Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37083 del 17/01/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 37083 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: SOCCI ANGELO MATTEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CAPITANIO ERNESTO nato il 30/03/1947 a LOVERE

avverso la sentenza del 09/05/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO MATTEO SOCCI

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARILIA DI
NARDO, che ha concluso per: “Inammissibilità del ricorso”.
Udito il difensore, Avv. Michele D’Agostino, che ha concluso per: “Accoglimento
del ricorso”.

Data Udienza: 17/01/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza della Corte di appello di Milano, del 9 maggio
2017, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Milano, del 30
aprile 2015, ritenute le circostanze attenuanti generiche prevalenti alla
recidiva è stata ridotta la pena a mesi 5 e giorni 10 di reclusione nei

Igs. n. 74/2000, per il periodo di imposta 2008; con la recidiva
infraquinquennale.
2.

L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, tramite

difensore, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente
necessari per la motivazione, come disposto dall’art 173, comma 1, disp.
att., cod. proc. pen.
2. 1. Vizio di motivazione.
Il ricorrente ha pagato le tasse a Montecarlo, dove era residente,
e ha ritenuto tale comportamento legittimo, quindi doveva in ogni caso
essere assolto in applicazione dell’art. 59, cod. pen. La Corte di appello,
invece, con motivazione contraddittoria ed insufficiente, ha ritenuto il
7,

,

ricorrente residente in Italia;allegaítst al p5enté ricorso i documenti,
relativi alla residenza del ricorrente a Montecarlo.
La sentenza poi non motiva sull’applicazione dell’art. 59, cod.
pen.
Il ricorrente ha comunque regolarmente pagate’ le rate come da
accordo con il fisco, e quindi la Corte di appello ha errato nel ritener
escluso l’art. 131 bis, cod. pen. In ogni caso In considerazione del
pagamento, doveva essere concessa l’attenuante dell’art 62, n. 6, cod.
pen. La Corte di appello ha fatto riferimento alla sola prima parte della
norma, e non anche alla seconda.
Manca inoltre la prova dell’elemento psicologico del reato.
2. 2. Violazione di legge, art. 53, I. 689/1981. La difesa aveva
chiesto la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, la Corte

confronti di Ernesto Capitanio, relativamente al reato di cui all’art. 4, d.

di appello ha rigettato il motivo di appello con motivazione solo
apparente, contraddittoria ed illogica, disapplicando la norma.
2. 3. Violazione di legge, art. 13, e 13 bis, d. Igs. 74/2000.
Con i motivi aggiunti il ricorrente, in sede di giudizio di appello,
aveva chiesto l’applicazione dell’art. 13, e in subordine del 13 bis, del d.
Igs. 74/2000, in considerazione del pagamento del debito tributario come

Secondo l’accordo di rateizzazione stabilito con l’agenzia delle
entrate il debito tributario è stato estinto, mediante pagamento
dell’ultima rata, prima della celebrazione del giudizio di appello, dopo
l’entrata in vigore della norma.
La legge più favorevole deve essere applicata retroattivamente,
come previsto da Cass. sez. 4, n. 11417/2017.
Ha chiesto pertanto l’annullamento della decisione impugnata.
Con successiva memoria il ricorrente ha ribadito la fondatezza del
ricorso, anche relativamente alla giurisprudenza ultima della Cassazione,
Sez. 3, n. 52640/2017; propone inoltre motivi aggiunti, ovvero,
eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 649, cod. proc. pen. per
violazione dell’art. 117, comma 1, Costituzione, o, in alternativa, chiede
di proporre questione pregiudiziale di interpretazione ex art. 267 TFUE
alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, relativa all’art. 50 CDFUE, alla
luce dell’art. 4, prot. 7, CEDU.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è fondato, relativamente al motivo della violazione di
legge, art. 13 bis, d. Igs. 74/2000 e dell’art. 53 della legge, 689/1981;
infondato nel resto; relativamente ai motivi nuovi, presentati con la
memoria, deve rilevarsi che gli stessi non sono relativi ai punti
dell’originaria impugnazione, e quindi inammissibili: « In tema di ricorso

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da accordi con l’Agenzia delle entrate.

per cassazione, la presentazione di motivi nuovi è consentita entro i limiti
in cui essi investano capi o punti della decisione già enunciati nell’atto
originario di gravame, poiché la “novità” è riferita ai “motivi”, e quindi
alle ragioni che illustrano ed argomentano il gravame su singoli capi o
punti della sentenza impugnata, già censurati con il ricorso» (Sez. 1, n.
40932 del 26/05/2011 – dep. 10/11/2011, Califano e altri, Rv. 25148201;
vedi anche, nello stesso senso, Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016 – dep.

