamento, senza potere d’intervento nei confronti degli
altri appartenenti alle forze dell’ordine. Osserva che due sole persone offese
hanno riconosciuto in lui l’autore delle angherie subite e contesta tali

8.3.2. Col secondo motivo il ricorrente deduce l’illegittimità della condanna
emessa in favore delle parti civili, siccome pronunciata singolarmente a carico
dei diversi imputati, anziché in via solidale fra loro.

9. Piermatteo Barucco, Sottotenente dei Carabinieri comandante del
contingente addetto al servizio di vigilanza dalle ore 8 alle 19 del 21 luglio 2001;
imputato del delitto di abuso di autorità contro arrestati (capo 31), per aver
sottoposto — o consentito che altri sottoponessero — a misure di rigore non
consentite le persone ristrette nella caserma; nonché di concorso ex art. 40 cod.
pen. nei delitti di percosse, lesioni, ingiurie, minacce e violenza privata ai danni
di 41 detenuti, indicati nominativamente nel capo d’imputazione 32 con la
descrizione di quanto da ciascuno di essi subito secondo l’accusa.
9.1. In primo grado è stato assolto da tutte le imputazioni con la formula
*perché il fatto non costituisce reato». La Corte d’Appello è venuta in contrario
avviso, riconoscendo la sua responsabilità in ordine ad ambedue i reati
contestatigli, peraltro estinti per prescrizione; e lo ha condannato, in solido col
Ministero della Difesa, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili

~11~~1~1~11~”•”~

9.2. L’imputato ha proposto ricorso, per il tramite del difensore, affidandolo

a due motivi.
9.2.1. Col primo motivo il ricorrente denuncia mancanza e contraddittorietà
di motivazione per esserglisi addebitati gli stessi fatti ascritti ai coimputato
Gianmarco Braini, che aveva operato in una diversa fascia oraria. La

18

riconoscimenti, sottoponendo ad analisi il dichiarato dei testi.

altresì, che la Corte abbia omesso di coordinare le dichiarazioni dei testi elencati
in motivazione (i quali avevano riferito della presenza di Carabinieri sul piazzale
al momento del loro arrivo) con quelle degli altri testi secondo i quali, al
sopraggiungere dei Carabinieri, le vessazioni erano cessate. Osserva che la
motivazione non spiega le ragioni di dissenso da quanto osservato dal Tribunale,
secondo cui i Carabinieri avevano una limitata autonomia essendo alle dipendenze funzionati della Polizia di Stato; né spiega perché egli debba rispondere del

9.2.2. Col secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 608 cod.
pen.; osserva che la norma incriminatrice richiede che l’agente abbia la custodia
– anche temporanea – del detenuto: per cui egli non dovrebbe rispondere di
quanto avvenuto sui piazzale, nei confronti di persone che non erano in quel
momento sottoposte alla sua custodia. Rileva che l’avere disposto l’attenuazione
delle misure di rigore è incompatibile col dolo.

10. Gianmarco E3raini, Tenente dei Carabinieri comandante del contingente
addetto al servizio di vigilanza dalle ore 19 del 21 luglio alle ore 8 del 22 luglio;
imputato del delitto di abuso di autorità contro arrestati (capo 29), per aver
sottoposto – o consentito che altri sottoponessero – a misure di rigore non
consentite le persone ristrette presso la caserma; nonché di concorso ex art. 40
cod. pen. nei delitti di percosse, lesioni, ingiurie, minacce e violenza privata ai
danni di 49 persone ristrette nella caserma, indicate nominativamente nel capo
d’imputazione 30 con la descrizione di quanto da ciascuna di esse subito secondo
l’accusa.
10.1. Assolto dal Tribunale in applicazione dell’art. 530, comma 2, del codice
di rito, dalla Corte d’Appello è stato ritenuto responsabile di entrambi i reati,
peraltro prescritti, e condannato al risarcimento dei danni, in solido col Ministero
della Difesa, in favore delle parti civi101111~11

reati di percosse, lesioni, minacce, ingiurie e violenza privata.

tol~~»
10.2. L’imputato ricorre in base a un solo motivo. Can esso deduce esser -vi

censura riproducendo il testo della deposizione resa dalla persona offesa
111~~aliie si richiama a quelle, confermative,«~~.

4

dell’infermiere Poggi e del Carabinieri addetti ai servizi di vigilanza.

11. Maurizio Piscitelli, Antonio Gavino Multineddu, Giovanni Russo, Corrado
Furcas, Giuseppe Serroni, Mario Fonicello, Reinhard Avoledo, Giovanni Pintus,
Pietro Romeo e Ignazio Mura, inquadrati in sentenza nella categoria dei
cosiddetti intermedi, in quanto sottufficiali dei Carabinieri impiegati nel servizio
di vigilanza in due turni; i primi quattro, (Piscitelli, Multineddu, Russo e Furcas)
con orario dalle 8 alle 19 dei 21 luglio 2001; gli altri (Serroni, Fonicello, Avoledo,
Pintus, Romeo e Mura) dalle 19 del 21 luglio alle ore 1 del 22 luglio, di fatto
avendo protratto il servizio fino alle successive ore 8. Sono stati accusati, con
distinti capì d’imputazione dal contenuto sostanzialmente analogo (nn. dal 39 al
48), di concorso ex art. 40 cod. peri. nel delitto di cui all’art. 608 cod. pen.. Nella
sentenza è precisato che le contestazioni non hanno riguardato specifici reati di
percosse, lesioni, ingiurie, minacce e violenze perché gli imputati in questione,
essendo responsabili solo della singola squadra, erano titolari di un obbligo di
garanzia limitatamente al trattamento delle persone sottoposte alla loro
vigilanza: e poiché erano presenti contemporaneamente diverse sottosquadre,
non è stato possibile accertare quale fosse l’abbinamento tra le cella in cui v’era
una persona offesa di specifici reati e la sottosquadra addetta alla sua vigilanza,
sicché non è stato possibile individuare il sottufficiale di riferimento.
11.1. Il Tribunale ha pronunciato, per tutti, assoluzione per mancanza di
dolo. La Corte d’Appello ha invece ravvisato la sussistenza dei reati contestati,
peraltro prescritti, e ha disposto la condanna di Piscitelli, Multineddu, Russo e
Furcas, in solido col Ministero della Difesa, ai risarcimento dei danni in favore di

20

stata da parte della Carte un’errata lettura dei dati processuali; illustra la

%.

1111~1111111~111~11111111~~~, quanto ai

soli

Piscitelli e Multineddu, anche in favore delle parti civili …1~ ha poi
condannato Serroni, Foniceflo, Avoledo, Pintus, Romeo e Mura, in solido col

Ministero della Difesa, al risarcimento dei danni in favore efilil~~111~111i

alill~1~~11~1.1.”
11.2. Tutti gli imputati suddetti hanno proposto congiuntamente ricorso per
il tramite del comune difensore. Alla censura introduttiva, con cui si lamenta che
non siano state analizzate le posizioni individuali, segue l’esposizione dei quatto
motivi in cui si articola l’atto di impugnazione.
11.2.1. Col primo motivo i ricorrenti eccepiscono l’inammissibilità delle
conclusioni assunte dalle parti civili non appellanti.
11.2.2. Col secondo motivo deducono la violazione dell’art. 581 cod. proc.
peri. quanto agli appelli delle parti civiiiiii.~~~ Di questi
eccepiscono la genericità per mancata indicazione degli imputati nei confronti dei
quali l’impugnazione era proposta (essendovi soltanto un richiamo alle
conclusioni prese in primo grado), nonché dei motivi d’impugnazione e dei capi
impugnati.
11.2.3. Col terzo motivo, denunciando erronea applicazione degli artt. 40 e
608 cod. pen. e vizi di motivazione, i ricorrenti deducono incompatibilità fra le
valutazioni della Corte d’Appello e le risultanze processuali ; rilevano essersi
ammesso che i ricordi delle persone offese potevano essere resi confusi e
contraddittori dalle percezioni dolorose al limite della sopportabilità: il che
avrebbe dovuto condurre a una conclusione assolutoria; rilevano che quanto
riferito dalla persona offesa~~, in ordine alle percosse subite e

21

t

al diniego delle medicine che aveva nello zaino, riguardava una fase temporale in
cui non c’erano i Carabinieri; propongono la rivisitazione di alcune altre
testimonianze, dalle quali assumono potersi trarre una distinzione dei ruoli;
rilevano non potersi stabilire con certezza chi abbia consentito ad altri di
provocare i comportamenti vessatori e chi, invece, si sia attivato per aiutare;
insistono sulla limitata autonomia d’azione consentita ai Carabinieri in quel
contesto.
11.2.4. Col quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 76,

605 e 539 cod. proc. pen.. Deducono che, a dimostrazione della massificazione
delle responsabilità, è stata pronunciata condanna ai risarcimento dei danni in
favore di alcune parti civili che non avevano avuto alcun rapporto con essi. In
particolare, per quanto riguardante gli imputati Piscitelli, Multineddu, Russo e
Furcas, il cui turno era durato dalle ore 8 alle 19 del 21 luglio, sostengono non
essere giustificata la condanna in favore delle parti civii~che era transitato
nel sito venerdi 20 luglio),~111~P (arrestati alla scuola Diaz e quindi
giunti non prima del 22 luglio).
11.3. La difesa degli imputati ha poi depositato una memoria con motivi
nuovi, con la quale i ricorrenti denunciano, quale errore metodologico commesso
dalla Corte d’Appello, la mancata confutazione delle ragioni addotte dal Tribunale
a sostegno della pronuncia di assoluzione. Sotto altro profilo eccepiscono la
violazione del principio affermato dalla Corte europea per i Diritti dell’Uomo, in
base al quale il giudice di appello non può addivenire ad una diversa valutazione
delle prove testimoniali, con conseguenze peggiorative della condizione dell’imputato, se non dopo aver rinnovato l’audizione dei testi.

12. Antonello Gaetano, Ispettore Superiore della Polizia di Stato,
responsabile dell’ufficio trattazione atti per la Squadra Mobile; imputato dei
delitti di concorso in lesione e violenza privata pluriaggravata ai danni di
Larroquelle David, costretto con la violenza fisica a firmare gli atti relativi al suo
arresto (capo n. 54); di concorso ex art. 40 cod. pen. in violenza privata
pluriaggravata al danni dill~11111p costretta a subire il taglio di tre ciocche
di capelli (capo n. 55); di concorso in violenza privata aggravata e continuata ai
danni di
costretti con percosse e minacce a firmare gli atti
relativi al loro arresto (capo n. 56).
12.1. Il Tribunale ha ritenuto la sua responsabilità, con esclusione
dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen., e lo ha condannato alle pene di
legge e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, in solido col Ministero
dell’Interno (fatta eccezione, quanto a quest’ultimo, per i danni subiti

dall’ha

22
1

7

~W La Corte d’Appello ha ravvisato la responsabilità per tutti i reati come
contestati, rilevandone tuttavia l’intervenuta prescrizione, e ha confermato le
statuizioni civili.
12.2. Ha proposto personalmente ricorso l’imputato, deducendo tre motivi.
12.2.1. Col primo motivo il ricorrente denuncia inosservanza del principio di
correlazione fra contestazione e sentenza. Osserva, in proposito, che l’imputazione elevatagli in base alle indicazioni delle querele collocava temporalmente i

L’avere i giudici aderito allo spostamento cronologico derivante dalle testimonianze interessate delle persone offese ha pregiudicato, secondo il ricorrente, il
suo diritto alla difesa.
12.2.2. Col secondo motivo, ancora soffermandosi sullo stesso argomento,
deduce carenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine al tempo e al
luogo dei fatti contestati.
12.2.3. Col terzo motivo deduce analoghi vizi di motivazione in ordine alla
ritenuta attendibilità delle prove a carico e inattendibilità, per converso, di quelle
favorevoli alla difesa.

13. Massimo Luigi Pigozzi, Assistente Capo della Polizia di Stato,
componente della pattuglia che aveva trasportato alcuni fermati per l’identificazione dall’Ospedale San Martino alla caserma di Bolzaneto; imputato di lesione
personale grave e pluriaggravata ai danni di Azzolina Giuseppe per avergli
causato alla mano, divaricandone le dita, una lacerazione guarita secondo
l’imputazione in giorni 50 (capo n. 57).
13.1. Il Tribunale ha riconosciuto la responsabilità dell’imputato, esclusa
l’aggravante della crudeltà, e Io ha condannato alla pena di legge e al
risarcimento dei danni in favore della parte civile, in solido col Ministero
dell’Interno. La Corte d’Appello ha confermato il deliberato.
13.2. Il Pigozzi ha proposto ricorso per cassazione (congiuntamente ai
coimputati Gugliotta e Toccafondi, come già visto), deducendo per parte propria
cinque motivi.
13.2.1. Col primo motivo il ricorrente rimprovera alla Corte di avere risposto
disorganicamente ai motivi di appello, senza correlarsi ai dati processuali.
Riproduce parte delle dichiarazioni rese ~11~ al fine di contestare
l’attendibilità della propria individuazione quale autore del reato.
13.2.2. Col secondo motivo deduce la mancata acquisizione di una prova
decisiva, che indica nell’assunzione di due testi che erano stati presenti quando,

a/)

il giorno 1 agosto 20011~ aveva incontrato il Pigozzi e riconosciuto in lui
l’autore del fatto verificatosi il 20 luglio. Lamenta, inoltre, che il primo giudice si

23

fatti ascrittigli in orari incompatibili con la sua presenza nel sito di Bolzaneto.

sia ingiustificatamente rifiutato di ammettere una domanda che la difesa
intendeva rivolgere al teste

Millegi riguardante i suoi precedenti penali, e di

acquisire il relativo certificato.
13.2.3. Col terzo motivo contrasta l’applicazione dell’aggravante dl cui
all’art. 583, comma 1, n. 1 cod. pen., sostenendo che la durata della malattia
non ha superato i 30 giorni.
13.2.4. Col quarto motivo deduce vizi di motivazione in ordine ai criteri

generiche e all’entità dell’aumento di pena per la continuazione.
13.2.5. Col quinto motivo impugna l’entità della provvisionale assegnata alla
parte civile.

14.

111211~11~, e 1.1111~111~11111, entrambi Assistenti della

Polizia Penitenziaria addetti al servizio matricola; il primo imputato di tre reati
continuati di concorso in falsità ideologica in atto pubblico, per avere attestato a
verbale, contro il vero, la mancata richiesta di avviso dell’arresto a familiari e
parenti e la mancata richiesta di comunicazione all’ambasciata o al consolato del
paese di appartenenza, per quanto attinente a

imag~~a,

Ifiegii~~~111~~111~”,
Milalli~~ (capo 79 ); 11~1~11~1~1

VINIONNI~~~~ (capo

80 ),

iglig~la

111111″Capo 81); il secondo coimputato col primo nel reato da ultimo
descritto, addebitatogli al capo 82, e in altro analogo reato per quanto attinente

capo 83).
14.1. Il Tribunale ha assolto ambedue gli imputati per insussistenza dei fatti
loro ascritti. La Corte d’Appello è venuta in contrario avviso, dichiarando la
responsabilità dell’Amoroso per i tre reati ascrittigli, unificati dal vincolo della
continuazione, e condannandolo alla pena di legge e al risarcimento dei danni, in

24

sanzionatori applicati, con specifico riferimento al diniego delle attenuanti

solido col Ministero della Giustizia, in favore delle parti civili

…~..

del

Del pari ha riconosciuto la responsabilità

applicando la continuazione fra i due reati ascrittigli e

condannandolo alla pena di legge e ai risarcimento dei danni, in solido col

1~1111111111111111111111k

Ministero della Giustizia, in favore delle parti civili

immeinm
14.2. Hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione i due imputati,
per il tramite del comune difensore, affidandolo a tre motivi.
14.2.1. Col primo motivo, deducendo violazione di legge e vizi di
motivazione, i ricorrenti contestano di aver negato agli arrestati il diritto di
avvertire i familiari e il consolato dello Stato di appartenenza; sostengono
esservi stato errore di fatto, dipeso da incomprensione della lingua, già
riconosciuto dal Tribunale e non confutato adeguatamente dalla Corte d’Appello.
Lamentano che la decisione sia frutto di un travisamento delle emergenze
processuali, per essersi ritenuto che l’omissione inficiasse tutti i verbali, mentre
riguardava soltanto una parte di essi. Rilevano l’insussistenza di qualsiasi
movente.
14.2.2. Col secondo motivo deducono inosservanza dei principio di
correlazione fra contestazione e condanna, per essere stata applicata
l’aggravante di cui al capoverso dell’art. 476 cod. pen., in assenza di qualsiasi
precedente contestazione.
14.2.3. Col terzo motivo, consequenziale al precedente, eccepiscono
l’intervenuta prescrizione dei reati loro ascritti.

15.

amirmairs,

anch’egli Assistente della Polizia Penitenziaria addetto

all’ufficio matricola; imputato di due reati continuati di concorso in falsità
ideologica in atto pubblico per avere attestato a verbale, contro il vero, la
mancata richiesta di avviso dell’arresto a familiari e parenti e la mancata
richiesta di comunicazione all’ambasciata o al consolato del paese di
appartenenza, per quanto attinente a 11.11~1.111.111.11111~~1111
(capo 76), nonché ad

1111111111~~1.11~1~11~ip

ani~1.111~1~1~11~capo

77).
15.1. Assolto in primo grado per insussistenza del fatto, è stato condannato

in appello alla pena di legge, previa applicazione della continuazione, e

25

risarcimento dei danni, in solido coi Ministero della Giustizia, in favore delle parti
civili

ggigaging~~~~~ 1
15.2. L’imputato ha proposto ricorso, per il tramite del difensore, sulla base

di due motivi.
15.2.1. Col primo motivo il ricorrente denuncia errata applicazione della
legge penale; sostiene esservi stato errore di fatto, dovuto alla reciproca
incomprensione della lingua. Sottolinea che suo compito non era quello di

raccolti da altri. Sottopone ad analisi le dichiarazioni rese dalle sette persone
offese per le quali ha sottoscritto i verbali e osserva: che tre di loro

1.1.111.111111~

non hanno firmato perché non conoscevano la lingua;

tre non sono state in grado di riferire alcunché
due (lo stesso

~OD

iii~1111~~

1~1.1111111″

e

hanno firmato nel carcere di

destinazione analogo documento di rinuncia ad avvertire i familiari e il consolato.
Lamenta che di tutto ciò non si sia tenuto conto.
15.2.2. Col secondo motivo si duole che sia stata applicata l’aggravante di
cui al secondo cornma dell’art. 476 cod. pem, sebbene non contestata.
15.3. Una successiva memoria difensiva con motivi nuovi s’impernia, per un
verso, sulla dedotta contraddittorietà della motivazione rispetto ai dati
processuali, che illustra attraverso la riproduzione di estratti delle trascrizioni di
deposizioni testimoniali; per altro verso sui denunciati vizi motivazionali in ordine
all’elemento soggettivo del reato e all’errore di fatto; per altro verso ancora sulla
mancata contestazione dell’aggravante della fidefacenza.

16.1.1.111111.11.1111bedaill~ il

primo Ispettore Capo della

Polizia Penitenziaria e responsabile del servizio matricola, li secondo Vice
Sovrintendente addetto al medesimo servizio; entrambi imputati per concorso
nei reati di falsità ideologica in atti pubblici riguardanti l’attestazione della
mancata richiesta di avviso ai familiari e di comunicazione all’ambasciata o al
consolato per gli arrestati di provenienza estera già dianzi visti (capo
d’Imputazione n. 70 per Tolomeo e capi 71, 72, 73,74 e 75 per Nurchis).
16.1. Entrambi sono stati assolti dal Tribunale per insussistenza dei fatti con
pronuncia non impugnata dal pubblico ministero. Su appello delle parti civili la
Corte di Genova ha invece ritenuto la loro responsabilità e pronunciato
condanna, in solido tra loro e col Ministero della Giustizia, al risarcimento dei
danni in favore delle parti civili

16.2. I due imputati hanno proposto congiuntamente ricorso, per il tramite

26

raccogliere le dichiarazioni, ma soltanto di inserire nel sistema informatico i dati

.

del comune difensore, affidandolo a cinque motivi.
16.2.1. Col primo motivo i ricorrenti eccepiscono l’inammissibilità degli
appelli proposti dalle parti civili Taiii 1~1~~1111~11111.
IIMMMIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIMIIOIIIMIIMIIEIIMIMIIIIIIIIIW Rilevano la
mancanza, negli appelli di 411~1

di richieste specifiche

riguardanti le persone dei deducenti; in tutti, inoltre, segnalano la mancata
specificazione delle ragioni di diritto e la genericità di quelle di fatto, oltre alla
mancata indicazione dei capi e punti della sentenza investiti dal gravame.
16.2.2. Col secondo motivo deducono violazione di legge per essersi omesso

,

di rilevare l’inammissibilità degli appelli per mancata indicazione delle condotte
specificamente ascritte ai deducenti, nonché per la richiesta di affermazione della
penale responsabilità, cui le parti civili non erano, a loro avviso, legittimate.
16.2.3. Col terzo motivo, denunciando Illogicità di motivazione e
travisamento della prova, lamentano che non si

sia

tenuto conto della

disorganizzazione dell’ufficio e della mancanza di interpreti; si richiamano alle
deposizioni di alcuni testi, a conferma dell’esistenza di problemi organizzativi.
Rilevano che l’avviso al consolato era obbligatorio, indipendentemente dalla
volontà degli arrestati. Negano di aver avuto consapevolezza di condotte dei
sottoposti contrarie a legge, non essendo stato il Tolomeo presente alle pretese
falsificazioni seriali e non avendo il Nurchis presenziato, dopo turni massacranti,
alle dichiarazioni contestate.
16.2.4. Col quarto motivo deducono erronea applicazione dell’art. 479 cod.
pen., in considerazione del fatto che l’obbligo a carico dei pubblico ufficiale è
quello di attestare fatti e non dichiarazioni di volontà. Elencano testimonianze
delle quali assumono esservi stato il travisamento (testi

Immomm

16.2.5. Col quinto motivo denunciano come illegittima l’applicazione
dell’aggravante ex art. 476, comma secondo, cod. pen., mai contestata.

17. Al novero dei cosiddetti intermedi sono anche riconducibili i comandanti
dei gruppi e sottogruppi della Polizia di Stato succedutisi nel servizio di vigilanza
dei fermati e degli arrestati tra il pomeriggio del 20 luglio 2001 e il mattino dei
giorno successivo. I nuclei di imputazioni elevati in proposito riguardano il
contingente al comando dell’Ispettore Superiore 111~1~111i, comprendente
l’Ispettore ailira~ e il Sovrintendente

i III 111 I i i i MaL,

e il contingente al

comando dell’Ispettore Superiore Daniela Maicia, comprendente la

Vice

Sovrintendente Matilde Arecco e gli Ispettori Mario Turco e Paolo Libaldi.

I

27

18. Agli imputati

irg~imine

è stato contestato, nei rispettivi

capi d’imputazione 26, 33 e 34, il concorso ex art. 40 cod. pen. nel delitto di cui
all’art. 608 dello stesso codice in relazione alla sottoposizione dei fermati e degli
arrestati alle misure di rigore già viste nei trattare di analoghe imputazioni, con
riferimento cronologico alla fascia oraria dalle ore 17 alle 19 del giorno 20 luglio.
All’assoluzione pronunciata dal Tribunale, non impugnata dal pubblico
ministero, ma da alcune parti civili, è seguita la riforma ai soli effetti civili ad

appartenenza fosse rimasto sul posto fino alle ore 23, quando era sopraggiunto il
contingente Maida, ha ravvisato la responsabilità degli imputati per tutto quanto
avvenuto fino a quell’ora; e li ha quindi condannati, in solido fra loro e col
Ministero dell’interno, al risarcimento dei danni in favore delle parti civilif~

‘111~~111•1111~1~
Gli imputati hanno proposto separati ricorsi per cessazione, a mezzo dei
rispettivi difensori, per le ragioni che vengono di seguito partitamente esposte.
18.1. Il ricorso c1~ 11~111è affidato a cinque motivi.
18.1.1. Col primo il ricorrente eccepisce l’inammissibilità dell’appello
proposto dalle parti civili

1.~~~~1111111~11.

adducendo svariate ragioni: non essere nominati gli imputati nei confronti dei
quali si intendeva impugnare la sentenza; non essere indicate le ragioni di fatto
e di diritto destinate a sorreggere le richieste degli appellanti nei confronti del

~111,

essere formulata la richiesta, preclusa alla parte civile, di affermazione

di responsabilità penale degli imputati. Lamenta, altresì, carenza di motivazione
sui punti in questione.
18.1.2. Col secondo motivo deduce difetto di motivazione in ordine alla
legittimazione ad impugnare delle parti civili. Osserva che non è certo che
costoro fossero transitate nel sito nell’orario in cui egli prestò servizio: vi era
stata un’ordinanza che riservava all’istruttoria dibattimentale l’accertamento
della circostanza; e in esito all’istruttoria il Tribunale aveva individuato i soggetti
passivi del reato in otto persone, cinque delle quali rimaste irreperibili, mentre le
altre tre non risultavano essere state obbligate alla posizione vessatoria.
18.1.3. Col terzo motivo denuncia violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. per
essersi estesa la responsabilità del deducente ai fatti verificatisi al di fuori della
fascia oraria dalla 17 alle 19, cui era limitata la contestazione: ciò in quanto si è
ritenuto (fra l’altro immotivatamente) che il servizio si fosse protratto fino alle
ore 22; nonché per l’attribuzione di fatti diversi dalla posizione vessatoria,
consistiti nel non aver impedito maltrattamenti inumani e degradanti, anche
questi estranei al capo d’imputazione.
18.1.4. Col quarto motivo, riprendendo l’argomento inerente alla durata del
28

opera della Corte d’Appello; la quale, sul presupposto che il contingente di

servizio in Bolzaneto, si richiama alla propria relazione di servizio, nella quale è
attestato l’allontanamento dal sito alle ore 18.30. Sotto altro profilo lamenta che
si sia ritenuta la sua responsabilità sul presupposto che non avesse potuto non
vedere, sentire, percepire con l’olfatto quanto accadeva nel sito, così
accomunando ingiustificatamente la sua posizione a quella di tutti gli imputati ivi
presenti. Osserva che il narrato delle persone offese11111M1~~1~111111a,
si riferisce ad orari nei quali il contingente non era più sul posto.

nei primi quattro motivi a sua volta deduce: 1) inammissibilità, per le ragioni già
viste, dell’appello delle parti civili; 2) carenza di motivazione in ordine alla
relativa eccezione; 3) violazione degli artt. 521 e 522 del codice di rito; 4) errata
ricostruzione della fascia oraria di servizio del contingente. Con un quinto motivo
denuncia carenza di motivazione in ordine all’entità della provvisionale.
18.3.11 ricorso di 1111•1111~11è anch’esso articolato in cinque motivi.
18.3.1. Coi primo di essi il ricorrente deduce carenza di motivazione in
ordine al rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dalle parti
civili MIES~1~/~p viziato da genericità sia nella parte riguardante la mancata indicazione degli imputati, sia nelle Parti in cui dovevano
essere enunciati i capi e i punti della sentenza investiti dall’impugnazione.
18.3.2. Col secondo denuncia inosservanza dell’art. 521 cod. proc. pen.:
osserva che, nel decidere sulla domanda civile riproposta con l’atto di appello, la
Corte territoriale ha affermato la responsabilità dell’imputato per fatti diversi da
quelli contestati. infatti, sebbene l’imputazione si riferisse a fatti avvenuti nella
fascia oraria compresa fra le 17.00 e le 19.00 del 20 luglio 2001 (per i quali era
intervenuta assoluzione in primo grado), si è ravvisata la responsabilità per
l’applicazione di misure di rigore verificatesi in orari diversi, sul presupposto che
il contingente di appartenenza si fosse trattenuto sul posto dopo le 19.00.
18.3.3. Col terzo motivo deduce carenza di motivazione in ordine alle
dichiarazioni delle persone offese4111~~~111r lamenta che la
Corte non abbia verificato quando i fatti fossero iniziati e con quale forza e
gradualità fossero proseguiti.
18.3.4. Col quarto motivo denuncia carenza di motivazione in ordine alla
valutazione di alcune prove testimoniali: specificamente delle deposizioni di

18.3.5. Col quinto motivo il ricorrente impugna la quantificazione delle
provvisionali.

19. Per quanto riguarda il nucleo d’imputazioni relativo al secondo
,
contingente, comandato dall’Ispettore Superiore Daniela Maida, viene dapprima

29

18.2. Analoghe censure sono sviluppate nel ricorso dia/1~ il quale

in considerazione la posizione processuale di costei.
19.1. Le contestazioni mossele riguardano il delitto di abuso di autorità
contro arrestati (capo 27), per aver sottoposto – o consentito che altri
sottoponessero – a misure di rigore non consentite le persone ristrette presso la
caserma durante la sua presenza nei sito; nonché il concorso ex art. 40 cod.
pen., in continuazione, nei delitti di percosse, lesioni aggravate, ingiurie,
minacce, violenza privata ai danni degli arrestati e fermati (capo 28).

capo 27, esclusa la contestazione riguardante la mancata somministrazione di
cibo e di bevande, e assolta dalla restante imputazione per insussistenza del
fatto. La Corte d’Appello ha invece riconosciuto la sua responsabilità in ordine ad
entrambi i reati, così come contestati, rilevandone tuttavia l’avvenuta estinzione
per prescrizione; ha quindi emesso condanna a suo carico al risarcimento dei
danni, in solido col Ministero dell’Interno, in favore delle parti civil~1~1111.

