Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37081 del 10/11/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 37081 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: RENOLDI CARLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Arcovito Francesco, nato a Messina in data 11/03/1971,
avverso la sentenza del 27/05/2015 della Corte d’appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore generale, dott.
Luigi Cuomo, che ha concluso sollecitando la declaratoria di inammissibilità del
ricorso;
udito, per l’imputato, l’avv. Alberto Gullino, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 27/05/2015, la Corte d’appello di Roma
confermò la sentenza del Tribunale di Roma in data 8/10/2013, emessa all’esito
di giudizio abbreviato, con la quale Francesco Arcovito era stato condannato alla
pena, condizionalmente sospesa, di quattro mesi di arresto e di 10.000 euro di
ammenda in quanto riconosciuto colpevole, con le attenuanti generiche, del
reato di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen. e 44, comma 1, lett. B) del d.p.r. n. 380
del 2001 per avere, in concorso con Bruno Brunori, nella loro qualità di
amministratori e di legali rappresentanti della Panama Gardini Sri, proprietaria di
un’area di 12.914 mq sita nella via Panama in Roma e committente delle opere,
iniziato lavori edili, in assenza del permesso di costruire, finalizzati alla
realizzazione di un parcheggio interrato ritenuto non pertinenziale, disposto su

Data Udienza: 10/11/2017

due piani, per complessivi 497 box e posti auto; fatti accertati in Roma dal
gennaio 2010 e fino all’11/01/2011.
2. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso
Arcovito a mezzo dei difensori fiduciari, avv.ti Alberto Gullino e Paolo Vermiglio,
deducendo tre distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo di essi, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma
1, B) ed C), cod. proc. pen., la violazione di norme processuali stabilite a pena di

sottolinea come la copia del decreto di citazione in appello destinata all’imputato
fosse stata notificata al suo difensore di fiducia, ai sensi dell’art. 161 cod. proc.
pen., senza che la notifica fosse stata preceduta dalla verifica della impossibilità
di rinvenire lo stesso Arcovito presso il domicilio eletto.
2.2. Con il secondo motivo, la difesa di Arcovito censura, ex art. 606, comma
1, B) ed E), cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge
penale in relazione agli artt. 9 della legge n. 122 del 1989, 10 del decreto legge
n. 5del 2012, 5 cod. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione. Ciò in relazione a tre distinti profili.
2.2.1. Sotto un primo aspetto, si osserva che la legge n. 122 del 1989 (cd.
Legge Tognoli) avrebbe attribuito ai comuni, nella materia dei parcheggi, poteri
di pianificazione, che sarebbero stati inizialmente esercitati, dal comune
capitolino, con la delibera n. 325/93, la quale, nel prevedere che la richiesta di
autorizzazione edilizia dovesse essere corredata dagli atti di vendita, registrati e
trascritti, contenenti la costituzione del vincolo di pertinenzialità tra il singolo
immobile e il relativo parcheggio, avrebbe determinato serie problematiche
applicative, attesa la difficoltà di trovare acquirenti per un immobile non ancora
realizzato. Per tale motivo, sarebbe stata successivamente emanata la delibera
n. 165 del 1997, con la quale sarebbe stato previsto che alla richiesta di
autorizzazione dovesse essere legato un atto d’obbligo, debitamente trascritto,
con cui il privato si fosse impegnato a non modificare la destinazione d’uso/4’a
parcheggio. In questa prospettiva, il vincolo di pertinenzialità avrebbe dovuto
esistere soltanto al momento del trasferimento della proprietà dell’acquirente,
proprietario di un immobile sito in un’area di prossimità indicata nella planimetria
specificante l’area di intervento; sicché gli immobili serviti dal parcheggio non
avrebbero dovuto essere identificati preventivamente, dovendo essere soltanto
preventivamente identificabili. Secondo la difesa, del resto, la possibilità di una
previsione estensiva dell’art. 9 della legge Tognoli rientrerebbe nel
riconoscimento, ex art. 117 Cost., di una potestà regolamentare dei comuni in
materia di realizzazione dei parcheggi urbani interrati; potestà riconosciuta da
una copiosa giurisprudenza amministrativa.
2