3. 1. In tema di reati tributari, la causa di non punibilità
contemplata dall’art. 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000, come sostituito
dall’art. 11 del D.Lgs. n. 158 del 2015 – per la quale i reati di cui agli
articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del decreto 74 del 2000 non sono
punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo
grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi,
sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti – è
applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.
Igs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato
aperto il dibattimento. (In applicazione di questo principio la S.C. ha
ritenuto ammissibile la rilevabilità della suddetta causa di non punibilità
anche nel giudizio di legittimità, rinviando al giudice di merito per la
valutazione circa la sussistenza in concreto delle condizioni previste
dall’art. 13 del D.Lgs. n.74 del 2000). (Sez. 3, n. 15237 del 01/02/2017 dep. 28/03/2017, Volanti, Rv. 26965301; vedi anche Sez. 3, n. 40314 del
30/03/2016 – dep. 28/09/2016, Fregolent, Rv. 26780701).
L’art. 11 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, sostituendo il
previgente art. 13 d.lgs. 74 del 2000, ha attribuito all’integrale
pagamento dei debiti tributari, nel caso dei reati di cui agli artt. 10 bis,
10 ter e 10 quater, comma 1, d. Igs. 74 del 2000, efficacia estintiva, e
non più soltanto attenuante. Pur indicando nella dichiarazione di apertura
del dibattimento il limite di rilevanza della causa estintiva, nel senso che,
per aversi estinzione dei reati, l’integrale pagamento degli importi dovuti
deve avvenire prima dell’inizio del giudizio penale, va rilevato però che la
diversa natura giuridica e l’efficacia estintiva del reato implica, nei
procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore del d.lgs.

16/12/2016, Braidic, Rv. 26898001).

158/2015, la necessità di una parificazione degli effetti della causa di non
punibilità, anche nei casi in cui sia stata superata la preclusione della
dichiarazione di apertura del dibattimento. La trasformazione della
fattispecie attenuante in fattispecie estintiva implica che l’integrale
pagamento del debito tributario non assuma più rilevanza normativa in
termini di minore gravità del reato o di indice della capacità a delinquere
del soggetto; il riconoscimento di una efficacia estintiva del reato, infatti,

in ragione di condotte susseguenti al reato, nel caso di specie di carattere
restitutorio, che rispondono alla differente logica incentivante e premiale;
il nuovo istituto, ancorché espressione evidente di esigenze di deflazione
del processo penale, costituisce il frutto di una valutazione legislativa
sull’opportunità di punire l’autore di un fatto antigiuridico colpevole a
fronte di una condotta reintegrativa ex post del bene giuridico leso. In
una analisi costituzionale, la condotta restitutoria (l’integrale pagamento
di debito, interessi e sanzioni) assume rilievo nell’esclusione della finalità
rieducativa (o risocializzante) assegnata alla sanzione penale dalla
Costituzione (art. 27, comma 3, Cost.). La pena astrattamente prevista
non ha più ragione di essere applicata allorquando la condotta restitutoria
susseguente implichi il venir meno della funzione rieducativa ad essa
assegnata. La diversa natura assegnata al pagamento del debito
tributario, quale comportamento che non riguarda più soltanto
l’attenuazione del trattamento sanzionatorio, ma la stessa punibilità,
comporta che nei procedimenti in corso, anche se sia stato oltrepassato il
limite temporale di rilevanza previsto dalla norma, l’imputato debba
essere considerato nelle medesime condizioni fondanti l’efficacia della
causa estintiva; il principio di uguaglianza, che vieta trattamenti differenti
per situazioni uguali, impone, infatti, di ritenere che, sotto il profilo
sostanziale, il pagamento del debito tributario assuma la medesima
efficacia estintiva, sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura
del dibattimento, sia, nei procedimenti in corso alla data di entrata in
vigore del d.lgs. 158 del 2015, che avvenga dopo tale limite, purchè
prima del giudicato. La preclusione assegnata, in maniera non
irragionevole, ad un momento della scansione processuale, non può
operare allorquando, in applicazione del principio del favor rei, la più