19.3. L’imputata ha proposto ricorso per cessazione, per il tramite del
difensore, deducendo nove motivi.
19.3.1. Col primo motivo la ricorrente lamenta di essere stata condannata al
risarcimento dei danni anche nei confronti di parti civili che non erano mai
entrate nella sua sfera percettiva, e cioè nei confronti di diall~111~1r

411.111~ tutti entrati nel sito di Bolzaneto dopo che la deducente aveva cessato
il proprio turno di servizio. Deduce contraddittorietà rispetto alla declaratoria di
inammissibilità degli appelli di altre parti civili, motivata per l’appunto col fatto
che quelle persone non erano entrate in contatto con lei.
19.3.2. Col secondo motivo eccepisce la nullità della pronuncia di condanna
emessa in relazione ai capo d’imputazione n. 28, dai quale era stata assolta, in

30

19.2. La Maida è stata condannata in primo grado per il solo reato di cui al

favore di parti civili che non avevano proposto appello.
19.3.3. Col terzo motivo deduce omessa valutazione di prove rilevanti ai fini
della ricostruzione dei fatti. Sostenendo che numerose testimonianze confutavano l’assunto accusatorio, illustra la dogiianza con la riproduzione nei ricorso
degli stralci di una serie di deposizioni testimoniali.
19.3.4. Col quarto motivo eccepisce la nullità della sentenza in quanto
motivata per relationem rispetto a quella di primo grado, sebbene i motivi di

quel deliberato, in particolare lamenta omessa confutazione di quanto dedotto in
ordine all’orario del proprio arrivo a Bolzaneto.
19.3,5. Col quinto motivo deduce vizi di motivazione in ordine all’accertamento dell’elemento soggettivo del reato ascrittole al capo 27, con specifico
riferimento alla consapevolezza delle posizioni vessatorie inflitte agli arrestati, in
orari nei quali la deducente non era ancora giunta a Bolzaneto o se ne era già
allontanata.
19.3.6. Col sesto motivo denuncia analoghi vizi motivazionali con
riferimento alle percosse, minacce, offese e violenze private di cui al capo 28.
19.3.7. Col settimo contesta la sussistenza del nesso causale fra la condotta
omissiva ascrittale e i fatti dannosi per cui si procede.
19.3.8. Con l’ottavo motivo impugna il passo della motivazione nel quale la
Corte d’Appello, riconoscendo la fondatezza della contestazione (nel ricorso
definita aggravante) inerente alla mancata somministrazione di cibo ed acqua,
ha rilevato che gli agenti di Polizia operanti nel sito si erano invece concesse
delle vere e proprie tavole conviviali in un ristorante dell’entroterra; respinge
l’addebito per la parte di sua pertinenza, rilevando che la propria presenza in
loco era durata soltanto dalle ore 23.30 alle 3 dei mattino successivo.
19.3.9. Col nono motivo deduce l’inosservanza del principio di correlazione
fra contestazione e sentenza, per essersi ritenuta la sua responsabilità anche ai
sensi dell’art. 323 cod. pen., sebbene il relativo reato non le fosse stato mai
contestato.

20. La posizione dei coimputati Matilde Arecco, Mario Turco e Paolo Ubaldi si
differenzia per avere costoro rinunciato alla prescrizione del reato di cui all’art.
608 cod. pen., a ciascuno di loro contestato sulla falsariga di quanto già visto per
numerosi altri imputati.
Il Tribunale li ha ritenuti responsabili dei reati rispettivamente ascritti e li ha
condannati alle pene di legge; ha inoltre posto a loro carico, in solido con altri
coimputati e col Ministero dell’Interno, il risarcimento dei danni in favore delle
parti civili

31

appello avessero investito circostanziatamente i vari passaggi motivazionali di

Ubaldi al risarcimento dei danni in favore della parte civile~ La Corte
d’Appello ha confermato le statuizioni di cui sopra ed altresì, specificamente,
quelle civili emesse in favore dilliall~1~11~11.

11111111~1~
Tutti e tre hanno proposto separatamente ricorso, ciascuno per le ragioni di
seguito esposte.
20.1. Matilde Arecco, con l’unico motivo personalmente dedotto, censura la
sentenza sotto più profili. Denunciando vizi di motivazione e violazione di legge,
lamenta che, mentre in primo grado si è adottato il criterio di tener conto della
durata della presenza nel sito, escludendo la responsabilità per quegli agenti che
rk.

vi erano stati per un tempo limitato, in appello si sia ravvisata la colpevolezza di
chiunque fosse stato presente, indipendentemente dal conferimento di incarichi,
dall’attribuzione dl poteri e dal tempo di permanenza: così pregiudicando
l’attività difensiva e dando luogo a inosservanza del principio di correlazione fra
contestazione condanna, di cui all’art. 521 cod. proc. pen.. Si duole altresì che la
Corte, sotto l’aspetto temporale, abbia dilatato i tempi della presenza nel sito, e
sotto l’aspetto soggettivo abbia tenuto conto solo del grado e della qualità di
pubblico ufficiale, non dei limiti dell’incarico ricevuto. Impugna anche le
determinazioni concernenti il danno prodotto e le provvisionali concesse.
20.2. Mario Turco, con l’unico motivo dedotto a mezzo del difensore,
denuncia inosservanza del principio di correlazione fra contestazione e condanna,
per essersi ritenuta la sua responsabilità a motivo della sola presenza nel sito.
Rimprovera alla Corte d’Appello di aver dilatato i tempi di presenza al di là delle
risultanze in atti; e, quanto all’elemento soggettivo, di aver trascurato l’aspetto
relativo all’incarico ricevuto dal superiore e poi dato agli inferiori, così avendo la
Corte violato i precetti concernenti la responsabilità personale.
20.3. Paolo Ubaldi, anch’egli per il tramite del suo difensore, affida il ricorso
a due motivi.
20.3.1. Col primo di essi denuncia carenza di motivazione in ordine
all’elemento psicologico del reato. Lamenta essersi ritenuta sufficiente la
presenza sui luoghi, non essersi precisato da dove derivasse la posizione di

32

nonché i soli Turco e

garanzia nei confronti degli arrestati, né a quali trattamenti di rigore non
consentiti egli avesse assistito senza intervenire, né, infine, quali comportamenti
concreti avrebbe dovuto tenere: così essendosi applicata, a suo avviso, una sorta
di responsabilità oggettiva. Insiste sulla breve durata della sua permanenza nel
sito e si richiama alla deposizione dell’agent~ al quale lamenta essersi
ingiustificatamente negata credibilità. Allega al ricorso un estratto dei verbale di
udienza.

(inerenti alla formazione di sottosquadre) rese dall’Ispettore Maida prima che le
venisse elevata imputazione, delle quali si è data lettura in udienza ex art. 513
del codice di rito.

21. Viene ora in considerazione un gruppo di imputati che, nella sentenza
impugnata, sono accomunati dall’appartenenza alla categoria agenti.

22. Diana Mancini, agente della Polizia di Stato in servizio nel sito; imputata
del delitto di cui all’art. 608 cod. pen. perché, accompagnando~~§
~dalla cella al bagno e viceversa, l’aveva costretta a camminare lungo
il corridoio con la testa abbassata all’altezza delle ginocchia e con le mani dietro
il corpo, consentendo che altri agenti la colpissero con calci, le facessero lo
sgambetto e la ingiuriassero (capo 50).
22.1. Assolta dal Tribunale in applicazione dell’art. 530, comma 2, cod. proc.
pen., è stata riconosciuta dalla Corte d’Appello responsabile del reato ascrittole,
peraltro estinto per prescrizione, e condannata alla pena di legge e al
risarcimento dei danni in favore della parte civile, in solido col Ministero
dell’Interno.
22.2. L’imputata ricorre, per il tramite del difensore, in base a un unico
motivo. Con esso denuncia vizi di motivazione, osservando che la sentenza non
spiega che cosa avrebbe dovuto fare per impedire che i suoi colleghi ponessero
in atto le condotte criminose, mentre accompagnava in bagno la Grippaudo.
Deduce l’inesigibilità di una diversa condotta, data la sua posizione gerarchica di
rango inferiore.

23. Barbara Amadei, agente della Polizia Penitenziaria; imputata dei delitti
di: abuso di autorità contro arrestati, per le modalità di accompagnamento ai
bagno di 111~~ analoghe a quelle or ora viste (capo 59); violenza
privata pluriaggravata in danno della stessa~ per averla costretta, con
violenza e minaccia, a chinare la testa all’interno della turca (capo 60); ingiuria
(capo 61).

pluriaggravata ai danni della stessa

33

20.3.2. Col secondo motivo eccepisce l’inutilizzabilità delle dichiarazioni

23.1. Assolvendola da altra imputazione ex art. 608 cod. pen. in danno di
altri arrestati (capo 62) in applicazione dell’art. 530, comma 2, del codice di rito,
il Tribunale ha riconosciuto la sua responsabilità in ordine ai capi 59
(limitatamente alle percosse), 60 e 61, unificati i reati nel vincolo della
continuazione; l’ha quindi condannata alla pena di legge e al risarcimento dei
danni in favore della parte civile, in solido col Ministero della Giustizia. La Corte
d’Appello ha ravvisato la responsabilità per tutti e tre i reati in questione, così

prescrizione e confermando le statuizioni civili.
23.2. Il ricorso dell’imputata, proposto per il tramite del difensore, è
articolato in sette motivi.
23.2.1. Col primo motivo la ricorrente deduce vizi di motivazione in ordine
all’attendibilità riconosciuta alla persona offesa, malgrado le contraddizioni fra il
narrato della querela e il contenuto della deposizione dibattimentale, in parte
smentita da~1101 peraltro formula critiche alla testimonianza resa da
costei, accompagnandole con molteplici richiami alle risultanze dell’istruzione
dibattimentale.
23.2.2. Col secondo motivo sostiene che si sarebbe dovuto disporre la sua
assoluzione in termini pienamente liberatori in ordine alle imputazioni di cui ai
capi 59 e 62, in quanto c’era prova documentale della sua estraneità ai fatti, in
dipendenza della sua assenza dal luogo.
23.2.3. Col terzo motivo impugna la disposta applicazione dell’aggravante di
cui all’art. 61 n. I cod. pen..
23.2.4. Col quarto motivo denuncia la mancata correlazione fra la
motivazione e il dispositivo, non essendo in questo evidenziabile l’applicazione
dell’aggravante di cui sopra.
23.2.5. Col quinto motivo impugna il diniego delle attenuanti generiche.
23.2.6. Col sesto motivo lamenta l’ingiustificato rigetto delle proprie censure
mosse alla modulazione della pena.
23.2.7. Con una settima doglianza eleva a motivo di ricorso l’istanza di
revoca o sospensione della provvisoria esecutorietà della provvisionale.

24. Alfredo Incoronato, agente della Polizia Penitenziaria in servizio presso
l’infermeria; imputato del delitto di lesione volontaria pluriaggravata in danno di

min

imipe, colpito con un pugno ai torace – che gli aveva causato la

frattura di una costola – mentre era sottoposto a visita medica dal Dott. Aldo
Amenta.
24.1. Il Tribunale, esclusa l’aggravante dei motivi abietti o

futili, lo ha

condannato alla pena di legge e al risarcimento dei danni in favore della parte

34

come contestati, rilevandone al contempo l’intervenuta estinzione per

civile. La Corte d’Appello ha riconosciuto la sua responsabilità per il reato così
come contestato, peraltro prescritto, e ha confermato le statuizioni civili.
24.2, L’imputato ricorre, per il tramite del difensore, sulla base dl due
motivi.
24.11. Col primo motivo denuncia vizi di motivazione in ordine alla
ricostruzione del fatto e alla valutazione delle prove; sottolinea l’impossibilità di
identificare l’autore del pugno, in base alle dichiarazioni dei testi.

in ordine all’aggravante dei motivi abietti o futili; osserva che il motivo era
dedotto in modo generico, là dove si è detto che l’aggravante sussiste «in quasi
tutti i casi».

25. La sentenza impugnata ha dedicato un capitolo a parte alle imputazioni
riguardanti i medici incaricati dello svolgimento del servizio sanitario. Il tema
riguarda le posizioni degli imputati, qui ricorrenti, Giacomo Vincenzo Toccafondl,
Sonia Sciandra, Marilena Zaccardi, Aldo Amenta e Adriana Mazzoleni.

26. Giacomo Vincenzo Toccafondi, coordinatore responsabile organizzativo
del servizio sanitario nel sito di Bolzaneto; le imputazioni elevate a suo carico
riguardano i seguenti reati: abuso di ufficio pluriaggravato (capo 84), per avere
consentito o effettuato I controlli di triage e di visita sottoponendo le persone a
trattamento inumano e in violazione della dignità, costringendo persone di sesso
femminile a stazionare nude in presenza di uomini oltre il tempo necessario,
facendole girare su se stesse e quindi sottoponendole a umiliazione fisica e
morale; per avere omesso o consentito l’omissione, nella visita di primo
ingresso, dell’individuazione di lesioni presenti sulle persone; per avere omesso o
consentito l’omissione di intervento sulle condizioni di sofferenza delle persone
ristrette; per aver tollerato, approvando o non disapprovando, e irridendo le
persone sottoposte a comportamenti di scherno; per aver ingiuriato le persone
visitate; per aver consentito la distruzione di oggetti personali; per non aver
Impedito – né segnalato – la posizione vessatoria, pur essendosi recato più volte
nelle celle; omissione di referto e favoreggiamento personale (capo 85), per aver
omesso di prestare assistenza aallale colta da malore dopo essere stata
colpita dal gas urticante-asfissiante gettato nella cella dov’era ristretta e di
riferirne come reato ex artt. 582, 585 cod. pen.; ancora omissione di referto e
favoreggiamento personale (capo 86), per aver omesso di riferire all’Autorità
Giudiziaria o ad altra Autorità del reato ex artt. 582, 585 cod. pen. in danno di
11.11111.11 colpito analogamente da gas, al quale aveva prestato
assistenza; ingiuria e violenza privata pluriaggravata (capo 87) per aver

35

24.2.2. Col secondo motivo eccepisce l’inammissibilità dell’appello del P.M.

costretto con la minacciall1~1~ a girare su se stessa più di dieci
volte durante la visita medica; percosse pluriaggravate in danno diall~
(capo 88), per avergli stretto violentemente la mano dolorante; violenza privata
pluriaggravata in danno di 1i~ (capo 89), per averlo costretto con
violenza e minaccia a gridare «viva il Duce»; ingiuria pluriaggravata in danno di
(capo 90); omissione di referto e favoreggiamento personale
(capo 91) per avere, in concorso con Aldo Amenta e Sonia Sciandra, omesso di

e da strappo alla mano did.11~11111, ferito da Pigozzi Massimo Luigi;
minaccia pluriaggravata in danno di

iiii~m

(capo 92); ingiuria

pluriaggravata ai danni di IIIIIIIIIIIIIIIIM (capo 93) ed Herrmann Jens
(capo 94); ingiuria e danneggiamento pluriaggravati per aver deriso~
~che gli chiedeva assistenza, rifiutandosi perché doveva andare a mangiare,
strappandogli la camicia e percuotendolo sulle ferite (capo 95); ingiuria e
violenza privata pluriaggravate in danno di 111~ per averla fatta
spogliare in presenza di estranei al servizio sanitario, prolungando la visita oltre
il tempo necessario e costringendola con la minaccia a girare a destra e a sinistra
(capo 96); omissione di atti d’ufficio (capo 97) per aver mancato di disporre il
ricovero di

cangaggigion p ,

affetta da frattura scomposta d e I l’u I n a

sinistra e necessitante di ulteriori accertamenti diagnostici in ambiente
ospedaliero; omissione di referto e favoreggiamento personale (capo 98), per
aver omesso di riferire all’Autorità Giudiziaria o ad altra Autorità la constatata
commissione del reato ex art. 582, 585 cod. pen. di cui al punto 97; omissione
di referto e favoreggiamento personale (capo 99), in concorso con Sonia
Sciandra, per avere omesso di riferire all’Autorità Giudiziaria o ad altra Autorità
circa le lesioni di ematoma testicolare, perseguibile di ufficio, in danno di la.
~ingiurie pluriaggravate ai danni dia!~ (capo 100) e dilla.
~capo 103).
26.1. Il Tribunale ha ravvisato la sua colpevolezza per i soli reati di cui ai
capi 85, 90 e 92, esclusa, per gli ultimi due, l’aggravante dei motivi abietti e
futili ed escluso per l’ultimo il concorso con Aldo Amenta e Sonia Sciandra; e,
ritenuta la continuazione, lo ha condannato alla pena di legge e al risarcimento
dei danni in favore delle corrispondenti parti civili, in solido col Ministero della
Giustizia; ha invece pronunciato assoluzione per insussistenza dei fatti, quanto ai
capi 86, 87, 88, 91, 93, 95, 96, 98 e 99; per non aver commesso i fatti, quanto
ai capi 89, 94 e 100; perché i fatti non costituiscono reato, quanto ai capi
restanti.
26.2. La Corte d’Appello ha invece ravvisato la sua responsabilità per tutti i
reati rubricati ai capi 84, 85, 86, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 97, 98, 103, così come

36

riferire all’Autorità giudiziaria circa la natura e la causa della ferita da lacerazione

contestati, dichiarandone tuttavia l’avvenuta estinzione per prescrizione, e lo ha
condannato al risarcimento dei danni, in solido col Ministero della Giustizia, in

favore delle parti civiii~~~~1~11.

111~11111.11~~11111~1~~115
iiiminge(quanto
a quest’ultimo in concorso con Aldo Arnenta e Sonia

Sciandra).
26.3. L’imputato ha proposto ricorso, congiuntamente (come si è già visto) a
Massimo Pigozzi e Biagio Antonio Gugliotta. La parte dell’atto impugnatorio
riguardante il Toccafondi è articolata in due motivi.
26.3.1. Il primo motivo sottopone a trattazione separata i diversi capi
d’imputazione per i quali è intervenuta condanna. Prima di attendere a ciò, in via
g(
generale, il ricorrente sostiene di essersi attenuto alle linee operative dettate dal

37

magistrato coordinatore, Dott. Sa bella. Lamenta la mancanza di un vaglio critico
delle prove acquisite, con specifico riferimento alla testimonianza dell’infermiere
Pratissoli.
Quanto al capo 85, sostiene che la ricostruzione dei fatti è contraddittoria e
priva di riscontro. Deduce carenza di prova circa la natura del gas utilizzato, che
la Corte ha immotivatamente ricondotto alla nozione di gas asfissiante.
Quanto al capo 90, deduce l’inattendibilità del riconoscimento operato dalla

Quanto al capo 92, denuncia errata valutazione delle emergenze probatorie;
sostiene esservi incertezza sulla propria presenza in infermeria al momento in cui
•ra stato sottoposto a visita.
Quanto ai capi 84, 86, 87, 88, 89, 91, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 103,
riguardanti reati per i quali aveva ottenuto l’assoluzione in primo grado, osserva
che la contraria decisione della Corte d’Appello avrebbe dovuto essere sorretta
da oggettive carenze della decisione assolutoria. Contesta la sussistenza di una
propria posizione di garanzia; assume di aver ricevuto ordini vincolanti circa il
protocollo da seguire; sostiene che la finalità primaria della visita era quella di
valutare la compatibilità dello stato dell’arrestato col regime detentivo.
Sottolinea il mendacio del!~ che aveva sostenuto di essere caduto per le
scale. Rivendica l’efficienza dell’organizzazione sanitaria attuata. Contesta di
aver avuto cognizione dell’entità delle lesioni subite

da ~Mi

denuncia

travisamento delle prove in ordine alla ricostruzione dei fatti.
26.3.2. Col secondo motivo il ricorrente contesta la legittimità della
condanna in favore delle parti civili posta a carico autonomamente degli
imputati, anziché in via solidale.

27. Sonia Sciandra, medico del servizio sanitario; imputata dei reati di:
abuso d’ufficio pluriaggravato (capo 113) per condotte analoghe a quelle ascritte
al coimputato Toccafondi; omissione di referto e favoreggiamento personale
(capo 114) per avere, in concorso con Toccafondi e Amenta, omesso di riferire
all’Autorità giudiziaria circa la natura e la causa della ferita da lacerazione e da
strappo alla mano di 1111~11111111, ferito da Pigozzi Massimo Luigi;
minaccia ai danni dello stesso~ in concorso con Toccafondi e Amenta
(capo 115); falsità ideologica in atto pubblico (capo 116), per avere omesso di
indicare nel diario clinico l’infiammazione inguinale riferita da ell~11»e
da lei riscontrata durante la visita; altri due reati di omissione di referto e
favoreggiamento personale, per avere omesso di riferire all’Autorità Giudiziaria o
ad altra Autorità circa le lesioni di ematoma testicolare di 11111.111p (capo
117) e il trauma addominale, la midriasi pupillare e la lipotimia da cui era affetto

38

persona offesa attraverso una fotografia su un giornale.

1.1111~15, causati da delitto perseguibile d’ufficio (capo 118).
27.1. Il Tribunale ha pronunciato assoluzione per insussistenza dei fatti,
quanto ai capi 114, 116, 117 e 118; per non aver commesso il fatto, quanto al
capo 115; perché il fatto non costituisce reato, quanto al capo 113.
27.2. La Corte d’Appello, in parziale riforma, ha riconosciuto la sua
responsabilità per i reati di cui ai capi 113, 114, 115 e 116; ha rilevato
l’intervenuta prescrizione dei primi tre e pronunciato condanna per il delitto di

secondo, cod. pen.; ha inoltre condannato la Sciandra, in solido col Ministero
della Giustizia, al risarcimento dei danni in favore della parti

•~111111~1111~1~11~1~111~~1111b
afg
g
27.3. Ha proposto ricorso l’imputata, per il tramite del difensore, affidandolo

39

falso, con attenuanti generiche equivalenti all’aggravante ex art. 476, comma

a due motivi.
27.3.1. Col primo motivo la ricorrente denuncia vizi di motivazione e
inosservanza degli artt. 192 cod. proc. pen. e 47, 479 cod. pen.. Rimprovera alla
Corte distrettuale di essersi limitata a riprendere pedissequamente le
argomentazioni degli atti di appello, peraltro inammissibili per genericità, senza
esplicitare il proprio processo logico-giuridico; lamenta essersi immotivatamente
dato credito alle dichiarazioni della persona offesa Emanuela Tangari; denuncia

mancano la gravità e concordanza degli indizi, essendo indubbio che la visita
medica sia stata effettuata; sostiene che le valutazioni espresse non sono
sindacabili, non potendo il medico essere chiamato a rispondere dell’inesattezza
della diagnosi.
27.3.2. Col secondo motivo rileva non essere stata mai contestata
l’aggravante della fidefacenza, di cui all’art. 476, comma secondo, cod. pen.,
rilevante anche ai fini della prescrizione.

28. Marilena Zaccardi, medico del servizio sanitario; imputata dei reati di
abuso d’ufficio pluriaggravato (capo 119) per condotte analoghe a quelle già
viste trattando delle posizioni dei coimputati Toccafondi e Sciandra; e di ingiuria
pluriaggravata ai danni di Digenti Simona (capo 120).
28.1. Assolta in primo grado da entrambe le imputazioni, con le rispettive
formule «perché il fatto non costituisce reato» e «perché il fatto non sussiste», è
stata ritenuta invece dalla Corte d’Appello responsabile di entrambi i reati,
tuttavia estinti per prescrizione, e condannata al risarcimento dei danni, In solido
coi Ministero della Giustizia, in favore delle seguenti parti civili: alaillp

11111111~~~111111~~~ ,
411~1111~11111111111~11111~1~11 ■

11111~111~~111111~11~111~15
111~11~1~~~ 1~111.1.11.110
40

inosservanza del principio del ragionevole dubbio. Argomenta osservando che

28.2. Aldo Amenta, medico del servizio sanitario; imputato dei seguenti
reati: abuso d’ufficio pluriaggravato (capo 104) per condotte analoghe a quelle
già viste trattando delle posizioni dei coimputati Toccafondi, Sciandra e Zaccardi;
omissione di referto e favoreggiamento personale (capo 105) per avere, in
concorso con Giacomo Vincenzo Toccafondi e Sonia Sciandra, omesso di riferire
all’Autorità giudiziaria circa la natura e la causa della ferita da lacerazione e da
strappo alla mano di

grigingiok,

ferito da Pigozzi Massimo Luigi;

minaccia pluriaggravata (capo 106) ai danni dello stesso~ omessa
denuncia di reato e favoreggiamento personale (capo 107), per aver omesso di
denunciare all’Autorità Giudiziaria o ad altra Autorità il reato commesso contro
111~11i costretto dagli agenti in cella a toccarsi la punta dei piedi con le
mani e, non riuscendovi, percosso da questi con calci alle gambe; concorso in
lesione volontaria pluriaggravata (capo 108), per aver assistito passivamente
quandoll~”in infermeria era stato raggiunto da un pugno al
torace che gli aveva fratturato una costola; omissione di referto e
favoreggiamento personale (capo 109) per avere omesso di riferire all’Autorità
Giudiziaria o ad altra Autorità circa il trauma addominale, la midriasi pupillare e
la lipotimia da cui era affetto causati da delitto perseguibile
d’ufficio; concorso ex art. 40 cod. pen. in ingiuria pluriaggravata ai danni di
Lungarini Fabrizio (capo 110); percosse pluriaggravate ai danni dello stesso
Lungarini (capo 111).
28.3. Il Tribunale Io ha condannato, anche al risarcimento dei danni in solido
col Ministero della Giustizia, per il solo reato di cui al capo 108, esclusa
l’aggravante dei motivi abietti e futili; lo ha invece assolto per insussistenza dei
fatti, quanto ai capi 105, 109, 110 e 111; e per non aver commesso i fatti,
quanto ai capi 106 e 107. La Corte d’Appello, in parziale riforma, ha riconosciuto

41

111•~111~1~1~1~11111~~~1111

la sua responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi 104, 105, 106, 108, 110,
111, cosi come contestati, dichiarandone l’estinzione per prescrizione; e Io ha
condannato al risarcimento dei danni, in solido col Ministero della Giustizia, in

111111~1~ (per quest’ultimo in concorso con Toccafondi e Sciandra),

ers~a~srameammimmi~

28.4. La Zaccardi e l’Amenta hanno proposto congiuntamente ricorso, per il
tramite del comune difensore, affidandolo a sei motivi.
28.4.1. Coi primo motivo i ricorrenti

deducono carenza e illogicità di

motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del delitto di cui all’art. 323
cod. pen.. Sostengono che le emergenze processuali conducono a tutt’altra
conclusione, in quanto: le visite mediche furono tutte espletate; i dati delle

42

favore delle seguenti parti civili~1.111111~11~1~

cartelle cliniche riportano una descrizione obiettiva che presuppone il regolare
espletamento della visita medica; quest’ultima era finalizzata, ai sensi dell’art.
83 reg. esec. dell’ordinamento penitenziario, a verificare l’assenza di condizioni
che rendessero il detenuto inidoneo a sopportare il viaggio.
28.4.2. Il secondo motivo concerne la responsabilità della Zaccardi per il
reato di ingiuria di cui ai capo 120. Si deduce mancanza e illogicità di
motivazione, osservando che la parola «sfacciati» non è offensiva; che il
riferimento a cattivi odori era un semplice sfogo e non era diretto alla Ma

che il narrato di costei necessitava di riscontri, attesa la sua qualità di teste
assistita.
28.4.3. Il terzo motivo investe l’affermazione di responsabilità dell’Amenta
per i reati di cui ai capi 105 e 106. Si denunciano vizi di motivazione e violazione
di norme processuali, osservando che 1111~ non aveva manifestato ai
sanitari le vere cause della lesione subita; che la minaccia nei di lui confronti era
stata proferita dal Toccafondi in modo repentino, per cui l’Amenta non avrebbe
potuto impedirla.
28.4.4. Il quarto motivo concerne la responsabilità dell’Amenta a titolo di
concorso morale nel reato di cui al capo 108. Sì osserva che la descrizione, fatta
dal li. del sanitario presente al fatto non corrisponde alla fattezze del
ricorrente; che le dichiarazioni del teste 111.11 non riscontrano quelle del
«M che non può ravvisarsi concorso morale nella mera presenza inattiva
dell’imputato al momento del fatto altrui.
28.4.5. Ancora all’Amenta si riferisce il quinto motivo, indirizzato a
impugnare l’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi 110 e 111. Si
eccepisce che, essendo stato ~sentito ai sensi dell’art. 197-bis del
codice di rito, le sue dichiarazioni abbisognavano di riscontro esterno; si osserva
che il deducente potrebbe non aver udito le espressioni ingiuriose e che,
comunque, la repentinità dell’azione è incompatibile coi concorso nei reato. Si
definisce risibile l’Imputazione di percosse, essendosi trattato di un semplice
schiaffetto, presumibilmente finalizzato ad accertare le condizioni di reattività del
paziente.
28.4.6. Il sesto motivo, dedotto nell’interesse di ambedue i ricorrenti,
deduce violazione di legge nella liquidazione delle spese in favore delle parti
civili. Si osserva che la Corte di merito non ha distinto le parti civili ammesse al
gratuito patrocinio, per le quali la liquidazione non poteva superare i valori medi
tariffari; inoltre non ha considerato

che molte parti civili erano difese dal

medesimo difensore.