A-ce,

nullità in relazione agli artt. 161, 178 e 179 cod. proc. pen.. In particolare, si

2.2.2. Sotto un secondo profilo, il ricorso sottolinea come l’art. 10 del decreto
legge n. 5 del 2012 prevedrebbe la possibilità, per il singolo comune, di stipulare
convenzioni o comunque di autorizzare la cessione del parcheggio a servizio di
qualunque immobile sito nel territorio comunale.
2.2.3. Infine, in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo, il ricorso
pone in luce la scusabilità dell’errore dell’imputato, derivante dalla presenza di
una giurisprudenza non pacifica. Sarebbe, inoltre, errato il riferimento alla
sentenza del 2009, compiuto dalla Corte territoriale per dimostrare la piena

che tale pronuncia non sarebbe stata emessa nei confronti di Arcovito, il quale
sarebbe stato destinatario, in realtà, unicamente della sentenza del 2011,
pronunciata successivamente ai fatti per cui è processo.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1
lett. B) ed E), cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge
penale nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in relazione alla circostanza che l’opera non fosse stata nemmeno
iniziata: ciò che, unitamente alla configurabilità, al più, di un semplice tentativo
non punibile, sarebbe stato indicativo di una limitata gravità dell’offesa e,
complessivamente, di un atteggiamento meramente colposo da parte
dell’imputato; profili sui quali la Corte territoriale avrebbe omesso qualunque
motivazione, nonostante la specifica deduzione contenuta nell’atto di appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso presenta alcuni profili di manifesta infondatezza e, al contempo,
deduzioni non manifestamente infondate; sicché la sentenza impugnata deve
essere annullata, senza rinvio, per essersi il reato estinto per prescrizione.
2. Muovendo dall’analisi del primo motivo di doglianza, con cui viene dedotta
la nullità dei decreti di citazione emessi nel giudizio di appello sul presupposto
che la notifica al difensore, eseguita ai sensi dell’art. 161 cod. proc. pen., non
fosse stata preceduta dalla verifica della impossibilità di notifica al domicilio
eletto, la relativa censura si palesa manifestamente infondata.
Secondo l’opinione accolta da questo Collegio, infatti, la nullità conseguente
alla notifica all’imputato del decreto di citazione a ‘giudizio presso lo studio del
difensore di fiducia anziché presso il domicilio eletto o dichiarato è di ordine
generale a regime intermedio; ciò in quanto detta notifica, seppur irritualmente
eseguita, non è inidonea a determinare la conoscenza dell’atto da parte
dell’imputato, in considerazione del rapporto fiduciario che lo lega al difensore
(ex plurimis Sez. 2, n. 48260 del 23/09/2016, dep. 15/11/2016, Zinzi, Rv.
268431). Ne consegue che tale nullità deve ritenersi sanata nel caso in cui non
sia eccepita entro i termini previsti dall’art. 180, richiamato dall’art. 182 cod.

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consapevolezza, da parte dell’imputato, della illiceità della sua condotta, atteso

proc. pen.; ciò che non risulta essere avvenuto nel caso di specie, non avendo il
ricorrente dedotto di avere formulato alcuna eccezione sul punto davanti alla
Corte di appello.
3. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo, con il quale il ricorrente
prospetta, per un verso, la configurabilità, in relazione alla condotta
contestatagli, di un tentativo non punibile, omettendo di considerare che
l’intervento realizzato aveva comunque determinato, attraverso i lavori di scavo,
una rilevante modifica dell’assetto urbanistico del territorio; e, per altro verso, la

