Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3708 del 19/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3708 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Su Haiyue n. in Cina il 26/11/1984;
Song Xiangdi, n. in Cina il 12/03/1964;

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona in data 16/11/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale F. Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Ancona ha confermato la sentenza di condanna di Su
Haiyue e Song Xiangdi alla pena di mesi due di arresto ed euro 5.200 di
ammenda ciascuno per il reato di cui all’art. 2, comma 1, lett. f), legge
7/02/1992 n. 150 per avere detenuto per la vendita 43 confezioni contenenti
“Moschus spp” quale specie animale inclusa negli allegati A e B del regolamento
CE n. 338 del 1997 senza la prescritta documentazione attestante la regolare
importazione e alla pena di euro 6.900 di ammenda per il reato di cui all’art. 1,

Data Udienza: 19/12/2013

comma 1, lett. f), legge 7/02/1992 n. 150, per avere detenuto per la vendita sei
confezioni di spezie contenenti “Saussurea costus” quale specie vegetale inclusa
nell’allegato A del suddetto decreto senza la prescritta documentazione
attestante la regolare importazione.

2. Hanno proposto ricorso, con un primo atto depositato il 31/12/2012 e con un

ed il secondo dopo la notifica dell’estratto contumaciale) dal difensore d’ufficio,
entrambi gli imputati.
Con un primo motivo, analogo in entrambi i ricorsi, lamentano l’erronea
applicazione di legge penale e la manifesta illogicità della motivazione; in
particolare la legge contestata è stata modificata dal d.l. n.2 del 1993 convertito
con legge n. 59 del 1993, dalla legge n. 426 del 1998 e dal d.l. n. 275 del 2001;
conseguentemente il nuovo testo del medesimo art. 2 prevede come reato non
più la semplice detenzione ma soltanto la detenzione finalizzata alla vendita
come confermato anche dalle recenti pronunce della Corte di cassazione.
Rilevano inoltre come il materiale sequestrato sia stato rinvenuto non negli
espositori del negozio dove è presente la merce destinata ai clienti ma nascosto
in uno scaffale sotto alla cassa, come riportato dal verbale del corpo forestale. Il
d.m. del 21/12/1983, attuativo del regolamento CE 3626 del 1982 e del
regolamento CE n. 3418 del 1983, all’art. 6 intitolato “deroghe”, dispone che per
l’importazione di esemplari destinati ad uso personale o domestico si applichino
le disposizioni previste dall’art. VII della convenzione e dall’art. 14 del
regolamento CEE n. 362 del 1982. Lo stesso art. 8 sexies lett. c) della I. n. 150
del 1992 chiarisce il concetto di oggetto ad uso personale o domestico, quale
prodotto derivato ottenuto da esemplari di specie incluse nell’allegato A,
appendici I, II e III e nell’allegato C parte 1 e 2 del regolamento CE n. 3626 del
1982, che appartenga ad una persona fisica e che non sia posto in vendita o
commercio. Nella specie la sentenza ha dato per scontato che la merce fosse
destinata alla vendita senza illustrare gli elementi su cui abbia fondato tale
convincimento.
Con un secondo motivo, anch’esso analogo in entrambi i ricorsi, hanno
lamentato la erronea applicazione dell’art. 2, comma 1, lett. f) legge n. 150 del
1992 per carenza dell’elemento soggettivo; rilevano che per tale prodotto è stata
fornita regolare fattura d’acquisto dalla ditta Sherman day Srl di Firenze del 22
gennaio 2010; a seguito delle verifiche condotte dal servizio Cites si è appurato
che tale ditta è sprovvista della necessaria licenza per l’importazione di tali
prodotti, non essendo tuttavia gli imputati a conoscenza di tale fatto, essendo
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secondo il 6/05/2013 (il primo dopo il deposito delle motivazioni della sentenza

peraltro stato possibile riscontrare tali irregolarità unicamente a seguito delle
apposite indagini; rilevano conseguentemente come, nella specie, difetti
l’elemento soggettivo essendo sempre necessario il riferimento alla norma
generale di cui all’art. 42 c.p..
Con un terzo motivo presente unicamente nel ricorso depositato il 6 maggio

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il primo motivo è infondato.
E’ indubbiamente vero, come sostenuto dai ricorrenti, che, alla stregua della
disposizione dell’art. 2, nel testo così introdotto dall’art.2 del d. Igs. n. 275 del
18/05/2001, è esclusa dalla sanzione penale la detenzione di esemplari
appartenenti a specie tutelate (intendendosi per tali anche i prodotti derivati) per
uso personale o domestico; del resto, già per effetto delle modifiche operate,
sull’originario testo della disposizione, dall’art.2 del d.l. n. 2 del 1993, convertito
in legge n. 59 del 1993, questa Corte aveva affermato che, a differenza di
quanto previsto dal vecchio testo della I. n. 150 del 1992, che qualificava come
reato anche la semplice detenzione di esemplari vivi o morti degli animali
selvatici e delle piante, o loro parti o prodotti derivati, indicati nell’allegato a)
appendici 2 e 3, e nell’allegato c), parte seconda, del regolamento C.E.E. n.
3826/82, il successivo testo aveva previsto come reato non più la semplice
detenzione, ma soltanto la detenzione per la vendita (Sez. 3, n. 4152/97 del
04/12/1996, P.M. in proc. Folli, Rv. 207036; cfr. Sez.3, n. 23972 del
25/05/2011, P.M. in proc. Sylla, Rv. 250486).
E tuttavia, nella specie, la sentenza impugnata ha esposto motivatamente e in
termini certamente non illogici e, dunque, sottratti al sindacato di questa Corte,
le ragioni per le quali la detenzione dei prodotti in questione fosse appunto
finalizzata alla vendita ed integrasse perciò reato, ponendo in rilievo il fatto che
gli stessi fossero detenuti sotto il bancone di vendita dell’esercizio commerciale,
all’ingresso del negozio e vicino al registratore di cassa.

4. Il secondo motivo è manifestamente infondato : il reato contestato, di natura
contravvenzionale, è integrato anche dalla solo mera colpa, sicché correttamente
i giudici di appello hanno disatteso la censura volta ad invocare a scusante la

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invocano la riduzione della pena ai minimi edittali.

mancanza di conoscenza, da parte degli imputati, della carenza di licenza per
l’importazione dei prodotti in capo al venditore.

5. Il terzo motivo, infine, è inammissibile perché generico venendo invocata la
riduzione della pena irrogata senza rapportare tale istanza ad uno specifico vizio

6. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2013

Il Con4( lier est.

Il Presidente

della sentenza impugnata.

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