29. Adriana Mazzoleni, medico del servizio sanitario; imputata del delitto di

43

94

abuso d’ufficio, per condotte analoghe a quelle ascritte agli altri componenti
dell’area sanitaria.
29.1. Assolta in primo grado per mancanza di dolo, è stata riconosciuta dalla
Corte d’Appello responsabile del reato, frattanto estinto per prescrizione, e
condannata al risarcimento dei danni, in solido col Ministero della Giustizia, in

ini~1~~111111~

29.2. L’imputata ha proposto ricorso per cessazione, per il tramite del

difensore, affidandolo a nove motivi.
29.2.1. Col primo motivo la ricorrente deduce carenza di motivazione e
travisamento della prova. Osserva che la motivazione è identica per tutti i
componenti dell’area sanitaria; lamenta essere mancata un’approfondita analisi
delle risultanze processuali, avuto particolare riguardo alle deposizioni
testimoniali degli infermieri e alle dichiarazioni rese in sede di esame dal
consulente tecnico del pubblico ministero, che giudica del tutto inconferenti;
rileva che nella motivazione è fatto richiamo, per comodità, agli stralci delle
deposizioni di diciassette persone offese, in parte diverse da quelle la cui
domanda risarcitoria è stata accolta e, in parte, non visitate dalla deducente.
Osserva inoltre che la Corte d’Appello le attribuisce dichiarazioni ammissive
dell’incompletezza delle visite mediche, in realtà mai rese stante la propria
contumacia. A confutazione della prova tratta dalle dichiarazioni dei testi Poggi e
diallit rileva che costoro erano presenti in orari non coincidenti con i propri.
Denuncia inoltre travisamento della prova in ordine al fatto che la deducente

44

favore delle seguenti parti civili:

fosse all’ingresso del corridoio quando le persone offese vi entravano per la
prima volta; lamenta non essersi considerato che il c.t. del pubblico ministero
aveva espresso il parere che i medici di Bolzaneto avessero fatto il possibile con i
mezzi a loro disposizione. Sostiene che la condanna al risarcimento dei danni è
stata emessa in favore di persone che nessun contatto avevano avuto con lei e
lamenta non essersi tenuto conto dei molteplici e doverosi interventi in favore di
persone arrestate o fermate, che il Tribunale aveva valorizzato nel motivare la

29.2.2. Il secondo motivo è articolato in otto censure, relative alle distinte
condotte attribuite alla Mazzoleni. Premesso che per tutte sono mancati i
necessari riscontri individualizzanti, la ricorrente osserva: quanto alle modalità
del triage, che la Corte di merito si è basata sulle affermazioni dei testi Poggi e
1111.1. i quali erano presenti in un orario diverso; quanto all’imposizione di
nudità alla presenza di uomini, che vi è stato travisamento delle deposizioni delle
persone offese e 11111., quanto al carattere sbrigativo delle visite
mediche di primo ingresso, che è mancata la confutazione agli argomenti portati
dal Tribunale a sostegno dell’assoluzione; quanto all’aver omesso di prestare
attenzione alle sofferenze e al disagio delle persone visitate, che non è stata
indicata la fonte normativa del ritenuto obbligo; quanto alla vessazione subita in
infermeria da 111.1111.1~, che vi è totale carenza di motivazione sul
punto; quanto agli insulti e minacce, che vi è analoga carenza motivazionale;
quanto al danneggiamento di beni personali e alla posizione vessatoria nelle
celle, che non è emersa alcuna prova a proprio carico.
29.2.3. Il terzo motivo è, a sua volta, articolato in quattro censure, volte a
prendere partitamente in esame i diversi profili di responsabilità addebitati alla
ricorrente. A) Quanto all’omesso accertamento delle lesioni, si osserva nel
ricorso che la Corte non ha potuto smentire quanto affermato dal Tribunale circa
la descrizione obiettiva, In genere circostanziata, contenuta nei diari clinici, e la
verità delle annotazioni; inoltre i rilievi medici compiuti dalla deducente hanno
avuto conferma nelle visite successive. 5) Secondo la Corte il

triage fu così

approssimativo e frettoloso da non essere riferibile alla volontà di obbedire al
ME» Si obietta che gli ordini da eseguire erano quelli contenuti nella
nota DAP del 9 luglio 2001, ove non erano dettate norme regolamentari, ma era
soltanto espresso l’auspicio (con le parole «si confida») che i sanitari
effettuassero una corretta compilazione del diario clinico e una meticolosa
anamnesi. Si aggiunge che la decisione di affrettare le visite venne dal
Toccafondi; si richiama l’attenzione sulle peculiarità del sito di Bolzaneto, che
doveva essere solo di transito, per cui gli arrestati sarebbero stati sottoposti a
nuova visita medica nei carceri di destinazione. C) Quanto ai comportamenti

45

pronuncia assolutoria.

ingiuriosi o minacciosi, si osserva che non è stato indicato alcun episodio di
minacce o ingiurie proferite dalla Mazzoleni. D) La quarta censura contiene
considerazioni riepilogative circa la denunciata illogicità della motivazione.
29.2.4. Col quarto motivo la ricorrente deduce carenza di motivazione in
ordine alla valutazione dell’omesso intervento in favore delle persone offese,
quale presunto indice del dolo; osserva che l’assunto non tiene conto
dell’imputazione, che non è generica ma descrive precisi comportamenti, fra i

dell’assenza di vincoli gerarchici e del fatto che non è emerso dall’istruttoria
alcun atto di adesione della deducente alla condotta altrui. Aggiunge che vi era la
difficoltà per gli arrestati di riferire al medico le percosse subite e che era stato
chiesto lo spostamento dell’area delle perquisizioni ad altra stanza e la loro
esecuzione in modo più rispettoso.
29.2.5. Col quinto motivo impugna la condanna al risarcimento dei danni,
osservando che nessuna delle parti civili la cui domanda è stata accolta ha avuto
alcun contatto con lei; fa seguire un elenco dettagliato di 64 parti civili, con
l’orario dell’immatricolazione e della visita medica e con l’indicazione del medico
firmatario della visita. Espone due profili di vizio: violazione di legge, per la
condanna in favore di parti civili che non hanno subito un danno diretto e
immediato dalla propria condotta; mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità di motivazione per travisamento della prova.
29.2.6. Col sesto motivo denuncia vizi di motivazione in ordine alla
condanna in favore della parte civileaffillelli~ unica persona offesa
effettivamente transitata durante il proprio turno di servizio. Rileva uno stridente
contrasto fra quanto dichiarato dalla persona offesa in dibattimento e quanto
detto nell’immediatezza dei fatti, quando aveva negato che fosse accaduto
alcunché di rilevante. Osserva che la stessa persona offesa ha riferito l’assenza
di donne al momento del suo accesso all’infermeria.
29.2.7. Col settimo motivo la ricorrente eccepisce l’abnormità della
pronuncia di condanna emessa in favore di parti civili non appellanti avverso la
sentenza di assoluzione.
29.2.8. Con l’ottavo motivo deduce l’illegittimità della condanna in favore di
parti civili le quali, omettendo di concludere nei propri confronti, avevano
implicitamente revocato la propria costituzione.
29.2.9. Coi nono motivo deduce la violazione di norme penali in relazione
alla condanna in favore di soggetti non immatricolati (perché solo identificati o
minorenni), che indica nelle parti civili111~~1111.1111.111

A.

30. Oltre agli imputati fin quielencati, hanno proposto ricorso per

46

quali non è comprenso quello di cui si tratta; che, inoltre, non si è tenuto conto

cassazione i responsabili civili Ministero dell’Interno, Ministero della Difesa e
Ministero della Giustizia, con atto d’impugnazione congiunto presentato nel loro
interesse dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Genova.
30.1. Col primo dei quattro motivi dedotti i ricorrenti denunciano violazione
degli artt. 539, 576, 597 cod. proc. pen, e del principio devolutivo. Rilevano
esservi stata in appello – in 25 casi specificamente indicati – una rideterrninazione in aumento della provvisionale, disposta dalla Corte senza che le

vizio di ultrapetizione rispetto al domandato.
30.2. Col secondo motivo lamentano che gli aumenti delle provvisionali
come sopra disposti non siano sorretti da esplicitazione del criterio logico
seguito, né improntati a proporzionalità: per cui le parti civili che hanno avuto le
provvisionali più alte sono quelle che hanno passato meno ore a Bolzaneto.
Fanno seguire, a titolo esemplificativo, una descrizione dettagliata per diverse
parti civili.
30.3. Col terzo motivo deducono ulteriori ragioni di illogicità e carenza
motivazionale nella rideterminazione delle provvisionali. Sottolineano la
sussistenza di un onere, per le parti civili, di allegazione e di prova del c.d.
danno-conseguenza.
30.4. Col quarto motivo impugnano la liquidazione delle spese in favore
delle parti civili in misura identica per ciascuna, attuata senza tener conto del
fatto che alcune avevano ottenuto Il patrocinio a spese dello Stato, per cui non si
dovevano superare i valori medi delle tariffe professionali vigenti, e che talune
parti civili erano assistite dallo stesso difensore.
30.5. L’Avvocatura dello Stato ha inoltre presentato una memoria,
ulteriormente illustrativa dell’ammissibilità e della fondatezza del motivo di
ricorso inerente al denunciato vizio di ultrapetizione nella rideterminazione delle
provvisionali; ciò anche in replica alla sentenza/ordinanza di questa Corte in data
30 maggio 2012, con la quale sono state rigettate le richieste, avanzate da più
ricorrenti, di sospensione dell’esecuzione della condanna civile.

31. I difensori delle parti civilielle~11.111111~iiiMp

hanno depositato memoria
dettagliatamente argomentata, intesa a ottenere la declaratoria di
inammissibilità, o comunque il rigetto, di tutti i ricorsi proposti dagli imputati e
dai responsabili civili.

47

parti civili interessate avessero proposto impugnazione sul punto, ed altresì con

32. Il difensore della parte civile 11111~P ha presentato una memoria
rievocativa della vicenda occorsa al proprio assistito, concludendo per la
condanna degli imputati al risarcimento dei danni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

conviene assegnare priorità a quelle che, per il loro carattere preliminare di rito,
sono potenzialmente idonee ad esplicare efficacia assorbente.
1.1. Ciò vale, innanzi tutto, per l’eccezione sollevata dai ricorrenti Cimino e
Pelliccia col terzo motivo del loro ricorso congiunto. La deduzione, sebbene
espressamente formulata in via di subordine rispetto ai primi due motivi, deve
essere invece scrutinata con precedenza, non essendo in facoltà delle parti
alterare l’ordine logico degli argomenti da trattare quando la decisione su alcuni
di essi possa essere vanificata dalla regressione del procedimento ad una fase
anteriore.
L’eccezione di nullità della notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza
preliminare – che per il Cimino si estende alla notifica del decreto che ha
disposto il giudizio – non può, comunque, trovare accoglimento a motivo della
sua inammissibilità. Secondo un principio autorevolmente affermato dalle Sezioni
Unite di questa Corte Suprema (Sent. n. 119 del 27/10/2004 – dep. 07/01/2005,
Palumbo, Rv. 229541), anche nel caso in cui intenda far valere una nullità
assoluta ex art. 179, comma 1, cod. proc. pen., l’imputato non può limitarsi a
denunciare l’inosservanza della norma processuale, ma deve anche
rappresentare al giudice di non aver avuto conoscenza dell’atto e deve
eventualmente avvalorare l’affermazione con elementi che la rendano credibile;
ciò vale a maggior ragione quando il vizio dedotto non consista in un’omissione
della notifica, ma nella inosservanza delle norme che ne prescrivono le modalità:
in questo caso, invero, la nullità a regime intermedio che sanziona l’inosservanza
ha il suo presupposto nella mancata conoscenza dell’atto da parte del
destinatario; e «in un processo basato sulla iniziativa delle parti è normale che
anche l’esercizio dei poteri officiosi del giudice sia mediato dall’attività delle parti,
quando dagli atti non risultano gli elementi necessari per l’esercizio di quei poteri
e solo le parti sono in grado di rappresentarli al giudice e di procurarne
l’acquisizione» (così, ancora, Sez. U, Palumbo, in motivazione; v. anche Sez. 6,
n. 34558 del 10/05/2012, P., Rv. 253276).
Gli odierni ricorrenti, pur ribadendo l’eccezione tempestivamente – e
ripetutamente – sollevata ad evitare le sanatorio di cui agli artt. 180 e 182 cod.

48

1. Nella disamina delle numerose questioni suscitate dai motivi di ricorso,

proc. pen., omettono tuttavia di specificare quale concreta lesione del diritto alla
difesa essi abbiano subito per effetto della notifica presso lo studio del difensore,
anziché nel domicilio dichiarato: il che era tanto più necessario, tenuto conto del
dovere dei difensore fiduciario di mantenere i contatti coi suo assistito, per cui
sarebbe stata necessaria l’indicazione dei motivi che gli avevano impedito di dare
comunicazione agli imputati degli atti ricevuti per loro conto.
La rilevata omissione si traduce in un vizio di aspecificità del motivo che,
come dianzi osservato, ne importa l’inarnmissibilità.

ricorrenti Cimino e Pelliccia eccepiscono l’inammissibilità dell’appello proposto dal
pubblico ministero avverso la pronuncia di assoluzione emessa nei loro confronti
dal Tribunale. Ad illustrazione del relativo motivo (il quarto del ricorso congiunto)
i deducenti si richiamano al principio giurisprudenziale secondo cui la pedissequa
riproduzione nell’atto impugnatorio di argomentazioni già spese nel giudizio di
primo grado, e disattese da quel giudice, non soddisfa il requisito di specificità
del motivi per mancanza di correlazione tra le ragioni poste a base della
decisione impugnata e quelle poste a fondamento del gravame.
La regula iuris invocata merita, senza dubbio, adesione in quanto conforme
a consolidata giurisprudenza e fondata su una corretta lettura dell’art. 581,
comma 1, lett. c) cod. proc. pen.; ad escluderne l’operatività nel caso dl specie
concorrono, tuttavia, due distinti ordini di ragioni.
In primo luogo corre l’obbligo di rimarcare che l’atto di appello proposto dal
pubblico ministero, nella parte riguardante la posizione dei due imputati di cui si
tratta, contiene, bensì, la ripro posizione della linea argomentativa già sottoposta
alla disamina del primo giudice; ma in ciò non si esaurisce, essendo dato
cogliervi non soltanto le modifiche testuali atte a inserire il materiale riprodotto
in un disegno impugnatorio delle contrarie ragioni espresse nella sentenza, ma
altresì alcune autonome considerazioni sulla consapevolezza e sulla responsabilità dei due imputati.
In secondo luogo occorre avvertire che, quando il tema controverso si
Incentra nel confronto fra due tesi giuridiche contrapposte (come è nel caso
presente, nel quale si dibatte della portata dei poteri autoritativi esercitabili dagli
ufficiali del disciolto corpo degli Agenti di Custodia nei confronti della Polizia
Penitenziaria), la discussione sviluppata nel gravame non può che tradursi nella
rinnovata esposizione dei ragionamento già addotto a supporto della tesi
sostenuta: mentre il ricorso ad argomenti del tutto nuovi comporterebbe il venir
meno di quella correlazione fra il tessuto motivazionale della sentenza e i motivi
di gravame che — come si è visto dianzi — è requisito essenziale per la specificità
dell’impugnazione.

49

1.2. Altra eccezione preliminare di rito è quella con la quale i medesimi

Conseguentemente, in un caso come quello di cui ci si occupa, l’adozione di
modalità espressive sostanzialmente corrispondenti a quelle adottate in primo
grado dà luogo ad un vizio meramente formale, senza inficiare nella sostanza
l’ammissibilità dell’appello alla stregua della norma invocata.
1.3. Ancora sull’eccepita inammissibilità di un atto di impugnazione verte
l’eccezione sollevata da alcuni imputati ad inficiare l’appello congiuntamente
proposto dalle parti civili iffil/~1111~11~1~11111

ricorsi di: Maurizio Piscitelli, Antonio Gavino Multineddu, Giovanni Russo, Corredo
Furcas, Giuseppe Serroni, Mario Fonicello, Reinhard Avoledo, Giovanni Pintus,
Pietro Romeo e Ignazio Mura (secondo motivo del ricorso congiunto); MINN
~1111 (primo motivo); 111~1, (primo motivo);

111111~ (primo

motivo).
L’eccezione è fondata e merita accoglimento. Si riscontra, invero, nell’atto di
appello in questione la carenza della specifica indicazione degli imputati dei quali
si intendeva chiedere l’affermazione di responsabilità in riforma della sentenza di
primo grado, l’unica informazione al riguardo essendo costituita dal mero insufficiente – richiamo per relationem alle conclusioni assunte in prime cure:
donde dovrebbe trarsi per differenza, attraverso il raffronto col dispositivo della
sentenza impugnata, l’identità dei soggetti nei confronti dei quali le parti civili
appellanti intendevano attivare l’impugnazione.
La genericità dell’indicazione così fornita si risolve nella carenza del requisito
di cui all’art. 581, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., rendendosi impossibile sulla base del solo contenuto dell’atto di appello – l’individuazione dei capi della
sentenza impugnati. In aggiunta a ciò va rilevato come risulti, altresì,
insoddisfatto il requisito della specificità dei motivi di gravame, non essendo a
ciò sufficiente il richiamo – ancora per relationem – al «lavoro complesso e
paziente» (così definito nell’atto di appello) di analisi delle emergenze probatorie
svolto dai deducenti in primo grado, in mancanza di precise e argomentate
confutazioni della motivazione addotta dal primo giudice nel disattendere

in

parte qua le domande rassegnate al suo giudizio.
L’inammissibilità dell’impugnazione in esame, che la Corte d’Appello ha
omesso di cogliere, deve essere rilevata in questa sede con le conseguenze che
si vedranno più oltre, nel trattare le posizioni dei singoli imputati ricorrenti.

2. Prima di attendere partitamente allo scrutinio delle ragioni poste a
fondamento dei ricorsi individuali, è opportuno sottoporre a preventiva disamina
alcune censure che, per essere comuni a una molteplicità di parti, richiedono di
essere trattate una tantum ad evitare inutili ripetizioni.

50

La questione è sollevata nei

2.1. Le due prime questioni di interesse comune, che richiedono immediata
attenzione per la loro attitudine a riflettersi complessivamente sulle posizioni di
ben 33 imputati, sono quelle — fra loro strettamente connesse — che informano il
ricorso del Procuratore Generale di Genova e che si riassumono nel sospetto di
illegittimità costituzionale dell’art. 157 cod. peri, e dell’art. 1 della legge 31 luglio
2006, n. 241, nelle parti in cui prevedono l’applicabilità della prescrizione e,
rispettivamente, dell’indulto anche per i fatti di reato riconducibili alla nozione di

La deduzione del P.G. ricorrente aspira a fondarsi sulla considerazione per
cui i principi di diritto di carattere sovra nazionale formalizzati nella Convenzione
Europea per i Diritti dell’Uomo (C.E.D.U.), così come interpretati dalla Corte di
Strasburgo, sono vincolanti per l’ordinamento interno degli Stati aderenti e
concorrono ad integrare il parametro di rango costituzionale di cui all’art. 117,
comma primo, Cost.; e fra tali principi deve intendersi ricompreso, secondo Il
deducente, quello in base al quale i reati che implicano un attentato alla dignità
della persona, attraverso l’imposizione di trattamenti inumani e degradanti,
devono essere repressi in modo effettivo e non dovrebbero, quindi, potersi
estinguere per prescrizione.
La questione di legittimità costituzionale è, per un verso, manifestamente
infondata e per altro verso irrilevante.
La sua manifesta infondatezza è già stata affermata da questa Corte
Suprema con riferimento a fattispecie che, per la prossimità di tempo e di luogo
e per la correlazione con i disordini verificatisi in occasione dell’incontro G8,
presentano spiccate analogie rispetto a quelle di cui ci si occupa (Sez. 5, n.
38085 del 05/07/2012, Lu peri, Rv. 253542). Nella motivazione di quella
pronuncia si è, condivisibilmente, osservato che la statuizione cui la Consulta
dovrebbe pervenire, secondo le intenzioni del ricorrente, consisterebbe in
un’estensione dell’area di imprescrittibilità che, secondo l’ordinamento attuale,
riguarda solo i reati puniti con la pena dell’ergastolo: il che esorbita dai poteri
della Corte Costituzionale, ostandovi il principio della riserva di legge sancito
dall’art. 25, comma secondo, Cost.. La valenza di tale rilievo non è inficiata dalla
pur affermata sindacabilità costituzionale delle norme penali c.d. di favore, cioè
di quelle che stabiliscono, per determinati soggetti o ipotesi, un trattamento
penalistico più favorevole di quello che risulterebbe dall’applicazione di norme di
diritto comune, poiché in quei casi l’effetto in malam partem della pronuncia
rappresenta «una conseguenza dell’automatica riespansione della norma
generale o comune, dettata dallo stesso legislatore, al caso già oggetto di una
incostituzionale disciplina derogatoria» (Corte Cost., sent. n. 394 del 2006);
sicché, conclusivamente, la pretesa che la Corte Costituzionale con una sua

51

tortura.

pronuncia possa espandere l’area dell’imprescrittibilità ad ipotesi attualmente
non previste dall’art. 157 cod. pen. si pone al di fuori dei poteri della stessa
Corte per contrasto con un principio cardine del sistema costituzionale in materia
penale, che non può essere sacrificato all’attuazione di altro principio (cui potrà
attendere il legislatore, in adempimento degli obblighi scaturenti dalle diverse
fonti convenzionali delle quali dianzi si è detto).
L’irrilevanza della questione discende dalla considerazione di un altro

Cost., a tenore del quale «nessuno può essere punito se non in forza di una
legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso». Viene qui in
considerazione il profilo temporale del principio di stretta legalità, in base al
quale è vietato – con l’efficacia propria della norma superprimaria – che sull’autore dei fatto possano gravare le conseguenze derivanti da urta modifica
apportata all’ordinamento penale in epoca successiva alla sua condotta. Si vuol
dire con ciò che, quand’anche la Corte Costituzionale, in esito a un impensabile
revirement della propria giurisprudenza, si ritenesse autorizzata a intervenire
additivamente sulla norma penale introducendo il principio della imprescrittibilità
di determinate ipotesi di reato (sulla cui Unicità sarebbe inoltre a discutersi, in
assenza di una specifica norma incriminatrice), la normativa di risulta non
sarebbe applicabile nei presente processo, riguardante una serie di fatti posti in
essere in epoca anteriore alla divisata pronuncia.
Considerazioni analoghe a quelle fin qui svolte rendono conto della
manifesta infondatezza ed irrilevanza della questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1 della legge n. 241/2006,
Ne consegue l’integrale rigetto del ricorso del Procuratore Generale
distrettuale, che dai soli motivi teste disattesi ambisce a trarre fondamento.
2.2. Una problematica d’interesse comune a molteplici imputati, sollevata
dai ricorrenti Perugini (primo motivo) eiliMsesto motivo), è quella che attiene
alla discussa configurabilità del concorso formale fra i reati di abuso d’ufficio (art.
323 cod. pen,) e di abuso di autorità contro arrestati o detenuti (art. 608 stesso
cod.).
Ha ritenuto la Corte di merito, in assonanza col Tribunale, che fosse da
escludere un rapporto di specialità fra i due reati, così come contestati, in quanto
le condotte contemplate nei due capi d’imputazione, pur nella

loro identità

materiale, avevano dato luogo alla violazione di due distinti precetti penali, posti
a tutela di beni giuridici diversi: e cioè, nell’ottica dell’art. 323 cod. pen., della
dignità individuale della persona (lesa dalla sottoposizione a trattamenti inumani
e degradanti); e, nell’ottica dell’art. 608 cod. pen., del mantenimento di quel
residuo spazio di libertà che l’ordinamento riconosce anche alla persona in stato

52
A

aspetto inerente alla portata precettiva del già citato art. 25, comma primo,

di detenzione.
I due menzionati ricorrenti motivano il loro dissenso con l’osservare,
praticamente all’unisono (pur nella varietà delle notazioni argomentative): che i
capi d’imputazione elevati

ex art. 323 cod. peri, recano la descrizione di

comportamenti già di per sé penalmente rilevanti, posti in essere da altri pubblici
ufficiali; che i reati di cui si discute sono entrambi propri e plurioffensivi,
postulano una violazione di legge e si trovano, in definitiva, in rapporto di genere

risolvere il concorso apparente di norme secondo il principio di specialità; che
pertanto l’imputazione di abuso di ufficio dovrebbe intendersi assorbita in quella
di abuso di autorità contro arrestati.
La tesi così prospettata non può essere condivisa.
Occorre premettere che la natura residuale del reato di abuso d’ufficio non
spiega efficacia determinante nel caso di specie; infatti l’inciso «salvo che il fatto
non costituisca un più grave reato», contenuto nell’art. 323 cod. pen., non
impedisce l’applicabilità del concorso formale nell’ipotesi opposta in cui il reato
concorrente sia meno grave: come è a dirsi, per l’appunto, del delitto di cui
all’art. 608 cod. pen., che è punito con pena detentiva di durata inferiore sia
nella sua entità edittale massima, sia in quella minima.
Il problema va riguardato, piuttosto, sotto il profilo dell’area di operatività
dell’art. 15 cod. pen., a norma del quale «quando più leggi penali o più
disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o
la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge
generale, salvo che sia altrimenti stabilito»; ed è proprio in tale ottica che si
muove, come sopra si è visto, la linea difensiva dei ricorrenti.
Nell’approccio al tema occorre tener presente che l’indefettibile presupposto
cui il legislatore ha inteso ricollegare l’applicazione del principio di specialità è
costituito dall’ambito di operatività delle disposizioni penali a raffronto, le quali
devono regolare «la stessa materia». Sui significato di tale espressione dottrina
e giurisprudenza si sono a più riprese interrogate, con risultati interpretativi non
sempre omogenei; tant’è che le stesse Sezioni Unite di questa Corte Suprema,
dopo avere in un primo tempo acceduto alla tesi secondo cui sarebbe richiesta
l’identità del bene tutelato (Sez. U, n. 9568 del 21/04/1995, La Spina, Rv.
202011), hanno in seguito apportato una correzione a quel principio, con
l’osservare che il riferimento al bene giuridico tutelato non è decisivo ai fini
dell’individuazione della stessa materia, potendo ingenerare dubbi nel caso dei
reati plurioffensivi (Sez. U, n. 23427 del 09/05/2001 Ndiaye, in motivazione);
fino ad attestarsi sul criterio del confronto strutturale fra le fattispecie astratte
configurate dalle norme incriminatrici e della comparazione degli elementi

53

a specie; che ciò rientra nella previsione di cui all’art. 15 cod. pen., dettato a

costitutivi che concorrono a definirle (Sez. 11, n. 1235 del 28/10/2010 – dep.
19/01/2011, Giordano, Rv. 248864).
Indipendentemente dal criterio distintivo adottato, il principio di specialità
non risulta applicabile con riferimento alle imputazioni di cui qui si tratta.
Ed invero, se si presta attenzione alla lesione del bene giuridico tutelato,
non può negarsi la correttezza del rilievo sul quale i giudici di merito hanno
fondato il loro convincimento, col rimarcare che il tipo descrittivo che informa

al detenuto (o arrestato), mentre vi è estranea la previsione di comportamenti
inumani e degradanti, dai quali derivi la menomazione della dignità della
persona; la lesione di quest’ultimo bene giuridico può, invece, ritenersi compresa
nelle fattispecie disciplinate dall’art. 323 dello stesso codice, stante l’ampia
dizione («danno ingiusto»), la cui causazione è punita dalla norma nel concorso
delle restanti condizioni.
Se invece ci si sofferma sulla struttura del reato, non ci si può esimere dal
rilevare che il delitto di abuso di autorità è reato di mera condotta, mentre ad
integrare il delitto di abuso di ufficio si richiede la produzione di un evento
naturalistico, che è alternativamente costituito dal vantaggio patrimoniale per
l’agente o per altri, ovvero dal danno ingiusto – non necessariamente
patrimoniale – riportato dalla persona offesa. Ciò significa che per la
configurabilità di quest’ultimo reato si richiede un

quid pluris che è invece

assente nel primo, il quale presenta da parte sua elementi differenziali del tutto
propri costituiti, fra l’altro, dalla custodia esercitata dall’agente sui soggetto
passivo. Ciò è quanto basta per affermare che le due ipotesi criminose si
pongono in rapporto di specialità reciproca, il che non consente l’applicazione dei
principio sancito dall’art. 15 cod. pen., ma rende configurabile il concorso
formale fra i due reati.
2.3. Altra questione posta da più ricorrenti, di interesse comune anche
perché investe la posizione processuale di numerose parti civili, è quella con cui
si eccepisce la contrarietà a legge delle statuizioni di ordine civilistico emesse in
favore di danneggiati che, pur essendosi costituiti parti civili in primo grado,
avevano omesso di proporre appello nei confronti degli imputati che erano stati
assolti dal Tribunale. La relativa eccezione è stata sollevata dagli Imputati
ricorrenti Cirnino e Pelliccia (quinto motivo del ricorso congiunto), Piscitelli,
Multineddu, Russo, Furcas, Serronl, Fonicello, Avoiedo, Rintus, Romeo e Mura

a

(primo motivo del ricorso congiunto), Maida (secondo motivo) e Mazzoleni
(settimo motivo).

Il ragionamento svolto dai deducenti fa perno sulla considerazione per cui,
mancata l’impugnazione avverso il rigetto delle istanze risarcitorie conseguito

54

l’art. 608 cod. pen. si riferisce alla lesione del residuo spazio di libertà spettante

alla pronuncia di assoluzione, su quel capo della sentenza si sarebbe formato il
giudicato, con efficacia preclusiva della riproposizione della domanda in appello:
non ostandovi il principio della c.d. immanenza della parte civile, dal quale
deriverebbe soltanto il diritto di partecipazione al giudizio di secondo grado.
Siffatta linea argomentativa, che in passato incontrò il favore della
giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite (Sent. n. 5 del 25/11/1998 dep. 11/03/1999, Loparco, Rv. 212575), non può essere condivisa alla luce

massimo organo di nomofilachia, invero, indotto a riesaminare la questione dalle
motivazioni addotte in nuove pronunce delle sezioni semplici (Sez. 5, n. 12018
del 01/03/1999, Maellare, Rv. 215559; Sez. 3, n. 9254 del 01/06/2000, Mariotti,
Rv. 216996), è pervenuto conclusivamente al convincimento che la mancata
impugnazione della parte civile non determini la formazione del giudicato sul
capo della sentenza riguardante gli interessi civili, quando il pubblico ministero si
sia gravato contro il proscioglimento ai fini penali; ha ravvisato, infatti, una
simmetria fra il principio codificato nell’art. 574, comma 4, cod. proc. peri., che
estende al capo civile gli effetti dell’impugnazione dell’imputato

nei confronti

della decisione di condanna, e quello che comporta l’estensione alla domanda
della parte civile degli effetti dell’impugnazione del pubblico ministero contro la
decisione di proscioglimento: derivandone un sistema nel quale la decisione nel
giudizio di impugnazione sulla responsabilità penale si riflette sulla decisione
relativa alla responsabilità civile automaticamente, vale a dire anche in
mancanza di impugnazione del capo concernente l’azione civile, che nei casi
Indicati forma oggetto di una devoluzione di diritto (Sez. LI, n. 30327 del
10/07/2002, Guadalupi, Rv. 222001).
L’approdo ermeneutico così raggiunto, che all’autorevolezza della fonte
coniuga la persuasività delle argomentazioni addotte a sostegno, rende ragione
dell’infondatezza dell’eccezione qui esaminata, che deve pertanto essere
disattesa.

3. Venendo ora alla disamina ripartita dei singoli ricorsi, cui si attenderà
secondo il medesimo ordine seguito in parte narrativa, vengono dapprima in
considerazione gli imputati ai quali, nella sentenza impugnata, sono state
attribuite funzioni di carattere apicale nella direzione del sito.

4. ALESSANDRO PERUGINI.
Il ricorso dell’imputato non ha fondamento e va disatteso.
4,1. In ordine ai primo motivo null’altro vi è da aggiungere a quanto dianzi
annotato (paragrafo 2.2) in ordine alla configurabilità del concorso formale fra i

55

A(

dell’evoluzione giurisprudenziale successivamente avutasi in subiecta materia. Il

reati di cui agli artt. 323 e 608 cod. pen..
4.2. Non sussistono i vizi motivazionali lamentati dal ricorrente col secondo
motivo. La Corte d’Appello ha chiaramente ed esaurientemente spiegato, col
conforto delle ordinanze appositamente emesse dalla Questura di Genova, come
il Vice Questore Perugini, formalmente investito di poteri autoritativi nello
svolgimento dell’attività di trattazione dei fermati e degli arrestati in quanto
aggregato a fini di collaborazione col Commissario Capo Anna Poggi, occupasse

svolgimento dell’attività stessa nella caserma avvenisse nel rispetto della legge e
ad intervenire per reprimere le condotte illecite. Ha poi considerato che, stante la
durata della sua permanenza nel sito (venerdì e sabato fino a notte inoltrata), i
suoi frequenti spostamenti nella struttura e l’evidenza – anche sotto il profilo
acustico – di quanto ivi perpetrato, egli aveva avuto piena contezza degli illeciti
continuativamente consumati: a maggior ragione in considerazione di quanto
riferito in sede testimoniale dalla persona

offesa 11111~ che aveva

descritto la promessa di poter informare i parenti della sua detenzione come una
benevola «concessione» del Perugini, (peraltro condizionata al suo buon
comportamento), in deroga a un regime detentivo che lo stesso Vice Questore
aveva riconosciuto come di livello Intermedio fra quello turco e quello americano.
L’avere, dunque, l’imputato omesso di impedire le azioni delittuose che
venivano commesse nella sua piena consapevolezza, quando non anche alla sua
presenza, è stato correttamente valutato dalla Corte di merito come concorso
nella consumazione dei reati dettagliatamente descritti nel capo d’imputazione,
secondo il principio canonizzato nell’art. 40, comma secondo, cod. pen..
Non giova al ricorrente prospettare un’ingiustificata disparità di trattamento
rispetto all’archiviazione disposta nei confronti del Dott. Sabella, magistrato
coordinatore dei siti di Bolzaneto e San Giuliano; ed invero, quando perplessità
potessero sorgere per il diverso esito procedimentale, esse potrebbero soltanto
investire il provvedimento liberatorio nei confronti di autorità che aveva
direttamente constatato la posizione vessatoria degli arrestati e ne aveva
consentito la protrazione, sia pur ponendo un limite alla sua durata (di fatto non
rispettato); ma l’estraneità del Dott. Sabella al rapporto processuale qui
rassegnato preclude ogni approfondimento del tema, come giustamente
osservato dalla Corte d’Appello. Resta, comunque, ineccepibile il giudizio di
responsabilità emesso a carico del Perugini sulla scorta della linea argomentativa
teste riassunta.