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va inquadrata nel diverso fenomeno della degradazione dell’illecito penale

favorevole disciplina – introdotta in pendenza del procedimento, ed
allorquando la scansione era stata già superata – debba essere applicata
agli imputati che hanno provveduto al pagamento integrale del debito
tributario. Né potrebbe obiettarsi che la preclusione era prevista anche in
relazione alla precedente fattispecie attenuante, in quanto l’efficacia
estintiva ora attribuita al pagamento integrale del debito tributario è
diversa e più ampia dell’efficacia attenuante, da essa dipendendo la

L’interesse a provvedere al pagamento dell’intero debito tributario
è necessariamente diverso, e più intenso, ove sia collegato ad una
efficacia estintiva del reato, anziché ad una efficacia soltanto attenuante;
quindi, nei soli procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del
d.lgs. 158/2015, deve ritenersi che l’imputato sia nella medesima
situazione giuridica che fonda, allorquando non vi sia ancora stata
l’apertura del dibattimento, l’efficacia estintiva prevista dalla nuova causa
di non punibilità; viceversa, si registrerebbe una disparità di trattamento
in relazione a situazioni uguali in ordine alla quale sarebbe prospettabile
una questione di illegittimità costituzionale. Del resto trattandosi di causa
di non punibilità deve trovare piena applicazione l’art. 2, cod. pen. e l’art.
7 della CEDU (retroattività della legge più favorevole).
3. 2. La norma prevede, quindi, una causa sopravvenuta di non
punibilità, ovvero con un comportamento successivo alla commissione del
reato (nel caso il pagamento integrale), che elimina l’offesa al bene
giuridico tutelato dalla norma, il soggetto può beneficiare della non
punibilità. Le cause di punibilità sopravvenute implicano un termine entro
il quale deve essere tenuto il comportamento del reo; è il legislatore che
individua il termine relativamente alla fattispecie concreta regolata. La
ratio delle cause sopravvenute di non punibilità consiste nell’interesse
(concreto) che ha l’ordinamento ad incentivare comportamenti
antagonisti al fatto criminoso; il ricorso a tali cause di non punibilità è
possibile quando lo stato di sofferenza del bene giuridico è materialmente
eliminabile, e quando il legislatore giudichi particolarmente efficace
l’intervento antagonistico da parte del’autore del fatto (il pagamento,
pertanto, è per l’ordinamento un motivo valido – in assoluto – per la

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stessa punibilità, e non solo la misura della pena.

causa di non punibilità). Esempi di cause sopravvenute di non punibilità
sono la desistenza volontaria (art. 56, comma 3, cod. pen.: «Se il
colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace soltanto alla pena
per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato
diverso»; il termine qui è dato dalla non consumazione del reato, non
realizzazione dell’evento) e la ritrattazione (art. 376, cod. proc. pen.:
«Nei casi previsti … il colpevole non è punibile se, nel procedimento

il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento.
Qualora la falsità sia intervenuta in una causa civile, il colpevole
non è punibile se ritratta il falso e manifesta il vero prima che sulla
domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva, anche se non
irrevocabile»; il termine qui è dato in relazione agli sviluppi del processo
penale e del processo civile). Altra causa sopravvenuta di non punibilità è
quella dell’art. 2, comma 1 bis, d. I. 12 settembre 1983, n. 463, il
pagamento delle ritenute previdenziali entro tre mesi dalla contestazione
o dall’avvenuto accertamento della violazione.
Il termine che il legislatore individua può essere riferito, quindi,
ad una fase processuale – se necessario, e pratico -, o ad altre evenienze
extraprocessuali. Il termine entro il quale deve essere tenuto il
comportamento del reo, per l’applicazione della causa sopravvenuta di
non punibilità è, però, sempre un termine “sostanziale”, anche se per
praticità inserito all’interno della scansione temporale del processo. Il
termine è connaturale alla causa sopravvenuta di non punibilità, non è
una evenienza accessoria, ma strutturale (essendo causa sopravvenuta
alla commissione del reato, e il termine è inoltre incentivante per il reo al
comportamento riparatore antagonista). Tutti i termini previsti dalla
legge nelle ipotesi di cause sopravvenute di non punibilità ricevono in
questo modo una “parità di trattamento”, per l’applicazione dell’art. 2,
cod. pen. e 7, CEDU. Distinguere a tal fine i termini delle cause
sopravvenute di non punibilità in processuali (se inseriti nella dinamica
degli atti del processo) e sostanziali (se relativi a scadenze non collegate
con il processo), sarebbe sicuramente incostituzionale, e contrario alla
ragionevolezza, costituirebbe inoltre un’interpretazione non restrittiva

penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta

della norma penale, a scapito del favor rei – vedi C.edu G.C. Grigoriades
V/ Grecia, 25 novembre 1997, § 38 – (per la considerazione del termine
come processuale, vedi Sez. 3, n. 30139 del 12/04/2017 – dep.
15/06/2017, Fregolent, Rv. 27046401: «Nel caso di specie, il requisito
normativo secondo cui tale possibilità deve essere esperita prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado ha
evidentemente natura processuale e non sostanziale. Pertanto, in

prevista dalla legge che non contrasta con il principio della retroattività
della lex mitior sostanziale. L’art. 13 ha una doppia previsione, una di
natura sostanziale – il pagamento del debito che estingue il fatto-reato
commesso prima della sua entrata in vigore- e una processuale – il
pagamento prima dell’apertura del dibattimento -»).
Non può ritenersi una causa sopravvenuta di non punibilità
parzialmente processuale (relativamente al termine entro il quale deve
essere tenuto il comportamento del reo), in quanto il termine – come
visto – è connaturale e strutturale alla stessa causa di non punibilità, a
volte riferito al processo e altre volte a termini extraprocessuali.
4. Nel nostro caso, però, viene in rilevo la previsione del comma
2, dell’art. 13, citato, che prevede la non punibilità «se i debiti tributari,
comprese sanzioni ed interessi, sono stati estinti mediante integrale
pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o
della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di
presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta
successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano
intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza
di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di
accertamento amministrativo o di procedimenti penali».
L’integrale pagamento non è in discussione, anche per la
sentenza impugnata, ma quello che rileva è la mancata dimostrazione, in
sede di giudizio di merito della presentazione della dichiarazione, anche
se in ritardo, o del ravvedimento operoso – ravvedimento nemmeno
prospettato -, resta solo il pagamento dopo gli accertamenti.

241A;//6

assenza di disciplina transitoria, opera una preclusione processuale,

Non può quindi trovare applicazione l’art. 13, comma 2, d. Igs.
74/2000, in quanto non sussiste prova della presentazione della
dichiarazione o del ravvedimento operoso.
5. Il pagamento, invece, per il ragionamento sopra svolto relativo
all’art. 13, comma 1, è rilevante per l’applicazione dell’art. 13 bis, d. Igs.
74/2000, che prevede nelle ipotesi del pagamento la riduzione delle pene
fino alla metà. In precedenza l’art. 13, d. Igs. 74/2000 – nel testo in

diminuizione delle pene fino ad un terzo se prima della dichiarazione di
apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese
sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale
pagamento degli importi dovuti.
E’ evidentemente una norma (nuova) sul trattamento
sanzionatorio, più favorevole, e quindi per i principi dell’art. 2, cod. pen.
deve trovare applicazione anche a chi ha pagato dopo l’apertura del
dibattimento di primo grado, perché la norma all’epoca dell’apertura del
dibattimento non era in vigore (invece la norma all’epoca prevedeva solo
la diminuizione di un terzo).
Il passaggio dalla riduzione delle pene di un terzo a quella della
metà, comporta un sicuro interesse maggiore all’adempimento (lo sconto
di pena è superiore). Infatti, come esattamente affermato da questa
Suprema Corte di Cassazione: «In tema di giudizio abbreviato, l’art. 442,
comma 2, cod. proc. pen., come novellato dalla legge n. 103 del 2017 nella parte in cui prevede che, in caso di condanna per una
contravvenzione, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte
le circostanze è diminuita della metà, anziché di un terzo come previsto
dalla previgente disciplina – si applica anche alle fattispecie anteriori,
salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, ai sensi dell’art. 2,
comma 4, cod. pen., in quanto, pur essendo norma di carattere
processuale, ha effetti sostanziali, comportando un trattamento
sanzionatorio più favorevole seppure collegato alla scelta del rito» (Sez.
4, n. 832 del 15/12/2017 – dep. 11/01/2018, Del Prete, Rv. 27175201).

vigore dal 17 settembre 2011 al 21 ottobre 2015 – prevedeva la

E’, quindi, solo il passaggio in giudicato della questione che
potrebbe impedire l’applicazione della norma più favorevole, non certo
l’apertura del dibattimento, di primo grado, prima dell’entrata in vigore
della nuova e più premiante normativa. Se così fosse ci sarebbe una
disparità di trattamento non giustificata; infatti il termine non è
processuale, come sopra visto per l’art. 13, d. Igs. 74/2000, ma ha
sempre natura (e scopo) relativa al trattamento sanzionatorio, di diritto

