Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37085 del 19/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 37085 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cacioppo Angelo, nato a Palermo il 21/1271975,

avverso l’ordinanza del 07/10/2014 del Tribunale di riesame di Palermo;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Vito
D’Ambrosio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il sig. Angelo Cacioppo ricorre personalmente per l’annullamento
dell’ordinanza del Tribunale di Palermo che, accogliendo l’appello del Pubblico
Ministero, ha applicato nei suoi confronti la misura cautelare degli arresti
domiciliari perché gravemente indiziato del reato di cui all’art. 73, d.P.R. 9
ottobre 1990, n. 309, per aver posto in essere, nell’arco di tempo che va dal
novembre 2011 all’aprile 2012, varie condotte di detenzione a fine di cessione a
terzi e di cessione a terzi di sostanze stupefacenti del tipo hashish e cocaina.

Data Udienza: 19/05/2015

1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) e c), cod.
proc. pen., violazione dell’art. 273, cod. proc. pen., e deduce, al riguardo, che
non si può escludere che in mancanza di riscontri l’oggetto delle conversazioni
intercettate possa essere diverso dallo stupefacente ipotizzato. In ogni caso,
afferma, non si può nemmeno escludere che gli incontri finalizzati alla cessione
della sostanza stupefacente non si siano conclusi e che, pertanto, non si sia
perfezionata alcuna “traditio” della sostanza stessa.
1.2. Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), c) ed e),

fine che i fatti per i quali si procede risalgono ai mesi di marzo e aprile 2012.
Aggiunge, quindi, che la motivazione è, sul punto, apodittica e assertiva, oltre
che illogica perché desume il pericolo di reiterazione del reato da fatti risalenti
nel tempo, accertati solo mediante intercettazioni telefoniche, in assenza di
riscontri anche sulla tipologia di sostanza oggetto delle conversazioni e
contraddetta dal fatto che egli è oggi stabilmente impiegato presso un
supermercato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.11 ricorso è inammissibile.

3.11 primo motivo è assolutamente generico e comunque manifestamente
infondato.
3.1.11 Tribunale del riesame ha indicato con precisione le conversazioni
intercorse per telefono e nell’autovettura in uso al ricorrente nel corso delle quali
quest’ultimo parla chiaramente di cocaina e “fumo”, non però come oggetto di
possibili cessioni, bensì come sostanze che deteneva concretamente o aveva
ceduto o doveva cedere.
3.2.11 Cacioppo astrae completamente dal poderoso compendio indiziario
ampiamente illustrato nell’ordinanza cautelare, limitandosi, in modo del tutto
generico, ad ipotizzare che oggetto delle conversazioni possano essere cose
diverse dalle sostanze stupefacenti o che non vi sia mai stata alcuna “traditio”
della sostanza.
3.3.Quanto a quest’ultimo punto, va ricordato che secondo il consolidato
indirizzo di questa Suprema Corte il reato di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309 del
1990, è integrato dalla condotta di colui che anche soltanto si limiti a offrire la
sostanza stupefacente, purché di essa egli abbia la effettiva, anche se non
attuale, disponibilità e purché, pertanto, egli sia in grado, concretamente, di
procurarsi la sostanza medesima. Non è, per contro, necessario per il
perfezionamento dell’ipotesi criminosa il raggiungimento di un accordo con il
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cod. proc. pen., violazione dell’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., e deduce a tal

cessionario della droga, ne’, tantomeno, la “traditio” concreta della sostanza
(Sez. 6, n. 7943 del 07/04/1995, Franzone, Rv. 202164; Sez. 6, n, 7333 del
2/05/1997, Enea, Rv. 209743; Sez. 4, n. 34926 del 17/06/2003, Carta, Rv.
226229; Sez. 6, n. 39110 del 16/09/2014, Bonanno, Rv. 260463).
3.4.Nel caso di specie, come detto, la effettiva e concreta disponibilità dello
stupefacente da parte del ricorrente è ampiamente argomentata e motivata dal
Tribunale con l’analisi del contenuto delle conversazioni dalla quali ciò risulta.

4.1. I Giudici dell’appello cautelare hanno desunto la sussistenza del pericolo
di reiterazione del reato dai seguenti dati di fatto e argomenti: a) la tendenziale
stabilità, professionalità e intensità della condotta criminosa, caratterizzata da
rapporti frequentissimi, quasi ininterrotti, finalizzati all’acquisto delle sostanze
destinate alla loro cessione in cambio di denaro; b) la sua conseguente
protrazione per un lasso di tempo più ampio di quello monitorato dall’attività di
captazione; c) la capacità di piazzare le sostanze con assoluta facilità nel
mercato locale, segno che il ricorrente era un punto di riferimento per molti
tossicodipendenti del paese di Misilmeri.
4.2.Da tali dati, non irragionevolmente ritenuti indice dello stabile
inserimento del Cacioppo nel mercato illegale della compravendita di
stupefscenti, e dai precedenti penali specifici, il Tribunale ha tratto ulteriore
spunto per affermare la concretezza e l’attualità del pericolo di reiterazione dei
reati, nonostante il tempo trascorso dai fatti.
4.3.11 ricorrente oppone, a supporto dell’eccezione di illogicità della
motivazione, argomenti decisamente generici ed inconferenti con il ragionamento
seguito dai Giudici distrettuali. In particolare deduce il fattore temporale e
l’impossibilità di stabilire se le singole condotte abbiano ad oggetto droga leggera
o pesante (circostanza quest’ultima smentita dal franco riferimento a cocaina e
fumo in molte delle conversazioni riportate nella motivazione del provvedimento
impugnato).
4.4.Quanto al decorso del tempo, la censura si limita a denunciare l’illogicità
delle conclusioni alle quali è pervenuto il Tribunale senza considerare il
complessivo percorso logico seguito dai Giudici che hanno evidenziato,a fini
prognostici, la professionalità nel reato e la capacità di penetrazione nel mercato
locale che, di quella valutazione di professionalità costituisce proiezione dinamica
4.5. Di ciò il ricorrente è consapevole tanto che per essere più incisivo è
costretto a dedurre, per la prima volta ed inammissibilmente in questa sede, di
aver trovato un impiego stabile; fatto questo che dovrebbe alimentare la tesi
difensiva della sussistenza di redditi derivanti da attività lecita e depotenziare
l’affermazione di professionalità del reato.

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4.11 secondo motivo è totalmente infondato.

4.6.Sennonché, come detto, tale circostanza non può essere presa in
considerazione direttamente da questa Suprema Corte che non ne può tenere
conto.
4.7.Ben diverso sarebbe stato se il ricorrente l’avesse allegata in sede di
appello cautelare, impegnando i Giudici distrettuali a misurarsi con un
argomento concreto e specifico; ma ciò non risulta, né é dedotto.

5.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod.

(C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento
nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che
si fissa equitativannente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 19/05/2015

proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente

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