5. ANNA POGGI.
Il ricorso non è fondato.

56

una posizione di garanzia che lo obbligava giuridicamente a controllare che lo

5.1. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la linea
argamentativa della decisione assunta nei di lei confronti è logicamente
ineccepibile e immune dalla denunciata contraddittorietà.
La Corte di merito ha premesso di non voler accedere al criterio di giudizio
riassumibile nella formula «non poté non aver visto», onde non basarsi su una
presunzione suggerita dal solo fatto della presenza della Poggi nel sito per
l’intera giornata del venerdì, per il sabato dai pomeriggio a notte inoltrata e per

dell’effettiva percezione, da parte dell’imputata, di quanto andava accadendo: e
ciò in quanto gli illeciti che venivano compiuti producevano fonti visive, sonore e
olfattive del tutto inequivocabili per chi, operando in quel ristretto ambito
spaziale e muovendosi al suo interno, In quegli stessi eventi si trovava immerso
aIla stregua di un testimone oculare.
Onde accreditare l’assunto secondo il quale la Poggi avrebbe ignorato gli
eventi, per essersi costantemente mantenuta all’interno della stanza destinata a
suo ufficio, nel ricorso si trovano riprodotte le dichiarazioni rese dalla stessa
imputata nel corso dell’esame dibattimentale, nonché alcune deposizioni
testimoniali donde ci si propone di evincere una conferma a tale assunto.
L’argomento, peraltro, si traduce nella inammissibile prospettazione del fatto
storico in termini alternativi a quelli ritenuti dal giudice di merito, secondo la
ricostruzione del quale l’odierna ricorrente non si trattenne ininterrottamente nel
proprio ufficio, ma si spostò all’interno della struttura, così da avere una chiara
visione dell’aspetto atterrito e sanguinante degli arrestati, dei modo in cui
venivano apostrofati e trattati dai loro seviziatori; e comunque, anche dal proprio
ufficio aveva certamente udito le urla di dolore delle vittime, nonché i canti e i
suoni inneggianti al fascismo che provenivano ora dall’esterno della caserma, ora
dal corridoio.
Su tali presupposti fattuali la Corte territoriale ha fondato il convincimento
che la Poggi non soltanto non avesse esercitato la sua autorità per impedire la
commissione dei reati che si consumavano in sua presenza, ma con la propria
consapevole Inerzia avesse anzi rafforzato nei suoi sottoposti la certezza
dell’impunità. E l’impianto rnotivazionale così strutturato resiste al vaglio di
legittimità.
5.2. Non sussiste il dedotto vizio di errata applicazione dell’art. 40 cod. pen..
Ed invero, nella motivazione della sentenza impugnata è chiaramente
evidenziato il concorso di tutte le condizioni richieste dalla legge per l’operatività
della norma citata. A tale proposito basti osservare quanto segue.
L’obbligo giuridico di impedire l’evento è ivi ricollegato alla posizione di
garanzia facente capo alla Poggi in virtù del ruolo apicale da essa rivestito nella

57

due ore della domenica; al contrario, ha chiarito essersi raggiunta la prova

conduzione della struttura e del suo forte potere discrezionale e decisionale,
implicante la funzione di direzione e di coordinamento delle unità operative
sottoposte alla sua autorità.
L’omissione dell’intervento dovuto, in una al rapporto di causalità fra tale
omissione e la consumazione degli illeciti, è palesata dai fatto che il trattamento
dei detenuti contrario alla legge – e gravemente lesivo della dignità delle persone
sottopostevi – si sia protratto per tutto il tempo della sua permanenza nel sito,

espletamento dell’«attività di trattazione dei fermati», nel rispetto della legge e
dei diritti umani.
La sussistenza dell’elemento soggettivo del reato discende dalla piena
consapevolezza – accertata dal giudice di merito, come sopra si è rimarcato delle sevizie e del trattamento contrario al senso di umanità cui gli arrestati
venivano assoggettati, nonché del possesso dell’autorità necessaria e sufficiente
a farle ordinare la cessazione immediata di tali condotte illecite.
5.3. Il terzo motivo, col quale la ricorrente lamenta carenza motivazionale in
ordine all’aumento dell’entità delle provvisionali disposte in grado di appello a
favore di talune parti civili, non può essere esaminato in quanto inammissibile. È
costante, nella giurisprudenza di legittimità, l’affermazione del principio secondo
cui la concessione alla parte civile di una provvisionale non è impugnabile con
ricorso per cassazione (Sez. 5, n. 5001 del 17/01/2007, Mearini, Rv. 236068),
neppure per carenza di motivazione (Sez. 5, n. 40410 del 18/03/2004, Farina,
Rv. 230105), trattandosi di provvedimento di carattere delibativo che non
acquista efficacia di giudicato in sede civile.

6 .11~~110>
Il ricorso è fondato nel suo terzo motivo, con efficacia assorbente nei
confronti di quelli restanti.
Si è già osservato dianzi (paragrafo 1.3) come l’appello congiuntamente
presentato dalle parti civili
debba considerarsi
inammissibile, per le ragioni ivi esposte. Conseguentemente, poiché la riforma
della sentenza di primo grado, per quanto riguardante la posizione del

III» è

dipesa esclusivamente dall’accoglimento di quell’appello, se ne deve pronunciare
l’annullamento senza rinvio, null’altro essendovi da deliberare in proposito.

7. ERNESTO CIMINO e BRUNO PELLICCIA.
Il ricorso congiuntamente presentato da costoro è solo in parte fondato e va
accolto per quanto di ragione.

58

ove l’imputata avrebbe dovuto invece assicurare l’ordinato e corretto

7.1. Ciò non è a dirsi per il terzo, il quarto ed il quinto motivo,
rispettivamente volti ad eccepire la nullità della notifica dell’avviso di fissazione
dell’udienza preliminare, l’inammissibilità dell’appello del P.M. e l’illegittimità
della condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili non appellanti:
eccezioni delle quali si sono già esposte più sopra le ragioni di infondatezza, nei
paragrafi 1.1, 1.2 e 2.3.
7.2. Del primo motivo di ricorso devesl, invece, rilevare l’inammissibilità, in
quanto esulante dal novero di quelli consentiti dall’art. 606 cod. proc. pen..

Infatti le censure con esso elevate, dietro l’apparente denuncia di vizi della
motivazione, si traducono nella sollecitazione di un riesame del merito – non
consentito in sede di legittimità – attraverso la rinnovata valutazione degli
elementi probatorl acquisiti.
La Corte territoriale ha dato pienamente conto delle ragioni che l’hanno
indotta a ritenere che I due imputati avessero direttamente constatato – senza
Impedirlo – il trattamento illecito riservato ai detenuti, essendo stati
continuativamente presenti all’interno della struttura, così come emerso dal
narrato di diciassette testimoni escussi

1.111111i0 e dei coimputati Pintus,

ogragglig~~11111~

Gugiiotta,111~~~

Cerasuolo e

Toccafondl; nonché dalle dichiarazioni rese dallo stesso Pelliccia nel suo esame
dei 26 ottobre 2007, quando aveva ammesso di essersi recato nella struttura
una decina di volte e di aver visto le persone offese in posizione vessatoria,
ovvero accompagnate nei corridoio con le modalità descritte nel capo d’imputazione.
I ricorrenti si ripromettono di dimostrare che, così argomentando, il giudice
di seconda istanza sia incorso in un «travisamento del fatto», a tal fine
proponendo la rilettura di un’ampia parte delle risultanze dibattimentali,
testualmente riprodotta nel ricorso da pag. 5 a pag. 120. Ma la giurisprudenza di
questa Corte Suprema ha ripetutamente chiarito che nel giudizio di cassazione,
pur a seguito delle modifiche apportate all’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc.
pen. dalrart. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, non è consentito dedurre il
«travisamento dei fatto» per essere preclusa al giudice di legittimità la possibilità
di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella
compiuta nei precedenti gradi di merito; è Invece consentito dedurre, quale vizio
di motivazione, il rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza
riconducibile a quella forma di errore revocatorio sul significante, che viene
abitualmente definita «travisamento della prova»: il che si verifica quando
l’errore denunciato ricada non già sul significato dell’atto istruttorio, ma sulla
percezione del testo nel quale si estrinseca il suo contenuto (Sez. 6, n. 25255 del

59

e

14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia,
Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavala, Rv. 238215); ipotesi,
quest’ultima, non riscontrabile nel caso di cui ci si occupa.
7.3. Il secondo motivo di ricorso ripropone, innanzi tutto, la questione
concernente la – contestata – sussistenza dell’obbligo, per il Ornino ed il
Pelliccia, di impedire la perpetrazione dei reati da parte degli autori materiali di
essi, per assente insussistenza del potere autoritativo nei confronti della Polizia

garanzia attribuita ai deducenti.
In argomento viene in immediata considerazione il fatto che il Cimino e il
Pelliccia erano ufficiali del disciolto corpo degli Agenti di Custodia e, quindi, non
erano organicamente inseriti nel corpo della Polizia Penitenziaria.
Sulla questione il convincimento della Corte d’Appello si è formato in base
all’apprezzamento dei seguenti passaggi logici: ai sensi dell’art. 25, comma 6,
della legge 15 dicembre 1990, n. 395, gli ufficiali del corpo degli Agenti di
Custodia, inquadrati in un ruolo ad esaurimento a seguito della smilitarizzazione
dei relativi servizi, hanno assunto le funzioni e gli obblighi dei funzionari direttivi
o dei dirigenti dell’Amministrazione penitenziaria, con la possibilità di essere
preposti, a domanda, alla direzione dei servizi tecnico-logistici, del servizio di
traduzione dei detenuti ed internati e del servizio di plantonamento dei detenuti
ed internati; l’art. 7, comma 2, del d.P.R. 15 febbraio 1999, n. 82, ha inoltre
stabilito che «il personale del corpo di Polizia Penitenziaria che presta servizio
presso gli uffici centrali e periferici di cui al comma 1 [Dipartimento
dell’Amministrazione penitenziaria, provveditorati regionali dell’Amministrazione
penitenziaria, istituti e servizi penitenziari, scuole e istituti di istruzione] è tenuto
inoltre ai doveri di subordinazione nei confronti del personale di qualifica
superiore a quella rivestita dal personale stesso, verso il quale si determini un
rapporto di dipendenza in ragione della funzione esercitata»; il comma 3 dello
stesso articolo, poi, ha esteso quest’ultima disposizione anche al personale di
altre amministrazioni dello Stato, compresi gli appartenenti alle altre forze di
Polizia ed alle forze armate, in servizio presso il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Alla stregua di tale sistema normativo la Corte di merito si è
persuasa che, nei casi in cui gli ufficiali del corpo degli Agenti di Custodia
venivano preposti alla direzione dei servizi tecnico-logistici, del servizio di
traduzione dei detenuti ed internati e del servizio di piantonamento dei detenuti
ed internati, gli appartenenti al corpo di Polizia Penitenziaria fossero soggetti
all’obbligo di subordinazione, che poteva assumere anche carattere di
subordinazione gerarchica quando l’ufficiale fosse investito delle funzioni proprie
del direttore dell’istituto penitenziario. Tanto più che, nel caso concreto, l’ordine

60

Penitenziaria, posto dal giudice di merito a fondamento della posizione di

di servizio 2/G8/01 prevedeva che il Cimino e il Pelliccia non soltanto
provvedessero a pianificare le traduzioni, ma impartissero anche le necessarie
disposizioni per il corretto svolgimento del servizio.
Diversa è l’interpretazione propugnata dai ricorrenti, i quali invece negano
che fra due organi appartenenti a corpi diversi, uno dei quali militare e l’altro
civile, possa mai instaurarsi un rapporto gerarchico: a maggior ragione in quanto
tale possibilità sarebbe esclusa, in concreto, dalla mancata elencazione degli
ufficiali del disciolto corpo degli Agenti di Custodia fra i soggetti gerarchicamente

sovraordinati di cui agli artt. 6 e 9 della già citata legge n. 395/1990. La
conclusione cui si dovrebbe pervenire è che nel sito di Bolzaneto gli agenti di
Polizia Penitenziaria fossero soggetti a un rapporto di mera dipendenza
funzionale nei confronti del Cimino e del Pelliccia, così da indurre ad escludere
che questi ultimi si trovassero in una posizione di garanzia tale da comportare
una loro responsabilità ex art. 40, comma secondo, cod. pen..
La tesi dei ricorrenti muove da esatte considerazioni, pervenendo tuttavia a
un risultato non condivisibile.
invero, innegabile che gli ufficiali dei disciolto corpo degli Agenti di
Custodia, pur assumendo le funzioni e gli obblighi dei dirigenti dell’amministrazione penitenziaria, e pur potendo essere preposti alla direzione dei relativi
istituti e servizi, non possono considerarsi inseriti nella gerarchia di tale
amministrazione, del cui organico non fanno parte. Deve conseguentemente
escludersi che, nel caso di cui ci si occupa, possa considerarsi instaurato un
rapporto di supremazia gerarchica fra gli odierni ricorrenti e gli agenti di Polizia
Penitenziaria presenti nel sito di Bolzaneto.
Ciò, tuttavia, non incide negativamente sulla posizione di garanzia che deve
intendersi ad essi assegnata in virtù dell’obbligo di subordinazione gravante sugli
agenti (non soltanto della Polizia Penitenziaria, ma anche delle altre forze
dell’ordine), così come su tutto il personale avente qualifica inferiore, in relazione
alla dipendenza funzionale ivi realizzatasi. In proposito è opportuno soffermarsi
brevemente sui tratti caratterizzanti il rapporto gerarchico all’interno della
Pubblica Amministrazione; esso comporta la facoltà, per il superiore, non
soltanto di impartire ordini e direttive, ma altresì di revocare, annullare o
modificare gli atti amministrativi compiuti dall’organo subordinato e, addirittura,
di sottrarre ad esso le competenze ordinariamente spettantigli, provvedendo in
sua vece nel singolo caso (avocazione) o sostituendosi a lui. Orbene, perché il
superiore possa dirsi investito di una posizione di garanzia nei confronti dei terzi
non si richiede che gli siano conferiti tutti i poteri propri del rapporto gerarchico,
ma è sufficiente quella possibilità di dare ordini e impartire direttive, che è insita
anche nel mero rapporto di subordinazione per ragioni di dipendenza funzionale.

61

A

È certo infatti che, se il dipendente sottoordinato è soggetto ad obblighi di
subordinazione, in adempimento ad essi è tenuto ad eseguire i comandi
impartitigli dall’organo superiore, con la sola – ed ovvia – eccezione operante nel
caso in cui l’attività richiestagli sia manifestamente criminosa: ipotesi, quest’ultima, opposta a quella creatasi nel caso di specie, in cui gli ordini che il
Cimino e il Pelliccia avrebbero dovuto impartire erano proprio diretti a impedire
la commissione di reati, secondo il precetto di cui all’art. 40, comma secondo,
cod. pen..

Correttamente, pertanto, la Corte d’Appello ha ravvisato la responsabilità
dei due imputati in questione a motivo della loro condotta omissiva.
L’ulteriore censura che informa il motivo in esame s’indirizza a contrastare il
giudizio espresso dalla Corte territoriale in ordine alla consapevolezza, in capo ai
Cimino e al Pelliccia, dei delitti che i sottoposti andavano compiendo ai danni
delle persone arrestate. I ricorrenti si ripropongono, anche in questo caso, di
sorreggere la propria linea difensiva attraverso la trascrizione di deposizioni
testimoniali; ma una volta di più va ricordato che, per consolidata giurisprudenza, pur dopo la modifica legislativa dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod.
proc. pen. introdotta dall’art. 8 L. 20 febbraio 2006, n. 46, al giudice di
legittimità resta preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – fa rivisitazione
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione
di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti; e il
riferimento ivi contenuto anche agli «altri atti dei processo specificamente
indicati nei motivi di gravame» non vale a mutare la natura del giudizio di
legittimità come dianzi delimitato, rimanendovi comunque estraneo li controllo
sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (così Sez. 5, n.
12634 del 22/03/2006, Cugliari, Rv. 233780; v. anche le più recenti Sez. 5, n.
44914 del 06/10/2009, Basile, Rv. 245103; Sez. 6, n. 25255 dei 14/02/2012,
Minervini, Rv. 253099). Onde non è sostenibile in sede di legittimità, in contrasto
con quanto argomentatamente accertato dal giudice di merito, che nel piazzale
antistante la struttura non si fosse costituito un «comitato di accoglienza»
finalizzato ad immediatamente sottoporre a vessazioni gli arrestati ivi condotti, e
che all’interno non fossero percepibili (dunque necessariamente percepiti dai due
imputati, in occasione dei loro ripetuti accessi) i trattamenti illeciti riservati alla
vittime così come descritti nei capi d’imputazione.
7.4. Il sesto motivo di ricorso, volto a impugnare – sotto il duplice profilo
della illogicità della statuizione e della carenza rnotivazionale – il capo della

4

sentenza di appello contenente la concessione di ulteriori provvisionali a favore
delle parti civili, non richiede particolare disamina dopo quanto già osservato più

sopra (paragrafo 5.3) nel rilevare l’inammissibilità, nel giudizio di cessazione,

62
(

delle censure indirizzate all’annullamento del provvedimento delibativo in
questione.
7.5. Il settimo motivo, dedotto nel separato atto d’impugnazione datato 9
dicembre 2011, si appunta sulla liquidazione delle spese in favore delle parti
civili. Lamentano i ricorrenti che la Corte d’Appello si sia invariabilmente
attestata sull’importo di euro 18.000,00 per ciascuna parte civile, senza tener
conto del fatto che molte di esse erano state ammesse al patrocinio a spese dello

professionali vigenti; e che in numerosi casi lo stesso difensore aveva assistito
una pluralità di parti civili, il che avrebbe dovuto comportare la liquidazione di
un’unica parcella, aumentata secondo le percentuali previste dalle disposizioni
tariffarie.
La censura è inammissibile per carenza del requisito di specificità. Non
vengono, infatti, indicati i nominativi delle parti civili che hanno ottenuto
l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, né viene minimamente
argomentata l’affermazione secondo la quale l’obbligo di applicazione dei valori
tariffari medi – così come vigenti all’epoca della pronuncia – sarebbe rimasto
inosservata; ancora, manca nelle deduzioni dei ricorrenti l’indicazione delle parti
civili cui la Corte d’Appello avrebbe dovuto liquidare le spese in conformità al
criterio dettato dall’art. 3 della tariffa penale allegata al d.m. 8 aprile 2004, n.
127. L’estrema genericità della deduzione, che si limita all’indicazione dei principi
giuridici assertiva mente violati senza spiegare in che modo essi avrebbero
dovuto trovare applicazione nel caso concreto, impedisce di identificare con
precisione i punti della sentenza investiti dal gravame, giusta il precetto dell’art.
581, comma 1, tett. a) cod. proc. pen.; ed è, per di più, inosservante del
disposto di cui alla lettera c) dello stesso comma.
7.6. Fondata è la censura che informa l’ottavo motivo.
Non è, invero, possibile emendare con la procedura di correzione di errore
materiale l’omessa condanna degli imputati al risarcimento dei danni in favore di
una delle parti civili, trattandosi di provvedimento che comporta una
modificazione essenziale dell’atto, estendendo l’ambito e la portata delle
statuizioni relative agli interessi civili.
In proposito non è fuori luogo annotare che, anche in relazione all’ipotesi di minor impatto sul contenuto sostanziale della pronuncia – riguardante il
provvedimento additivo della condanna alla rifusione delle spese di difesa
sostenute dalla parte civili, la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare l’irritualità del ricorso alla procedura di cui all’art. 130 cod. proc. pen. (v.

ex multis Sez. 4, n. 46840 del 02/11/2011, Issidori, Rv. 252145; Sez. 3, n.
37194 del 02/07/2010, Vigneti, Rv. 248562; Sez. 1, n. 41571 del 01/10/2009,

63

Stato, comportante l’obbligo di non superare i valori medi delle tariffe

Saraceni, Rv. 245053).
In considerazione di quanto sopra la sentenza impugnata è da annullare in
parte qua senza rinvio, conseguendone l’eliminazione di quanto statuito in
aggiunta dall’ordinanza correttiva, anche nei confronti del responsabile civile
Ministero della Giustizia,
7.7. Resta fermo il rigetto, in ogni altra parte, del ricorso congiunto degli
imputati Cimino e Pelliccia.

8. ANTONIO BIAGIO GUGLIOTTA.
Il ricorso non ha fondamento.
8.1. Il primo motivo consiste, in massima parte, nella rinnovazione di una
linea difensiva basata su ragioni di merito. In ordine ad esse il collegio di
seconda istanza si è espresso con argomentazioni immuni da vizi logici e
giuridici, con l’osservare: che la linea difensiva dell’imputato facente perno sulla
penuria di uomini a sua disposizione poteva valere solo per l’inizio, atteso che
era stato poi messo al suoi ordini il personale del gruppo operativo mobile della
Polizia Penitenziaria e del nucleo traduzioni; che non rispondeva a verità
l’assunto secondo il quale l’ufficio immatricolazione esorbitava dalla competenza
e dal controllo del Gugliotta, essendosi appurato che gli arrestati «venivano presi
in carico con l’immatricolazione., passando dalla posizione di arrestati a quella di
detenuti» e a quel punto subentrava il Comandante di Reparto, responsabile
della sicurezza nell’ambito dell’istituto; che la ricostruzione dei fatti aveva
evidenziato come i crimini commessi dalla Polizia Penitenziaria si fossero
sovrapposti e mescolati con quelli commessi dalle altre Polizie, in modo del tutto
indistinto rispetto al tempo in cui l’arrestato era tale e non ancora detenuto; che
nel tempo in cui i detenuti immatricolati e visitati sostavano in attesa della
partenza per il carcere di destinazione, essi erano, anche formalmente, sotto la
sua responsabilità diretta ex art. 40 cod. pen.; che, pertanto, se – come
dimostrato – egli non era mai intervenuto per impedire alcuna forma di
vessazione verbale e materiale allorché si avvide, come dovette necessariamente
avvedersi, della commissione dei primi reati contro le persone che arrivavano nel
sito, ciò non poteva ascriversi a cecità o disattenzione: tanto più che, secondo la
deposizione delle persone offese, egli assistette e prese parte (di persona o
fornendo il proprio assenso) ai maltrattamenti inflitti ai detenutilli~ e
Né può fondatamente sostenersi che le uniche prove a carico del
Gugliotta siano state tratte dalle due deposizioni testé menzionate; infatti, anche
a prescindere dalla considerazione per cui gli episodi riferiti da quei testi sono
assai significativi dell’atteggiamento complessivamente tenuto dall’imputato nei
confronti dei detenuti presenti nel sito, va rimarcato che la sentenza impugnata