17/12/2012, Aspa, Rv. 25452401 -.
Sul

punto

è

illuminante

la

sentenza

Corte

EDU, 17/09/2009, Grande Camera, SCOPPOLA contro ITALIA. N. del
ricorso, 10249/03, che ha affermato: « § 108. Agli occhi della Corte, è
coerente con il principio della preminenza del diritto, di cui l’articolo 7
costituisce un elemento essenziale, aspettarsi che il giudice di merito
applichi ad ogni atto punibile la pena che il legislatore ritiene
proporzionata. Infliggere una pena più severa solo perché essa era
prevista al momento della perpetrazione del reato si tradurrebbe in una
applicazione a svantaggio dell’imputato delle norme che regolano la
successione delle leggi penali nel tempo. Ciò equivarrebbe inoltre a
ignorare i cambiamenti legislativi favorevoli all’imputato intervenuti prima
della sentenza e continuare a infliggere pene che lo Stato e la collettività
che esso rappresenta considerano ormai eccessive. La Corte osserva che
l’obbligo di applicare, tra molte leggi penali, quella le cui disposizioni sono
più favorevoli all’imputato, si traduce in una chiarificazione delle norme in
materia di successione delle leggi penali, il che soddisfa a un altro
elemento fondamentale dell’articolo 7, ossia quello della prevedibilità
delle sanzioni.
§ 109. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che sia
necessario ritornare sulla giurisprudenza stabilita dalla Commissione nella
causa X c. Germania e considerare che l’articolo 7 § 1 della Convenzione
non sancisce solo il principio della irretroattività delle leggi penali più
severe, ma anche, e implicitamente, il principio della retroattività della
legge penale meno severa. Questo principio si traduce nella norme
secondo cui, se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione
del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronuncia di una
9
G

—,..-

,–

sostanziale – vedi sul punto Sez. 1, n. 48757 del 04/12/2012 – dep.

sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui
disposizioni sono più favorevoli all’imputato».
Non può ignorarsi un tale principio di civiltà giuridica, espresso
dalla Corte EDU,17/09/2009, Grande Camera, SCOPPOLA contro ITALIA.
Può conseguentemente affermarsi il seguente principio di diritto:
«L’integrale pagamento degli importi dovuti, comprese sanzioni

conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie
comporta l’applicazione dell’art. 13 bis, d. Igs. 74/2000, con la riduzione
delle pene fino alla metà, senza pene accessorie, anche per i fatti
pregressi dove è intervenuta l’apertura del dibattimento di primo grado,
in quanto la disposizione in oggetto prevede un trattamento sanzionatorio
più favorevole che deve trovare applicazione ex art. 2, quarto comma,
cod. pen. e 7, CEDU».
In considerazione della necessità di accertamenti di merito,
relativi all’integrale pagamento anche di sanzioni ed interessi, si rinvia
per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
6. Per la richiesta applicazione dell’art. 53, della legge, n.
689/1981 si deve rilevare che la motivazione della sentenza impugnata è
manifestamente illogica, e in violazione di legge, in quanto esclude
l’applicazione della norma, sulla considerazione che l’entità della sanzione
non consente la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria;
invece la sostituzione della pena detentiva in quella pecuniaria può
avvenire, per l’art. 53, citato, nei limiti dei sei mesi di pena detentiva (e
nel nostro caso la pena detentiva è di mesi 5 e giorni 10 di reclusione).
Anche su questo punto, quindi, deve annullarsi con rinvio la
decisione impugnata.
Ai sensi dell’art. 624, comma 2, cod. proc. pen. si dichiara
irrevocabile l’accertamento di responsabilità.

,

amministrative ed interessi, anche a seguito delle speciali procedure

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicazione
dell’art. 13 bis, d. Igs. 74/2000 e dell’art. 53 della legge n. 689 del 1981
e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di
Milano.

Così deciso il 17/01/2018
Il Consigliere estensore

Il Presidente

Angelo Matteo SOCCI

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7ATE SUPREMA Di CASSAZ1ONE
Terza Seziono Pnl

DEPOSITATO N GAAW.: , ii31A
Roma, li

1

Dichiara irrevocabile l’accertamento di responsabilità.

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