trattamento sanzionatorio, anche in ragione della condotta meramente colposa
da parte dell’imputato, omettendo la difesa di considerare, anche in questo caso,
che la determinazione della pena costituisce esercizio di un potere discrezionale
da parte del giudice, al quale deve corrispondere un adeguato apparato
motivazionale che dia conto dei criteri utilizzati nel momento commisurativo:
motivazione che il giudice ha puntualmente reso nel riferirsi, oltre che all’entità
del fatto, anche alla personalità dell’imputato, gravato da un precedente per
reato colposo.
4. Venendo, quindi, al secondo motivo di doglianza, va premesso che la
questione relativa alla individuazione dei titoli abilitativi necessari alla
realizzazione di parcheggi pertinenziali di fabbricati è stata ripetutamente
scrutinata da questa Suprema Corte.
In argomento, è già stato sottolineato come ai sensi dell’art. 9, comma 1
della legge 24 marzo 1989, n. 122, la realizzazione di autorimesse o parcheggi
destinati a pertinenza di fabbricati esistenti è consentita soltanto se essa sia
stata eseguita nel sottosuolo o nei locali del piano terreno del fabbricato stesso,
ovvero, a partire dalla modifica apportata al comma 1 dall’art. 17, comma 90,
della legge 15 maggio 1997, n. 127, nel sottosuolo esterno al fabbricato, sempre
che i parcheggi siano stati realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, in aree
pertinenziali allo stesso fabbricato. Fuori da queste ipotesi, è necessario, invece,
il preventivo rilascio del permesso di costruire, in ragione del significativo
impatto delle opere in questione sull’assetto urbanistico e sull’utilizzazione del
territorio (Sez. 3, n. 37013 del 24/09/2001, Tripodoro, Rv. 220349; Sez. 3, n.
38841 del 24/10/2006, Di Iorio, Rv. 235357; Sez. 3, n. 8693 del 15/01/2008,
Navarra, Rv. 239064; Sez. 3, n. 26237 del 18/03/2009, dep. 25/06/2009,
pronunciata, tra gli altri, nei confronti dello stesso Arcovito).
L’ambito di tale disciplina, di stretta interpretazione in ragione del carattere
eccezionale che la connota (Cons. St., Sez. 4, n. 2579 del 2009 e n. 8729 del
2010), è stato progressivamente esteso dalla giurisprudenza, nel senso che il
parcheggio possa essere realizzato anche negli spazi interrati di un’area di
proprietà di terzi (Cons. St., Sez. 4, 23 luglio 2009, n. 4636; 7 luglio 2009, n.
4

modesta gravità del fatto, che avrebbe dovuto determinare un più contenuto

3379; Cass., Sez. 3, n. 14940 del 2009, citata), ferma restando la necessità che
la realizzazione delle opere non possa corrispondere ad “attività meramente
speculative” (Cons. St., Sez. 4, n. 1842 del 3 marzo 2010).
Nel caso di interesse, la Delibera comunale 8 agosto 1997, n. 165 aveva
ulteriormente stabilito che, stanti le peculiari esigenze delle aree fortemente
urbanizzate, la relazione di pertinenzialità tra gli immobili e i parcheggi
sotterranei edificati ai sensi del citato art. 9, comma 1, potesse essere estesa
fino a ricomprendere gli edifici “prossimi”, la cui sagoma rientrasse, per intero,

ai confini dell’area di parcheggio alla distanza di un chilometro dai singoli lati
dell’area stessa. Una scelta amministrativa, quindi, che includendo, nella nozione
di “pertinenzialità”, anche il concetto di “prossimità”, finiva per ancorare il
legame pertinenziale fra i parcheggi e gli edifici serviti al fatto che “i