64

< I ha desunto ulteriori elementi di responsabilità a suo carica dal narrato di altre persone offese, e precisamente di einsaring~~1~11.111 MI" ri g uardanti episodi svoltisi nella sfera di controllo e di responsabilità del Gu g liotta. La prospettazione difensiva secondo la q uale il ricorrente non dovrebbe rispondere di quanto verificatosi nelle parti di caserma estranee alla sua autorità, perché appartenenti alla competenza della Polizia di Stato, dei Carabinieri o della dal fatto che la sua q ualità di «responsabile della sicurezza» g li dava il potere di intervento in o g ni circostanza in cui fosse leso, o anche solo messo in pericolo, il diritto dei detenuti all'inte g rità della persona, occorre non dimenticare che il Gu g liotta, q uale Ispettore della Polizia Penitenziaria, era ufficiale di Polizia Giudiziaria secondo quanto espressamente previsto dall'art. 14, comma 1, lett. b) n. 3) della le gge 15 dicembre 1990, n. 395: con la conse g uenza che g li incombeva l'obbli go di prendere notizia dei reati e di impedire che venissero portati a conse g uenze ulteriori, secondo il lessico dell'art. 55 cod. proc. pen. ; nell'esercizio di tale doverosa attività e g li poteva avvalersi dei poteri autoritativi inerenti alla q ualifica di ufficiale di p. g . nei confronti di qualunque soggetto colto nell'atto di commettere illeciti penali, anche se appartenente ad altro corpo di Polizia. Sulla correttezza g iuriica del ritenuto concorso formale fra i reati di cui a gli artt. 323 e 608 cod. pen. ci si è g ià intrattenuti, onde non vi è che richiamarsi a q uanto osservato nel para g rafo 2.2, a valere q uale confutazione della nota critica svolta dal ricorrente al chiusura del motivo. 8.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Ed invero, la lamentata omessa menzione del vincolo di solidarietà fra coobbli g ati al risarcimento dei danni e al connesso pa gamento delle provvisionali, q uando pure apparisse inte g rare una violazione dell'art. 2055 cod. civ. (dovendosi peraltro tener conto della norma di chiusura posta dall'art. 1294 dello stesso codice), costituirebbe un vizio proprio della sentenza di primo g rado, riprodottosi in q uella di appello per mancata sollecitazione del riesame sul punto. Conse g uentemente non può darsi in g resso all'eccezione per la prima volta nel g iudizio di cessazione, ostandovi la preclusione imposta dall'art. 606, comma 3, cod. proc. pen.. L'illustrazione del motivo estende la propria critica alla disomo g eneità del criterio di li q uidazione delle ulteriori provvisionali asse g nate In appello: su tale punto non vi è che da richiamarsi a q uanto g ià ripetutamente osservato in arg omento, nel rilevare l'inammissibilità della relativa deduzione in sede di le g ittimità. 65 Guardia di Finanza, non ha g iuridico fondamento. Ed invero, anche a prescindere 9. PIERMATTEOBARUCCO. Il ricorso è privo di fondamento. 9.1. Non sussistono, invero, i vizi di motivazione denunciati col primo motivo. La Corte distrettuale ha dimostrato di tenere ben presente la linea difensiva addotta dall'imputato, secondo cui dal testimoniale sarebbe emerso il compimento di atti illeciti soltanto al di fuori del periodo di tempo (dalle ore 17.00 alle 19.00 di quel giorno 21 luglio) durante il quale il contingente di vigilanza sugli arrestati; e ne ha dato confutazione richiamandosi alle testimonianze di ben 24 persone offese, che avevano riferito di fatti svoltisi al momento del loro arrivo, tra le 17.00 e le 19.00, quando nel piazzale antistante la caserma erano presenti in gran numero anche i Carabinieri; ha considerato, altresì, quel collegio che le vessazioni non erano iniziate alle 17.00, ma erano in corso fin dalle ore 12.00 ed erano la prosecuzione di quanto già avvenuto nella precedente giornata di venerdì 20 luglio: sicché non era credibile che un ufficiale dei Carabinieri posto al comando di una compagnia non fosse in grado di rendersi conto di quanto andava accadendo, ed era già drammaticamente accaduto, sul piazzale e all'interno della struttura. Ciò nonostante, si osserva nella sentenza, egli non soltanto sl era astenuto dall'intervenire per impedire gli illeciti che si consumavano sul piazzale o dal riferirne, quanto meno, all'Autorità giudiziaria o ai suoi superiori; ma neppure si era preoccupato di accertare quale fosse, all'interno della caserma, la sorte delle vittime martoriate e terrorizzate che vi venivano introdotte «attraverso un clamore minaccioso e prodromico dei delitti che vi si commettevano e che vi si sarebbero commessi». L'iter motivazionale or ora riassunto, esente da cadute di consequenzialità logica, spiega in modo esauriente e completo le ragioni del convincimento raggiunto dalla Corte d'Appello, indipendentemente dalla quantità dello spazio cartaceo utilizzato per darne conto. Né vi era la necessità, alla luce delle argomentazioni adottate, di esplicitare maggiormente le ragioni di dissenso dalla decisione assolutoria del Tribunale, che aveva valorizzato - sotto il profilo dell'elemento soggettivo - la limitata autonomia dei Carabinieri a motivo della loro dipendenza funzionale dalla Polizia di Stato; in proposito vale la pena di ribadire, in aggiunta a quanto osservato dal giudice di merito circa il poteredovere del Barucco di denunciare gli illeciti constatati, che la sua qualità di ufficiale di Polizia Giudiziaria gli imponeva di prendere le iniziative necessarie a far cessare il compimento dei reati che si svolgevano sotto i suoi occhi. E ciò dà conto, altresì, della responsabilità dell'imputato anche per i reati di percosse, lesioni, minacce e ingiurie commessi da altri, ma da lui non impediti pur essendone a conoscenza, secondo il disposto dell'art. 40, comma secondo, cod. 66 Carabinieri comandato dal Sottotenente Barucco si occupò del servizio di pen.. A chiusura della disamina del motivo va detto che la censura riferita alla mancanza di una valutazione coordinata di tutte le emergenze testimoniali, estrinsecatasi a detta del ricorrente nell'accantonamento delle deposizioni dei testi 1111111111.11. si traduce nella prospettazione di una lettura alternativa del materiale probatorio, che nel giudizio di cessazione non è consentita. 9.2. Anche il secondo motivo va disatteso. L'imputazione elevata nei confronti del Barucco - e ritenuta fondata dalla Corte d'Appello - per il delitto di cui all'art. 608 cod. pen. (capo 31) si riferiva soltanto alle vessazioni imposte ai detenuti durante la foro restrizione nelle camere di sicurezza, cioè nel tempo e nei luogo in cui essi si trovavano sotto la custodia del contingente di Carabinieri comandato dal ricorrente. Di quanto subito dagli arrestati al momento dei loro arrivo sul piazzale il giudice di merito ha tenuto conto sotto il profilo della responsabilità ex art. 40 cod. pen. per i reati elencati nel capo d'imputazione 32 (percosse, lesioni, ingiurie, minacce, violenza privata), che anche a quella fase si riferivano, nonché, più in generale, per desumerne la piena consapevolezza in capo al Barucco di quanto veniva fatto subire alle vittime sia all'esterno, sia all'interno della struttura. Anche la linea difensiva basata sul fatto che l'arrivo sul posto dei Carabinieri abbia segnato un'attenuazione delle misure di rigore, non vale ad escludere la responsabilità; resta pur sempre illecita la sottoposizione dei detenuti alla posizione vessatoria, nuovamente restaurata dopo le pause concesse, così come resta illecito ogni altro abuso, ancorché imposto In forma più attenuata rispetto al pregressa. 10. GIANMARCO BRAINI. Ii ricorso è infondato e va disatteso. Esso si pone, anzi, alle soglie dell'inammissibilità nella parte in cui s'indirizza a prospettare una ricostruzione alternativa dei fatto, sollecitando la rilettura delle deposizioni delle persone offese gararamemiaut dell'infermiere.. e eill~/~1~1., nonché della testimonianza e proponendo, altresì, un valutazione di attendibilità dei testi 111111111111. (per i quali è stata chiesta dal pubblico ministero la trasmissione degli atti onde procedere per falsa testimonianza), in luogo di quella di segno opposto emergente - sia pur per implicito - dalla sentenza di appello. Per il resto vi è soltanto da osservare che, alla stregua di quanto accertato in linea di fatto, in esito a valutazione del materiale istruttorio che - per le ragioni più volte richiamate - sfugge al sindacato della Corte di Cessazione, la motivazione addotta dalla Corte d'Appello risponde adeguatamente ai canoni 67 ( della logica, ai quali soltanto deve essere parametrato il giudizio di legittimità. Ha, infatti, considerato quel collegio: che il numero elevatissimo e la continuità del transito dei detenuti, sia nel piazzale sia nel corridoio della struttura principale, rendevano impossibile non accorgersi delle condizioni in cui essi venivano costretti a muoversi, e cioè con il busto reclinato in avanti a 90 gradi, tra due file di agenti che infierivano su di loro con insulti e percosse; che per certo il Tenente Braini si era portato più volte all'interno della struttura, sebbene i Carabinieri in massima parte (ma non nella totalità) si fossero astenuti dal commettere gli stessi delitti ascrivibili agli altri agenti, avevano comunque assistito alla loro perpetrazione senza impedirli e senza soccorrere le vittime, se non dopo ripetute invocazioni di aiuto; che, se pure era emersa la presenza di quello che era stato definito «Carabiniere buono», dedito a comportamenti più umani e a procurare un po' d'acqua ai più assetati, non erano tuttavia mancati Carabinieri tutt'altro che buoni, i quali avevano consentito agli agenti di entrare nelle celle e malmenare, vessare le vittime e incrudelire su di loro; che il Tenente Braini, consapevole della commissione di gravi abusi, culminati fra l'altro nello spruzzo di gas urticante all'interno delle celle, aveva bensì riferito l'episodio nella sua informativa, ma non aveva eseguito indagini al riguardo: né aveva fatto quanto in suo potere per far fronte a una situazione nella quale la commissione di gravi reati non era occasionale, all'interno di un luogo nel quale i lamenti dei prigionieri vessati erano continui. La decisione assunta dalla Corte d'Appello nei confronti del Braini resiste, pertanto, al vaglio di legittimità. 11. MAURIZIO PISCITELLI, ANTONIO GAVINO MULTINEDDU, GIOVANNI RUSSO, CORRADO FURCAS, GIUSEPPE SERRONI, MARIO FONICELLO, REINHARD AVOLEDO, GIOVANNI PINTUS, PIETRO ROMEO e IGNAZIO MURA. Il ricorso congiuntamente presentato dai suelencati sottufficiali del Carabinieri merita accoglimento, sebbene taluni dei motivi sui quali si fonda debbano essere disattesi. 11.1. Ciò è a dirsi, in particolare, del primo motivo, volto a impugnare la condanna al risarcimento dei danni in favore di parti civili non appartenenti al novero degli appellanti avverso la sentenza di assoluzione. Sull'infondatezza dell'eccezione così svolta ci si è già intrattenuti dianzi (paragrafo 2.3). 11.2. Va detto, altresì, che il già disposto accoglimento (paragrafo 1.3) dell'eccezione di inammissibilità dell'appello proposto - congiuntamente ad altri dalle parti civili 11.1111111.1111~111.1111~1111111111111110 non può recare, in concreto, conseguenze favorevoli agli imputati di cui ci si occupa in 68 essendovi stato visto -- e in seguito riconosciuto - dall1111.1111.11111 che, quanto, pur in mancanza di una valida impugnazione delle menzionate parti civili, l'appello sulla responsabilità penale proposto dal pubblico ministero è valso a riflettersi automaticamente sulla decisione relativa alla responsabilità civile, la quale ha formato oggetto di una devoluzione di diritto secondo il principio affermato dalle Sezioni Unite dì questa Corte Suprema nella già citata sentenza Guadalupi (n. 30327 del 10/07/2002). 11.3. Le ragioni che impongono l'annullamento della pronuncia emessa nei In proposito occorre precisare che il discorso giustificativo è viziato non già perché la Corte d'Appello sia pervenuta a una ricostruzione del fatto in dissonanza dai dati processuali (il che non sarebbe denunciabile nel giudizio di cessazione, come già rimarcato), ma perché tale ricostruzione è invece mancata, quanto meno in quella forma analitica che era resa necessaria dal fatto riconosciuto nella stessa sentenza - che il servizio di vigilanza alle celle fosse stato organizzato con una ripartizione dei turni comportante un avvicendamento delle sottosquadre di Carabinieri: tant'è che, su quello stesso presupposto, è mancata nei confronti degli imputati in questione la contestazione dei reati di percosse, lesioni, ingiurie, minacce e violenza privata. La sentenza impugnata spiega infatti che essi, «essendo responsabili solo della singola squadra, erano titolari di un obbligo di garanzia limitatamente al trattamento delle persone sottoposte alla loro vigilanza e poiché erano presenti contemporaneamente diverse sottosquadre, non è stato possibile accertare quale fosse l'abbinamento tra le cella in cui v'era una persona offesa di specifici reati e la sottosquadra addetta alla sua vigilanza, talché non è stato possibile individuare il sottufficiale di riferimento». In base allo stesso ragionamento, ai fini dell'attribuzione individuale delle responsabilità facenti capo ai singoli sottufficiali comandanti le sottosquadre sarebbe stato necessario accertare in quali celle, e sotto la sorveglianza di chi, si fossero verificate le vessazioni oggetto delle imputazioni ex art. 608 cod. pen.; e ciò perché la stessa Corte di merito ha riconosciuto che i Carabinieri in massima parte si astennero dal commettere gli stessi delitti ascritti agli altri appartenenti alle forze dell'ordine; e altrove ha rilevato come il testimoniale avesse dato atto del compimento, da parte di alcuni, di atti di umanità, aiuto e conforto in favore dei detenuti vessati, mentre altri avevano invece perpetuato il trattamento illecito. La varietà di situazioni così emersa dalle risultanze istruttorie imponeva dunque una t specifica valutazione, se resa possibile dal materiale probatorio, ?...4>W4 913%,”

dell’operatoydelle singole sottosquadre. Di contro, la motivazione addotta dal
giudice di appello si limita a richiamare, quanto agli imputati Piscitelli,

69

confronti dei ricorrenti sono, invece, riconducibili a carenze di motivazione.

Multineddu, Russo e Furcas, le ragioni addotte a sostegno della responsabilità del
sottotenente Barucco e, quanto agli imputati Serroni, Fonicello, Ava ledo, Pintus,
Romeo e Mura, le ragioni addotte a sostegno della responsabilità del tenente
Braini. Ciò non può soddisfare l’obbligo di motivazione che, per i motivi
suesposti, avrebbe dovuto distinguere le condotte dei componenti delle
sottosquadre al comando dei singoli sottufficiali.
11.4. A maggior ragione la decisione appare viziata avuto riguardo

Corte ha pronunciato condanna degli imputati Piscitelli, Multineddu, Russo e
Furcas al risarcimento dei danni anche in favore delle parti

~11111111~~111.

civili 11111~~

sebbene dalla cronologia dei fatti esposta nella

sentenza risultasse che la permanenza di costoro all’interno del sito non
coincideva con l’esercizio della sorveglianza da parte degli imputati; così come
analoga discrasia temporale ha contrassegnato la condanna degli imputati
Serroni, Fonicello, Avoledo, Pintus, Romeo e Mura al risarcimento dei danni

11.1111111~~11•11111111111111iililiiiiP
~11111~11111″tre al già menzionato~
anche in favore delle parti civili

11.5. La sentenza deve, pertanto essere annullata nei confronti dei ricorrenti
in questione, con rinvio al giudice civile competente per valore

in grado di

appello, in conformità al disposto dell’art. 622 cod. proc. pen..
11.6. à ancora da aggiungere, sebbene la relativa doglianza debba ritenersi
assorbita alla stregua di quanto or ora disposto, che la sentenza C.E.D.U. in data
5 luglio 2011, richiamata dalla difesa dei ricorrenti nella memoria con motivi
nuovi, non è invocata a proposito nel caso di specie. Con detta pronuncia,
invero, la Corte di Strasburgo non ha enunciato il principio secondo cui per la
legittimità della riforma in appello di una sentenza assoiutoria, nel senso della
condanna dell’imputato, sarebbe richiesta la previa rinnovazione della prova
testimoniale: ha invece affermato che, ove sia omesso tale adempimento, al
giudice di secondo grado non sia consentito rivedere il giudizio sull’attendibilità
del testimoni: e ciò in quanto «la valutazione dell’attendibilità di un testimone è
un compito complesso che generalmente non può essere eseguito mediante una
semplice lettura delle sue parole verbalizzate».

12. ANTONELLO GAETANO.
Il ricorso è privo di fondamento.
12.1. A dar- conto dell’infondatezza dell’eccezione di inosservanza del
principio di correlazione fra contestazione e condanna, sollevata col primo
motivo, va ricordato che costituisce un principio da considerare alla stregua di
«diritto vivente», siccome asseverato da ripetute ed unanimi enunciazioni

70

all’inspiegabile aporia fondatamente denunciata coi quarto motivo, per cui la

giurisprudenziali, quello secondo cui le norme che disciplinano le nuove
contestazioni, la modifica dell’imputazione e la correlazione tra l’imputazione
contestata e la sentenza (articoli 516-522 cod. proc, pen.), avendo lo scopo di
assicurare il contraddittorio sul contenuto dell’accusa e, quindi, il pieno esercizio
del diritto di difesa dell’imputato, vanno interpretate con riferimento alle finalità
alle quali sono dirette, cosicché non possono ritenersi violate da qualsiasi
modificazione rispetto all’accusa, ma soltanto nel caso in cui la modificazione

41663 del 25/10/2005, Rv. 232423; v. anche le successive Sez. 2, n. 46242 del
23/11/2005, Magnatta, Rv. 232774; Sez. 4, n. 10103 del 15/01/2007, Granata,
Rv. 236099; Sez. 3, n. 15655 del 27/02/2008, Fontanesi, Rv. 239866; nonché la
più recente pronuncia con cui le Sezioni Unite, chiamate a dirimere un contrasto
giurisprudenziale su altra questione, hanno tra l’altro ribadito una volta di più il
principio suesposto: Sez. Il, n. 36551 del 15/07/2010, Cara], Rv. 248051).
Ciò detto, non può esservi dubbio che nel caso di specie il diritto alla difesa
dell’imputato non sia stato minimamente compromesso per effetto dello
spostamento della collocazione temporale degli illeciti, nei limiti di qualche ora,
rispetto all’indicazione contenuta nel capo d’imputazione, donde è derivato lo
sconfinamento oltre le ore 24.00 e, quindi, nelle prime ore dei giorno successivo.
Per giustificare adeguatamente la propria doglianza il ricorrente avrebbe dovuto
spiegare in che cosa la sua linea difensiva sarebbe mutata, se fin dall’inizio la
condotta ascrittagli si fosse collocata in orario posteriore alla mezzanotte,
anziché anteriore. A tal fine non è pertinente osservare – come si fa nel ricorso che nelle querele erano indicati orari nei quali egli si era già allontanato dal sito,
poiché il principio di correlazione sul quale il motivo ambisce a fondarsi non
riguarda le indicazioni temporali desumibili dalle querele, ma soltanto la
contestazione formalizzata nel capo d’imputazione; e rispetto a quest’ultima giova ripeterlo – non è ravvisabile alcuna compromisslone del diritto alla difesa.
12.2. 11 secondo motivo prospetta come carenza motivazionale il fatto che la
Corte d’Appello abbia ecceduto alla collocazione temporale dei fatti nei termini
appena sopra evidenziati, sebbene le risultanze testimoniali indirizzassero a
conclusione affatto diversa; si richiama, in particolare alla deposizione della
persona offesa

inimub rilevando come essa abbia riferiti di illeciti

perpetrati ai suoi danni dalla Polizia Penitenziaria (così implicitamente
escludendo un coinvolgimento della Polizia di stato), per di più in orario
successivo all’allontanamento del deducente dal sito.
La censura non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità, siccome volta
a prospettare una lettura delle risultanze processuali alternativa a quella cui ha
argomentatamente ecceduto il giudice di merito. Per quanto, in particolare, si

71

dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato (così Sez. 4, n.

riferisce alla deposizione della~ la Corte territoriale non ha mancato di
osservare che costei ha riferito di aver subito I maltrattamenti nell’ufficio delta
Squadra Mobile, alla presenza di persona la cui descrizione – poi confermata dal
riconoscimento fotografico – corrispondeva ai tratti dell’Ispettore Superiore
Antonello Gaetano: sicché la conclusione raggiunta da quel collegio, siccome
sorretta da motivazione immune da vizi logici, si sottrae al sindacato in sede di
legittimità.
123. Analogamente inammissibile nei giudizio di cessazione, per le ragioni

già ripetutamente indicate, è la censura di errata valutazione del materiale
istruttorio che informa il terzo motivo. Il ricorrente con essa sollecita una
rilettura delle emergenze testimoniali, di cui riproduce alcuni stralci, al fine di
accreditare una ricostruzione alternativa del fatto che in questa sede non è
consentita.

13. MASSIMO LUIGI PIGOZZI.
Il ricorso non può trovare accoglimento,
13.1. In ordine al primo motivo non vi è che ribadire quanto già
ripetutamente affermato in ordine alla inammissibilità, nel giudizio di cessazione,
di censure finalizzate alla rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione. Va altresì ricordato che, alla stregua di un principio
condivisibilmente enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, alla Corte di
Cessazione non compete stabilire se la decisione di merito proponga la migliore
ricostruzione dei fatti, ma soltanto verificare se il discorso giustificativo sia
compatibile col senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento; ciò in quanto il controllo sulla motivazione del provvedimento
impugnato è limitato alla verifica della consequenzialità logica dei passaggi
argomentativi, mentre rimane escluso il sindacato sulla correttezza delle
conclusioni raggiunte in rapporto ai dati processuali (Sez. 4, n. 4842/04 del
02/12/2003, Elia, Rv. 229369; v. anche Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999,
Guglielmi, Rv. 214567).
Nel caso in esame la Corte distrettuale ha dato conto compiutamente delle
ragioni che l’hanno indotta a dar credito all’ipotesi accusatoria; ha riconosciuto
attendibilità alle dichiarazioni della persona offesa .11.111111111111 anche
perché riscontrate da quelle rese da

111111~ah

che con lui era stato

condotto a Balzaneto sullo stesso veicolo, condotto dal Pigozzi, e unitamente a
lui, subito dopo la discesa dall’automezzo, aveva subito una serie di violenze
(calci, pugni, sputi, manganellate) che, pera.. erano culminate nell’atto
di particolare brutantà consistito nel divaricargli le dita della mano sinistra fino
alla lacerazione della mano; ha valutato positivamente l’Individuazione nel

72

(

Pigozzi dell’autore di quest’ultimo fatto, avuto riguardo alla descrizione fattane
dallo stessolagne dal riconoscimento da lui effettuato quando, una decina di
giorni dopo, aveva causalmente incontrato il Pigozzi al pronto soccorso di San
Martino; ha confutato punto per punto le deduzioni svolte dalla difesa nell’atto di
appello, giustificando fra l’altro talune incertezze e discrasie nelle dichiarazioni
ricostruttive delle persone offese con l’osservare come dovesse aversi riguardo in
primo luogo alla complessità della situazione, cioè alla molteplicità di messaggi

agli elementi di fatto che principalmente colpivano i loro sensi, e non agli
elementi marginali; ha inoltre dato plausibile spiegazione del fatto cheill~
al momento della visita medica, avesse detto di essersi ferito da solo, anziché
comunicare le modalità dell’aggressione subita, attribuendo tale scelta alla paura
di accusare il responsabile in un ambiente nel quale aveva ancora a temere per
la propria incolumità.
La linea argornentativa così sviluppata si presenta immune da vizi logici e
giuridici, onde resiste al vaglio di legittimità; mentre il tentativo del ricorrente di
screditare l’attendibilità della persona offesa, proponendo una rilettura in chiave
critica delle sue dichiarazioni, non può trovare spazio in questa sede per le
ragioni già viste.
13.2. Da disattendere è anche il secondo motivo, nella parte in cui il
ricorrente lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva che addita
nell’assunzione dei testi”

—7 indicati nella

lista e non ammessi a deporre. La Corte di merito ha adeguatamente motivato il
rigetto del relativo motivo di appello, col rilevare che i testi sarebbero stati
chiamati a deporre su fatti completamente diversi da quelli oggetto del processo.
All’argomento così esposto, già di per sé sufficiente a legittimare il diniego, vale
la pena di aggiungere che la mancata acquisizione di una prova può essere
dedotta in sede di legittimità, a norma dell’art. 606, comma primo, lett. d), cod.
proc. pen., quando si tratta di una «prova decisiva», ossia di un elemento
probatorio suscettibile di determinare una decisione del tutto diversa da quella
assunta, ma non quando i risultati che la parte si propone di ottenere possono
condurre – confrontati con le altre ragioni poste a sostegno della decisione – solo
ad una diversa valutazione degli elementi legittimamente acquisiti nell’ambito
dell’istruttoria dibattimentale (v. da ultimo Sez. 6, n. 37173 del 11/06/2008,
Ianniello, Rv. 241009). Fra l’altro non si può omettere di rilevare che nel ricorso
non sono neppure specificate le circostanze di fatto sulle quali i testi avrebbero
dovuto essere chiamati a deporre, onde anche per ciò è assai arduo ravvisare la
decisività della prova.
Altra censura infondatamente svolta nello stesso motivo è quella con cui il

73

sonori, fisici e comportamentali dai quali essi venivano bersagliati, dando rilievo

Pigozzi si duole che all’Azzolina non sia stata posta la domanda, sollecitata dalla
difesa, riguardante i suoi precedenti penali, né sia stata acquisita la relativa
documentazione. Sul punto la sentenza impugnata si è correttamente espressa
in senso negativo, stante l’irrilevanza della richiesta indagine rispetto all’oggetto
del presente giudizio.
13.3. La censura che informa il terzo motivo, riferita alla durata della
malattia, non ha ragion d’essere alla luce delle valutazioni espresse dal
consulente tecnico del P.M., così come riprodotte dallo stesso ricorrente. Emerge

da esse che la durata della malattia, nel senso fisico di processo patologico in
evoluzione, fu valutata in trenta giorni; ma che a tale durata fece seguito un
ulteriore periodo di venti giorni per il completamento della guarigione e la ripresa
dell’attività lavorativa, impedita dalla sintomatologia psichica indotta dal trauma
subito dal paziente. Secondo il ricorrente dovrebbe tenersi conto soltanto del
trenta giorni necessari alla guarigione chirurgica, mentre sarebbe penalmente
irrilevante il protrarsi per altri venti giorni della componente psicologica
attribuibile allo stato emotivo riferito

~CB Tuttavia la tesi così

prospettata, ancorché condivisa dal consulente (cui peraltro non competono
valutazioni di carattere strettamente giuridico), s’infrange nel dettato dell’art.
582 cod. peri., che riserva trattamento indifferenziato alla malattia «nel corpo o
nella mente»; nonché dell’art. 583, comma primo, n. 1) dello stesso codice, che
prevede l’attribuzione del carattere di gravità alla lesione anche nell’ipotesi in cui
l’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni si protragga oltre il quarantesimo giorno.
13.4. Inammissibile è il quarto motivo di ricorso, col quale il Pigozzi volge le
proprie critiche al trattamento sanzionatorio riservatogli.
In proposito va rimarcato che tanto la modulazione della pena quanto la
concessione delle attenuanti generiche sono statulzioni che l’ordinamento rimette
alla discrezionalità del giudice di merito, per cui non vi è margine per il sindacato
di legittimità quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai
canoni della logica. Nel caso di specie la Corte d’Appello non ha mancato di
motivare la propria decisione sui punti in questione: sia col rilevare la congruità
della pena (tre anni e due mesi di reclusione), rispetto alla gravità obiettiva del
fatto; sia con l’evidenziare la particolare intensità del dolo, consistito nella
volontà di cagionare un dolore molto intenso a persona menomata, già
sottoposta ad aggressione e minaccia e sottomessa all’arbitrio del suo aguzzino.
Siffatta linea argomentativa non presta il fianco a censura, rendendo
adeguatamente conto delle ragioni della decisione adottata; d’altra parte non è
necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il

giudice prenda

singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.,

74

A

T

essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che, nel discrezionale
giudizio complessivo, assumono eminente rilievo.
La doglianza riferita a un preteso aumento di pena per la continuazione è
totalmente fuori centro, riferendosi la condanna ad un solo reato, sia pur
aggravato dalla gravità della lesione, dalla minorata difesa e dall’abuso dei poteri
inerenti alla pubblica funzione esercitata dal Pigozzi.
13.5. Sull’inammissibilità del quinto motivo, volto a impugnare l’entità della

non per richiamare quanto già esposto in argomento al paragrafo 5.3.

14- 111.11~1~e

eggialt~la

Il ricorso congiuntamente proposto da costoro è inammissibile per le ragioni
di seguito esposte.
14.1. Il primo motivo esule dal novero di quelli consentiti nel giudizio di
cessazione là dove, ponendo in dubbio le risultanze fattuali, si traduce nella
richiesta di rinnovata valutazione del materiale probatorio in contrasto col
principio, già ripetutamente richiamato, secondo cui non compete alla Corte di
Cessazione la rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti. è, inoltre, manifestamente infondato nella parte in cui
pretende di ricondurre le fattispecie contestate nell’area di operatività dell’art. 47
cod. pen. (errore di fatto). L’apposizione a verbale di una risposta negativa, alla
domanda rivolta all’arrestato circa la volontà di far informare dell’arresto i
familiari e l’autorità diplomatica dello Stato di appartenenza, presuppone la
certezza in capo al verbalizzante che la domanda in lingua italiana sia stata ben
compresa dall’interlocutore e che la risposta di costui abbia il significato di un
diniego: la dedotta reciproca incomprensione della lingua può avere creato
qualche incertezza (che il pubblico ufficiale aveva il dovere di dissipare), ma ciò
non può esimere da responsabilità se si considera che anche l’attestazione come
certo e inequivocabile di un fatto, che invece certo non sia, costituisce di per sé
una falsità.
Nessuna rilevanza

può riconoscersi alla mancata individuazione del

movente, volta che sia accertata – come in effetti è nel caso di specie – la
sussistenza del reato in ogni suo elemento oggettivo e soggettivo.
14.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo. L’aggravante della
fidefacenze, pur in mancanza di un’espressa menzione del secondo comma
dell’art. 476 cod. pen. nei capi d’imputazione, è stata ritualmente contestata in
fatto attraverso l’indicazione della natura degli atti ideologicamente falsificati; è
infatti connaturata al processo verbale redatto dal pubblico ufficiale la qualità di

75

provvisionale riconosciuta alla parte civile, non vi è necessità di soffermarsi se

atto facente piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del
documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni di
chi è comparso davanti a lui e di ogni altro fatto avvenuto in sua presenza o da
lui compiuto.
14.3. La manifesta infondatezza del terzo motivo è consequenziale a quella
del secondo, incidendo l’aggravante della fidefacenza sulla durata del termine
prescrizionale (dieci anni, prorogati fino a dodici anni e sei mesi per effetto degli

15 1~1~1.
Il ricorso è inammissibile.
15.1. In ordine al primo motivo valgono considerazioni analoghe a quelle
dianzi dedicate al corrispondente motivo di ricorso dei coimputati
anche in questo caso vi è il tentativo — poi ripreso nella memoria
con motivi nuovi — di prospettare una rilettura dei dati processuali, per derivarne
una ricostruzione dei fatti contrastante con quella fatta motivatamente propria
dal giudice di merito.
Un’argomentazione recata in aggiunta dal ~si riferisce alla peculiarità
delle mansioni da lui svolte in occasione dei fatti: osserva, invero, il ricorrente
che il suo compito è consistito soltanto nell’inserire nel sistema informatico i dati
raccolti da altri. Senonché tale rilievo difensivo è manifestamente infondato in
quanto mostra di non tener conto dei basilari principi che presiedono al concorso
di persone nel reato, secondo cui ciascuno dei compartecipi risponde dell’azione
illecita complessiva in forza del contributo da lui consapevolmente fornito anche
limitatamente a una parte di essa; sicché l’aver preso parte all’iter procedurale
dell’immatricolazione, introducendo nel sistema informatico i dati inerenti agli
arrestati e formalizzando casi l’acquisizione di false attestazioni su quanto da
essi dichiarato (o non dichiarato) in sua presenza, ha innegabilmente concretato
il concorso dell’imputato alla consumazione del reato.
15.2. In ordine al secondo motivo non vi è che da ribadire quanto sopra
osservato sub 14.2., emergendo dagli atti l’avvenuta contestazione in fatto,
anche nei confronti del dell’aggravante della fidefacenza.

16

.11111~1111111~~~1.

Il ricorso congiunto non ha fondamento.
16.1. Il primo motivo investe, in senso contestativo, il rigetto dell’eccezione

di inammissibilità degli appelli proposti dalle parti civili

111111111111111111111111•1111

atti interruttivi).

mini~1~1~…mb

La questione è,

indubbiamente, rilevante, stante la mancanza di impugnazione da parte del
pubblico ministero, poiché l’eventuale accoglimento di essa imporrebbe l’annullamento senza rinvio della condanna al risarcimento dei danni; essa è, peraltro,
infondata. Ed invero, in ambedue gli atti di impugnazione sottoposti a scrutinio
(l’uno presentato per conto delle parti civili

i

iiiii~~~11.1111.1. l’altro per conto delle parti

indicati i capi della sentenza impugnati, con l’indicazione nominativa degli
imputati – assolti in prime cure – nei confronti dei quali era riproposta la
domanda di condanna, nonché le ragioni addotte a sostegno dei gravami. Ciò è
quanto basta perché possano considerarsi soddisfatti i requisiti di forma di cui
all’art. 581 cod. proc. pen..
16.2. Anche le due censure che informano il secondo motivo di ricorso sono
da disattendere. Quanto alla prima, invero, va detto che – quando pur
sussistente – la lacuna motivazionale sul punto riguardante l’eccezione di
inammissibilità degli appelli non sarebbe causa di annullamento della sentenza in
considerazione del fatto che, sulla inosservanza di norme processuali, la Corte di
Cassazione decide in maniera diretta e non attraverso il sindacato sulla
motivazione adottata dal giudice a quo: e ciò in quanto nell’esame delle
questioni inerenti a vizi in procedendo è giudice anche del fatto e può, pertanto,
procedere direttamente all’esame dei relativi atti processuali. Comunque il
denunciato vizio non sussiste, essendo agevolmente desumibile dal tenore dei
motivi di appello quale condotta le parti civili abbiano inteso ascrivere agli odierni
ricorrenti quale fonte di responsabilità.
La seconda censura è priva di fondamento giuridico. Per quanto alla parte
civile non sia consentito impugnare agli effetti penali la sentenza di
proscioglimento dell’imputato, le è data tuttavia la facoltà di gravarsi senza
alcuna restrizione, ai soli effetti civili, contro la sentenza che le è sfavorevole
(Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236539; Sez. 5, n. 35966 dei
15/05/2008, Albano, Rv. 241582); perché tale iniziativa possa aprire la strada al
conseguimento del risultato prefisso dalla parte civile, cioè all’accoglimento della
domanda risarcitoria azionata nel processo penale, è necessario che sia posto in
discussione il giudizio che ha indotto il giudice di primo grado a escludere la
responsabilità dell’imputato. in tale ipotesi il giudice dell’impugnazione, dovendo
decidere su una domanda civile necessariamente dipendente da un accertamento
sul fatto-reato e, dunque, sulla responsabilità dell’autore dell’illecito, può,
seppure in via incidentale, statuire in modo difforme sul fatto oggetto dell’imputazione, ritenendolo ascrivibile al soggetto prosciolto: nel qual caso la res

77

civili 011111.1~~1111~11.1» risultano specificamente

iudicanda si sdoppia, dando luogo a differenti decisioni potenzialmente in
contrasto tra loro (Sez. 2, n. 5072 del 31/01/2006, Pensa, Rv. 233273; Sez. 2,
n. 897/04 del 24/10/2003, Cantamessa, Rv. 227966).
Corretta è stata, dunque, la richiesta di affermazione della responsabilità
degli imputati, finalizzata alla loro condanna al risarcimento dei danni, rivolta al
giudice di appello dalle parti civili. Certamente non altrettanto corretta è stata la
richiesta aggiuntiva, contenuta nell’atto di impugnazione degli appellanti 111111

legge: ma ciò non può incidere sull’ammissibilità del gravame nelle parti restanti,
alla luce del generale principio utile per inutile non vitiatur.
16.3. Quanto al terzo motivo di ricorso, a confutazione delle censure ivi
mosse corre l’obbligo di osservare, in adesione alla linea argomentativa addotta
nella sentenza: che l’esistenza di un obiettivo stato di disorganizzazione
all’interno dell’ufficio matricola, lungi dallo scriminare l’operato di chi l’organizzazione avrebbe dovuto curare, dimostra anzi come l’ammassarsi disordinato di
persone traumatizzate e terrorizzate, perché già sottoposte a maltrattamenti e
minacce, abbia costituito l’ideale «terreno di coltura» per una rapida e
indiscriminata formazione di verbali che, nei moduli precostituiti, già
contenevano le attestazioni di segno negativo circa la volontà di informativa dei
familiari e dei consolati degli Stati di appartenenza; che non può andare esente
da responsabilità iliMIM titolare di una posizione di garanzia per il suo grado
e per il ruolo di comando dell’ufficio matricola, che del sistema di predisposizione
dei moduli era stato l’artefice; che analoga fonte di responsabilità è stata
l’inerzia delliMa fronte di quanto si andava perpetrando, nella consapevolezza che la verbalizzazione veniva attuata senza che gli arrestati fossero in
grado di capire quanto veniva loro imposto di sottoscrivere; che la dedotta
sottoposizione dellelleaa turni di lavoro che la difesa definisce «massacranti»
non vale a giustificare la sua colpevole inerzia di fronte ad illeciti consumati ai
danni di persone sottoposte a trattamenti ben più massacranti.
Quanto all’assunto difensivo secondo cui la falsa attestazione contenuta nei
verbali non avrebbe prodotto conseguenze concrete in quanto per molti Paesi,
anche comunitari, era all’epoca obbligatoria la comunicazione dell’arresto
all’autorità consolare, è pertinente il richiamo al principio giurisprudenziale
secondo cui «sussiste il falso innocuo quando esso si riveli in concreto inidoneo a
ledere l’interesse tutelato dalla genuinità dei documenti e cioè quando non abbia
la capacità di conseguire uno scopo antigiuridico, nel senso che l’infedele
attestazione o la compiuta alterazione appaiano del tutto irrilevanti ai fini del
significato dell’atto e del suo valore probatorio» (così Cass. 7 novembre 2007 n.
3564/08; v. anche Cass. 21 aprile 2010 n. 35076); sicché, avendo invece la

78

11111111111~11111111111111111, di condanna degli imputati alle pene di

falsa attestazione assegnato ai verbali la funzione di provare l’avvenuta
formulazione di una risposta negativa alla domanda rivolta a ciascun arrestato,
in contrasto con la mancata dichiarazione in tal senso, bene è stata riconosciuta
la lesione della pubblica fede che la norma incriminatrice (art. 479 cod, pen.)
s’indirizza a reprimere.
16.4. Il quarto motivo è inammissibile per quanto di seguito esposto.
È manifestamente infondato nella parte in cui si fa portatore dell’assunto

consisterebbe soltanto nell’attestare fatti e non dichiarazioni di volontà,
ponendosi tale inferenza in contrasto con l’inequivocabile disposto dell’art. 2700,
a tenore del quale «l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della
provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle
dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti
in sua presenza o da lui compiuti». Diversa problematica è quella che attiene alla
veridicità di quanto dichiarato dalla parte comparsa, cui

non si estende la

valenza probatoria dell’atto (salva la responsabilità del dichiarante, quando
ricorrano gli estremi di cui all’art. 483 cod. pen.); ma la fattispecie così
delineata, cui si riferisce il precedente giurisprudenziale citato dai ricorrenti,
non è pertinente al caso di specie.
Esule dal novero dei motivi consentiti dall’art. 606 cod. proc. pen. la censura
con cui i ricorrenti ambiscono a trarre da talune deposizioni testimoniali la
dimostrazione di un travisamento nel quale sarebbe incorsa la Corte d’Appello. In
proposito va ribadito una volta di più che, ai fini del controllo del giudice di
legittimità sulla motivazione, il vizio deducibile ai sensi dell’art. 606 c. 1 lett. e)
c.p.p. è solo l’errore revocatorio (sul significante), in quanto il rapporto di
contraddizione esterno al testo della sentenza impugnata non può che essere
Inteso in senso stretto, quale rapporto di negazione (sulle premesse): mentre ad
esso è estraneo ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di
mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento dl prova,
per quanto significativo, può essere interpretato per «brani» né fuori dal
contesto in cui è inserito. Ne deriva che gli aspetti del giudizio che consistono
nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti
attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità,
se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità
dimostrativa: e che pertanto restano inammissibili, in sede di legittimità, le
censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione
del risultato probatorio (cosi Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv. 236540;
v. anche Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215; Sez. 3, n.
39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011,

79

secondo cui l’obbligo del pubblico ufficiale che redige un atto pubblico

Carone, Rv. 250168).
16.5. Il quinto motivo, che si appunta sull’aggravante della fidefacenza, è
manifestamente infondato per le ragioni già ripetutamente esposte dianzi
(paragrafi 14.2. e 15.2.).

17111110111111111111111b
Il ricorso è fondato nel primo motivo, con efficacia assorbente nei confronti

effetti civili – in grado di appello soltanto in conseguenza del gravame interposto
dalle partì civili Benino, Ghivizzani e Merlino, in assenza d’impugnazione dei
pubblico ministero. Poiché di tale appello si è riscontrata l’inammissibilità, per le
ragioni esposte sub 1.3., la sentenza di secondo grado deve essere annullata in

parte qua senza rinvio.

184111~.
Le stesse ragioni or ora addotte valgono a motivare, in accoglimento del
primo motivo, l’annullamento senza rinvio della sentenza nella parte riguardante
questo Imputato, la cui posizione processuale

è sovrapponibile a quella del

Valeria.

1

9~~».

Identica decisione deve assumersi in favore del Talu, anch’egli assolto in
primo grado e condannato in appello al risarcimento dei danni soltanto a seguito
dell’impugnazione proposta dalle parti civili, viziata da inammissibilità.

2 0 ,41.11111″
Il complesso ricorso dell’imputata, articolato in nove motivi,

è privo di

fondamento in ogni sua parte.
20.1. Il primo motivo si pone anzi in area di inammissibilità in quanto
versato in fatto: al fine di dimostrare – in contrasto con l’accertamento
contenuto nella sentenza impugnata – che alcune delle parti civili cui è stato
riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni non sono entrate nella sua sfera
percettiva, la ricorrente sollecita la Corte di Cassazione a dedicarsi a una rilettura
delle deposizioni testimoniali che, invece, non è consentita nel giudizio di
legittimità.
20.2. li secondo motivo è infondato per le ragioni già esplicitate nel
paragrafo 2.3, cui si rinvia.
20.3. Il terzo motivo è inammissibile, in quanto basato su censure non
consentite. Con esse infatti la ricorrente, dietro l’apparente denuncia di

80

At

di ogni altra censura. L’imputato, invero, è stato colpito da condanna – ai soli

violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., si addentra in una rivisitazione del merito
– non consentita in sede di legittimità – attraverso il richiamo di deposizioni
testimoniali delle quali offre la riproduzione testuale.
La Corte territoriale ha dato pienamente conto delle ragioni che l’hanno
indotta a ritenere che le violenze perpetrate nella caserma di Bolzaneto, anche
durante il turno di vigilanza svoltosi sotto il comando della illia si fossero
protratte senza soluzione di continuità, in condizioni di assoluta percettibilità

indotta attraverso la disamina delle deposizioni testimoniali di

lamomm

rawrogno.

dunque 39 fonti di prova, sostanzialmente convergenti nel

descrivere il clima di completo accantonamento dei principi-cardine dello Stato di
diritto creatosi nel sito, ma anche – per quanto d’interesse con riferimento al
motivo di ricorso in esame – tali da persuadere il giudice di merito, già dopo
l’esame delle prime dieci testimonianze, che non si fosse trattato di momenti di
violenza che si alternavano a periodi di tranquillità, ma dell’esatto contrario.
La linea argomentativa così sviluppatasi, in base alla valutazione di prove
analiticamente richiamate nella sintesi del loro contenuto narrativo e
argomentatamente vagliate nella loro capacità dimostrativa, è immune da vizi
logici e giuridici; mentre il tentativo della ricorrente di valorizzare in chiave
difensiva alcuni specifici passi delle deposizioni testimoniali si risolve nella
prospettazione di una lettura del materiale probatorio alternativa a quella fatta
motivatamente propria dal giudice di merito: il che non può trovare spazio nel
giudizio di cassazione, come si è già avuto modo di ricordare a più riprese.
20,4. Non è fondato l’addebito, mosso alla Corte d’Appello, di aver addotto
una motivazione per relationem

rispetto alla sentenza di primo grado – a

sostegno del deliberato assunto nei confronti della ricorrente. Ciò vale sia in
generale, stante l’ampio spazio dedicato nella sentenza – come sopra si è
ricordato

a un’analitica disamina delle prove testimoniali, sia in particolare per

quanto concernente l’individuazione della fascia temporale entro la quale la
sorveglianza dei detenuti rimase affidata alla Maida. Sull’argomento la Corte si è

81

visiva e auditiva da parte di chiunque non fosse sordo e cieco; a tanto si è

appositamente soffermata osservando che l’assunto dell’imputata, secondo cui il
suo arrivo a Bolzaneto aveva avuto luogo dopo le ore 23.00 del 20 luglio, era
inattendibile in quanto, pur essendosi appurato che il contingente dell’Ispettore

~non era smontato alle ore 19.00 come previsto, ma si era trattenuto più
a lungo, non poteva ragionevolmente ritenersi – in mancanza di qualsiasi
elemento a conferma, e tenuto conto degli orari fissati negli ordini di servizio che tale prolungamento della sua presenza si fosse protratto oltre le ore 22.00:
onde intorno a quell’orario doveva presumersi effettuato l’avvicendamento dei

esposte dall’imputata nei motivi di appello, osservando che la deposizione
liberatoria della 911~1111. era lacunosa, non avendo la teste potuto
affermare che la permanenza nel sito del contingente comandato dalla

ima

fosse stata conforme all’orario indicato nel documento indicato con la sigla cat.
A4/GAB; e che neppure soccorreva la deposizione di la quale
si era limitata a ricordare, con approssimazione, di essere giunta nel sito insieme
con l’imputata Arecco verso le 23.00; e ciò in quanto era emerso dalle
dichiarazioni della Terenzi che l’orario del gruppo di Arecco non coincideva con
l’orario di arrivo dell’Ispettore…
Non sussistono, pertanto, le denunciate lacune motivazionali.
20.5. Non ha ragion d’essere la critica mossa alla sentenza quanto alla
ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto ex art. 608 cod. pen..
Secondo la ricorrente la Corte di merito, dopo aver precisato che le posizioni
vessatorie imposte ai detenuti non erano consistite nella sola stazione eretta, ma
in una serie di altre imposizioni atte ad accentuarne la penosità, quali l’obbligo di
tenere le braccia alzate e le gambe divaricate, la prolungata collocazione in
ginocchio col viso alla parete, il transito nei corridoi con la testa abbassata
all’altezza delle ginocchia e con la torsione delle braccia dietro la schiena, la
posizione a «ballerina» (sulle punte dei piedi o su una gamba sola), la costrizione
dei polsi entro laccetti di plastica, avrebbe omesso di verificare quali di tali
violazioni fossero imputabili alla

is

a titolo omissivo: il che, assume, era

tanto più necessario in quanto non vi era alcuna prova che ciò fosse accaduto
durante la fascia oraria della sua permanenza nel sito.
Di contro va rilevato, a reiterazione di quanto già detto a confutazione del
terzo motivo, che secondo quanto accertato in sede di merito le vessazioni a
danno dei prigionieri si protrassero senza soluzione di continuità durante tutto
l’arco temporale qui d’interesse – e, purtroppo, anche al di fuori di esso – senza
che alle vittime fosse concessa una tregua, se non per frazioni di tempo assai
limitate; sicché a chi fosse stato interessato ad imporre il rispetto della legge e
della persona umana non sarebbe potuto sfuggire, in qualsiasi momento avesse

82

due contingenti. La motivazione si è inoltre dedicata a confutare le ragioni

acceduto alla struttura, che l’obbligo di mantenere le posizioni vessatorie era
continuativamente imposto ai detenuti per lunghi periodi di tempo, fino al limite
della sopportazione.
La sentenza impugnata è costellata dalla descrizione di una miriade di
vessazioni fatte subire ai detenuti nei modi più vari, senza risparmio di fantasia
da parte del personale di volta in volta incaricato della sorveglianza, per tutta la
durata dell’utilizzo della caserma di Bolzaneto quale luogo di raduno,

può essere addossata all’Ispettorati. la responsabilità per quanto accaduto al
di fuori del suo orario di servizio; ma la continuità delle condotte criminose così
poste in essere consente di ritenere con certezza che si siano verificate anche
nella fascia oraria compresa fra le 22.00 del 20 luglio e le 3.30 del 21 luglio, cioè

nel tempo in cui l’odierna ricorrente era incaricata della vigilanza sui prigionieri
(che si sarebbe dovuta estendere alla tutela della loro incolumità); tanto più che
la motivazione della sentenza dà conto del positivo accertamento in tal senso,
attraverso l’analisi delle deposizioni testimoniali più sopra citate.
Tale essendo la situazione oggettivamente emersa, e considerato che nella
deposizione di 411.111111~11 la Corte d’Appello ha colto la smentita
dell’assunto difensivo dell’imputata, secondo cui essa non avrebbe avuto
cognizione di quanto accadeva perché rimasta presso il proprio automezzo al di
fuori della struttura, pienamente conforme a legge è la affermata sussistenza
dell’elemento soggettivo del reato.
20.6. Parimenti legittimo è il giudizio di responsabilità emesso a carico della
Maida per il delitto ascrittole nel capo d’imputazione n. 28. Il testimoniale
valorizzato nella sentenza impugnata dà conto delle lesioni con gas urticante,
delle percosse con calci, pugni, schiaffi e colpi di manganello, degli insulti, delle
minacce dai testi subite o viste subire da altre persone offese in loro presenza,
durante la fascia oraria di pertinenza del contingente

nonché delle

violenze private consumatesi nello stesso arco temporale e concretatesi nella
costrizione a inneggiare al fascismo.
Torna qui pertinente quanto osservato dalla Corte territoriale – e già in
precedenza sommariamente ricordato – circa l’impossibilità che all’interno della
struttura potessero sfuggire a chicchessia le risonanze vocali (cioè gli ordini, i
pianti, le grida, i lamenti, i cori), le risonanze sonore (cioè i transiti, le cadute, i
colpi), le percezioni olfattive (cioè la puzza dell’urina, l’odore dei gas urticante
spruzzato, l’odore del vomito, del sudore e del sangue) e le tracce lasciate sui
volti, sui corpi, sugli abiti, negli sguardi, negli ansiti e nella voce delle vittime; e
proprio nell’avere avuto consapevolezza di tutto ciò e nell’avere omesso di

a

impedirlo è stata correttamente ravvisata la responsabilità ex art. 40 cod.P en.

83

identificazione, immatricolazione e smistamento degli arrestati. Certamente non

dell’Ispettore

glib

che, nella sua qualità di funzionario posto al comando del

contingente, era investito di una posizione di garanzia.
20.7. Manifestamente infondata è la censura che informa il settimo motivo,
con cui si contesta – sotto il profilo della mancanza di verifica controfattuale – la
sussistenza del nesso di causalità fra la condotta omissiva dell’imputata e gli
eventi addebitatile. La ricorrente fa leva sul rilievo, che si legge in un certo passo
della sentenza impugnata, secondo cui l’istruttoria aveva dimostrato che anche

soltanto in nove casi, malgrado l’imponenza dell’istruzione dibattimentale: il che,
par di capire, dovrebbe dimostrare che nella maggioranza dei casi la volontà
contraria del singolo agente sarebbe rimasta inosservata. Ma l’argomento non ha
alcuna valenza logica, né giuridica.
La scarsità degli interventi sporadicamente verificatisi, da parte di singoli
agenti, a favore di questo o quel detenuto, lungi dal dimostrare che in altri casi non riscontrati dal giudice di merito – analoghi interventi avessero avuto
insuccesso, è piuttosto la riprova dell’atmosfera di soverchiante ostilità creatasi
nel sito in danno degli arrestati. Ciò che rileva, comunque, ai fini del giudizio
sulla responsabilità dell’Ispettore 41.11 è il fatto che l’autorità di cui era
rivestita, in virtù della sua supremazia gerarchica sugli agenti che componevano
il contingente affidatole, le avrebbe consentito di far cessare gli abusi con un solo
comando. L’accertamento di ciò non richiede alcuna verifica controfattuale, non
essendo minimamente ipotizzabile una ribellione dei sottoposti – o anche
soltanto un’insubordinazione – a fronte di un siffatto comando: il quale, tuttavia,
è invece mancato, con le conseguenze accertate nel presente processo.
20.8. Irrilevante, per la sua inidoneità a infirmare l’impianto logicoargomentativo della sentenza, è la – pur innegabile – non pertinenza alla
ricorrente dell’accenno fatto in sentenza al fatto che gli agenti operanti non si
fossero mai fatti mancare cibo ed acqua (negati invece ai detenuti), «concedendosi vere e proprie tavole conviviali in un noto ristorante dell’entroterra».
è abbastanza evidente che l’Ispettore.. giunta nel sito non prima delle
22.00 e rimastavi fino alle 3.30, non abbia avuto modo di giovarsi delle tavole
conviviali godute da altri; ma la nota critica erroneamente inserita in quel passo
della sentenza è nulla più che una chiosa dì carattere etico, estranea al discorso
giustificativo dell’affermazione di responsabilità per aver fatto mancare cibo e
acqua ai detenuti: in tale proiezione, invero, ciò che interessa è soltanto il rilievo
– appena prima espresso nella motivazione – inerente alla mancanza di qualsiasi
valida ragione per negare a persone affamate e assetate quel minimo di conforto
cui si sarebbe potuto provvedere attingendo l’acqua dai rubinetti dei bagni e
prelevando cibo dalla mensa o dai distributori automatici.

84

un solo agente avrebbe potuto impedire gli eventi; e osserva che ciò era emerso

20.9. Indubbiamente errata è anche la menzione dell’art. 323 cod. pen.
contenuta in un successivo passo della motivazione. L’errore, peraltro, non si è
minimamente riverberato sul contenuto sostanziale della sentenza né sul
dispositivo, nel quale la responsabilità – ai soli effetti civili – dell’imputata
11.111111. è stata affermata soltanto con riferimento ai reati di

cui ai capi

d’imputazione 27 (abuso di autorità contro arrestati) e 28 (concorso in percosse,
lesioni, ingiurie, minacce e violenza privata), senza alcun accenno all’abuso

contestazione e condanna, non essendone conseguito alcun pregiudizio alla
posizione processuale dell’imputata, né tanto meno alla sua difesa.

21. MATILDE ARECCO.
Il ricorso non merita accoglimento, essendo infondate tutte le censure
mosse dalla ricorrente col suo unico, complesso motivo.
21.1. Dopo avere svolto una premessa riassuntiva delle ragioni dell’imputazione spiegate dal pubblico ministero in primo grado, nonché dei criteri di
giudizio adottati dal Tribunale, la ricorrente muove le proprie critiche alla
sentenza di appello sostenendo che in essa si sia ritenuto di dover attribuire la
penale responsabilità ai cosiddetti intermedi – e, quindi, alla deducente posta al
comando di un sottogruppo incaricato della sorveglianza delle celle – assumendo
ad unico criterio quello della presenza nel sito; mentre si sarebbe dovuto
indagare nello specifico su quanto accaduto nelle singole celle, valutando altresì
il contenuto degli ordini ricevuti e impartiti, nonché il tempo di permanenza nel
sito, onde attribuire le responsabilità in base a quanto effettivamente accertato.
La doglianza non ha ragion d’essere.
Premesso che l’attribuzione di una posizione di garanzia dipende dalla
supremazia gerarchica nei confronti dei sottoposti chiamati a svolgere un
determinato compito (nel caso di specie la sorveglianza dei detenuti), e non dalla
durata dell’attività svolta, vanno qui ribadite le considerazioni spese nel trattare
il precedente ricorso: secondo quanto insindacabilmente accertato dal giudice di
merito, in base ad una argomentata valutazione delle risultanze istruttorie,
durante il tempo di permanenza del contingente comandato dall’Ispettorealb
e sotto il controllo dei sottogruppi da questa organizzati, fra cui quello
comandato dal Vice Sovrintendente Matilde Arecco, le vessazioni imposte ai
detenuti furono continue e diffuse in tutta la struttura; non risulta, infatti, dalla
motivazione della sentenza che vi fossero singole celle da riguardare come oasi

4

felici nelle quali non si imponesse al reclusi di mantenere la posizione vessatoria,

non volassero calci, pugni o schiaffi al minimo tentativo di cambiar posizione,
non si adottassero le modalità di accompagnamento nel corridoio (verso i bagni

85

d’ufficio. Non è, dunque, invocato a proposito il principio di correlazione fra

o gli uffici) con le modalità vessatorie e violente riferite dai testi.
Così stando le cose, non è a dubitarsi che ciascuno dei comandanti dei
sottogruppi, avendo precisa conoscenza di quanto accadeva, fosse soggetto
all’obbligo di impedire l’ulteriore protrarsi della consumazione dei reati; e

il

giudizio di responsabilità è correttamente scaturito dalla violazione di tale obbligo
e dalla correlativa applicazione dell’art. 40, comma secondo, cod. pen.: non già
dalla denunciata – ma insussistente – equiparazione della mera presenza sul
posto a fonte di responsabilità per tutto quanto accadutovi.

Quanto fin qui argomentato rende ragione, altresì, della insussistenza di
qualsiasi violazione, da parte del giudice di merito, del principio di correlazione
fra contestazione e condanna di cui all’art. 521 cod. proc. pen..
21.2. Nel tener conto del grado e della qualità di pubblico ufficiale della
Arecco la Corte territoriale ha correttamente operato: è, invero, proprio dalla
qualifica dell’imputata e dal conseguente rapporto di supremazia gerarchica sugli
agenti a lei sottoposti che è dipesa l’assunzione della posizione di garanzia sulla
quale ci si è già intrattenuti. Quanto alla durata della sua permanenza nel sito, la
Corte ha sostanzialmente acceduto alla linea difensiva che tendeva a collocare
alle ore 23.00 l’arrivo a Bolzaneto della Arecco (sul punto ci si è già soffermati al
paragrafo 20.4), mentre per la determinazione dell’orario terminale si è attenuta
alle risultanze che Io collocavano alle 3.30. Non si vede, comunque, come tale
dato temporale possa assurgere a fonte di esenzione da responsabilità per
quanto accaduto durante quelle quattro ore e mezzo; trattasi, invero, di un
intervallo di tempo non breve, che ancor meno breve deve essere sembrato a chi
lo dovette trascorrere in piedi, a braccia alzate e gambe divaricate, con la faccia
al muro (nel migliore dei casi).
21.3. Le censure rivolte alle determinazioni «in ordine al danno prodotto e
alle provvisionali concesse» sono inammissibili.
Circa l’ammontare dei danni nessuna determinazione è contenuta nella
sentenza impugnata, la quale si è limitata a confermare la legittima rimessione
al giudice civile di ogni statuizione al riguardo.
Circa l’entità delle provvisionali concesse, vale qui richiamarsi a quanto già
precedentemente osservato nel paragrafo 5.3 e alla giurisprudenza ivi citata.

22. MARIO TURCO.
Il ricorso è infondato.
Le censure dedotte con l’unico motivo sono sostanzialmente conformi a una
parte delle deduzioni appena esaminate, svolte dalla coimputata Matilde Arecco.
A confutazione di esse, pertanto, basterà ribadire: che non vi è stata da parte
della Corte d’Appello alcuna violazione del principio codificato nell’art. 521 cod.

86
(

pen., essendosi ravvisata la responsabilità degli imputati non a motivo della loro
sola presenza nella struttura, ma per la condotta omissiva concretatasi nella
consapevole violazione dell’obbligo di impedire la consumazione di reati da parte
dei loro sottoposti; che, a proposito della durata delle permanenza nel sito della
Arecco (e il discorso vale anche per il Turco) l’orario di arrivo è stato individuato
alle ore 23.00, in sostanziale adesione all’assunto difensivo; che l’attribuzione di
una posizione di garanzia non è legata alla durata dell’incarico, comunque

da consentire la piena percezione degli illeciti che nel sito si andavano
perpetrando; che della scala gerarchica fra i componenti del contingente il
giudice di appello ha ben tenuto conto, riconoscendo la colpevolezza dei
comandanti dei singoli sottogruppi al pari del comandante dell’intero
contingente, in considerazione dell’autorità di ciascuno di essi nei confronti dei
rispettivi sottoposti e dell’obbligo per ciascuno di impedire la commissione dei
reati, alla stregua della posizione di garanzia rivestita.

23. PAOLO UBALDI.
Il ricorso non è fondato.
23.1. Il primo motivo si basa su talune doglianze delle quali ci si è già
occupati nella disamina dei precedenti ricorsi: onde sarà sufficiente richiamare
sinteticamente, a confutazione, quanto già argomentato in proposito. A tal fine
va subito ribadito che la ratio decidendi che ha indotto la Corte d’Appello a
ravvisare la penale responsabilità dei comandanti dei singoli sottogruppi,
formanti il contingente al comando dell’Ispettore Maicla, non si è fondata
sull’assioma che la sola presenza sul posto fosse sufficiente a giustificare la
condanna, bensì sulla certezza che il compimento dei gravi abusi in danno dei
detenuti si fosse reso evidente per tutto il tempo, data l’imponenza delle
risonanze vocali, sonore, olfattive e delle tracce visibili sul corpo e sul vestiario
delle vittime: donde l’inaccoglibilità della linea difensiva basata sulla pretesa
inconsapevolezza di quanto si perpetrava all’interno delle celle, e anche nel
corridoio durante gli spostamenti, ai danni di quei detenuti sui quali i sottogruppi
avrebbero dovuto esercitare la vigilanza, anche in termini di protezione della loro
incolumità.
La natura delle vessazioni cui i soggetti passivi venivano sottoposti ovunque nella struttura – è stata diffusamente spiegata nella sentenza
impugnata, traendone la descrizione dal narrato dei 39 testi più sopra elencati
(paragrafo 20.3); onde è fin troppo evidente che la condotta richiesta ai
comandanti dei sottogruppi e, quindi, nello specifico, all’Ubaldi consisteva nel
vietare al personale dipendente il compimento di atti la cui illiceità era

87

tutt’altro che breve nel suo protrarsi per quattro ore e mezzo e tale, comunque,

manifesta: ciò non significa attribuire agli imputati una responsabilità oggettiva,
ma soltanto dare applicazione al disposto dell’ad, 40, comma secondo, cod. pen.
in relazione alla posizione di garanzia da essi rivestita in virtù della supremazia
gerarchica sugli agenti posti al loro comando.
L’irrilevanza della durata effettiva della presenza dell’Ubaldi nel sito è stata
correttamente rimarcata dalla Corte di merito con l’osservare come la sua
permanenza sia stata, comunque, del tutto sufficiente a consentirgli la

argomento perde rilievo l’indagine sulla veridicità o meno di quanto addotto
dall’Ubaldi nel sostenere di avere lasciato Bolzaneto verso le ore 1.00, essendo
giunto a Chiavari alle 2.30: onde la motivazione della Corte d’Appello conserva
intatta la sua valenza logica anche a prescindere dalla ritenuta inattendibilità
dell’affermazione del teste 11~ secondo cui sarebbe stato impiegato il
tempo di un’ora e mezzo per percorrere i 33 chilometri che dividono Bolzaneto
da Chiavari.
23,2. L’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’Ispettore
Maida nel corso delle indagini preliminari, perché lette in udienza ex art. 513
cod. proc. pen. senza il consenso degli altri imputati, non può trovare ingresso
per un duplice ordine di ragioni.
Sotto un primo profilo la questione risulta tardivamente sollevata nel
giudizio di cessazione, senza che l’imputato ne avesse fatto oggetto di un motivo
di appello, con la conseguente preclusione di cui all’art. 606, comma 3, cod.
proc. pen.; né potrebbe utilmente invocarsi il disposto dell’art. 191, comma 2,
dello stesso codice, atteso che la rilevabilità del vizio, ivi prevista, anche d’ufficio
in ogni stato e grado del procedimento si riferisce soltanto all’inutilizzabilità c.d.
patologica di cui al primo comma dello stesso articolo, cioè a quella che dipende
dall’acquisizione di una prova in violazione di un divieto di legge: mentre nel
caso di specie si tratta di prova acquisita del tutto ritualmente, i cui limiti di
utilizzabilità ineriscono soltanto alla fase procedimentale in atto (v. Sez. ti, n. 16
del 21/06/2000, Tammaro, Rv. 216246).
Sotto un secondo profilo va ricordato il principio giurisprudenziale, già
enunciato da questa stessa sezione e qui ribadito, secondo cui «ai fini
dell’utilizzazione delle dichiarazioni predibattimentali contra &los

rese da

Imputati contumaci, assenti o rifiutatisi di sottoporsi ad esame – la necessità del
consenso di cui all’art. 513, comma primo, ultima parte, cod. proc. peri., non
comporta che esso debba manifestarsi in modo espresso e formale, con la
conseguenza che può essere desunto per implicito dal solo fatto che la disposta
acquisizione non abbia formato oggetto di specifica opposizione» (Sez. 5, n.
47014 del 08/07/2011, M., Rv. 251445).

88

(A

percezione dei fatti e a decidere di non intervenire per reprimerli; a fronte di tale

24. DIANA MANCINI.
Il ricorso non ha fondamento e va disatteso.
La riforma, da parte della Corte d’Appello, della pronuncia assolutoria
emessa dal Tribunale, lungi dall’essere immotivata, ha invece nella linea
argomentativa addotta una precisa esplicazione della sua ragion d’essere.
Elemento di giudizio determinante è la constatazione, alla stregua delle

Iffillb l’agente Mancini mostrò, bensì, un’apparente disponibilità a

ben

consigliarla, ma non mancò al contempo di imporle la posizione vessatoria (capo
chino all’altezza delle ginocchia, torsione delle braccia dietro la schiena); mentre
l’aiuto prestatole non era consistito nel far desistere i poliziotti ai lati del loro
passaggio dalle percosse e dagli insulti, ma soltanto nell’invitare la leillaa
stare attenta a non cadere quando un agente le aveva fatto lo sgambetto.
Certa, per quanto sopra, la materialità del fatto, del tutto pertinente è
l’osservazione della Corte di merito secondo cui attenuare gli effetti delle
violenze (ammesso che tale attenuazione vi sia stata) è cosa ben diversa
dall’opporsi ad esse. E li quesito che la ricorrente pone alla Corte di Cassazione,
col domandare come avrebbe potuto essa impedire le sopraffazioni provenienti
dai poliziotti facenti ala al loro passaggio, ha già trovato risposta nella sentenza
di secondo grado, col conforto di episodi espressamente evocati, là dove
testualmente si legge: «Quanto infine alla prova del nesso causale, e al potere
degli imputati di impedire gli eventi, l’ampia istruttoria dibattimentale ha provato
che anche un solo agente poteva impedire gli eventi».
Quanto all’operato direttamente posto in essere dalla Mancini, nessun
dubbio può sussistere in ordine al fatto che la posizione vessatoria, consapevolmente e volontariamente imposta alla .1~ per tutto il transito
attraverso il corridoio, oltre ad esporla alle violenze altrui costituiva essa stessa
una misura di rigore arbitrariamente applicata: sia per il disagio fisico causato
(oltre al dolore per la torsione del braccio), sia per l’effetto umiliante della
pastura; e non è seriamente sostenibile l’assunto – che pur sembra di cogliere
nelle argomentazioni della ricorrente – secondo cui un tal modo di procedere
sarebbe previsto «dalla legge e specifici regolamenti»: donde la sussistenza del
reato, nei suoi elementi oggettivo e soggettivo.