boxes si

trov[assero] in un ragionevole raggio di accessibilità pedonale”.
Tuttavia, onde evitare che le pur rilevanti esigenze connesse al crescente
fabbisogno di parcheggi, in specie nelle grandi aree urbane, comportassero uno
snaturamento della volontà della legge Tognoli, questa Corte ha anche affermato
che, pur potendo il vincolo di pertinenzialità venire ad esistenza, dopo
l’ultimazione dei lavori, al momento della stipula degli atti pubblici di
trasferimento in favore di proprietari di immobili dotati dei requisiti previsti, i
fabbricati in favore dei quali potranno successivamente essere costituiti i singoli
vincoli debbano essere immediatamente individuati o comunque individuabili già
al momento della presentazione della richiesta di autorizzazione edilizia (poi DIA)
(Sez. 3, n. 45068 del 16/11/2011, dep. 5/12/2011, Arcovito e altro, Rv. 251331;
Sez. 3, n. 26237 del 18/03/2009, dep. 25/06/2009, citata; Sez. 3, n. 14940 del
3/03/2009, dep. 7/04/2009, Carrino e altro, Rv. 243460; Sez. 3, n. 8693 del
15/01/2008, Navarra, citata; Sez. 3, n. 44010 del 9/11/2001, dep. 7/12/2001,
Fratta, Rv. 220741); non essendo, dunque, sufficiente l’assunzione, da parte del
costruttore, dell’obbligo, garantito dall’impegno contrattuale assunto verso il
comune, di destinare in futuro i box e gli spazi di parcheggio esclusivamente a
titolari di diritti sugli immobili ricompresi nell’area di prossimità. Ciò in quanto lo
schema descritto, consentendo un intervento d’iniziativa di terzi diversi dai
proprietari, rivolto ad una pluralità di persone non individuate, sollecitandone
l’interesse all’acquisto, avrebbe presentato i caratteri tipici di una iniziativa
speculativa (Sez. 3, n. 45068 del 16/11/2011, dep. 5/12/2011, Arcovito e altro,
in motivazione).
4.1. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno accertato in fatto, e dunque
in maniera non sindacabile in questa sede, che la realizzazione dei box non
risultava a servizio dei fabbricati o delle strutture sovrastanti e preesistenti, né di
fabbricati sorgenti su aree prossime, bensì di fabbricati diversi, indistinti e non
5

all’interno della figura ottenuta nell’allegata mappa, individuando le vie parallele

individuabili dall’inizio; sicché il complesso delle argomentazioni svolte in sede di
ricorso, chiaramente in contrasto con i consolidati arresti di questa Corte, qui
condivisi, appare non fondato.
Nondimeno, rileva il Collegio che la questione testé riportata non può
ritenersi manifestamente infondata, attesa la sua notevole complessità tecnica e
la possibilità di approdi interpretativi differenti. Ne consegue, alla stregua di tale
valutazione, che deve procedersi a verificare se alla presente data, e dunque
dopo la pronuncia della sentenza di appello, il reato sia o meno prescritto. Ciò

cassazione siano inammissibili, sono rilevabili di ufficio le questioni inerenti
all’applicazione della declaratoria delle cause di non punibilità di cui all’art. 129,
comma 1, cod. proc. pen. che non comportino la necessità di accertamenti in
fatto o di valutazioni di merito incompatibili con i limiti del giudizio di legittimità
(Sez. U, n. 8413 del 20/12/2007, dep. 26/02/2008, Cassa, Rv. 238467).
Sul punto, giova osservare che essendosi in presenza di un reato
permanente, il dies a quo del termine di prescrizione decorre dalla cessazione
della permanenza, individuata, nel capo di imputazione, nella data
dell’11/01/2011. Pertanto, considerati gli eventi interruttivi

medio tempore

verificatisi, il termine quinquennale di prescrizione deve essere individuato
nell’11/01/2016, ormai ampiamente decorso.
5. Alla luce delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata deve
essere annullata, senza rinvio, per essersi il reato estinto per prescrizione.
Conseguentemente, deve essere disposta la revoca dell’ordine di demolizione,
atteso che secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’estinzione del reato di
costruzione abusiva per prescrizione travolge l’ordine di demolizione dell’opera,
atteso che tale ordine è una sanzione amministrativa di tipo ablatorio che trova
la propria giustificazione nella accessorietà alla sentenza di condanna (Sez. 3, n.
10/02/2006, Cirillo, Rv. 233673; Sez. 3, n. 8409 del 30/11/2006, dep.
28/02/2007, Rv. 235952; Sez. 3, n. 756 del 2/12/2010, dep. 14/01/2011, Rv.
249154; Sez. 3, n.50441 del 27/10/2015, Rv. 265616).

PER Q UESTI MOTIVI
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per

grescrizione. Revoca l’ordine di demolizione.
–1 Così deciso in Roma, il 10/11/2017
Q) CiI

alla stregua del principio secondo cui allorché non tutti i motivi di ricorso per

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