25. BARBARA AMADEI.
Il ricorso non può trovare accoglimento.
25.1. Non sussiste il vizio di motivazione dedotto col primo motivo. La Corte
territoriale, invero, confutando analiticamente i motivi di appello dedotti

89

emergenze probatorie, che nel condurre al bagno la detenuta Offillib

dall’imputata, ha prestato innanzi tutto adesione al convincimento espresso dal
Tribunale col ritenere pienamente dimostrato che tutti gli agenti di sesso
femminile – dunque anche la Amadei – fossero stati impiegati nel servizio
all’interno della struttura, elementi in tal senso potendosi trarre dalle
dichiarazioni degli imputati Doria e Gugliotta; ha considerato, altresì, che la
persona offesailliallillibla quale aveva riconosciuto in fotografia Vagente
donna che l’aveva accompagnata al bagno e le aveva fatto mettere la testa nella
turca, non aveva alcun motivo per indicare quale responsabile la Amadei,

piuttosto che la vera autrice del fatto, se il riconoscimento non fosse stato
veritiero; ha poi dato logica spiegazione alla maggior dovizia di dettagli nella
deposizione dibattimentale della Percivati, rispetto alla querela, col rimarcare che
l’espositiva della querela, presentata a ridosso dei fatti accaduti, era stata
necessariamente succinta (come è lecito attendersi – giova osservarlo – da un
atto che ha la sola funzione di assicurare la procedibilità dell’azione penale,
mentre la completa ricostruzione degli accadimenti ha la sua sede nel
contraddittorio dibattimentale).
Il collegio di seconda istanza si è dedicato, altresì, a verificare se il narrato
della persona offesa fosse riscontrato dalla deposizione dell’altra detenuta

MI»

pervenendo a conclusione affermativa sebbene quest’ultima non fosse
stata in grado di indicare l’identità dell’autrice dell’accompagnamento: ed anzi
proprio in ciò ravvisando una riprova dell’assenza di volontà calunniosa. Ha poi
smentito la tesi del complotto fra le persone offese, adombrato per il fatto che
esse fossero giunte insieme nel luogo del processo, osservando essere del tutto
naturale «che due parti offese che tanto hanno subito in termini di trauma
fisiopsicologico possano aver voluto condividere l’esperienza del processo, nel
corso del quale le loro deposizioni non si sovrappongono in modo totalmente
coincidente, proprio perché non concordate, e quindi non sintomo di alcuna
volontà calunniosa».
I passaggi motivazionali testé succintamente rievocati sono il frutto,
logicamente ineccepibile, di una valutazione delle risultanze probatorie
insindacabile in questa sede; in essi risiede la dovuta risposta alle contestazioni
mosse dalla difesa circa l’attendibilità della 111110 e della Ullbla cui
reiterazione in questa sede non è consentita perché refluente nel merito.
25.2. Il secondo motivo si traduce in una critica basata esclusivamente su
ragioni di fatto, là dove la ricorrente impugna l’affermazione della sua
responsabilità per il reato di cui al capo 59 (abuso di autorità e percosse in

g

danno della Percivati) e le ragioni della propria assoluzione ex art. 530, comma
2, cod. proc. peri, dall’imputazione di cui al capo 62 (abuso di autorità contro le

arrestate 11111111111~1.111~1~ fondando il gravame sul

,

90
i

presupposto della propria assenza dal luogo dei fatti nel momento in cui questi
vennero commessi.
In argomento vi è soltanto da annotare che la sentenza impugnata si è
sofferrnata sul punto in questione, dandovi argomentata risposta col rilevare che
le emergenze dibattimentali avevano inequivocabilmente provato la commissione
dei reati ad opera della Amadei, la quale aveva certamente preso parte alle
operazioni all’interno della struttura, così come tutte le agenti di sesso femminile

carattere logico, si sottrae al sindacato in sede di legittimità.
25.3. Il terzo motivo è privo di fondamento, non sussistendo il denunciato
deficit motivazionale in ordine alla disposta applicazione dell’aggravante di cui
all’art. 61, n. 1, del codice penale. La Corte d’Appello ha dato conto in modo
chiaro, e conforme ai canoni della logica, delle ragioni per cui ha ritenuto che
l’illecito fosse stato commesso per motivi abietti e futili; ha considerato, in
proposito, le modalità della condotta, che alle consuete forme vessatorie di
accompagnamento al bagno lungo il corridoio (testa all’altezza delle ginocchia,
torsione delle braccia, esposizione ai colpi inferti dai poliziotti disposti ad ala)
avevano visto aggiungersi il forzato avvicinamento del viso della Percivati al
fondo della turca, fin quasi a toccarlo, accompagnato dalla pronuncia di parole
insultanti; e ha rilevato al contempo che nessun motivo per tale comportamento,
diverso dalla abiezione e futilità, era emerso dal dibattimento né era stato, in
qualsiasi modo, allegato dall’imputata.
La motivazione così addotta non vede inficiata la propria correttezza
giuridica dal fatto che sia stata espressa in adesione alle richieste del pubblico
ministero appellante; né può parlarsi di motivazione per relationem (come
sostiene, invece, la ricorrente), dato che le ragioni del convincimento del giudice
di appello risultano esposte in modo autosufficiente, anche a confutazione del
contrario giudizio del Tribunale.
25.4. Inammissibile è il quarto motivo con cui la ricorrente prospetta, quale
vizio di nullità della sentenza, il fatto che nel dispositivo non sia formalizzata la
disposta applicazione dell’aggravante ex art. 61, n. 1, cod. pen., sulla quale ci si
è or ora soffermati. Anche a prescindere dalla carenza d’interesse alla deduzione
da parte dell’imputata (atteso che l’omissione, se sussistente, si risolverebbe in
un suo vantaggio), corre l’obbligo di rilevarne la manifesta

infondatezza in

dipendenza del fatto che la menzione fatta nel dispositivo dei reati di cui ai capi
60

e

61,

«così come contestati», comporta un inequivocabile

rinvio al

corrispondenti capi d’imputazione, nei quali l’aggravante in discorso era
espressamente indicata.
25.5. Il quinto motivo non ha ragion d’essere, in quanto volto a criticare la

91

colà inviate. La linea argomentativa così addotta, siccome immune da vizi di

mancata applicazione delle attenuanti generiche. Non è, invero, ipotizzabile
alcuna moderazione dei trattamento sanzionatorio nel caso in cui l’imputato sia
stato prosciolto a seguito di intervenuta estinzione del reato.
25.6. Analogamente fuori centro è il sesto motivo di ricorso, indirizzato a
impugnare la quantificazione della pena (invece non irrogata, stante la rilevata
prescrizione), assertivamente «superiore al massimo edittale», nonché una
pretesa applicazione della continuazione di cui non vi è traccia (né potrebbe mai

25.7. A sua volta inammissibile, per le ragioni espresse nel paragrafo 5.3 e
già più volte richiamate, è il settimo motivo con cui la ricorrente censura la
quantificazione della provvisionale.

26. ALFREDO INCORONATO.
Il ricorso è infondato.
26.1. 11 primo motivo, volto a contrastare la ricostruzione del fatto sotto il
duplice profilo della sussistenza dell’evento lesivo (frattura di una costola) e della
sua riconducibilità ad azione del ricorrente, dietro l’apparente denuncia di vizi
della motivazione tende in realtà a riproporre argomentazioni di merito, precluse
nel giudizio di cessazione. Ciò è a dirsi sia per quanto riguardante le
conseguenze del pugno inferto al detenutoill~.11111/ (colpito mentre
teneva le braccia alzate, ancora legate dai laccetti, per sottoporsi all’auscultazione dei torace), che la Corte d’Appello ha legittimamente ritenuto di poter
trarre dalle risultanze del certificato medico in atti, senza necessità di un corredo
radiografico; sia per quanto riguardante l’individuazione dell’autore del pugno,
fondata sulla deposizione testimoniale dell’infermiere iffiiii~mir. Costui,
invero, ha dato una descrizione del fatto conforme a quanto riferito dal Lorente e
ha effettuato il riconoscimento fotografico sia della persona offesa, sia
dell’agente che lo aveva colpito. Ciò ha consentito al giudice di merito una
precisa ricostruzione del fatto che, per essere basata su una argomentata
valutazione dei dati probatori, si sottrae al sindacato in sede di legittimità.
26.2. Primo di fondamento è il secondo motivo. La Corte d’Appello ha
legittimamente giudicato ammissibile l’appello del pubblico ministero avverso
l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 1, cod. pen., avendo ravvisato
nel contesto dell’atto impugnatorio un inequivocabile riferimento al reato di cui al
capo d’imputazione n. 66, contestato all’Incoronato; così, invero, si legge nella
sentenza: «Il Procuratore della Repubblica ha impugnato la sentenza quanto
all’imputato

, per quanto attiene al capo 66 di rubrica, quanto

all’esclusione dei motivi abbietti e futili, “non essendo identificato con certezza il
movente del reato”». Circa l’accoglimento del gravame, la motivazione è esente

92

esserci) nei deliberato.

da vizi logici e giuridici là dove osserva che la condotta dell’Incoronato si è
inserita in un generale contesto di ingiustificate vessazioni ai danni dei fermati,
non necessitate dai comportamenti di costoro e riferibili piuttosto alle condizioni
e alle caratteristiche delle persone arrestate, tutte appartenenti all’area dei no

giobal. Corretto è, altresì, il richiamo fatto nella motivazione al principio
giurisprudenziale secondo cui il motivo è futile quando la spinta al reato manca
di quel minimo di consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un

risultare assolutamente sproporzionato all’entità del fatto e rappresentare,
quindi, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto,
un’occasione per l’agente di dare sfogo al suo impulso criminale (oltre ai
precedenti ivi citati vedasi la più recente Sez. 1, n. 35369 del 04/07/2007,
Zheng, Rv. 237686).

27. GIACOMO VINCENZO TOCCAFONDI.
il complesso ricorso dell’imputato va disatteso in ogni sua parte.
27.1. Il primo motivo si articola in una serie di critiche mosse alle
considerazioni svolte nella sentenza impugnata, sia in generale sull’atteggiamento assunto dal Toccafondi fin dal sopraggiungere nel sito di Bolzaneto dei
primi arrestati, dei quali era evidente lo stato di prostrazione fisica e psicologica
trattandosi di persone «trascinate, umiliate, percosse, spesso già ferite, atterrite,
infreddolite, affamate, assetate, sfinite dalla mancanza di sonno, preda dell’altrui
capriccio aggressivo e violento, sostanzialmente già seviziate»; sia nella
dettagliata disamina delle numerose imputazioni ascrittegli (più sopra riassunte

al paragrafo 26 della narrativa in fatto, cui si rinvia), delle quali la Corte di
merito ha ravvisato la fondatezza sulla base delle risultanze testimoniali. Orbene,
le critiche mosse dal ricorrente sono, nella quasi totalità (salvo quanto di seguito
si preciserà), dirette a sollecitare una rinnovata valutazione del materiale
probatorio: lì che non è consentito nel giudizio di legittimità, come già ripetutamente – si è avuto modo di osservare nelle pagine che precedono. In
proposito vale la pena si ribadire, una volta di più, che il controllo sulla
motivazione esercitabile in questa sede attiene soltanto alla consequenzialità
logica interna al testo della sentenza impugnata: restando spazio al rilievo del
rapporto di contraddizione esterno soltanto se esso riguardi l’errore revocatorio
sul significante («travisamento della prova», e non del fatto), mentre non è
sindacabile la valutazione del risultato probatorio.
Ciò detto, resta soltanto da osservare, a confutazione delle poche censure
non versate puramente in fatto: che il riconoscimento fotografico è un mezzo di
prova atipico, sul quale il giudice può Formare il suo libero convincimento in base

93

collegamento accettabile sul piano logico con l’azione commessa, in guisa da

alla credibilità della deposizione di chi, avendo esaminato la fotografia, si dica
certo della sua identificazione (Sez. 6, n. 49758 del 27/11/2012, Aleksov, Rv.
253910): né vi è alcuna ragione perché non si debba riconoscere la stessa
valenza probatoria al riconoscimento fatto su una fotografia riprodotta su un
giornale; che l’avere altri pubblici ufficiali preso cognizione del delitto commesso
ai danni di 6.1111111 con lo spruzzo di gas urticante non esonera da
responsabilità il Toccafondi, che al pari degli altri omise di farne denuncia

appieno la gravità del fatto (come è dimostrato dal suo tentativo di
somministrare alla vittima il cortisone); che il ricorrente è stato riconosciuto
responsabile della minaccia ai danni del detenuto~ non per la posizione di
garanzia (comunque sussistente) da lui rivestita nell’area medica, ma perché
individuato quale autore materiale del reato in base alla descrizione datane dalla
persona offesa e al riconoscimento fotografico da questa operato; che la Corte
d’Appello, sorreggendo la riforma della sentenza di primo grado – nella parte a
contenuto assolutorio – con un costante e puntuale richiamo alle risultanze
dibattimentali, ha dato pienamente conto delle ragioni di dissenso rispetto al
convincimento del Tribunale, così soddisfacendo l’obbligo di motivazione nel
rispetto del principio giuridico enunciato da Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005,
Mannino, Rv. 231679 e dalle successive conformi pronunce; che la finalità della
visita medica da effettuarsi all’ingresso degli arrestati nella struttura non era
soltanto quella di verificare la compatibilità delle loro condizioni con lo stato di
detenzione (come sostenuto dal ricorrente), ma anche e soprattutto di accertare
l’esistenza di eventuali malattie fisiche o psichiche, secondo il dettato dell’art.
11, comma quinto, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (ordinamento penitenziario): e ciò, in tutta evidenza, onde poter eventualmente loro prestare
l’assistenza sanitaria del caso, infatti prescritta per tutta la durata della loro
permanenza nell’istituto; che il mendacio dell consistito nell’aver
attribuito a una caduta per le scale (cioè sui tre gradini di accesso alla caserma)
la ferita alla mano invece infertagli dall’imputato Pigozzi, per la non plausibilità e
l’incompatibilità con la natura delle lesioni è stato giustamente valutato dalla
Corte di tale trasparenza da non poter essere passivamente accettato dal
Toccafondi, il quale avrebbe dovuto rendersi conto che la lesione era la
conseguenza di un reato e farne denuncia all’autorità; che la necessità di
riscontri alla deposizione della persona offesa sentita con
le modalità di cui all’art. 197-bis cod. proc. pen., era in realtà insussistente per
la dirimente ragione – ben evidenziata nella sentenza impugnata – che la sua
qualità di imputata si riferiva a reato in nessun modo connesso o collegato ex
artt. 12 e 371 cod. proc. pen. con quello oggetto del procedimento: onde la teste

94

all’Autorità, sebbene le sue cognizioni mediche gli avessero permesso di cogliere

avrebbe potuto essere escussa nei modi ordinari e il suo dichiarato può
assurgere anche da solo a fonte di prova, una volta superato – come è stato nel
caso specifico, secondo l’apprezzamento della Corte di merito – il vaglio di
credibilità oggettiva e soggettiva, senza che sia necessario il concorso di riscontri
esterni (v. ex multis Sez. 3, n. 34110 del 27/04/2006, Valdo Iosi, Rv. 234647;
Sez. 1, n. 46954 del 04/11/2004, Palmisani, Rv. 230590; Sez. 6, n. 33162 del
03/06/2004, Patella, Rv. 229755): considerazione, quest’ultima, che vale anche
per le dichiarazioni dell’altra persona offesall~~11111.>

27.2. Il secondo motivo non ha ragion d’essere. Ed invero, indipendentemente dalle modalità espressive adottate nel dispositivo della sentenza
impugnata, anche per le provvisionali concesse in aumento, rispetto a quelle già
statuite in primo grado, la solidarietà deve intendersi operante in ogni caso di
concorso nel medesimo reato per disposto dell’art. 2055, comma primo, cod.
civ., come espressamente riconosciuto dal Tribunale con statuizione non
riformata dalla Corte d’Appello.

28. SONIA SCIANDRA.
I motivi dedotti a sostegno del ricorso dell’imputata sono privi di
fondamento e vanno, perciò, disattesi; nondimeno la pronuncia emessa dalla
Corte d’Appello nei confronti della Sciandra è da annullare parzialmente in virtù
dell’effetto estensivo ex art. 587 cod. proc. pen., per quanto più oltre si dirà nel
trattare dei ricorso del coimputato Aldo Amenta.
28.1. L’infondatezza del primo motivo discende dall’insussistenza della
denunciata carenza motivazionale per assenta omissione di appropriata
confutazione delle ragioni poste dal Tribunale a sostegno della pronuncia
assolutoria. Infatti non risponde a verità l’addebito, mosso dalla ricorrente alla
Corte distrettuale, di essersi limitata alla condivisione delle doglianze espresse
negli atti di appello del Procuratore della Repubblica, del Procuratore Generale e
delle parti civili (l’eccezione di inammissibilità degli stessi non merita apposita
disamina, per la sua genericità); in realtà la sentenza impugnata contiene una
puntuale ricostruzione fattuale e un’autonoma valutazione giuridica – sia pur
adesiva alla tesi accusatoria proposta dagli appellanti – dei fatti accertati: basti
por mente all’articolato passaggio motivazionale nel quale, riferendosi al reato di
cui al capo 113 (abuso d’ufficio), la sentenza si richiama alla collocazione
dell’infermeria all’interno della struttura, rilevandone la posizione «nel cuore
nevralgico del sito», donde era impossibile non cogliere i segni di quanto andava
accadendo; per concludere che «i singoli episodi oggetto dell’indagine, non

6/7

possono in alcun modo venir separati dal complesso degli eventi, di cui
l’imputata, e ciò per la delicata funzione che svolgeva, per la sua professionalità,

95

d

ebbe contezza. Sciandra quindi vide, seppe e capì che le persone offese che
venivano condotte davanti a lei, trascinate, umiliate, percosse, spesso già ferite,
atterrite, infreddolite, affamate, assetate, sfinite dalla mancanza di sonno, preda
dell’altrui capriccio aggressivo e violento, sostanzialmente già seviziate, venivano
ulteriormente seviziate in sua presenza, dove, per sevizie, s’intende Il complesso
di gesti e di parole attraverso le quali la persona veniva fatta denudare, con
l’imposizione violenta della pastura del corpo, veniva costretta a subire una

esporre la propria nudità a molte persone, subiva spesso percosse da agenti che
eseguivano materialmente la perquisizione, e non venivano sottoposti a una
normale indagine clinica […] né ricevano assistenza né conforto». Alla stregua di
tale linea argomentativa, non si vede come possa fondatamente sostenersi che il
deliberato di appello non contiene una pertinente confutazione della

ratio

decidendi che aveva indotto il Tribunale a considerare carente la prova del dolo.
Analogamente sorretta da motivazione (espressa, bensì, per relationern, ma
rispetto ad altri passi della stessa sentenza, e non ai motivi di appello) è la
riforma del deliberato di primo grado in ordine ai delitti di cui ai capi 114 e 115:
non venendo qui in considerazione, per quest’ultimo reato, quanto dovrà dirsi più
innanzi in ordine al diverso vizio di violazione dell’art. 110 cod. pen., denunciato
da altro ricorrente.
Per ciò che si riferisce al delitto di falsità ideologica in atto pubblico, di cui al
capo 116 dell’imputazione (cui il motivo di ricorso dedica più ampio spazio),
logicamente inattaccabile è il giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese da
11111~11 il cui narrato ha trovato riscontro non soltanto nelle deposizioni
testimoniali degli infermieri e di molte persone offese, confermative della
necessità imposta a diversi detenuti di orinarsi addosso, per essere loro vietato
l’accesso al bagno; ma anche nell’obiettività dell’infiammazione riportata dalla
Tangari nella zona inguinale, diagnosticata in una successiva visita a Vercelli ma
non presa minimamente in considerazione dalla Dott.ssa Sciandra, malgrado la
richiesta rivoltale dalla paziente affinché verificasse la patologia e si adoperasse
per lenire il bruciore. A fronte di ciò, la falsità del diario clinico è stata
giustamente ravvisata dalla Corte di merito nel fatto stesso che nessuna
menzione fosse ivI dedicata alla sintomatologia accusata dalla Tangari: e ciò in
quanto la «visita medica» consistette soltanto – secondo la ricostruzione della
sentenza – nel far denudare la detenuta, nel toglierle di dosso i moniti e nel farle
eseguire delle flessioni; mentre mancò la verifica delle condizioni della parte
inguinale, sede del bruciore lamentato. Quest’ultima considerazione dà conto,
altresì, dell’infondatezza della linea difensiva basata sui carattere valutativo della
diagnosi medica, non suscettibile di sindacato penale sotto il profilo della falsità;

96

perquisizione che vedeva la distruzione di molti effetti personali […] doveva

siffatto principio giuridico (peraltro non di valore assoluto, potendo ugualmente
sussistere falsità quando si contraddicano criteri generalmente condivisi: v. Sez.
5, n. 15773 del 24/01/2007, Marigliano, Rv. 236550), non è invocabile in casi come quello di specie – nei quali la valutazione del medico sia invece del tutto
mancata, per sostanziale disinteresse verso i sintomi lamentati dai paziente.
Secondo un consolidato orientamento di questa Corte Suprema, la falsità
ideologica di un atto può derivare anche dall’omissione o dalla incompletezza dei

dell’informazione si risolve nella mendace negazione dell’esistenza di un fatto
(così Sez. 1, n. 46966 del 17/11/2004, Narducci, Rv. 231183; v. anche le più
recenti Sez. 5, n. 41131 del 18/06/2008, Toselli, Rv. 241602; Sez. 5, n. 18191
del 09/01/2009 – dep. 04/05/2009, De Donno, Rv. 243774). Nel caso di cui ci si
occupa il silenzio dei diario medico circa l’affezione che aveva colpito la
ha assunto il significato di attestare, contrariamente al vero, la normalità delle
sue condizioni fisiche: donde la sussistenza del reato.
28.2. Il secondo motivo di ricorso, che si appunta sull’aggravante della
fidefacenza, è manifestamente infondato per le ragioni già ripetutamente
esposte ai paragrafi 14.2 e 15.2, valendo anche nei confronti della Sciandra il
rilievo per cui detta aggravante era chiaramente contestata in fatto attraverso
l’indicazione del diario clinico, quale atto pubblico munito di fede privilegiata
quanto alla provenienza dal pubblico ufficiale che Io ha formato e ai fatti ivi
attestati, non diversamente dalla cartella clinica di una struttura sanitaria
pubblica (quanto a quest’ultima v. Sez. 5, n. 31858 del 16/04/2009, P., Rv.
244907).

29. MARILENA ZACCARDI e ALDO AMENTA.
Il ricorso congiuntamente proposto dai due imputati è solo parzialmente
fondato nella parte riguardante l’Amenta.
29.1. Privo di fondamento è il primo motivo, del quale anzi va rilevata
l’inammissibilità – per le ragioni già più volte esplicitate nella disamina fin qui
condotta – nella parte in cui s’indirizza a contrastare la ricostruzione in fatto
operata dalla Corte d’Appello, adducendo ragioni e argomentazioni refluenti nel
merito. Ancora una volta va ribadito il principio secondo cui alla Corte di
Cassazione è preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la rivisitazione degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti; e il riferimento
ivi contenuto anche agli «altri atti del processo specificamente indicati nei motivi
di gravame» non vale a mutare fa natura del giudizio di legittimità, al quale
rimane comunque estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in

97

dati in esso illustrati, quando il contesto espositivo sia tale che la parzialità

rapporto ai dati processuali.
Destituito di fondamento è, poi, l’assunto a tenore del quale la visita medica
degli arrestati avrebbe avuto la sola finalità di verificare l’esistenza delle
condizioni che rendessero il detenuto idoneo

ad

affrontare il viaggio verso il

carcere di destinazione, secondo la previsione dell’art. 83 del d.P.R. 30 giugno
2000, n. 230. In contrario va ricordato il disposto del – già citato – art. 11 della
legge 26 luglio 1975, n. 354, che fin dal momento dell’ingresso del detenuto

l’esistenza di eventuali malattie fisiche o psichiche.
29.2. A confutazione del secondo motivo, riguardante l’affermazione di
responsabilità della Zaccardi per il reato di ingiuria rubricato al capo 120
dell’imputazione, va rimarcato che nella lingua italiana la parola «sfacciato» ha il
significato di «spudorato, privo di qualsiasi ritegno»: ai che non può che
ricollegarsi la valenza offensiva che è propria dall’ingiuria. Analogamente è a
dirsi dell’espressione «puzzate come dei cani», a maggior ragione ove si
consideri il contesto nel quale è stata pronunciata, siccome manifestamente
diretta ad umiliare persone che in quello stato maleodorante erano venute a
trovarsi non per libera scelta, ma per fatto dei propri aguzzini.
Giuridicamente inaccoglibile è la tesi secondo cui le dichiarazioni della
persona offesa,

imiimip, sarebbero prive di valenza probatoria in assenza

di riscontri esterni. Anche nel caso di questa teste, come già si è annotato per

ilisilli~i~ (paragrafo 27.1), non vi era alcuna ragione per cui
l’assunzione dovesse avvenire con le modalità di cui all’art. I97-bis cod. proc.
pen., dato che la sua qualità di imputata non si riferiva a reati in alcun modo
connessi o collegati, ai sensi degli artt, 12 e 371 cod. proc. pen., a quello per cui
si procede. Valeva – e vale – quindi, anche per lei, il principio per cui la
deposizione della persona offesa dal reato, pur non essendo equiparabile a quella
di un testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola a fonte di
prova.
29.3. Il terzo motivo, sviluppato nell’interesse dell’imputato Amenta, è
fondato solo in parte.
Non lo è dove muove critica all’affermazione di responsabilità per i reati – in
concorso formale – di cui agli artt. 365 e 378 cod. pen., con riferimento alla
constatata lesione grave subita da

anii

p Sul punto

ha

correttamente motivato la Corte di merito con l’osservare che l’eziologia della
ferita prospettata dalla vittima era assolutamente incompatibile cori la natura
della lesione, così come spiegato dal consulente~on argomentazioni

g

precise ed esaurienti: sicché non era credibile che detta incompatibilità fosse
sfuggita al Dott. Amenta (così come non poteva essere sfuggita al Dott.

98

nella struttura carceraria rende obbligatoria la visita medica, onde accertare

Toccafondi), il quale si era acquietato alla mendace spiegazione dell’Azzolina per
non redigere il dovuto referto. La motivazione così addotta si basa su un’argomentata valutazione del materiale probatorio e non presenta vizi di carattere
logico, onde resiste al sindacato di legittimità.
Fondata è invece la critica mossa all’affermazione di correità delitAmenta
con riferimento al delitto di minaccia (capo 106) in danno dello stesso 111~
È emerso, in punto di fatto, che mentre l’Arnenta sottoponeva a sutura la
mano della persona offesa, la cui carne era lacerata per la forzata divaricazione

delle dita praticatagli da Massimo Luigi Pigozzi, il ferito si lamentò del dolore
provocatogli dall’applicazione dei punti senza anestesia; a questo punto il
sanitario che si era incaricato di tener ferma la mano dellialab poi
identificato nel Toccafondi, lo minacciò di percosse con una frase del tipo «se non
stai zitto ti diamo le altre».
Da tale ricostruzione emerge con chiarezza l’estraneità dell’Amenta alla
condotta illecita del Toccafondi, cui egli non partecipò in alcun modo. Nella
giurisprudenza di questa Corte Suprema è presente l’enunciazione del principio
secondo cui anche la sola presenza nel luogo di commissione del reato può
essere sufficiente a integrare gli estremi della partecipazione criminosa: ma
soltanto se sia servita a fornire all’autore materiale del reato un maggiore senso
di sicurezza, rivelando chiara adesione alla condotta delittuosa (Sez. 5, n. 26542
del 08/04/2009, Vatiero, Rv. 244094; Sez. 2, n. 40420 del 08/10/2008, Bash
Hysa, Rv. 241871); ma ciò non è riscontrabile nel caso di specie, non essendo
dato cogliere nel comportamento dell’Amenta – intento a praticare la sutura alcun segno di approvazione preventiva della minaccia, non preceduta da alcun
preavviso e tanto meno prevedibile in quanto ingiustificata.
La condanna dell’Amenta – ai fini civili, stante la prescrizione del reato – è
stata perciò pronunciata in violazione dei principi che presiedono al concorso di
persone nel reato, così come lumeggiati dalla giurisprudenza di legittimità: e
deve essere conseguentemente annullata senza rinvio, per non avere l’imputato
commesso il fatto.
L’annullamento deve essere esteso anche alla coimputata Sofia Sciandra,
che a sua volta non risulta essere stata coinvolta nell’episodio se non per la sua
– inerte – presenza all’accaduto. Pur in mancanza di specifica censura da parte
di costei, che come si è visto ha criticato la pronuncia sotto altri, infondati,
profili, deve farsi applicazione in suo favore del disposto dell’art. 587, comma 1,
cod. proc. pen..
29.4. Diversamente è a dirsi dell’imputazione di cui al capo 108, investito
dal quarto motivo di ricorso nell’interesse dello stesso Dott.

Amenta. Costui

risulta aver assistito senza intervenire all’azione delittuosa compiuta dall’agente

99

s-

Alfredo Incoronato, il quale colpì con un pugno il detenuto…1~
mentre stava per essere sottoposto all’auscultazione del torace e, a tal fine,
aveva alzato le braccia davanti all’Amenta, che a tanto si apprestava munito di
stetoscopio. Il concorso morale dell’Amenta è stato ravvisato dalla Corte
d’Appello nel fatto stesso di aver assistito passivamente all’evento, lasciando
anche che altri poliziotti infierissero ulteriormente sulla vittima già accasciatasi
su una scrivania.

giudice di merito accertato che l’azione criminosa dell’incoronato non era stata
improvvisa, ma aveva avuto dei prodromi ben riconoscibili nel fatto che
l’incoronato si fosse preventivamente infilato i pesanti guanti neri il cui utilizzo
per colpire i detenuti era tristemente noto, nell’ambiente di sopraffazione che si
era creato, e avesse apostrofato ~con una frase astiosa come «tu che
cazzo hai intenzione di fare, stronzo».
Lo stesso principio giuridico che si è dianzi evocato, a giustificazione
dell’annullamento della condanna per il reato di cui al capo 106, trova qui
applicazione in senso sfavorevole all’imputato, apparendo chiaramente
individuato il significato adesivo alla consumazione dell’illecito nella condotta
volontariamente passiva dell’Amenta e nel conseguente rafforzamento del
proposito criminoso in capo all’Incoronata, che ben sapeva di poter così contare
sull’impunità (poi effettivamente procuratagli dallo stesso Amenta, che parlando
con l’infermiere~ ebbe a giustificare il fatto ipotizzando che il SEM
avesse «offeso qualcuno di grosso»).
Le censure mosse dal ricorrente alla propria individuazione quale sanitario
presente all’episodio si traducono in una richiesta di rivisitazione del compendio
istruttorio e non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, per le
ragioni già ripetutamente esposte.
29.5. Ragioni analoghe a quelle teste indicate rendono conto della corretta
applicazione dell’art. 110 cod. pen. con riferimento alla tacita adesione al
comportamento insultante tenuto da un poliziotto non identificato nei confronti
del

detenuto11~1111111,

in questo caso il consapevole concorso morale

dell’Amenta è evidenziato dal comportamento passivo da lui tenuto malgrado la
ripetitività della condotta dell’autore materiale del reato, che reiteratamente
intimava al soggetto passivo di non azzardarsi a guardare il medico in faccia,
colpendolo con schiaffi ad ogni avvisaglia di violazione di quell’ingiustificato
divieto.
L’ipotesi che l’Amenta possa non aver udito le parole offensive, o che
udendole possa averle imputate a ritorsione per improbabili offese rivolte
all’agente dal.12, è stata giustificatamente ignorata dalla Corte d’Appello

100

In questo caso l’art. 110 cod. peri. è stato correttamente applicato, avendo il

siccome manifestamente infondata: non si può certo supporre che la aggressiva

e violenta – condotta dell’agente si esprimesse attraverso sussurri; né che
l’Amenta potesse realisticamente congetturare un contegno offensivo dei
detenuto, nel momento in cui era soggetto al potere incontrollato esercitato dai
poliziotti sulla sua incolumità fisica (infatti già pregiudicata dal colpi ricevuti
prima dell’accesso all’infermeria).
È appena il caso di rirnarcare come le dichiarazioni del

al pari di

richiedessero l’acquisizione di riscontri esterni per assumere valore probatorio;
l’assunzione della testimonianza nelle forme di cui all’art. 197-bis cod. proc. pen.
non era, infatti, necessitata in quanto le imputazioni cui egli era soggetto non
avevano alcun rapporto di connessione, o di correlazione, con quelle alle quali il
presente processo si riferisce.
Quanto al delitto di percosse ai danni dela”’. ascritto all’Amenta per
fatto da lui materialmente commesso, del tutto ingiustificata è la qualifica di
«risibile» attribuita dal ricorrente all’accusa rivoltagli (capo 111). La Corte
d’Appello ha accertato che il fu immotivatamente colpito non con uno
«schiaffetto», ma con un vero e proprio schiaffo, infertogli in prossimità della
ferita che già recava su di sé e che, poco prima, Io stesso Amenta aveva
tamponato con acqua distillata. Non può esservi, dunque, alcun dubbio sulla
sensazione dolorosa provocata al soggetto passivo dal colpo così subito: il che
integra indubbiamente quella manomissione dolorosa della persona fisica altrui,
cui la costante giurisprudenza di legittimità riconduce la nozione giuridica del
reato di cui all’art. 581 cod. pen. (Sez. 5, n. 11638 del 12/01/2012, Andrisani,
Rv. 252953; Sez. 5, n. 15004 del 06/02/2004, Morrone, Rv. 228497).
29.6. Il sesto motivo di ricorso, analogo a quello dedotto dai ricorrenti
Cimino e Pelliccia come settimo motivo e già esaminato al paragrafo 7.5, è
inammissibile in quanto carente del requisito della specificità. Ed invero, la sua
illustrazione è carente di quelle indicazioni (nominativi delle parti civili che hanno
ottenuto l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, precisazioni circa il
quomodo dell’inosservanza dei valori medi, dettaglio delle parti civili assistite dai
medesimi difensori) dalle quali soltanto si potrebbe trarre l’individuazione dei
punti della sentenza investiti dal gravame e, successivamente, verificare l’esistenza o meno delle denunciate violazioni di legge.

30. ADRIANA MAZZOLENI.

Il ricorso è fondato, sebbene non possano condividersi nella loro totalità le
censure formulate a suo sostegno.
Ciò è a dirsi per l’eccezione formulata col settimo motivo, volta a dedurre

101

quelle rese da altre persone offese introdotte nel sito in stato di arresto, non

l’illegittimità della condanna al risarcimento dei danni pronunciata in favore delle
parti civili non appellanti. In proposito ci si richiama a quanto già argomentato al
paragrafo 2.3.
Tuttavia a monte di tale questione, come di quella sollevata con l’ottavo
motivo, si pone in termini di assorbente efficacia la problematica, immanente alla
maggior parte delle censure svolte, che investe l’affermazione di responsabilità
della Mazzoleni per i reati contestatile: problematica che non appare

in parte lacunosa e, complessivamente, imprecisa.
Giustificata è, innanzi tutto, la censura con cui la ricorrente lamenta che la
Corte d’Appello abbia in parte fondato il proprio deliberato su un preteso
riconoscimento di incompletezza delle visite mediche, proveniente dalla stessa
Mazzoleni; così argomentando quel collegio avrebbe dovuto precisare in quale
sede sia stato formulato quel riconoscimento: il che era tanto più necessario in
quanto risulta che l’imputata sia rimasta contumace sia in primo, sia in secondo
grado.
La motivazione, inoltre, tende a omologare la posizione processuale della
ricorrente a quella degli altri imputati appartenenti all’area sanitaria, sulla base
delle stesse argomentazioni spese nei loro confronti, senza tuttavia indicare nello
specifico gli atti comportamentali attribuiti alla Mazzoleni. è, bensì, vero che
l’impianto argomentativo fa perno su una serie di testimonianze delle persone
offese, in parte confermate dalle deposizioni degli infermieri Poggi ella”
contenenti la descrizione dei trattamenti cui i detenuti erano stati sottoposti
nell’infermeria, della sommarietà delle visite, degli scherni subiti, della mancanza
di qualsiasi forma di reale assistenza e conforto; ma manca l’indicazione di
elementi probatori atti a dimostrare che gli eventi narrati fossero dipesi da fatto
della Mazzoleni o, quanto meno, fossero avvenuti In sua presenza e col suo
tacito consenso.
La difesa della ricorrente, ad illustrazione delle proprie censure, ha avuto
cura di prendere analiticamente in considerazione l’orario di immatricolazione e
di sottoposizione a visita medica di ciascuno dei 64 detenuti in favore dei quali la
Mazzoleni è stata condannata al risarcimento dei danni, al fine di evidenziare che
le condotte illecite nei loro confronti si erano verificare al di fuori del proprio
turno di lavoro nell’infermeria. Non

è certamente compito della Corte di

Cessazione verificare se le discordanze orarie così denunciate trovino conferma
negli atti processuali; ma è la Corte di merito che avrebbe dovuto farsi carico di
accertare se esistessero elementi idonei a ricollegare — prima di tutto sotto il
profilo temporale — le vicissitudini subite dalle

persone offese alla presenza

dell’odierna imputata in infermeria; e, in caso affermativo, verificare se costei

102

adeguatamente risolta dalla sentenza impugnata, la cui motivazione si presenta

avesse avuto parte, con una condotta commissiva od omissiva, alla
perpetrazione degli illeciti di cui si tratta, così come si è fatto per gli altri
imputati.
Il silenzio della motivazione su tali questioni di fatto, di rilevanza decisiva ai
finì della responsabilità della Mazzoleni e delle conseguenti obbligazioni
risarcitorie, vizia la sentenza rendendone inevitabile l’annullamento. Il giudice
civile competente per valore, che si designa quale giudice di rinvio ai sensi

sottoponendo a rinnovata valutazione il materiale probatorio acquisito.

31. Esaurita, così, la disamina dei ricorsi proposti dagli imputati, viene ora In
considerazione quello congiuntamente proposto dai responsabili civili Ministeri
della Difesa, della Giustizia e dell’Interno.
Prima di addentrarsi nello scrutinio dei quattro mezzi d’impugnazione ivi
dedotti, corre l’obbligo di evidenziare come le Amministrazioni chiamate a
rispondere dell’operato degli imputati possano giovarsi dell’effetto estensivo di
cui all’art. 587, comma 3, cod. proc. pen. con riferimento alle statuizioni di
annullamento assunte nelle pagine che precedano. Così, in particolare, la
cessazione delle condanne emesse nei confronti di ()ronzo Doria, Adriana
Mazzolení, Ernesto Cimino e Bruno Pelliccia (per questi ultimi limitatamente alla
condanna in favore diell.111~), Aldo Amenta e Sonia Sciandra (per
costoro limitatamente alla condanna per minaccia al danni diga/1~
comporta il venir meno delle conseguenze a carico del Ministero della Giustizia;
la cessazione delle condanne di Franco Valerlo, Aldo Tarascio e Antonello Talu
estende i propri effetti in favore del Ministero dell’Interno; quella delle condanne
pronunciate nei confronti di Maurizio Piscitelli, Antonio Gavino Multineddu,
Giovanni Russo, Corredo Furcas, Giuseppe Serroni, Mario Fonicello, Reinhard
Avoledo, Giovanni Pintus, Pietro Romeo e Ignazio Mura giova anche al Ministero
della Difesa.
Al di fuori di quanto or ora precisato, le statuizioni emesse a carico dei
responsabili civili rimangono ferme, stante l’inammissibilità dei motivi di critica
espressi nel ricorso congiunto.
31.1. Il primo motivo investe l’assegnazione di provvisionali disposta dalla
Corte d’Appello in aggiunta a quelle già riconosciute alle parti civili dal Tribunale.
Per quanto la questione inerente alla possibilità di impugnare nel giudizio di
legittimità le determinazioni inerenti alla provvisionale sia stata già affrontata in
precedenza (paragrafo 5.3, successivamente richiamato ai paragrafi 7.4, 8.2,
13.5, 21.3 e 25.7), è tuttavia necessario nuovamente occuparsi dell’argomento
in quanto il ricorso dei responsabili civili suggerisce una diversa proiezione,

103

dell’art. 622 cod. proc. pen., riesaminerà la posizione della ricorrente

denunciando vizi di extrapetizione (nei casi in cui l’aumento della provvisionale
non era stato chiesto) e di ultrapetizione (nei casi in cui la richiesta era per una
somma inferiore).
Sul tema così prospettato la risposta giurisprudenziale non è uniforme,
essendo dato rinvenire sia decisioni che negano ai giudice di appello la facoltà di
concedere provvisionali in aumento, qualora manchi l’impugnazione della parte
civile (Sez. 4, n. 989 del 13/04/1965, Steiner, Rv. 99766; Sez. 4, n. 8324 del

Rv. 160136), sia decisioni di segno opposto (Sez. 4, n. 9936 del 26/02/1985,
Santini, Rv. 170872; Sez. 4, n. 8134 del 09/05/1990, Ararah, Rv. 184554; Sez.
2, n. 7812 del 06/11/1991 – dep. 08/07/1992, Di Prima, Rv. 191058). A ben
guardare, tuttavia, gli arresti favorevoli alla tesi propugnata dai ricorrenti sono i
più risalenti nel tempo, mentre nel prosieguo è divenuta costante l’affermazione
del principio giuridico secondo cui la decisione sulla provvisionale può essere
adottata anche senza apposita istanza della parte civile e non soltanto dal
giudice di primo grado, ma anche da quello di appello; ciò parallelamente al
progressivo affermarsi del più generale principio a tenore del quale «il divieto di

reformatio in peius concerne esclusivamente le disposizioni di natura penale, ma
non si estende alle statuizioni civili della sentenza» (così la più recente Sez. 5, n.
8339 del 18/10/2012 – dep. 20/02/2013, T., Rv. 255014; v. anche Sez. 1, n.
17240 del 02/02/2011, Consolo, Rv. 249961;

contra Sez. 4, n. 42134 del

01/10/2008, Federico, Rv. 242185, citata anche dai ricorrenti; Sez. 1, n. 13545
del 04/02/2009, Bestetti, Rv. 243132).
Convince a pronunciarsi in favore dell’orientamento più recente, ormai
maggioritario, [a considerazione per cui il divieto di reformatio in peius, nel caso
di appello proposto dal solo imputato, ha nel processo penale la sua fonte
normativa nel precetto dell’art. 597, comma 3, del codice di rito, che limita la
sua previsione alla pena, a eventuali misure di sicurezza o alla causa di
proscioglimento, ossia alle statuizioni che concernono l’esito della azione penale;
d’altra parte la norma che regola il limite devolutIvo della domanda nei processo
civile, cioè quella contenuta nell’art. 112 cod. proc. civ., non può considerarsi
automaticamente applicabile nel processo penale: tanto si desume dai precedenti
giurisprudenziali già richiamati al paragrafo 2.3, che hanno riconosciuto al
giudice il potere-dovere di pronunciarsi sugli effetti civili quando riformi la
sentenza assolutoria di primo grado su appello del pubblico ministero, e non
anche della parte civile.
Se dunque, in base a quanto testé osservato, deve riconoscersi al giudice di
appello la facoltà di maggiorare la liquidazione della provvisionale in favore della
parte civile anche d’ufficio, e senza soffrire la limitazione segnata dal petitum,

104

14/05/1979, Genovese, Rv. 143054; Sez. 4, n. 7303 del 07/04/1983, Farneti,

resta ferma anche nella descritta ipotesi la ratio decidendi che, valorizzando il
carattere meramente delibativo della relativa statuizione, ne esclude l’impugnabilità con ricorso per cessazione: donde l’inammissibilità del motivo in esame.
31.2. Ciò rende ragione, ai contempo, dell’inammissibilità del secondo e del
terzo motivo di ricorso, che investono lo stesso provvedimento sotto il profilo del
vizio di motivazione e, rispettivamente, della correttezza del criterio adottato
nella quantificazione.

della formulazione. I ricorrenti, invero, lamentano che le spese in favore delle
parti civili siano state uniformemente liquidate in euro 18.000,00 per ciascuna,
senza tener conto del fatto che molte di esse erano state ammesse ai patrocinio
a spese dello Stato, comportante l’obbligo di non superare i valori medi delle
tariffe professionali vigenti; e che in numerosi casi lo stesso difensore aveva
assistito una pluralità di parti civili, il che avrebbe dovuto comportare la
liquidazione di un’unica parcella, aumentata secondo le percentuali previste dalle
disposizioni tariffarie in allora vigenti. Senonché in nessun modo la censura si
accompagna, come dovrebbe, all’indicazione delle parti civili che hanno ottenuto
l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato; né i ricorrenti spiegano in che
modo sarebbe stato violato, in tali casi,

irottigo di applicazione dei valori

tariffari medi; né, infine, sono precisati i nominativi delle parti civili cui la Corte
d’Appello avrebbe dovuto liquidare le spese in conformità al criterio dettato
dall’art. 3 della tariffa penale allegata al d.m. 8 aprile 2004, n. 127. Va rilevato
anche qui, come si è fatto nei confronti dell’analogo motivo di ricorso proposta
da Ernesto Cimino e Bruno Pelliccia (paragrafo 7.5), nonché di quello proposto
come sesto da Marilena Zaccardi e Aldo Amenta (paragrafo 29.6), come
l’estrema genericità della deduzione, che si limita all’indicazione dei principi
giuridici assertivamente violati senza spiegare in che modo avrebbero dovuto
trovare applicazione nel caso concreto, impedisca di identificare con precisione i
punti della sentenza investiti dal gravame, giusta il precetto dell’art. 581, comma
1, lett. a) cod. proc. pen.; e sia, per di più, inosservante del disposto di cui alla
lettera c) dello stesso comma.

32. A conclusione della disamina fin qui condotta, l’esito del giudizio può
essere riepilogato come segue: annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata nei confronti di Oronzo Doria, Franco Valerio, Aldo Tarascio, Antonello
Talu, Aldo Amenta e Sonia Sciandra, per questi ultimi due limitatamente al
concorso nel reato di minaccia ai danni di

imminimp

annullamento

senza rinvio nella parte riguardante la correzione che ha disposto la condanna
degli imputati Cimino e Pelliccia in favore

diiiimmio

105

rigetto, nel resto,

31.3. L’inammissibilltà del quarto motivo, infine, discende dalla genericità

dei ricorsi degli imputati Amenta, Sciandra, Cirnino e Pelliccia; annullamento con
rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello nei confronti di
Maurizio Piscitelli, Antonio Gavino Multineddu, Giovanni Russo, Corredo Furcas,
Giuseppe Serrarli, Mario Fonicello, Reinhard Avoledo, Giovanni Pintus, Pietro
Romeo, Ignazio Mura e Adriana Mazzoleni; estensione degli effetti dei disposti
annullamenti a favore dei responsabili civili Ministero dell’Interno, Ministero della
Difesa e Ministero della Giustizia; inammissibilità, per ti residuo, dei ricorsi

Michele Sabia Colucci e Marcello Mulas, con le relative conseguenze ex art. 616
cod. proc. pen.; rigetto dei ricorsi di Alessandro Perugini, Anna Poggi, Antonio
Biagio Gugliotta, Pie rmatteo Barucco, Gianmarco Braini, Antonello Gaetano,
Massimo Luigi Pigozzi, Francesco Paolo Tolomeo, Egidio Nurchis, Daniela Maida,
Matilde Arecco, Mario Turco, Paolo Ubaldi, Diana Mancini, Barbara Amadei,
Alfredo Incoronato, Giacomo Vincenzo Toccafondi e Marilena Zaccardi, con la
conseguente condanna individuale alle spese del procedimento; rigetto del
ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Genova.

33. Rimane soltanto da statuire sulla ripartizione delle spese nei rapporti fra
le parti private (fra queste ricomprendendosi anche le Pubbliche Amministrazioni
la cui presenza nel processo è a titolo di responsabili civili).
33.1. Nell’attendere a ciò devesi in linea di massima applicare il principio
della soccombenza, per cui sono da porre a carico degli imputati, il cui ricorso è
rigettato o dichiarato inammissibile, in solido coi rispettivi responsabili civili, le
spese sostenute dalle parti civili che hanno presentato specifiche conclusioni;
negli altri casi si reputa conforme a giustizia l’integrale compensazione delle
spese.
33.2. Nel procedere alla liquidazione si terrà conto dei criteri attualmente
dettati dal d.m. 20 luglio 2012, n. 140, i quali, sebbene non vincolanti per la
presenza della clausola di salvaguardia contenuta nel comma 7 dell’art. 1,
costituiscono tuttavia un punto di riferimento di indiscutibile utilità. In particolare
viene in considerazione Il disposto dell’art. 12, comma 4, del menzionato
decreto, il quale così dispone: «Qualora l’avvocato difenda più persone con la
stessa posizione processuale il compenso unico può essere aumentato fino al
doppio. Lo stesso parametro di liquidazione si applica, in caso di costituzione di
parte civile, quando l’avvocato difende una parte contro più parti».
33.3. Venendo, dunque, allo specifico, si effettua la liquidazione come
segue: in favore di allIMIP e 111~1.111111111> entrambi difesi
dall’Avv. Luca Andrea Brezigar, euro 3.000,00 solidalmente a carico degli
imputati Alessandro Perugini, Anna Poggi, Ernesto Cimino, Bruno Pelliccia,

105

proposti dai predetti Ministeri; inammissibilità dei ricorsi di Giovanni Amoroso,

Antonio Biagio Gugliotta, Piermatteo Barucco, Gianmarco Braini e Daniela Maida;
in favore di

fiiggagiaiggigiggio

e 11111″ difesi dall’Avv. Fabio

Fossati, euro 3.000,00 solidalmente a carico di Alessandro Perugini, Anna Poggi,
Ernesto Cirrilno, Bruno Pelliccia, Antonio Biagio Gugliotta, Gianmarco Braini,
Giovanni Amoroso, Michele Sabia Colucci, Giacomo Vincenzo Toccafondi, Sonia
Sciandra, Marilena Zaccardi e Aldo Amenta; in favore di1~111111111~111.
01~1111 (e per esso gli eredi),

solidalmente a carico di Alessandro Perugini, Anna Poggi, Ernesto Cimino, Bruno
Pelliccia, Antonio Biagio Gugliotta, Gianmarco Braini, Daniela Maida, Matilde
Arecco, Mario Turco, Paolo Ubaldi, Giacomo Vincenzo Toccafondi, Sofia Sciandra,
Marilena Zaccardi e Aldo Amenta; in favore di
1111111~1~11111101111~111111111111111111111111» tutti difesi dall’Avv.
Antonio Larici, euro 3.600,00 solidalmente a carico di Alessandro Perugini, Anna
Poggi, Antonio Biagio Gugliotta (quest’ultimo limitatamente alle quote parti di
Slii1~11~111~111~1111~~111, Matilde Arecco, Mario Turco,
Paolo Ubaldi (questi ultimi limitatamente alle quote parti die~iii~

.1~111/1011~;

in favore d ii~liiiii~~111.1111111111111.1.

ormuip difesi dall’Avv. Patrizia Maltagliati, euro 3.200,00 solidalmente a carico
di Alessandro Perugini, Anna Poggi, Giacomo Vincenzo Toccafondi, Sonia
Sciandra, Marilena Zaccardi, Aldo Amenta, Antonio Biagio Gugiiotta, Piermatteo
Barucco, Gianmarco Braini (gli ultimi tre limitatamente alla quota parte di
111~11~111k Massimo Luigi Pigozzi (limitatamente alla quota parte di
1111.1″), Matilde Arecco, Mario Turco e Paolo Ubaldi (questi ultimi
limitatamente alla quota parte di 11111~11111~; in favore

imerni~~~~~~~~11111111111.

difesi dall’Avv.

Riccardo Passeggi, euro 3.200,00 solidalmente a carico di Alessandro Perugini,
Anna Poggi, Ernesto Cimino, Bruno Pelliccia, Antonio Biagio Gugliotta, Gianmarco
Braini, Michele Sabia Colucci (gli ultimi due limitatamente alla quota parte di

imaimmis

Giovanni Amoroso (limitatamente alla quota parte

diga»

Giacomo Vincenzo Toccafondi, Sonia Sciandra, Marilena
Zaccardi e Aldo Amenta; in favore die01111~1~1111~.1111111. e

fffilingli.

difesi dall’Avv. Massimo Pastore, euro 3.200,00 solidalmente a carico

di Alessandro Perugini, Anna Poggi, Ernesto Cimino, Bruno Pelliccia, Antonio
Biagio Gugliotta, Giacomo Vincenzo Toccafondi, Sonia Sciandra, Marilena
Zaccardi, Aldo Amenta, Piermatteo Barucco (quest’ultimo limitatamente alla
quota parte di

~11~111~11111»,

Gianmarco Braini (limitatamente alle

quote parti di 111111~~11111.111~111111•111111~1.), Giovanni Amoroso
(limitatamente alle quote parti diallii1~11/1111~1~ e Marcello Mulas

107

11111111111111111~1111111~

4.111M11~11111111.1~1111111~111~110

tutti difesi dall’Avv. Roberto Lamma, euro 4.000,00

(limitatamente alla quota parte di

111111111111~;

mumumb eummigi

in favore di ellea

difesi dall’Avv. Paolo Angelo Sodani,

euro 3.000,00 solidalmente a carico di Alessandro Perugini, Anna Poggi, Ernesto
Cimino, Bruno Pelliccia, Antonio Biagio Gugliotta, Giacomo Vincenzo Toccafondi e
Aldo Amenta; in favore dielln.111~11111~111110.11,4~~

comummis~oriumaii11.,

tutti difesi dall’Avv. Fabio Taddei,

euro 4.000,00 solidalmente a carico di Alessandro Perugini, Anna Poggi, Ernesto

Mario Turco, Paolo Ubaldi (gli ultimi quattro limitatamente alla quota parte di
1111~, Giacomo Vincenzo Toccafondi, Sonia Sciandra, Marilena Zaccardi e
Aldo Amenta; in favore di SI difeso dall’Avv. Giuseppe
Campanelli, euro 2.700,00 solidalmente a carico di Alessandro Perugini, Anna
Poggi, Ernesto Cimino, Bruno Pelliccia, Antonio Biagio Gugliotta, Daniela Maida,
Matilde Arecco, Mario Turco, Paolo Ubaldi, Giacomo Vincenzo Toccafondi, Sonia
Sciandra, Marilena Zaccardi e Aldo Amenta; in favore di 11~11.11.111~1.
difeso dall’Avv. Manlio Riccardo Dozzo, euro 2.700,00 solidalmente a carico di
Alessandro Perugini, Anna Poggi, Ernesto Cimino, Bruno Pelliccia, Antonio Biagio
Gugliotta, Daniela Maida, Matilde Arecco, Mario Turco, Paolo Ubaldi, Giacomo
Vincenzo Toccafondi, Sofia Sciandra, Marilena Zaccardi e Aldo Amenta; in favore
di1111~111. difeso dall’Avv. Fausto Gianelli, atm 2.700,00 solidalmente a
carico di Alessandro Perugini, Anna Poggi, Ernesto Cimino, Bruno Pelliccia,
Antonio Biagio Gugiiotta, Piermatteo Barucco, Gianmarco Braini, Giacomo
Vincenzo Toccafondi, Sonia Sciandra, Marilena Zaccardi e Aldo Amenta; in favore
dill~1111″ difeso dall’Avv. Carlo Malossi, euro 2.700,00 solidalmente a
carico di Alessandro Perugini, Anna Poggi, Ernesto Cimino, Bruno Pelliccia,
Antonio Biagio Gugliotta, Francesco Paolo Tolomeo, Egidio Nurchis, Giacomo
Vincenzo Toccafondi, Sonia Sciandra, Marilena Zaccardi e Aldo Amenta; in favore
di

immorm~

difeso dall’Avv. Vladimiro Noberasco, euro 2.700,00

solidalmente a carico di Alessandro Perugini, Anna Poggi, Ernesto Cimino, Bruno
Pelliccia, Antonio Biagio Gugliotta, Gianmarco Braini, Giacomo Vincenzo
Toccafondi, Sonia Sciandra, Marilena Zaccardi e Aldo Amenta; in favore di
el…1111.111.1 difesa dall’Avv. Luca Partesotti, euro 2.700,00 solidamente a
carico di Alessandro Perugini, Anna Poggi, Ernesto Cimino, Bruno Pelliccia,
Antonio Biagio Gugliotta, Piermatteo Barucco, Gianmarco Braini, Giacomo
Vincenzo Toccafondi, Sonia Sciandra, Marilena Zaccardi e Aldo Amenta; in favore
di 111.11.1111111~ difeso dall’Avv. Agnese Finto, euro 2.700,00
solidalmente a carico di Alessandro Perugini, Anna Poggi, Ernesto Ornino, Bruno
Pelliccia, Antonio Biagio Gugliotta, Daniela Maida, Matilde Arecco, Mario Turco,
Paolo Ubaldi, Giacomo Vincenzo Toccafondi, Sonia Sciandra, Marilena Zaccardi e

108

Cimino, Bruno Pelliccia, Antonio Biagio Gugliotta, Daniela Maida, Matilde Arecco,

Aldo Amenta; in favore di

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difeso dall’Avv. Federica

Raccatti, euro 2.700,00 solidalmente a carico di Alessandro Perugini, Anna Poggi,
Ernesto Cimino, Bruno Pelliccia, Antonio Biagio Gugliotta, Antonello Gaetano,
Daniela Maida, Matilde Arecco, Mario Turco, Paolo Ubaldi, Giacomo Vincenzo
Toccafondi, Sonia Sciandra, Marilena Zaccardi e Aldo Amenta.
33.4. Le somme come sopra liquidate, al cui pagamento sono tenuti anche i
responsabili civili in solido coi rispettivi imputati, sono da maggiorare in ragione

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Darla °ronzo,
Valeria Franco, Tarascio Aldo e Talu Antonello, nonché le correlate statuizioni nei
confronti dei responsabili civili, per inammissibilità dell’appello a suo tempo
proposto dalle parti civilielliffill.1.111111111111~11111111111111111
iiiiiiii1.1.11111~1111.11~~1~
Annulla senza rinvio nei confronti di Amenta Aldo e, per l’effetto estensivo,
nei confronti di Sciandra Sonia, limitatamente al concorso nel reato di minaccia
al danni di per non aver commesso il fatto. Rigetta nel resto i
ricorsi dei predetti Amenta e Sciandra.
Annulla le statuizioni della sentenza impugnata, limitatamente alla
correzione che ha disposto la condanna di Clmino Ernesto e Pelliccia Bruno, in
solido col responsabile civile Ministero della Giustizia, al risarcimento dei danni in
favore ditali” disposizione che elimina. Rigetta nel resto i ricorsi
degli stessi Cimino e Pelliccia.
Annulla le statuizioni dell’impugnata sentenza relative a Piscitelli Maurizio,
Multineddu Antonio Gavino, Russo Giovanni, Furcas Corredo, Serroni Giuseppe,
Fonicello Mario, Avoledo Reinhard, Pintus Giovanni, Romeo Pietro, Mura Ignazio,
nonché le correlate statuizioni contro il Ministero della Difesa, con rinvio al
giudice civile competente per valore in grado di appello.
Annulla le statuizioni dell’impugnata sentenza relative a Mazzoleni Adriana,
nonché le correlate statuizionl prese contro il Ministero della Giustizia, con rinvio
al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Dichiara inammissibili per il residuo i ricorsi dei Ministeri responsabili civili.
Dichiara inammissibili i ricorsi proposti da Amoroso Giovanni, Sabia Colucci
Michele e Mulas Marcello, che condanna ciascuno al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle Ammende.
Rigetta i ricorsi di tutti gli altri imputati, che condanna ciascuno al

109

degli accessori di legge.

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·pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte
d’Appello di Genova.
Per ogni ricorso degli imputati rigettato o dichiarato lnammlsslbtle condanna
le pa rti ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute per questo g iudizio di
cassazione dalle parti civili concludenti e le liquida in euro 3.000,00 per le parti

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offese rappresentate dall’Aw. Brezlgar, in euro 3.000,ÒO per le pa rt i offese
rappresentate dall’Avv.

Fabio Fossati,

in

euro 4.000,00 per le

parti offese

rappresentate dall’Aw. Roberto Lamma, fn euro 3.600,00 per le parti offese
rappresentate dail’Avv. Antonio Lerici ,

in euro 3.200,00 per le parti offese

rappresentate dall’Aw. Patrizia M a ltag li ati , ln euro 3.200,00 per le parti offese
rappresentate dall’Aw. Riccardo Passeggi, In euro 3.200,00 per le parti offese
rappresentate dall’Aw. Massimo Pastore, in euro 3.000,00 per le parti offese
rappresentate dall’Avv. Paolo Angelo Sodani, In euro 4.000,00 per le parti offese
rappresentate dall’Aw. Fabio Taddei; nonché in.euro 2.700,00 per ci ascuna altra
singola

parte

civile

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specificamente

concludente

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oltre accessori
come per legge in ordi ne a cias cu na delle suddette liquidazioni.
Compensa per il resto tra le parti private, in relazione alla genericità delle

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richieste formÙlate, le spese di questo giudizio di Cassazione.

Così deciso il 14 giugno 2013.

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